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La storiografia ha indicato nel conflitto abissino un punto di svolta nell’evoluzione dell’immagine di Mussolini negli Stati Uniti. In quel frangente, agli occhi degli americani egli si trasformava da dittatore benevolo e moderato in feroce e aggressivo tiranno268. In verità, le quotazioni del fascismo in America erano già in netto ribasso alla vigilia del conflitto che poi, di per sé, sicuramente contribuì ad accrescere l’avversione verso il regime. In un rapporto del luglio 1935, Rosso affermava che fin dalla salita al potere di Roosevelt erano state riscontrate, soprattutto dalla stampa italiana, analogie tra il suo New Deal e il corporativismo fascista. Questa associazione, tuttavia, piuttosto che giovare alla causa fascista la danneggiava, perché la parola “fascismo” era sfruttata dai repubblicani per attaccare la presunta deriva dittatoriale del presidente che minacciava i principi democratici della costituzione americana269.

L’ambasciatore, inoltre, segnalava che il governo italiano non aveva fatto nulla per conservare                                                                                                                

264 Sulla propaganda fascista nelle scuole cfr. M.PRETELLI, La via fascista alla democrazia americana, cit.,

2012, pp. 46-54, 63-82.

265 Cfr. Ibidem.

266 Cfr. G.SALVEMINI, Italian fascist activities, cit., pp. 132-134; M.PRETELLI, Culture or Propaganda?, cit., p.

182-183.

267 Cfr. ACS, MCP, Gabinetto, Busta 122, fasc. 8, Rosso a Ciano, 19 luglio 1935. 268 Cfr. J.P.DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, 375-381.

269 “Il fatto è che, per ragioni essenzialmente elettorali, i due partiti politici americani, il democratico ed il

repubblicano, vanno polemizzando da quasi due anni, cercando entrambi di sfruttare, in senso negativo, il tema del fascismo. Ciò non poteva fare a meno di nuocerci, senza che vi fosse alcun rimedio da opporre ad una situazione creatasi per circostanze assolutamente fuori dal nostro controllo”. ACS, MCP, Gabinetto, Busta 122, fasc. 8, Rosso a Ciano, 19 luglio 1935.

l’amicizia degli Stati Uniti; al contrario, aveva adottato politiche che avevano irritato Washington: lo stallo nei negoziati commerciali, l’opposizione italiana al progetto americano per la riduzione degli armamenti alla conferenza di Ginevra, alcune inopportune attività di propaganda 270 . Per l’ambasciatore, in conclusione, vi era in Italia un “generale

disinteressamento alle cose americane” che rischiava di compromettere gli interessi, ideali e materiali, che il regime ancora aveva negli Stati Uniti271. Come sempre, il parere di Rosso era condiviso in pieno da Ciano, che sosteneva l’indirizzo di una politica che fosse sempre in completo accordo con l’ambasciata272.

L’aggressione italiana all’Etiopia s’inseriva in questa situazione già critica. L’opinione pubblica americana si schierava a favore del paese africano sia per ragioni sentimentali – la spontanea simpatia per il debole aggredito – sia per ragioni di politica estera, perché l’azione italiana in Africa era analoga a quella giapponese in Manciuria ed entrambe erano viste come espressioni del militarismo esasperato dei paesi dittatoriali. Diametralmente opposta, invece, era la reazione delle comunità italo-americane che difendevano il diritto dell’Italia a conquistare un “posto al sole” per la sua popolazione in eccesso e celebravano l’impresa africana come una prova del rinnovato prestigio della madrepatria273.

La guerra alimentava nuove discussioni su quello che sarebbe dovuto essere l’indirizzo della propaganda italiana negli Stati Uniti, perché si riteneva che le esigenze poste in essere dal conflitto richiedessero uno sforzo propagandistico maggiore rispetto al passato. Nell’affrontare la questione, l’ambasciata, pur riconoscendo la necessità di aumentare gli sforzi, non ritrattava il suo orientamento prudente. Anzi, prima ancora di elencare una serie di misure per difendere la causa fascista negli Stati Uniti, Rosso si poneva il quesito se fosse opportuno agire per influenzare l’opinione pubblica americana, oppure se convenisse lasciare che essa seguisse una evoluzione naturale determinata dagli avvenimenti. Il dilemma non era ozioso, perché una propaganda condotta senza abilità e con mezzi inadeguati avrebbe prodotto reazioni sfavorevoli. In secondo luogo, premettendo che le correnti dell’opinione pubblica erano determinate dai fatti più che dalla propaganda, era presumibile che, dopo un’iniziale avversione, l’andamento favorevole della campagna militare avrebbe ridotto progressivamente l’ostilità del pubblico americano verso l’Italia. Si poteva addirittura ipotizzare che questa evoluzione sarebbe stata favorita, anziché ritardata, dall’assenza di propaganda274.

Passando però a esaminare quali azioni si sarebbero potute mettere in atto, Rosso faceva presente che per ottenere risultati positivi erano indispensabili mezzi finanziari, persone adatte e una stretta collaborazione tra il ministero e l’ambasciata. Partendo da queste basi, la propaganda poteva essere sviluppata attraverso due fasi: la diffusione delle notizie e la loro opportuna illustrazione. Per quanto riguarda il primo punto, il lavoro doveva essere svolto a Roma dal ministero della Stampa e Propaganda che avrebbe dovuto elaborare il materiale di                                                                                                                

270 Cfr. Ibidem.

271 Cfr. ACS, MCP, Gabinetto, Busta 122, fasc. 8, Rosso a Ciano, 19 luglio 1935. 272 Cfr. ACS, MCP, Gabinetto, Busta 122, fasc. 8, Ciano a Rosso, 9 agosto 1935.

273 Cfr. G.SALVEMINI, Italian fascist activities, cit., pp. 199-207; A.DE CONDE, Half Bitter, half Sweet, cit., pp.

218-224; J.P. DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, cit., pp. 395-400; S. LUCONI, La “diplomazia

parallela”, cit., pp. 86-99; L.V. KANAWADA, Franklin D. Roosevelt’s diplomacy and American Catholics,

Italians and Jews, UMI research press, Ann Arbor, 1982, pp. 77-78.

274 Cfr. ACS, MCP, DGSP, Busta 223, fasc. I.68 Stati Uniti 1938, sf. I.68/101, Rosso a De Peppo, 30 agosto

informazione e inviarlo in America per mezzo degli organi che ne avrebbero assicurato la maggiore diffusione – le agenzie telegrafiche americane (Associated Press, United Press,

International News Service, ecc.) e i corrispondenti dei giornali statunitensi in Italia. A tal

proposito, occorreva coltivare buone relazioni con i giornalisti americani e non limitare troppo la loro libertà, perché le restrizioni imposte dalla censura provocavano una pessima impressione. Questo materiale, inoltre, doveva essere adattato alla particolare psicologia americana ed evitare di riprodurre solo scene di carattere militare. La seconda fase consisteva nell’illustrazione delle notizie e doveva essere svolta in America. Si potevano applicare due sistemi. Il primo era quello della propaganda di massa, indirizzata al complesso dell’opinione pubblica; il secondo, invece, si rivolgeva ad ambienti ristretti, ai circoli intellettuali e ai ceti dirigenti. Rosso sconsigliava il primo metodo che prevedeva la distribuzione di volantini e opuscoli in tutto il paese, perché avrebbe scatenato l’immediata reazione degli americani. Questa opzione era stata tentata dai tedeschi prima dell’ingresso degli Stati Uniti nella grande guerra e i risultati erano stati disastrosi per la Germania. L’azione italiana, pertanto, doveva limitarsi a interessare solo alcuni ambienti ristretti, ma molto influenti nel determinare gli orientamenti complessivi del paese. In primo luogo la stampa, dove occorreva agire tramite una persona adatta a tessere una rete di contatti personali con i giornalisti, e i circoli intellettuali che potevano essere sensibilizzati servendosi di conferenze e pubblicazioni speciali la cui azione era tanto più efficace se coinvolgevano personalità italiane di prestigio o elementi stranieri favorevoli alla causa italiana275.

Riferendosi alla comunità italo-americana, Rosso sosteneva che bisognava interessarsi a essa sia per rafforzare il suo sentimento di solidarietà con il paese di origine sia perché poteva esercitare un’utile influenza sull’elemento americano e sulle sfere politiche. Tuttavia, l’ambasciatore bocciava l’idea di costituire negli Stati Uniti associazioni di carattere politico e, in particolare, i Nuclei per la diffusione della propaganda in Italia e all’estero (NUPIE), organismi incaricati di svolgere un’opera di mobilitazione in caso di conflitto. Un’azione di propaganda vera e propria diretta agli italo-americani era inutile giacché essi erano naturalmente portati ad accettare il punto di vista italiano. Si trattava, quindi, solo di far conoscere loro le notizie favorevoli all’Italia attraverso i giornali italo-americani, quasi tutti favorevoli al regime276.

Lo scopo della propaganda italiana durante il conflitto era di evitare che gli Stati Uniti approvassero misure contrarie all’Italia, soprattutto in tema di embargo sulle materie prime utili ai fini militari. Le ostilità avevano inizio il 3 ottobre 1935 e due giorni dopo la Società delle Nazioni infliggeva all’Italia una serie di sanzioni economiche che, però, non colpivano molte merci strategiche, tra cui il petrolio. L’attenzione, però, si spostava subito da Ginevra a Washington, perché qualsiasi restrizione sulle esportazioni verso l’Italia decretata dalla Società delle Nazioni non avrebbe avuto molta efficacia senza l’adesione degli Stati Uniti che producevano da soli una grossa percentuale delle materie prime mondiali. Il governo americano, che non era membro del consesso ginevrino, aveva reagito appellandosi al

Neutrality Act del 1935, in base al quale era dichiarata illegale l’esportazione di armi e

munizioni ai paesi belligeranti, ma la restrizione non riguardava affatto le materie prime277. A                                                                                                                

275 Cfr. Ibidem. 276 Cfr. Ibidem.

277 Cfr. R. QUARTARARO, I rapporti italo-americani durante il fascismo (1922-1941), Edizioni Scientifiche

questa misura, ritenuta dall’amministrazione Roosevelt favorevole all’Italia, si aggiungeva l’annuncio di un embargo morale lanciato dal presidente e dal segretario di Stato, Cordell Hull, per invitare le imprese americane a interrompere il commercio di quelle merci – in particolare il petrolio – che servivano ad alimentare lo sforzo bellico italiano278.

Il rischio che la petizione di principio si potesse trasformare in qualcosa di ben più concreto, con la chiusura del flusso di questi importanti prodotti energetici, era all’ordine del giorno con il rinnovo della legge sulla neutralità, fissato dall’amministrazione USA per il febbraio 1936. Questa eventualità spingeva l’ambasciata a elaborare una serie di iniziative per promuovere il punto di vista italiano presso l’opinione pubblica americana. Le sorti del conflitto, pertanto, non dipendevano solo dalle battaglie combattute sull’altopiano abissino, ma anche dallo scontro politico che vi era in America tra i sostenitori delle sanzioni economiche e i fautori di una neutralità assoluta. Dal punto di vista di Washington, infatti, la guerra d’Etiopia si presentava soprattutto in funzione del proprio dibattito politico interno della neutralità. Infatti, si pensava che le leggi approvate nella particolare fattispecie del conflitto italo-abissino avrebbero costituito un decisivo precedente, per regolare la materia della neutralità americana anche per il futuro279.

La questione etiopica, pertanto, diventava un problema di rilevanza nazionale, poiché nel 1936 vi sarebbero state le elezioni presidenziali, con tutti i suoi scontati riflessi elettorali. Per Rosso era su questo tasto che doveva battere la propaganda italiana, dato che gli argomenti basati sui diritti dell’Italia nel conflitto in corso non avevano presa sugli ambienti politici statunitensi – che potevano essere influenzati solo dagli “aspetti americani del problema internazionale e dalle loro possibili reazioni sulla massa elettorale”280. I vari umori dell’elettorato erano rappresentati nel Congresso da tre correnti principali: gli isolazionisti estremi che, volendo evitare a tutti i costi che gli Stati Uniti fossero trascinati in un conflitto europeo, erano pronti a interrompere qualsiasi commercio con i paesi belligeranti; la corrente favorevole alla collaborazione con la Società delle Nazioni che intendeva conferire al presidente ampi poteri nell’applicazione della legge sulla neutralità, con un’interpretazione estensiva dell’embargo sulle materie prime di uso bellico; i neutralisti, i quali ritenevano che la neutralità potesse essere mantenuta limitando l’embargo solo alle armi e alle munizioni e consentendo l’esportazione delle altre merci281.

Siccome la prima e la seconda corrente, pur partendo da posizioni opposte, approvavano un programma di ampie restrizioni al commercio, le autorità italiane speravano nel prevalere della terza. L’ambasciata, pertanto, si adoperava per mobilitare tutte le forze che potessero agire a favore dell’Italia, partendo ovviamente dalle comunità italo-americane. Rosso si impegnava immediatamente a valorizzare, con la necessaria cautela, l’influenza degli elettori di origine italiana. Questi, sotto la direzione dell’ambasciata e dei funzionari consolari, si rendevano protagonisti di alcune importanti iniziative. Il 4 novembre 1935 aveva luogo a New York un’imponente manifestazione italo-americana durante la quale prendeva la parola l’ambasciatore che esprimeva il senso di amarezza degli italiani per la politica poco amichevole del governo di Washington. Erano organizzate anche raccolte a favore dell’erario,                                                                                                                

278 Cfr. L.V.KANAWADA, Franklin D. Roosevelt’s diplomacy, cit., p. 76. 279 Cfr. Ibidem.

280 DDI, serie 8, vol. 2, n. 592, p. 571.

281 Cfr. ASMAE, AP 1931-1945, Busta 27, fasc. 13, Stati Uniti. Situazione politica nel 1935. Relazione del

spesso mascherate da sottoscrizioni per la Croce Rossa Italiana, e campagne per la donazione di oro che ricordavano le cerimonie che si svolgevano nello stesso periodo in Italia282. Ma l’iniziativa destinata a lasciare l’impronta maggiore era la campagna promossa tra gli elettori italo-americani per invitarli a scrivere lettere di protesta ai vertici dell’amministrazione e ai membri del Congresso – in particolare a quelli eletti nei collegi dove maggiore era la presenza di votanti italo-americani – per esprimere il proprio dissenso verso la possibile revisione della legislazione sulla neutralità in senso sfavorevole all’Italia, minacciando in modo più o meno esplicito ritorsioni elettorali283. Per rendere più efficiente questa campagna, le autorità diplomatiche fornivano alle associazioni, ai giornali e ai singoli individui delle lettere- modello cui bisognava aggiungere solo il proprio nome:

My dear Mr. President: —

I protest against American association with League of Nations sanction activities. I protest against statements of members of the present administration in Washington showing cooperation with the schemes of the British Government as regards sanctions and embargoes. I protest against our Government meddling with European sanctions and embargo policies. Very respectfully.

Signature Address284.

La campagna raggiungeva il culmine dopo il discorso pronunciato da Roosevelt davanti al Congresso il 3 gennaio 1936, in occasione del quale il presidente affermava che la nuova legge sulla neutralità avrebbe dovuto concedergli più ampi poteri discrezionali sull’embargo, che egli avrebbe utilizzato per vietare il commercio delle materie prime che potevano essere sfruttate a fini bellici. Se fino a quel momento erano state ricevute dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato solo 2.500 lettere di italo-americani, dopo il discorso il ritmo crebbe in modo esponenziale, raggiungendo una media tra le cinquecento e le mille missive al giorno285.

Nell’opera di mobilitazione delle collettività emigrate, risaltava il contributo di Generoso Pope, uno dei principali leader etnici di New York e proprietario de «Il Progresso Italo- Americano», il più importante giornale in lingua italiana negli Stati Uniti. Dalle colonne della sua testata, Pope aveva sostenuto fin dal principio il punto di vista del governo di Roma nella vertenza etiopica, addossando la responsabilità della crisi al Negus e affermando che la

                                                                                                               

282 Cfr. DDI, serie 8, vol. 2, n. 710, p. 685.

283 Il ruolo dell’ambasciata nel coordinare le iniziative delle comunità italo-americane è espresso chiaramente da

Rosso, che così riferiva a Mussolini: “Dietro impulso dato dalla R. Ambasciata, e validamente sostenuto dagli Uffici Consolari, associazioni e stampa italiana, in tutti i principali centri degli Stati Uniti organizzano riunioni pubbliche con appelli e proteste a Senatori e Deputati: inviano lettere ai giornali ecc.”. Cfr. DDI, serie 8, vol. 2, n. 710, p. 685.

Sulla campagna di lettere degli italo-americani cfr. J.P.DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, cit., pp.

398-399; S.LUCONI, La “diplomazia parallela”, cit., pp. 94-98; G.G.MIGONE, Gli Stati Uniti e il fascismo, cit.,

pp. 350-351; L.V.KANAWADA, Franklin D. Roosevelt’s Diplomacy, cit., pp. 79-82; F.B.VENTRESCO, Italian-

Americans and the Ethiopian Crisis, in «Italian Americana», VI, 1, 1980, pp. 17-18.

284 ACS, MI, DGPS, Categorie annuali, 1936, Busta 18/C, foglio sciolto. 285 Cfr. S.LUCONI, La “diplomazia parallela”, cit., pp. 94-95.

politica di Mussolini era ispirata non solo alla difesa dell’onore e degli interessi della patria, ma anche alla tutela dei “diritti della civiltà sulla barbarie”286.

Durante tutto il periodo delle ostilità, Pope si dava da fare per organizzare iniziative a sostegno di quella che era definita una “crociata di liberazione e di civilizzazione”287. Il 15

dicembre 1935, in occasione di un raduno al Madison Square Garden di New York, lanciava una campagna per promuovere una raccolta di fondi a favore della Croce Rossa Italiana e, soprattutto, per far vedere agli americani “di quale entusiasmo e di quale concordia siano animati gli Italiani d’America come gl’Italiani d’Italia”288. Gli emigrati rispondevano con entusiasmo all’appello e, il 14 giugno 1936, dopo poco più di un mese dall’entrata delle truppe di Badoglio ad Addis Abeba, Pope organizzava una nuova adunata nell’arena newyorkese per celebrare la vittoria e consegnare al console Vecchiotti l’ultimo di una serie di assegni, per un ammontare complessivo di oltre 700 mila dollari, versati da un milione e mezzo di contributori – a indicare che la somma non era il frutto di una raccolta tra pochi ma il risultato dell’impegno dell’intera comunità289.

Pope era in prima linea anche nella campagna delle lettere. I suoi articoli su «Il Progresso Italo-Americano» incitavano associazioni e singoli cittadini a scrivere missive e ad avvicinare personalmente deputati e senatori per chiedere il rispetto di una neutralità assoluta290.

Il suo impegno, tuttavia, non si limitava a sollecitare gli italo-americani, ma era rivolto anche alle più alte sfere politiche di Washington. Pope, infatti, grazie al controllo del voto italiano, era uno dei membri principali dell’apparato del partito democratico di New York e aveva appoggiato la candidatura di Roosevelt nelle elezioni presidenziali del 1932291. Poco dopo l’inizio del conflitto, Pope indirizzava una lettera al presidente, pubblicata su «Il Progresso Italo-Americano», in cui gli chiedeva di rinunciare, nell’interesse degli Stati Uniti, a qualsiasi iniziativa solidale con la Società delle Nazioni e con le sanzioni da essa promosse:

In nome della pace e nell’interesse del nostro popolo, dobbiamo evitare di lasciarci coinvolgere nel conflitto, nel quale sta precipitando l’Europa. […]. Come cittadino di questo paese, appassionatamente interessato nel suo benessere e nel benessere del suo popolo, vi esorto a rimanere saldo su la politica di non intervento e di non associarvi a nessuna forma di sanzioni

                                                                                                               

286 G.POPE, La Vertenza Italo-Abissina, in «Il Progresso Italo-Americano», 3 marzo 1935.

287 ID., La Civiltà a servizio dello Schiavismo?, in «Il Progresso Italo-Americano», 31 ottobre 1935.

288 ID., La festa al Medison Square Garden, in «Il Progresso Italo-Americano», 11 novembre 1935. Per una

descrizione del raduno cfr. Vibrante celebrazione d’italianità al Madison Sq. Garden, in «Il Progresso Italo- Americano», 15 dicembre 1935.

289 Cfr. Vibrante successo della Sagra d’Italianità al Garden, in «Il Progresso Italo-Americano», 15 giugno

1936.

290 Cfr. G.POPE, Vigili e attivi, in «Il Progresso Italo-Americano», 7 dicembre 1935; Id., Neutralità significa

pace, in «Il Progresso Italo-Americano», 26 dicembre 1935. In quest’ultimo articolo, Pope non si faceva

scrupolo a celare la minaccia di ritorsioni elettorali per quei membri del Congresso che avessero espresso un voto favorevole alle posizioni sanzioniste: “Il 1936 è anno elettorale di particolare importanza, per la rielezione del Presidente, della Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato. E è facile intendere come il loro atteggiamento, nell’imminente riesame del delicatissimo e infiammabile problema della neutralità, avrà un gran peso sul voto della massa elettorale; come, cioè, non potranno più contare sulla fiducia degli elettori coloro che, tradendo lo spirito della legge vigente, esponessero a seri pericoli la pace, ch’è supremo onesto e nobile desiderio d’ogni cittadino americano”.

291 Cfr. P.V.CANNISTRARO, E.AGA ROSSI, La politica etnica e il dilemma dell’antifascismo italiano negli Stati

economiche contro l’una o l’altra nazione belligerante. Solo in questo modo questo paese si

troverà nella posizione vantaggiosa di poter essere il vero baluardo della pace nel mondo292.

L’azione di Pope non si arrestava certo qui. Il 30 gennaio 1936, mentre il Congresso dibatteva il nuovo disegno di legge sulle neutralità – il cosiddetto Pittman-McReynolds Bill – egli si recava a Washington insieme al deputato, e membro dell’organizzazione democratica di New York, William I. Sirovich, per incontrare diversi deputati e senatori ostili al progetto. Dopodiché, era ricevuto alla Casa Bianca da Roosevelt, che gli concedeva un’intervista di un’ora, durante la quale il direttore de «Il Progresso Italo-Americano» ammoniva il presidente che la pressione esercitata dagli italo-americani sui congressisti avrebbe senza dubbio portato alla bocciatura della legge di neutralità. L’unica soluzione possibile era, quindi, estendere la legislazione vigente, escludendo così l’embargo sulle materie prime293. Al pragmatico Roosevelt non servivano altri avvertimenti e, senza alcun indugio, rispondeva a Pope che egli