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Le strutture della propaganda

3.1 Il press office di Edgar Sisson

Per comprendere i modi con cui il regime tentò di influenzare l’opinione pubblica americana, un focus sulle “strutture” della propaganda è indispensabile. Per essere efficace, l’azione propagandistica del fascismo in America non si poteva ridurre alle visite di ambasciatori e consoli presso le comunità italiane, ai discorsi in occasione dei banchetti, alle cerimonie commemorative di ricorrenze del passato, alle festose accoglienze a personaggi illustri provenienti dall’Italia e ad altre iniziative del genere. Questi erano sicuramente importanti momenti di coesione e di celebrazione nazionale la cui efficacia, però, era limitata nello spazio e nel tempo. Per raggiungere i vari ambienti di un paese vasto come l’America occorreva una propaganda più organizzata, capace di informare in modo preciso e puntuale l’opinione pubblica sui fatti riguardanti l’Italia e pronta a controbattere tempestivamente tutte le campagne ostili scatenate dalla stampa antifascista. Per raggiungere questi obiettivi il regime si impegnò a creare nuovi organismi incaricati di dirigere e coordinare le singole attività propagandistiche, tenendo informato il pubblico e la stampa americani, promuovendo nel contempo il punto di vista del governo fascista.

In realtà, la necessità di avere un’organizzazione per la diffusione di notizie favorevoli all’Italia era stata espressa ancor prima della marcia su Roma. Un rapporto redatto da un ufficiale dell’esercito in congedo lamentava l’assenza di notizie sull’Italia già durante il viaggio in nave per raggiungere l’America. La situazione non migliorava una volta sbarcati a New York, dove non c’era alcun ufficio atto a ricevere e pubblicare informazioni riguardanti la penisola. La conseguenza di questa grave lacuna, sosteneva il rapporto, era che le uniche notizie diffuse in America circa il nostro Paese erano quelle diramate dalle agenzie di stampa straniere1.

Anche gli ambienti italiani di New York, soprattutto quelli economici, criticavano lo scarso impegno del governo nazionale per la diffusione di notizie positive riguardanti l’Italia. La stampa americana, infatti, dedicava ampio spazio solo ai resoconti di eventi catastrofici o di fatti sensazionalistici che attiravano la morbosa attenzione dei lettori. Per ovviare a questa situazione, i rappresentanti a New York delle principali banche italiane, sostenuti dall’ambasciatore Rolandi Ricci, proponevano l’istituzione di un ufficio che doveva ricevere quotidianamente un notiziario da diffondere tra i principali giornali americani e che doveva essere sempre pronto a fornire informazioni serie e fondate a chiunque ne facesse richiesta. Infine, affinché i dati trasmessi da questo ufficio risultassero imparziali e attendibili, era necessario che essi avessero una “etichetta” americana e non quella ufficiale dell’ambasciata2. Per questa ragione, essi indicavano come sede più opportuna quello della Italy-America

Society, fondata a New York nel 1918 da un gruppo di esponenti dell’alta finanza e della

politica americane; vi spiccavano i nomi di Thomas L. Lamont e Charles Evans Hughes che                                                                                                                

1 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 20, fasc. 30, sf. 30.1, Relazione di un ufficiale dell’esercito in congedo, senza

data [1921].

2 Cfr. ASMAE, AW 1909-1924, Busta 185, fasc. 890, sf. 3, Promemoria: una pratica iniziativa per la

promuovevano l’iniziativa allo scopo di rafforzare i rapporti internazionali tra l’Italia e gli Stati Uniti attraverso una reciproca comprensione culturale3. L’associazione era nata nell’ambito delle iniziative prese dal governo americano per sostenere, sia all’interno sia all’esterno, il consenso verso il suo intervento nella prima guerra mondiale. Essa, inoltre, era una manifestazione concreta delle proiezioni internazionali di alcuni attori dell’economia americana, prima fra tutti la banca Morgan, interessati a sviluppare sempre più strette relazioni commerciali con i paesi stranieri. Oltre a essere interprete delle esigenze del capitale americano, la Italy-America Society era un utile strumento a disposizione del governo italiano per promuovere un’immagine favorevole del paese in America.

A questo scopo, operava all’interno della società Irene Di Robilant che, condividendo il giudizio negativo sulla propaganda italiana in America, aveva organizzato un servizio informazioni basato su uno schedario di articoli, estratti dai principali giornali italiani, da usare come fonte per fornire notizie alla stampa americana. Tuttavia, gli scarsi mezzi a disposizione impedivano a questo servizio di raggiungere gli oltre duemila quotidiani americani e le altrettanto numerose riviste pubblicate nel paese. Pertanto, Di Robilant appoggiava il progetto presentato dalle banche italiane di servirsi della Italy-America Society per svolgere un’utile opera d’informazione. Esso prevedeva di inviare a Roma un corrispondente della Society, possibilmente americano per evitare l’accusa di propaganda, il quale sarebbe stato in contatto con tutti gli enti atti a fornire le informazioni sicure e affidabili da trasmettere quotidianamente all’ufficio di New York via telegrafo. Per Di Robilant, questo ufficio, la cui serietà agli occhi della stampa americana era assicurata dal prestigio dei soci americani della Italy-America Society, avrebbe dovuto costituire il centro di tutte le attività italiane negli Stati Uniti e garantire finalmente alla propaganda italiana quell’organizzazione che fino ad allora era mancata4.

Nonostante tutti i pareri positivi espressi, il progetto non si realizzava a causa delle elevate spese del bollettino giornaliero radiotelegrafato che né la Italy-America Society né le banche erano in grado o disposte a sostenere. Analoghe ragioni di bilancio costringevano il ministero degli Esteri, che pur aveva riconosciuto l’utilità dell’iniziativa, a respingere la richiesta della trasmissione radiotelegrafica in franchigia del notiziario quotidiano finanziario5.

L’ascesa al potere di Mussolini rendeva la questione ancora più urgente e, soprattutto, le conferiva una dimensione politica molto più accentuata, data la necessità di controbattere le notizie ostili al regime provenienti dall’estero e la volontà di promuovere un’immagine stabile e positiva del nuovo governo. Questa esigenza era avvertita in particolare per gli Stati Uniti, dove la stampa e l’opinione pubblica esercitavano un peso notevole nel determinare le scelte politiche del governo. Tuttavia, queste preoccupazioni non si traducevano in uno sforzo organizzativo immediato e molti osservatori biasimavano l’assenza di un’adeguata azione propagandistica del governo fascista.

Secondo il giornalista James P. Roe, il pubblico americano nutriva un certo fascino per il fascismo e ammirava Mussolini, tuttavia vi erano ancora numerosi ostacoli da superare per affermare definitivamente il punto di vista fascista negli Stati Uniti. Infatti, le accuse lanciate da molti organi d’informazione di alcuni paesi stranieri e dalla stampa antifascista, soprattutto                                                                                                                

3 Cfr. S.SANTORO, La propaganda fascista negli Stati Uniti, cit., pp. 63-67.

4 Cfr. ASMAE, AW 1909-1924, Busta 185, fasc. 890, sf. 3, Di Robilant a Tittoni, senza data.

5 Cfr. ASMAE, AW 1909-1924, Busta 185, fasc. 890, sf. 3, Rolandi Ricci a ministero dell’Industria e del

di matrice comunista, rischiavano di compromettere la simpatia del pubblico americano verso il fascismo. Per contrastare in modo efficace l’azione antifascista, sosteneva Roe, non bastavano discorsi in pubblico, adunate e sfilate: occorreva un’azione organizzata e ben strutturata, tesa a informare la stampa e l’opinione pubblica americane sui risultati e sui progressi conseguiti dal nuovo governo. Questo compito non poteva e non doveva essere svolto dall’ambasciata, la cui attività doveva limitarsi alla sfera diplomatica, ma da un ufficio informazioni appoggiato dal governo italiano e capace di diffondere notizie nei circuiti della stampa e di raggiungere tutti gli ambienti dell’opinione pubblica americana6.

Il problema di curare un servizio informazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti era ripreso seriamente in considerazione in seguito alla pubblicazione di numerosi articoli ostili al fascismo, dipinto come un regime del terrore, durante il 1925. Addirittura, nel gennaio 1926, l’ambasciatore discuteva la questione con il segretario di Stato7. Questi lo informava che il governo americano avrebbe considerato con soddisfazione la presenza di un corrispondente dell’agenzia Stefani presso gli uffici dell’Associated Press, dove avrebbe potuto esercitare un controllo indiretto sulle notizie provenienti dall’estero e provvedere a un servizio telegrafico diretto con l’Italia. De Martino, nel suo rapporto al ministero degli Esteri, rilevava come le corrispondenze dell’Associated Press fossero la base delle notizie riportate dai giornali e, di conseguenza, un fattore importante nella formazione dell’opinione pubblica locale. Pertanto, per l’ambasciatore era fondamentale stringere dei rapporti con l’importante agenzia di stampa in modo da avere la possibilità di controllare le corrispondenze che essa riceveva, soprattutto dalle capitali europee, e diramava a proposito dell’Italia. Questo piano era presentato dall’ambasciatore al direttore generale dell’Associated Press, Kent Cooper, il quale si mostrava favorevole ad accogliere un giornalista di fiducia del governo italiano che, come titolare dell’ “Ufficio di corrispondenza dell’Agenzia Stefani”, avrebbe potuto fungere sia da agente di contatto sia da fonte di informazioni sull’Italia. Questa iniziativa sembrava risolvere il problema dell’allestimento di un ufficio stampa italiano negli Stati Uniti: De Martino, infatti, era convinto che le poche risorse economiche a disposizione del governo non avrebbero mai permesso la creazione di un autonomo ufficio informazioni italiano forte e influente. Data questa lacuna, la soluzione migliore era inserire l’azione italiana in una organizzazione americana: la presenza di un giornalista, ovviamente favorevole al regime, presso l’Associated Press avrebbe reso un servizio notevole alla causa del fascismo in America8. Tuttavia, nonostante il parere favorevole e la disponibilità mostrata dai dirigenti dell’agenzia americana, l’esecuzione pratica del progetto si rivelava molto più complicata, fino ad arenarsi del tutto a causa dei contratti esistenti fra la Stefani e le agenzie di stampa inglese (Reuters) e francese (Havas)9.

Nel frattempo non mancavano iniziative di carattere locale. Al fine di controbattere eventuali campagne giornalistiche ostili all’Italia, il console di Boston pensava di costituire un ufficio informazioni sotto la diretta dipendenza del consolato e finanziato per mezzo di una sottoscrizione nell’ambito della comunità italiana10. Tuttavia, anche questa proposta, nonostante ricevesse il plauso dell’ambasciata, non riusciva a concretizzarsi11.

                                                                                                               

6 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 7, fasc. 77, Roe a Mussolini, 20 luglio 1924.

7 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 8, fasc. 697, De Martino a Mussolini, 25 gennaio 1926. 8 Cfr. Ibidem.

9 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 5, fasc. 33, De Martino a Mussolini, 16 maggio 1927. 10 Cfr. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 61, fasc. 611, Ferrante a Caetani, 26 gennaio 1925. 11 Cfr. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 61, fasc. 611, Caetani a Ferrante, 31 gennaio 1925.

L’esito fallimentare di queste prime iniziative dimostrava le gravi difficoltà cui dovevano far fronte i diplomatici e gli agenti fascisti nel loro compito di istituire una struttura propagandistica negli Stati Uniti. Il primo e principale impedimento era la scarsità di risorse economiche: i pochi fondi messi a disposizione dal governo non erano sufficienti a finanziare i servizi informativi del nuovo organismo. Inoltre, vi erano le difficoltà legate ai tempi e ai modi necessari al nuovo ufficio per entrare in contatto con il mondo finanziario, politico e giornalistico americano. Infatti, per svolgere un’attività utile, l’ufficio doveva interagire con i settori più influenti e prestigiosi della società americana.

Fu proprio da questi settori, però, che venne un impulso decisivo per l’organizzazione di un ufficio informazioni italiano in America. A seguito dell’accordo sul debito di guerra e del successivo prestito di 100 milioni di dollari concesso all’Italia, la banca Morgan era sempre più interessata ad allacciare rapporti con il governo italiano e a difenderne la reputazione in America. Nel marzo 1926, Lamont inviava a Volpi, per mezzo di Giovanni Fummi, un intermediario che curava i contatti tra l’Italia e la banca Morgan, una relazione redatta da alcuni membri della Italy-America Society in merito all’immagine italiana negli Stati Uniti. Il documento attirava l’attenzione sul preoccupante discredito che si andava spargendo verso il governo italiano e sul conseguente allarme circa la stabilità dell’Italia e degli investimenti nella penisola. Secondo i soci, questo clima di sfiducia era dovuto a diversi fattori: primo, i giornali americani pubblicavano poche notizie fondate sull’Italia; secondo, l’impressione sfavorevole prodotta da alcune dichiarazioni sensazionali di Mussolini riguardo alla politica estera italiana riportate dalla stampa; terzo, il focalizzarsi della propaganda fascista solo sulla figura di Mussolini rischiava di creare l’impressione che un’eventuale scomparsa del duce avrebbe prodotto una rivoluzione politica con conseguenti perturbazioni sociali. A queste considerazioni bisognava poi aggiungere l’azione propagandistica degli antifascisti presenti in America, Francia e Gran Bretagna, che descrivevano l’Italia come un paese governato da una brutale dittatura12.

Le maggiori preoccupazioni riguardavano le ripercussioni negative prodotte da queste accuse sulle relazioni economiche e commerciali. Molti banchieri italiani e uomini d’affari americani attribuivano a questo clima sfavorevole il lento andamento delle vendite delle obbligazioni emesse dal governo italiano e da alcune società private. Un senso di sfiducia sembrava attanagliare anche gli italo-americani, giacché molti emigrati ritiravano i loro conti in lire. Questo comportamento era dovuto in parte alla cessazione dei flussi migratori e al conseguente allentamento dei vincoli con il paese d’origine, tuttavia su di esso sembravano influire anche i toni accessi e minacciosi di alcuni giornali fascisti, in particolare «Il Carroccio» di Agostino De Biasi e «Il Grido della Stirpe» di Domenico Trombetta, che minacciavano l’adozione di possibili misure repressive da parte del governo italiano contro fuorusciti e rifugiati politici, ai quali sarebbero stati sequestrati i beni posseduti in Italia. Per fronteggiare questa difficile situazione, il governo italiano doveva impegnarsi maggiormente nel curare la diffusione di notizie positive negli Stati Uniti e nel ripristinare la fiducia del pubblico nell’avvenire del paese. Il rapporto suggeriva alcune misure pratiche da adottare: il governo doveva ingaggiare un pubblicista americano al quale fornire notizie, soprattutto di natura economica e sociale, da diramare alla stampa; le notizie dovevano essere trasmesse anche ai consolati e alle sedi della Italy-America Society per un’opportuna pubblicazione; le notizie negative sull’Italia diffuse dagli antifascisti dovevano essere prontamente smentite                                                                                                                

dall’ambasciata o dal governo. Quest’ultimo, inoltre, poteva contribuire a disperdere l’impressione negativa sul carattere dittatoriale del fascismo attraverso l’invio di materiale fotografico raffigurante il consenso del popolo italiano verso Mussolini13.

L’atteggiamento di Lamont e degli altri soci americani della Italy-America Society non deve essere frainteso. La loro azione a favore della reputazione del governo di Mussolini negli Stati Uniti non era dettata da un sostegno ideologico al regime o dal proposito di diffondere il fascismo in America. Essi si curavano poco della natura politica del governo italiano. Apprezzavano molto, invece, la stabilizzazione economica e sociale assicurata da Mussolini. Per Lamont, la salute economica e la pacificazione sociale dell’Italia costituivano la base fondamentale su cui fondare profittevoli rapporti d’affari. La creazione di un ufficio stampa per diffondere notizie favorevoli sulle condizioni e sulle politiche adottate dal regime era solo un utile mezzo per garantire gli investimenti della banca Morgan in Italia e per favorire lo sviluppo di future relazioni commerciali.

A questo fine, Lamont incaricava Martin Egan, direttore della sezione stampa della banca Morgan, di individuare un giornalista americano cui affidare la gestione dell’ufficio. Egan suggeriva il nome di Edgar Sisson, un esperto giornalista che in passato aveva lavorato presso la «Chicago Tribune» e, durante la prima guerra mondiale, aveva ricoperto l’incarico di direttore generale della sezione estera del Committee on Public Information, un organismo creato dal governo americano per promuovere le ragioni della partecipazione degli Stati Uniti al conflitto. Inoltre, Sisson era un ammiratore dell’Italia, dove si era recato diverse volte per ragioni di lavoro14.

Sisson non perdeva tempo e subito stilava un rapporto in merito alla propaganda italiana in America15. A New York vi era una serie di associazioni, di natura essenzialmente economica (tra cui le filiali della Banca Commerciale Italiana e dell’Istituto Italiano Cambi), poco efficienti nel campo della propaganda e non collegate tra loro. L’unico vero organismo operativo a livello informativo era la Italy-America Society. Questa, oltre a svolgere le sue normali attività di carattere culturale, doveva diventare il principale punto di riferimento cui dovevano rivolgersi giornali e riviste per ottenere notizie sull’Italia.

La scarsa incisività della propaganda italiana non dipendeva solo dalla scarsa efficienza delle strutture, ma anche dalla inadeguatezza del materiale informativo disponibile. Il governo di Roma era particolarmente interessato alla diffusione di informazioni economiche e finanziarie positive. Esse però, lamentava Sisson, non erano trasmesse in America sottoforma di notizie precise e, di conseguenza, non potevano essere utilizzate in modo proficuo. Per correggere questo vizio di forma, Sisson riteneva necessaria una sua visita a Roma dove, inoltre, avrebbe potuto incontrare e stabilire dei contatti con i responsabili dei vari uffici governativi. Infatti, un efficace servizio informazioni richiedeva una puntuale collaborazione tra l’ufficio di New York e i singoli ministeri interessati. Inoltre, l’azione di propaganda non doveva limitarsi solo alle notizie scritte. Al contrario, occorreva sfruttare una delle principali risorse dell’Italia: la sua bellezza paesaggistica. Il materiale fotografico poteva essere utilizzato per stimolare i flussi turistici americani verso la penisola, dove i visitatori avrebbero potuto constatare con i loro occhi le realizzazioni del regime. In questo modo al guadagno economico si aggiungeva quello politico.

                                                                                                               

13 Cfr. Ibidem.

14 Cfr. ML, MEP 1898-1935, Box 38, folder Italy 1920, 1921, 1924-1933, Egan a Lamont, 5 gennaio 1927. 15 Cfr. ML, MEP 1989-1935, Box 38, folder Italy 1920, 1921, 1924-1933, Sisson a Lamont, 31 gennaio 1927.

Dall’opera di propaganda non poteva essere esclusa la diplomazia, data la pervasive nature del governo italiano (usando queste parole, Sisson si dimostrava ben consapevole dello specifico carattere totalitario del regime fascista). I consoli dovevano essere istruiti a esprimere in modo giornalisticamente efficace le notizie politiche e generali richiedenti un commento o una risposta. Essi, in più, dovevano essere sempre disponibili a fornire le informazioni e i riferimenti richiesti dalla stampa16.

Se la collaborazione della diplomazia era ritenuta utile e necessaria, la partecipazione dei fasci era giudicata controproducente. Per Sisson, i fasci, essendo l’appendice di un partito straniero tra i cittadini americani, costituivano un’anomalia poco comprensibile e rappresentavano un segmento controverso della comunità italiana. La loro influenza era minima: Sisson calcolava che, sui 4 milioni di italo-americani presenti in America, i fascisti ammontavano a 7 mila e gli antifascisti a 50 mila. Si trattava di due minoranze trascurabili, delle quali la seconda sarebbe scomparsa non appena la prima fosse stata rimossa. Inoltre, gli scopi dei fasci non coincidevano con gli obiettivi del nuovo ufficio. Quest’ultimo non mirava a presentare l’Italia agli italiani o a immischiarsi nelle loro controversie politiche. La sua funzione era di aiutare l’Italia nella sua opera di stabilizzazione interna e internazionale e di far comprendere all’opinione pubblica americana che il conseguimento di questo risultato era vantaggioso per entrambi i paesi17.

Il progetto di Sisson era condiviso e sostenuto da De Martino, secondo il quale la creazione di un servizio stampa serviva soprattutto per affrontare i “periodi di crisi”: l’atteggiamento della stampa americana verso il fascismo era normalmente benevolo, grazie anche al prestigio goduto da Mussolini presso l’opinione pubblica; tuttavia, l’ambasciatore sosteneva che, nell’eventualità di una campagna ostile, l’Italia non aveva adeguati strumenti per reagire. L’ambasciata, infatti, non poteva intervenire direttamente sia per ragioni di opportunità politica sia perché il centro nevralgico della stampa americana non era Washington, ma New York. Era qui che occorreva la presenza di una persona che si impegnasse in un’opera di quotidiani contatti con i principali giornali americani18.

I rischi connessi a tale lacuna si erano manifestati in occasione della ratifica al Senato dell’accordo sul debito di guerra, quando De Martino si era esposto personalmente per controbattere le accuse lanciate da alcuni settori della politica e della stampa. Il suo intervento aveva sollevato la consueta polemica contro le ingerenze dei rappresentanti stranieri negli affari interni degli Stati Uniti, tanto da ricevere un ammonimento da parte del Dipartimento di Stato. Questa esperienza dimostrava la necessità di integrare l’azione dell’ambasciata con strumenti tali da non suscitare il sospetto e la diffidenza della stampa americana19.

A tal fine, era necessario che a dirigere il nuovo ufficio fosse un americano e non italiano; in ogni caso, un estraneo all’ambasciata, il cui lavoro non doveva apparire connesso all’attività diplomatica. Doveva trattarsi, inoltre, di un giornalista esperto e provvisto dei