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Gli strumenti della propaganda

4.1 La stampa etnica

La stampa italo-americana fu il principale canale di propaganda a disposizione del fascismo negli Stati Uniti. Le prime testate in lingua italiana risalivano alla metà dell’Ottocento, ma si trattava di iniziative sporadiche e precarie a causa dello scarso numero di connazionali presenti sul suolo americano. Bisognava aspettare la fine del secolo, in concomitanza con l’arrivo dei primi consistenti flussi migratori provenienti dalla penisola, per assistere alla diffusione di numerosi giornali italo-americani, sorti in ogni centro ospitante una cospicua comunità di emigrati1. I principali erano: «Il Progresso Italo-Americano» e «Il Corriere d’America» di New York; «L’Opinione» e «La Libera Parola» di Filadelfia; «La Gazzetta del Massachusetts» e «La Notizia» di Boston; «L’Italia» di Chicago; «La Stella di Pittsburgh»; «La Tribuna d’America» di Detroit e «L’Italia» di San Francisco.

La rilevanza della stampa etnica nell’ambito delle comunità italiane era enorme, dato che costituiva la principale fonte di informazioni per gli emigrati, molti dei quali non conoscevano l’inglese. Inoltre, a causa delle lacune del servizio consolare e dell’inadeguatezza delle istituzioni assistenziali, essa per molti anni costituì l’unico punto di riferimento per i nuovi arrivati che desideravano avere consigli su come affrontare la nuova realtà. Oltre a svolgere un vero e proprio ruolo mediatore tra gli immigrati e la società americana, queste testate rappresentavano, dato il disinteresse della stampa locale verso le vicende italiane, l’unico canale per avere notizie su quanto accadeva nella penisola. Grazie a queste loro molteplici funzioni, i giornali assicuravano una notevole influenza ai loro direttori e proprietari che li usavano come strumenti per acquisire prestigio e potere all’interno delle Little Italies2.

All’inizio degli anni Venti esistevano oltre un centinaio di giornali e riviste italiani. Per quanto riguarda il loro indirizzo politico, non mancavano quelli di tendenza anarchica e socialista – che però erano colpiti dal duro giro di vite impresso dalle autorità statunitensi nel primo dopoguerra3. La maggior parte, in ogni caso, era schierata su posizioni conservatrici, essendo espressione della media borghesia italo-americana e, in particolare, dei cosiddetti

prominenti. Nei confronti dell’Italia, il loro orientamento era prevalentemente filo-

governativo e alimentava il già robusto patriottismo nostalgico delle comunità italiane in America. La stampa, infatti, spingeva gli emigrati a sostenere il paese di origine e ad appianare le divergenze politiche interne, in modo da potenziare la coesione della “colonia” nei confronti degli altri gruppi etnici4. Dopo la fine della Grande guerra, i giornali italo- americani commentavano con preoccupazione i conflitti che stavano turbando la vita politica

                                                                                                               

1 Cfr. P.RUSSO, La stampa periodica italo-americana, in AA.VV., Gli italiani negli Stati Uniti. L’emigrazione e

l’opera degli italiani negli Stati Uniti d’America, Istituto di Studi Americani, Firenze, 1972, pp. 494-498.

2 Cfr. Ivi, 496-498.

3 Tra i più noti giornali antifascisti vi erano: «Il Martello» dell’anarchico Carlo Tresca; «La Parola del Popolo»;

«Il Proletario» e «L’Adunata dei Refrattari». Cfr. Ivi, pp. 509-512.

e sociale della penisola e auspicavano l’avvento di un governo forte, capace di ristabilire l’ordine all’interno e il prestigio nazionale all’esterno5.

Non sorprende, allora, che quasi tutte le testate salutassero con favore la presa del potere da parte di Mussolini. Secondo una relazione della segreteria generale dei fasci all’estero, l’80 per cento dei giornali era su posizioni filo-fasciste6. Lo stesso giudizio era espresso dall’ambasciata, secondo cui la stampa in lingua italiana era “sinceramente e lealmente a favore del regime fascista”7. La veridicità del dato era confermata anche dagli americani. Ancora nel giugno 1940, un’inchiesta condotta dalla rivista «Fortune» rilevava che 80 giornali italo-americani su 129 erano “more or less Fascist”8. Il fascismo, pertanto, poteva contare su una base solidissima per radicare il consenso tra gli italo-americani. I giornali filo- fascisti erano i più affidabili dal punto di vista finanziario – essendo nelle mani dei prominenti – e i più diffusi. Al contrario, i fogli antifascisti disponevano di scarse risorse economiche ed erano limitati ai ristretti circoli radicali e ad alcuni ambienti sindacali. Nella sola New York, la proporzione dei lettori era di circa dieci a uno a favore dei primi9. Del resto, lo stesso

mondo del giornalismo americano era in quel periodo prodigo di attestazioni di fiducia verso il nuovo governo, nel quale vedeva soprattutto uno strumento efficace per assicurare l’ordine e la disciplina sociale e procedere alla ricostruzione economica del paese10.

Se non ci sono dubbi sull’estensione dell’adesione della stampa etnica al regime, più ambigua è la natura di tale appoggio. A questo proposito, in un rapporto dell’ambasciata si prendeva atto che

[i giornali italo-americani] mantengono un atteggiamento che si può definire se non propriamente fascista, per lo meno “filofascista”. Se ed in quale misura tale atteggiamento corrisponda ai sentimenti intimi ed ai desideri dei rispettivi direttori e redattori, è impossibile a me dirlo. Essi seguono evidentemente, di buona o di cattiva voglia, la corrente di opinione prevalente nella grande massa dei nostri connazionali di qui, che attribuiscono a Vostra Eccellenza il merito dell’aumentato prestigio italiano all’estero, e quindi si mostrano sinceri

sostenitori del Governo Nazionale11.

Con il suo consueto acume, Rosso aveva percepito che il sostegno di molti giornali era motivato solo in parte da ragioni ideali. Dietro di esse si celavano ben più concreti interessi economici e politici. Infatti, molti editori speravano di sfruttare a proprio vantaggio le politiche di propaganda messe in atto dal fascismo.

In effetti, riconoscendo l’importanza della stampa etnica nel forgiare il carattere delle comunità italo-americane, il regime si adoperò subito per esercitare un controllo su di essa. Non era la prima volta che il governo di Roma manifestava il proprio interesse per i giornali d’oltreoceano. Già in epoca liberale, l’ambasciata, in un rapporto del 1921 indirizzato al capo dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri, pur esprimendo serie riserve sulla qualità delle pubblicazioni e del corpo redazionale, valutava positivamente l’opera del cosiddetto                                                                                                                

5 Cfr. G.DORE, La democrazia italiana e l’emigrazione in America, Marcelliana, Brescia, 1964, pp. 311-378. 6 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 7, fasc. 71, sf. 4, Relazione, senza data [1923].

7 ASMAE, AW 1925-1940, Busta 63, fasc. 632, De Martino a Mussolini, 5 maggio 1926. 8 Ora in S.LUCONI, La “diplomazia parallela”, cit., p. 67.

9 Cfr. J.P.DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, cit., p. 102.

10 Cfr. ASMAE, AW 1919-1924, Busta 188, fasc. 916, Rosso a Mussolini, 18 luglio 1923. 11 Ibidem.

“giornalismo coloniale” che costituiva “l’unico legame tra gli immigrati e la madre patria”. Data l’influenza di tali giornali, l’estensore del rapporto suggeriva di fornirli di corrispondenti da Roma, che potevano essere “aiutati e sorvegliati dal potere centrale”12.

Questo embrionale interesse maturava appieno con l’instaurazione della dittatura fascista. Non potendo utilizzare lo strumento della censura come in patria, il regime si servì soprattutto della leva economica per condizionare l’atteggiamento della stampa. In verità, Mussolini non doveva faticare troppo per raggiungere questo risultato. Gli editori erano ansiosi di ingraziarsi il duce per ottenere dal governo italiano qualche onorificenza che avrebbe innalzato il loro

status agli occhi degli altri immigrati13, o per ricevere diretti benefici economici. Chi adottava una linea filo-fascista era premiato con sconti sui prezzi per ricevere le notizie dall’Agenzia Stefani – l’agenzia di stampa italiana divenuta il portavoce ufficiale del regime – oppure con delle franchigie sul servizio telegrafico dall’Italia. In alcuni casi, il regime finanziava direttamente alcune testate, talvolta determinandone la sorte attraverso la pubblicità. Sfogliando i giornali etnici, infatti, colpisce il gran numero di pagine, talvolta anche la metà dell’intera pubblicazione, dedicate alle inserzioni commerciali (imprese, banche, negozi e ristoranti italo-americani), tale da rappresentare la loro principale fonte di reddito14. L’importanza di questa voce di entrata era sfruttata dal governo di Roma che induceva gli imprenditori italo-americani – soprattutto quelli che si occupavano del commercio di generi alimentari tra le due sponde dell’Atlantico – ad acquistare inserzioni sui giornali schierati a favore del fascismo15.

La stessa tattica era utilizzata al rovescio, per boicottare i fogli antifascisti. In questo caso, il regime minacciava di privare le pubblicazioni dell’indispensabile apporto pubblicitario, negando le licenze di esportazione a chi promuoveva la propria attività sui periodici a esso ostili. Un vero e proprio blocco era promosso dal console di New York, Emanuele Grazzi, contro il «Nuovo Mondo», il quotidiano di orientamento sindacale fondato nel 1925 da Frank Bellanca. Il diplomatico riferiva che, grazie all’opera del consolato, il giornale versava in gravi condizioni economiche – aggravate anche dai dissensi interni allo schieramento antifascista – tanto che nell’arco di un anno il numero dei lettori si era dimezzato16. Privato

dei mezzi di sussistenza, il «Nuovo Mondo» era costretto a cessare le pubblicazioni nel 193017.

Nel panorama della stampa etnica, non mancavano pubblicazioni dichiaratamente fasciste. Tra queste vi era «Il Carroccio», un mensile fondato a New York nel 1915 da Agostino De Biasi. Nato nel 1875 a Sant’Angelo dei Lombardi (un comune in provincia di Avellino), si era dedicato fin da giovane al giornalismo. Nel 1900 si trasferiva negli Stati Uniti, proseguendo la carriera di cronista presso alcuni quotidiani italo-americani, tra cui «Il Progresso Italo- Americano»18. Già di orientamento monarchico, De Biasi sviluppava in America un forte spirito nazionalista per reazione ai duri pregiudizi contro gli immigrati italiani. Durante la                                                                                                                

12 ACS, MCP, Reports, Busta 20, fasc. 30, sf. 1, Ambasciata di Washington a Giannini, 28 aprile 1921.

13 Il console di Chicago, Leopoldo Zunini, affermava che “il movente di quasi tutta l’azione patriottica delle

colonie all’estero è la speranza delle decorazioni, se questa speranza viene tolta, l’azione cessa e si arresta”. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 50, fasc. 445, Zunini a De Martino, 12 novembre 1926.

14 Cfr. P.RUSSO, La stampa periodica italo-americana, cit., p. 543. 15 Cfr. S.LUCONI, La “diplomazia parallela”, cit., pp. 67-68.

16 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 8, fasc. 80, Grazzi a Mussolini, 18 febbraio 1928. 17 Cfr. J.P.DIGGINS, L’America, Mussolini e il fascismo, cit., pp. 142-144.

prima guerra mondiale, promuoveva la causa dell’intervento e, guardandosi bene dal farlo in prima persona, incitava i suoi connazionali a riattraversare l’Atlantico e ad arruolarsi nel regio esercito. Cessate le ostilità, si schierò contro Wilson, giudicato responsabile della “vittoria mutilata”, e appoggiò il colpo di mano di D’Annunzio a Fiume19.

Il suo incontro con il fascismo precedeva la marcia su Roma, dato che nel 1921 era stato tra i promotori del primo fascio di New York, per la qual cosa aveva ricevuto una lettera di congratulazioni e una foto da parte di Mussolini20. Dopo la presa del potere nel 1922, De Biasi si dedicava subito a un’assidua opera di propaganda per spiegare agli americani il significato del nuovo corso politico italiano. In un articolo – scritto sia in inglese, sia in italiano – il fascismo era descritto non come un partito o una fazione, ma come “l’anima della nazione” che si era ribellata alla prospettiva di una rivoluzione comunista in Italia. Esso non aveva usurpato il potere, ma lo aveva ottenuto secondo i dettami costituzionali, estromettendo dal governo tutte le forze estranee alla vera coscienza del paese. Falsa, a suo dire, era anche l’immagine di un’Italia fascista aggressiva ed espansionista. Al contrario, essa rappresentava un fattore di ordine e stabilità, su cui Gli Stati Uniti potevano contare come su una “nazione sorella”, pronta a collaborare in nome di comuni ideali e reciproco rispetto21. L’impegno profuso da De Biasi nel difendere la rivoluzione fascista in America gli faceva guadagnare una seconda lettera di Mussolini che lo ringraziava per la sua opera, assicurandogli che gli articoli de «Il Carroccio» erano seguiti con attenzione dal ministero degli Esteri22.

Tuttavia, «Il Carroccio» era tutt’altro che un docile strumento nelle mani del governo di Roma. De Biasi – nella duplice veste di giornalista e di dirigente dei fasci negli Stati Uniti – era uno dei principali esponenti della corrente intransigente, facendo del giornale l’organo più veemente della propaganda delle camicie nere in America. Nei suoi articoli, rivendicava ed esaltava l’azione dei fasci nel combattere i bolscevichi come nel preservare l’italianità degli immigrati (incitati a conservare la cittadinanza italiana)23. A chi gli obiettava sull’opportunità della presenza dei fasci negli Stati Uniti, De Biasi replicava che il fascismo era una “rivoluzione” che doveva modificare radicalmente non solo le istituzioni italiane, ma anche la mentalità e l’organizzazione delle comunità emigrate, che quest’ultime dovevano partecipare attivamente al rinnovamento politico della loro madrepatria24. Nella pratica, le sue tesi si traducevano in un appoggio alla politica di Bastianini che inquadrava i fasci come vere e proprie sezioni del partito fascista all’estero25.

Nel frattempo, però, iniziavano ad arrivare sulla scrivania di Mussolini gli allarmati rapporti di Caetani. Gli strali dell’ambasciatore colpivano in particolare De Biasi, definito “una losca figura, sospettata e disprezzata dalla maggioranza della colonia”26. Nonostante il

                                                                                                               

19 Cfr. Ivi, pp. 1063-1066.

20 Cfr. Center for Migration Studies (CMS), De Biasi Family Papers (DBFP), Series II, Box 5, folder 3,

Mussolini a De Biasi, 25 maggio 1921.

21 Cfr. A.DE BIASI, L’Italia nuova dei fascisti, in «Il Carroccio», novembre 1922. 22 Cfr. CMS, DBFP, Series II, Box 5, folder 3, Mussolini a De Biasi, 29 dicembre 1922.

23 Cfr. A.DE BIASI, La ragione dei fasci in America, in «Il Carroccio», marzo 1923; ID., La vita dei fasci in

America, in «Il Carroccio», aprile 1923.

24 Cfr. ID., Un fascio solo, in «Il Carroccio», febbraio 1923.

25 Cfr. CMS, DBFP, Series II, Box 6, folder 5, De Biasi a Bastianini, 30 luglio 1923 e Bastianini a De Biasi, 31

luglio 1923.

26 ACS, MCP, Reports, Busta 7, fasc. 71, sf. 4, Caetani a Mussolini, 28 gennaio 1923. In un rapporto del console

pesante giudizio, Caetani scriveva una lettera al direttore de «Il Carroccio» esprimendogli il proprio apprezzamento per l’opera svolta a sostegno della causa italiana attraverso le sue pubblicazioni – “quantunque a volte un poco troppo squadriste” – e l’augurio di una maggiore collaborazione con l’ambasciata, alludendo alle severe critiche che De Biasi aveva mosso contro Rolandi Ricci27.

I rapporti tra i due, però, erano destinati a peggiorare. De Biasi non condivideva la prudenza di Caetani in merito ai fasci e lo accusava di ostacolarne lo sviluppo. Le sue dichiarazioni estremiste gli provocavano non poche noie con i rappresentanti diplomatici, oltre che con i dirigenti più moderati del fascismo americano. Nel gennaio 1924, decideva di dimettersi dalla carica di segretario del consiglio centrale fascista di New York – un organo creato su istruzioni di Bastianini nel settembre 1923, per meglio controllare i fasci negli Stati Uniti28. Ritenendosi sciolto dal vincolo di disciplina imposto dal partito, De Biasi scatenava una furiosa campagna stampa contro Caetani, accusato di non essere un vero fascista, ma un nazionalista convertitosi per convenienza, il cui unico obiettivo – anzi – era sabotare i fasci in America. Per colpa dell’opera nefasta dell’ambasciatore, sosteneva De Biasi, l’antifascismo aveva ripreso vigore e rischiava di contaminare le comunità immigrate e di screditare l’immagine del regime agli occhi degli americani. Infine, De Biasi addossava alla pessima condotta diplomatica di Caetani la responsabilità del passaggio del Johnson Bill, il provvedimento che inaspriva le restrizioni contro l’immigrazione italiana29.

La risposta dell’ambasciatore era affidata a un telegramma diretto a Luigi Federzoni, ministro dell’Interno e in passato esponente di punta del movimento nazionalista. Nei fatti, si chiedeva l’apertura di un’indagine sui precedenti di De Biasi in Italia, denunciandone l’attività contro le autorità diplomatiche e affermando che egli avesse “cercato di ricattare i miei predecessori, e di simili espedienti si dice faccia largo uso anche al momento attuale. Questo individuo sta causando ora molteplici noie, insidiando i Regi rappresentanti negli Stati Uniti, incluso me stesso”30.

La sfida, però, terminava un mese dopo con la sostituzione di Caetani, avvicendato da De Martino alla guida dell’ambasciata, ovviamente con piena soddisfazione di De Biasi31. Il

cambio della guardia presso la sede diplomatica di Washington non placava però il tono polemico del direttore de «Il Carroccio», che continuava a lamentare il pessimo stato in cui versavano i fasci a causa della politica rinunciataria dei diplomatici:

Abbandonata com’è la causa fascista, oggi, negli Stati Uniti tutto corre a deriva. I fascisti stessi – quelli di mente, di polso e di fegato – si sentono disorientati. I fuorusciti son più baldanzosi che mai e si fanno notare e temere per il rumore che fanno e per disturbo che procurano. Gli americani attingono da essi e assorbono la perniciosa influenza. Questa è la situazione. Questa è ora grave. E vorremmo che a Roma il Duce, in persona aprisse gli occhi e respingesse le dicerie

stolte che danno gli Stati Uniti conquistati al Fascismo32.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

la sorella e una tentata truffa ai danni delle Ferrovie dello Stato italiane. In nessuno dei due casi, però, fu provata la sua colpevolezza. Cfr. ASMAE, AW 1925-1940, Busta 58, fasc. 587, Axerio a De Martino, 5 marzo 1926.

27 Cfr. CMS, DBFP, Series II, Box 5, folder 3, Caetani a De Biasi, 2 ottobre 1923. 28 Cfr. P.V.CANNISTRARO, Per una storia dei Fasci negli Stati Uniti, cit., pp. 1095-1096. 29 Cfr. A.DE BIASI, L’ambasciatore Caetani, in «Il Carroccio», luglio 1924.

30 ACS, Casellario Politico Centrale (CPC), Busta 1642, fasc. 36841, Caetani a Federzoni, 13 settembre 1924. 31 Cfr. A.DE BIASI, Il Kara-Kiri di Caetani, in «Il Carroccio», ottobre 1924.

De Biasi, galvanizzato da quella che riteneva una sua vittoria personale contro Caetani, si appellava, quindi, direttamente a Mussolini per far cassare la strategia moderata dell’ambasciata. In alternativa, egli seguitava a sostenere la tesi che il compito dei fasci era di favorire un’intesa tra i governi di Roma e di Washington, dando “la coscienza e la sensazione all’America dell’Italia rinnovata, solida e forte – e del bene che le può venire dall’incremento morale, intellettuale, economico e politico delle masse emigrate organizzate con spirito fascista”33. A questo proposito, però, condannava gli inviti rivolti dai diplomatici e dai prominenti agli immigrati affinché si naturalizzassero. Al contrario, dovevano rimanere giuridicamente italiani:

L’America non potrà che giovarsi di un’Italia fascista in America. Ma non di un’Italia “coloniale”, sopravvivenza all’estero di agglomerati attendati nell’altrui campi di lavoro, ma di una “parte d’Italia” che non ha perduto, per le sue caratteristiche naturali e per i suoi interessi

nazionali, la figura morale e giuridica d’ITALIA34.

In questo modo, De Biasi sembrava ignorare la risoluta ostilità americana verso la preservazione di qualsiasi legame giuridico e politico tra i vari gruppi etnici e i rispettivi paesi di origine. La sottovalutava, soprattutto, quando sosteneva che i fasci – pur non dovendosi intromettere nella vita politica americana – non potevano “vivere di vita ambigua”:

Non può essere Fascio e negare la sua aderenza a Roma – ché non sarebbe più Fascismo. […]. L’ambiguità risalterebbe subito agli occhi di tutti. Il Fascio ha vita pubblica. Le sue manifestazioni sono palesi. I rapporti di chi lo dirige con le autorità e la gerarchia di Roma non

possono essere negati35.

Per il direttore de «Il Carroccio», l’unico ostacolo a questo programma era il persistente pregiudizio degli americani contro il fascismo. Questo, però, poteva essere superato grazie a un’efficace opera di propaganda, incentrata sul valore anticomunista del fascismo e rivolta ai lavoratori italo-americani, che dovevano essere educati ai principi di “ordine, gerarchia, disciplina”36. Le dichiarazioni di De Biasi erano in totale contrapposizione con la posizione dell’ambasciata. Quest’ultima, del resto, sembrava restia a scontrarsi apertamente con «Il Carroccio» sia per il suo orientamento indiscutibilmente fascista, sia per il carattere assai polemico del suo direttore37.

                                                                                                               

33 ID., Il Fascismo negli Stati Uniti, in «Il Carroccio», giugno 1926. 34 Ibidem.

35 Ibidem. 36 Ibidem.

37 Così, infatti, lo descriveva il console di New York: “Il Di Biasi [sic] è senza dubbio un abile giornalista. Ha

tutte le qualità e i difetti del pubblicista coloniale del vecchio tipo ed ha portato qui quello stile e quei sistemi polemici che lo avevano caratterizzato prima del suo espatrio […]. Per vero dire nella sua rivista ha sempre manifestati sentimenti di devozione per la Real Casa, risposto con energia alle accuse mosse all’Italia ed infine