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Nel corso degli anni Trenta, fattori politici ed economici, sia di carattere interno che internazionale, contribuivano a modificare radicalmente lo scenario d’azione del fascismo. In primo luogo, la celebrazione del decennale della marcia su Roma favoriva lo sviluppo di riflessioni sulla portata universale dell’esperimento fascista e della possibilità di esportarlo all’estero. Queste discussioni si inserivano, inoltre, in un contesto internazionale sconvolto dalla grave depressione economica scaturita dal crollo di Wall Street del 1929216. Di fronte a una crisi che aveva scosso non solo l’assetto produttivo, ma anche le certezze psicologiche del sistema capitalista, il fascismo si proponeva come un’alternativa efficace, una terza via, tra il tradizionale assetto liberale e il comunismo di stampo sovietico. Questa prospettiva sembrava essere confermata anche dal sorgere di movimenti e regimi affini in altri paesi europei, primo fra tutti il nazismo in Germania. Questi due fattori – il maggior interesse dell’opinione pubblica verso l’esperimento fascista e l’ascesa al potere di Hitler – spingevano i vertici del regime a riconsiderare gli stessi termini e l’organizzazione della propaganda fascista all’estero.

La Germania nazista, quindi, agiva sia da stimolo sia da modello. La preoccupazione di contrastare l’opera del governo tedesco per diffondere il nazionalsocialismo, presentandolo come una dottrina autonoma dal fascismo, imponeva una risposta per chiarire e, in alcuni casi differenziare, la fisionomia e le relazioni tra i due regimi. Questo sforzo richiedeva un accentramento di direttive e un’organizzazione sistematica che erano mancati fino a quel momento alla propaganda fascista all’estero, anche per alcuni limiti culturali della riflessione                                                                                                                

215 Cfr. ACS, MCP, DGSP, Busta 218, fasc. I.68 Stati Uniti 1934 I parte, sf. I.68/57, Rosso a ministero degli

Esteri, 5 dicembre 1934.

216 Sulla crisi del 1929 cfr. L.V.CHANDLER, America’s Greatest Depression, New York, 1970; J.K.GALBRAITH,

intellettuale italiana circa le più avanzate discipline scientifiche legate alla sociologia e alla psicoanalisi (duramente contrastate dalla scuola idealista e dalla chiesa cattolica217).

Ad assumersi l’incarico di guidare questo processo di modernizzazione era Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, posto dal 1 agosto 1933 a capo dell’ufficio stampa del capo del Governo. Sotto la sua direzione, l’ufficio acquisiva nuovi compiti e una crescente autonomia che lo portavano, nel settembre 1934, a trasformarsi in sottosegretariato e, nel giugno 1935, in ministero per la Stampa e Propaganda (sulla falsariga del dicastero tedesco dato in appannaggio a Joseph Goebbels), rinominato ministero della Cultura Popolare nel maggio 1937218. All’interno del sottosegretariato operava la Direzione generale per la propaganda, cui era affidato il compito di dirigere le iniziative di propaganda all’estero (sebbene né il ministero degli Esteri né il partito fascista rinunciarono mai a rivendicare un loro ruolo in questa delicata attività). Benedetta Garzarelli scrive che “la spinta ultima e decisiva ad avviare concretamente e nei modi prescelti la realizzazione di un ufficio per la propaganda all’estero fu costituita dalle crescenti energie profuse in questo campo dal regime nazionalsocialista”; anche se “da parte fascista si volle enfatizzare la derivazione del proprio organismo dall’evoluzione specifica del fascismo italiano, nonché la sua completa autonomia dalle elaborazioni teoriche e dalle realizzazioni del nazionalsocialismo in questo campo, delineando a questo scopo una peculiare concezione fascista della propaganda all’estero”219.

Gli aspetti principali dell’interpretazione fascista della propaganda erano essenzialmente due: primo, doveva costituire un elemento caratterizzante di uno stato totalitario; secondo, si pretendeva come informazione obiettiva, vale a dire un’attività diretta non a diffondere direttamente il credo mussoliniano nei paesi stranieri, ma a rispondere alla domanda di conoscenza del fenomeno fascista proveniente dall’estero220. Questa seconda caratteristica rispecchiava da un lato l’orgoglio di un regime che riteneva di aver trasformato radicalmente il volto del paese e, quindi, di rappresentare un nuovo modello vincente rispetto a quello tradizionale colpito dalla crisi. Dall’altro, essa rispondeva all’esigenza di non suscitare i sospetti dei paesi stranieri, sempre diffidenti nei confronti delle attività fasciste all’estero.

Questa preoccupazione era sentita in modo particolare negli Stati Uniti. Lo scioglimento della FLNA aveva dimostrato il carattere velleitario di qualsiasi iniziativa politica diretta. Durante gli anni Venti, i diplomatici avevano ripetutamente segnalato alle autorità centrali che la maggioranza degli americani era favorevole al fascismo, inteso come sistema di governo adatto all’Italia, ma che la stessa non tollerava le attività fasciste in America. La stima degli americani era indirizzata in particolare verso Mussolini, come dimostrava il sorprendente risultato di un sondaggio condotto nel 1927 tra gli studenti della prestigiosa Yale

University su quale fosse la figura di maggior rilievo nel mondo contemporaneo. Al primo

posto vi era proprio il dittatore italiano che superava di gran lunga in preferenze (210 voti contro 21) il secondo classificato, Calvin Coolidge, presidente degli Stati Uniti221. A questo proposito, il giornalista Luigi Barzini, storico corrispondente del «Corriere della Sera» ed editore del «Corriere d’America» (un giornale per gli immigrati italiani) affermava che il                                                                                                                

217 Cfr. M.ARGENTIERI, Il cinema in guerra, Editori Riuniti, Roma, 1998, pp. 181 e ss.; E.GENTILE, Il culto del

littorio, Laterza, Bari-Roma, 1995.

218 Cfr. B. GARZARELLI, “Parleremo al mondo intero”. La propaganda del fascismo all’estero, Edizioni

dell’Orso, Alessandria, 2004, pp. 19-34.

219 Ivi, pp. 35-36 220 Cfr. Ivi, pp. 37-46.

consenso degli americani verso il fascismo si basava sui fatti e che, pertanto, non occorreva alcuna azione di propaganda:

V’è in Italia […] un’idea sbagliata: quella che occorra fare una propaganda diretta fra gli italiani e gli italo-americani del Nord America. La sola propaganda utile sta nella situazione dell’Italia. Si fa a Roma con un governo che dà la sensazione ad essi di governare veramente, di avere alto prestigio, di migliorare continuamente e progressivamente la situazione economica e finanziaria. Questa è l’unica propaganda che rinforza il sentimento di italianità e dà agli italiani d’America il senso e l’orgoglio della propria origine nazionale. Ogni tentativo retorico è deleterio e può raggiungere risultati del tutto opposti a quelli che si propone pur nobilmente. La logica dei fatti,

pure e semplice, e la forma migliore di propaganda che si possa fare222.

Una propaganda diretta, come si è più volte sottolineato, era inopportuna soprattutto per la ferma ostilità che essa suscitava nel pubblico americano. L’origine di tale avversione risaliva alla prima guerra mondiale, quando il termine propaganda divenne comune negli Stati Uniti con un’accezione negativa, soprattutto se riferito all’azione dei governi nemici223. Con questo vocabolo, infatti, erano intese le notizie false e insidiose diffuse dalle potenze straniere per influenzare le coscienze e mobilitare il pubblico a sostegno della loro causa. Da quel momento, la parola propaganda diventava sinonimo di menzogna ed era utilizzato per definire qualsiasi attività diretta a sovvertire le istituzioni del paese e i principi cui esse si ispiravano. L’ostilità verso le attività di propaganda straniere, in particolare quelle di stampo fascista, cresceva negli anni Trenta in seguito alla conquista del potere da parte di Hitler in Germania. I nazisti, come i fascisti, tentavano di estendere il culto della svastica anche tra i numerosi americani di origine tedesca per mezzo di agenti provenienti dal Reich224. Queste iniziative erano subito condannate dalla stampa americana che faceva immediatamente un parallelo tra il movimento fascista e quello nazista negli Stati Uniti: “Americans still retain unpleasant

memories of Mussolini’s attempt several years ago to mobilize Italian-born residents in the United States in fascist organizations subject to direction from Rome”225. In questa circostanza, la reazione americana non si limitava alle proteste della stampa. Sulla questione,                                                                                                                

222 L’Italia come la vedono gli americani (intervista con Luigi Barzini), in «I Fasci Italiani all’Estero», 11 aprile

1925.

223 Cosa diversa se la propaganda era studiata e prodotta in patria, come nel caso dello studio pubblicato da

Harold Dwight Lasswell, Propaganda Technique in the World War, basato proprio sull’esperienza del primo conflitto mondiale. Lasswell sarebbe poi stato nominato ai vertici della War Communications Research della

Library of the Congress of the United States, tra il 1939 e il 1945. Cfr. D.FREZZA BICOCCHI, Informazione o

propaganda: il dibattito americano tra le due guerre, in M.VAUDAGNA (a cura di), L’estetica della politica.

Europa e America negli anni Trenta, Bari, Laterza, 1989, pp. 103-128.

224 Cfr. ASMAE, AP 1931-1945, Stati Uniti, Busta 20, fasc. 6, Rosso a Mussolini, 16 novembre 1933. Il governo

tedesco perseguì l’obiettivo di mobilitare l’importante comunità tedesca negli Stati Uniti a favore della politica estera nazista. Questa azione era svolta attraverso una serie di organizzazioni create dal partito nazionalsocialista sia in Germania sia in America. La più nota fu il German-American Bund, fondato a Buffalo nel 1936 da Fritz Kuhn. Tra il 1937 e il 1938, questa associazione riuscì ad aggregare circa 8 mila membri. Tuttavia, in seguito alle indagini della autorità americane e all’arresto di Kuhn, avvenuto nel 1939, il Bund perdeva gran parte della sua forza, fino a sciogliersi spontaneamente nel dicembre 1941. Sulle attività naziste negli Stati Uniti cfr. L.V. BELL, In Hitler’s Shadow. The Anatomy of the American Nazism, Kennikat Press, Port Washington, 1973; S.A.

DIAMOND, The Nazi Movement in the United States, 1924-1941, Cornell University Press, Ithaca, 1974; S.

CANEDY, America’s Nazi: A Democratic Dilemma. A History of the German-American Bund, Markgraf Publications Group, Menlo Park, 1990.

infatti, interveniva la Camera dei Rappresentanti che, nel marzo 1934, su iniziativa del deputato Samuel Dickstein, presidente dell’House Immigration Committee, nominava un comitato (Special Committee on un-American Activities), presieduto da John W. McCormack, il cui compito era quello dell’“Investigation of Nazi Propaganda activities and investigation

of certain other propaganda activities”226.

Sebbene l’oggetto principale dell’inchiesta fosse la propaganda nazista, le indagini svolte dal comitato erano seguite con attenzione dall’ambasciata italiana. Dal 1 gennaio 1933, quest’ultima era diretta da Augusto Rosso, definito da Enrico Serra “uno dei nostri migliori diplomatici” durante il fascismo, “uno dei meno compromessi con il regime, senza essere stato un aperto oppositore di quest’ultimo”227. Lo scopo che Rosso intendeva perseguire durante la sua missione a Washington era di migliorare le relazioni tra l’Italia e gli Stati Uniti e di mitigare le diffidenze americane nei confronti del nostro Paese. Egli era convinto che questo obiettivo poteva essere raggiunto solo attraverso un’azione moderata e prudente dal punto di vista sia diplomatico sia propagandistico. A tal proposito, nell’ottobre 1934, l’ambasciatore informava la neocostituita Direzione generale228 che McCormack stava accusando pubblicamente l’ambasciatore tedesco a Washington, Hans Luther, di appoggiare la propaganda nazista in America. Rosso riferiva che le accuse, sebbene fondate su prove indiziarie, avevano sollevato le aspre polemiche della stampa contro le attività naziste e la presunta complicità delle autorità diplomatiche tedesche. Avvelenando ulteriormente il clima nei confronti delle attività propagandistiche degli stati totalitari, questi sviluppi non poteva non provocare delle ripercussioni negative anche sull’azione fascista negli Stati Uniti229.

Nel suo rapporto, Rosso spiegava che con lo scioglimento della FLNA era cessata quasi del tutto la campagna della stampa locale contro la presunta interferenza del governo di Roma. Risolto il problema dei fasci in America, negli anni successivi si era registrato un incremento della stima e dell’interesse nei confronti dell’Italia, determinato dalle realizzazioni del regime in un periodo di crisi globale, dalla politica estera di pace perseguita dal governo italiano e dal magnetismo della figura di Mussolini. Alcuni eventi, poi, avevano contribuito ad accrescere il prestigio della nazione. La crociera aerea del decennale guidata da Italo Balbo, il successo della partecipazione italiana all’esposizione mondiale di Chicago e la visita di Guglielmo Marconi erano state eccellenti forme di propaganda, tanto che la stampa americana definiva il 1933 l’“Anno Italiano”230.

Questa situazione soddisfacente mutava però nel 1934, per una serie di fattori internazionali che si ripercuotevano sull’orientamento dell’opinione pubblica americana verso l’Italia. Il primo fattore cui si riferiva Rosso era proprio l’avvento al potere di Hitler e la politica antisemita intrapresa dalla Germania. E l’avversione verso il nazismo si rifletteva anche sul fascismo, perché – sosteneva l’ambasciatore – la maggior parte degli americani non vedeva alcuna differenza tra i due movimenti. Il secondo fattore, invece, riguardava la politica interna americana. Negli ultimi anni della presidenza Hoover, caratterizzati dal sopraggiungere della grande depressione, il paese aveva vissuto una profonda crisi morale. Aveva assistito al continuo peggioramento della propria situazione economica e di quella di                                                                                                                

226 Cfr. ASMAE, AP 1931-1945, Stati Uniti, Busta 20, fasc. 6, Rosso a Mussolini, 21 marzo 1934. 227 E.SERRA, Professione: Ambasciatore d’Italia, Franco Angeli, Milano, 1999, vol. 1, p. 160.

228 Cfr. ACS, MCP, DGSP, Busta 218, fasc. I.68 Stati Uniti 1934 I parte, sf. I.68/57, Rosso a ministero degli

Esteri e sottosegretariato per la Stampa e la Propaganda, 19 ottobre 1934.

229 Cfr. Ibidem. 230 Cfr. Ibidem.

molti paesi europei, senza che né il proprio governo né quelli altrui fossero capaci di trovare un rimedio. Di fronte a questo sconvolgimento economico, e alle conseguenti proteste sociali, l’Italia fascista appariva come l’esempio di un paese compatto, guidato da un governo forte, al cui vertice vi era una figura eccezionale, capace di garantire ordine e disciplina e di rigenerare lo spirito nazionale. Pertanto, non pochi americani avevano finito per apprezzare il fascismo e per auspicare l’avvento di un uomo simile a Mussolini negli Stati Uniti. Questa situazione, però, si era rovesciava con l’elezione a presidente di Franklin D. Roosevelt che aveva provocato un radicale mutamento della psicologia americana. Il programma di riforme proposto dal nuovo capo di Stato (il New Deal) aveva ridestato la fiducia e l’ottimismo degli americani che, secondo Rosso, erano tornati a nutrire il loro tradizionale orgoglio di razza231.

Questo mutato atteggiamento li portava a guardare di nuovo con diffidenza ai modelli stranieri, in particolare quelli degli Stati totalitari che contrastavano grandemente con i valori democratici degli Stati Uniti. Evidenti conseguenze di questo differente spirito pubblico erano i rinnovati attacchi della stampa americana contro gli istituti e le manifestazioni marziali e militaristiche del fascismo. Per l’ambasciatore, era naturale che la differenza ideologica tra i regimi dei due paesi producesse questo genere di contrasti. Gli stessi tuttavia, potevano essere ridotti da un’attenta azione di propaganda che, però, doveva tenere conto del particolare stato d’animo americano: “Opportunità quindi che l’azione di propaganda fascista venga svolta in via indiretta, senza far apparire l’intervento degli organi governativi italiani ed evitando di dare ad essa il carattere di propaganda politica”232. Forme utili di propaganda indiretta erano:

la penetrazione culturale attraverso la diffusione negli ambienti intellettuali americani di pubblicazioni illustranti “l’organizzazione e la vita fascista”; la cinematografia e la radio, i cui programmi dovevano essere adatti alla mentalità americana. Infine, Rosso sconsigliava di incoraggiare nelle comunità italo-americane l’organizzazione di associazioni o lo svolgimento di attività di carattere politico che avrebbero danneggiato più che favorito la causa fascista233.

Alla metà degli anni Trenta, infatti, una relazione anonima sulla propaganda e sulla situazione politica degli Stati Uniti faceva notare l’esistenza di numerosi circoli a base fascista che “per essere fasci non manca loro che il nome”, composti per lo più da elementi “alieni da una vera disciplina e presso i quali sarebbe miracoloso, se non impossibile, esercitare una disciplina con direttive uguali”234. Venuto a conoscenza del tentativo di un gruppo di italiani di ricostruire i fasci in alcuni centri dello stato di New York, Rosso esprimeva la sua contrarietà all’iniziativa sia per gli inconvenienti di ordine politico che ne sarebbero potuti derivare, sia per il pericolo di creare “perturbamenti e dissensi in seno alle comunità italo-americane”235. Questa posizione, del resto, era stata espressa anche dal

ministero degli Esteri che, ricevendo e condividendo il giudizio dell’ambasciata, invitava Rosso a far presente ad Angelo Flavio Guidi, responsabile dell’organizzazione fascista negli Stati Uniti, l’inopportunità di ricostruire i fasci e di consigliarlo a trasformare quelli già

                                                                                                               

231 Cfr. Ibidem. 232 Ibidem. 233 Cfr. Ibidem.

234 ACS, MCP, DGSP, Busta 219, fasc. I.68 Stati Uniti “1935” I parte, sf. I.68.52, Propaganda e situazione

politica, senza data [1935].

235 ACS, MCP, DGSP, Busta 218, fasc. I.68 Stati Uniti “1934” I parte, sf. I.68.57, Rosso a ministero degli Esteri

costituiti o in via di costituzione in circoli privati che dessero modo ai cittadini italiani in possesso della tessera fascista di riunirsi senza assumere un carattere ufficiale236.

L’avversione di Rosso era rivolta non solo al progetto di ricostituzione dei fasci, ma a qualsiasi iniziativa che si prefiggesse di fare propaganda senza considerare la particolarità dell’ambiente americano. Per questa ragione, l’ambasciatore si opponeva alla penetrazione dei Comitati d’Azione per l’Universalità di Roma (CAUR), organismi fondati a Roma nel luglio 1933 e presieduti dall’avvocato Eugenio Coselschi, il cui obiettivo era svolgere un’azione di propaganda all’estero e di stringere legami con i movimenti fascisti internazionali237. Nel consiglio centrale di questa organizzazione sedeva anche Giovanni Di Silvestro, presidente dell’OSIA, cui era affidato il compito di rappresentare i CAUR negli Stati Uniti. Allo stesso modo, l’ambasciatore sconsigliava di entrare in rapporti diretti con il celebre reverendo Charles E. Coughlin, autore di articoli e di infiammati discorsi radiofonici in cui attaccava le politiche di Roosevelt e si scagliava contro gli ebrei, il quale si era proclamato ammiratore di Mussolini e aveva scritto personalmente al duce per ottenere appoggio politico238.

Le linee guida esposte da Rosso coincidevano in pieno con quelle elaborate dal sottosegretariato per la Stampa e la Propaganda. Ciano, infatti, nel rispondere al dettagliato rapporto dell’ambasciatore, scriveva:

Faccio mie le Sue considerazioni sulla necessità di tener conto dello stato d’animo americano in qualunque azione di propaganda fascista. Del resto nel programma che mi sono tracciato e che intendo svolgere nei riguardi degli Stati Uniti d’America ho soprattutto tenuto presenti le forme

di penetrazione culturale che non appaiano come un intervento diretto di organi governativi239.

Le attività culturali, perciò, diventavano il cardine della propaganda fascista negli Stati Uniti durante gli anni Trenta. Il regime, infatti, riteneva che la cultura potesse essere un utile strumento per migliorare le relazioni diplomatiche tra i due paesi, per conquistare il consenso delle élite sociali e culturali americane e, infine, per preservare i legami spirituali tra le comunità italo-americane e la madrepatria240. Questa forma di propaganda velata sotto il manto della cultura, sembrava particolarmente indicata per un paese ostile alle interferenze straniere nella sua vita politica interna. Del resto Mussolini – vista l’impossibilità di inquadrare politicamente gli italo-americani attraverso l’azione dei fasci all’estero e resosi conto della loro crescente influenza politica – aveva valutato l’opportunità di sostenere la naturalizzazione degli emigrati, affiancandole però una politica volta a preservarne l’italianità.                                                                                                                

236 Cfr. ASMAE, AP 1931-1945, Stati Uniti, Busta 20, fasc. 6, Suvich a Rosso, 8 novembre 1934.

237 Cfr. ACS, MCP, DGSP, Busta 218, fasc. I.68 Stati Uniti 1934 II parte, sf. I.68/10, Rosso al ministero degli

Esteri, 29 settembre 1933. Per una storia dei Caur cfr. M. Cuzzi, L’internazionale delle camicie nere. I CAUR,

Comitati d’azione per l’universalità di Roma 1933-1939, Mursia, Milano, 2005.

238 Cfr. ACS, MCP, Reports, Busta 3, fasc. 23.1, Rosso a Mussolini, 8 maggio 1933. Sulla figura di Charles E.

Coughlin e sui suoi rapporti con il fascismo cfr. P.V.CANNISTRARO, T.P. KOVALEFF, Father Coughlin and

Mussolini. Impossible Allies, in «Journal of Church and State», XIII, 3, 1971, pp. 427-443.

239 Cfr. ACS, MCP, DGSP, Busta 218, fasc. I.68 Stati Uniti 1934 I parte, sf. I.68/57, Ciano a Rosso, 9 novembre

1934.

240 Sulla propaganda culturale fascista cfr. F. CAVAROCCHI, Avanguardie dello spirito: il fascismo e la

propaganda culturale all’estero, Carocci, Roma, 2010. Per il caso specifico degli Stati Uniti cfr. M.PRETELLI,

La via fascista alla democrazia americana: cultura e propaganda nelle comunità italo-americane, Sette città,

Viterbo, 2012; ID., Culture or Propaganda? Fascism and Italian Culture in the United States, in «Studi Emigrazione», XLIII, 161, 2006, pp. 171-191.

La diffusione della cultura e, in particolare, della lingua italiana era il mezzo principale per garantire questo risultato241.

Questa politica richiedeva l’utilizzo di strumenti apparentemente autonomi dal governo di Roma. Uno dei principali era la Società Nazionale Dante Alighieri. Nata alla fine dell’Ottocento, l’associazione aveva lo scopo di diffondere la cultura italiana all’estero. Dopo