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In ogni Paese lo scoppio della prima guerra mondiale provocò, con la mobilitazione militare, una mobilitazione politica, che vide il trionfo dell'unanimità patriottica, la diffusione del mito della “guerra giusta” affrontata da ogni Stato per legittima difesa e il prevalere di fatto delle forze di destra nell'impostare e poi dirigere il conflitto.

In questo contesto la pace interna è minacciata perché il Paese è diviso tra neutralisti e interventisti e Moneta crede che la pace interna sia la condizione più sicura di progresso civile e sociale.

Altro fatto gravido di conseguenze fu il cedimento dei grandi partiti socialisti di Francia, Germania e Gran Bretagna; essi accettarono la versione ufficiale di una guerra difensiva, votarono la concessione dei crediti e dei poteri straordinari chiesti dai rispettivi governi e si impegnarono sino al 1918 in una gara di lealismo. Solo pochi dell'estrema sinistra scelsero un'opposizione intransigente, che alla conferenza di Zimmerwald (settembre 1915) vide riuniti esponenti socialisti di tutti i Paesi in guerra per chiedere una pace senza annessioni e senza indennità. Dovunque, le masse contadine accolsero la guerra con rassegnazione e quelle operaie con passività, senza avere la forza di una protesta politica.

Lo scoppio della guerra coglieva l'Italia in un delicato momento di transizione sul piano politico, economico e internazionale. Il governo Salandra rappresentava un tentativo di alternativa al regime giolittiano, tentativo portato avanti da una coalizione di forze che raggruppava la destra conservatrice tradizionale, i nazionalisti e i rappresentati della parte più dinamica del nuovo capitalismo industriale. Il boom economico del primo decennio del secolo aveva alterato l'equilibrio tra i centri del potere, attribuendo all'industria pesante un ruolo dirigente ma non ancora dominante. In politica estera, il peggioramento dei rapporti con l'Austria-Ungheria e il miglioramento di quelli con la Francia erano stati un primo passo verso un rovesciamento di alleanze, sufficiente a mettere in crisi la Triplice Alleanza, ma non a offrire alternative valide e automatiche. La proclamazione della neutralità (2 agosto 1914) fu perciò la soluzione più facile, subito rafforzata dall'esito dei combattimenti sul fronte occidentale che rimandavano la decisione della guerra nel tempo. Il governo Salandra era tuttavia troppo debole e incerto per impostare una politica ad ampio respiro; si limitò quindi ad accettare le

richieste dei militari per rafforzare l'esercito (notevoli in termini assoluti, ma assai inferiori a quanto stavano compiendo gli altri eserciti sotto la spinta delle necessità belliche) e aprì trattative con le due parti in lotta allo scopo di trovare adeguati compensi per l'intervento italiano, che molti s'illudevano potesse rappresentare l'elemento decisivo per le sorti della guerra.

Decisamente contrari all'intervento erano i socialisti, che però, travagliati dalla stessa crisi ideologica dei compagni francesi e tedeschi, non riuscirono a mobilitare le masse in difesa della pace né a scendere sul terreno insurrezionale. Benito Mussolini lasciava il partito e si schierava decisamente con gli interventisti. Pure contrari erano i cattolici e il Vaticano, che non voleva una sconfitta dell'Austria-Ungheria, ultima grande potenza dichiaratamente cattolica; neutralisti erano i giolittiani, che vedevano la loro egemonia politica messa in crisi dalle tendenze nazionaliste, dai rivolgimenti in corso nel Paese e da quelli che a maggior ragione sarebbero seguiti ad un eventuale intervento.

Apertamente favorevoli alla guerra erano alcune minoranze democratiche e irredentiste (spiccavano uomini come il socialista Cesare Battisti, ispirato da un patriottismo di eredità risorgimentale; il riformista Leonida Bissolati, per il quale l'intervento era da considerare l' “ultima” guerra mazziniana per liberare i popoli oppressi), ma soprattutto erano favorevoli i nazionalisti e quanti speravano comunque di spezzare il sistema di potere giolittiano. Il mondo industriale e finanziario fu inizialmente attratto dai vantaggi che la neutralità offriva alle esportazioni; ma nell'inverno si chiarirono le difficoltà derivanti all'importazione di materie prime e alla disponibilità di capitali da una posizione equidistante nello scontro in atto tra le maggior potenze europee; d'altra parte gli industriali italiani andavano prendendo coscienza delle grandi possibilità di sviluppo implicite in una mobilitazione bellica e nelle conseguenti commesse statali.

Per Moneta l'irredentismo danneggiava l'Italia perché le alleate della Triplice non potevano fidarsi di uno Stato che avrebbe tratto vantaggi da una loro sconfitta. Secondo lui l'Italia, vista la sua posizione, poteva essere l'anello di congiunzione tra Triplice Intesa e Triplice Alleanza, favorendo l'amicizia tra potenze rivali.

Questa tesi mi sembra insostenibile perché l'Italia aveva interesse a liberare le terre irredente e per farlo poteva allearsi con l'Intesa o rimanere neutrale chiedendo all'Alleanza le terre irredente in cambio della sua neutralità. Forse la seconda ipotesi non era praticabile ma di sicuro l'Italia non poteva favorire l'unità europea perché aveva molto da guadagnare da un conflitto. All'inizio Moneta auspica la neutralità italiana però scrive: ”Ove l'Italia non riesca ad ottenere pacificamente quanto le spetta, non debba

lasciarsi sfuggire l'occasione per realizzare le sue aspirazioni nazionali”. Moneta pensa che l'intervento italiano in guerra la renderebbe più breve.

Il governo Salandra ebbe così spinte sufficienti a decidersi e il 26 aprile 1915 firmò il patto di Londra, con cui si impegnava a scendere in guerra a fianco delle potenze dell'Intesa entro un mese, in cambio di precisi acquisti territoriali (Trento e Trieste, Sud Tirolo, buona parte della Dalmazia, l'Albania e il Dodecanneso), di vaghe promesse di compensi coloniali e di un prestito, la cui modesta entità si spiega con la certezza che la guerra sarebbe stata breve. Restavano da superare le opposizioni della grande maggioranza del Parlamento e del Paese; ma l'appoggio del re, le manifestazioni di piazza promosse da interventisti di destra e di sinistra, la campagna di stampa capeggiata dal “Corriere della Sera”, unitamente alla passività nelle forze neutraliste, che non osavano rischiare una crisi politica, permisero al governo Salandra di ottenere i pieni poteri e di iniziare le ostilità il 24 maggio 1915.

Solo i socialisti continuarono a proclamarsi contrari alla guerra, senza però promuovere una reale opposizione, secondo la formula “né aderire né sabotare”, che rifletteva in sostanza un atteggiamento di disorientamento ideologico e di rinuncia politica. I cattolici e i giolittiani invece finirono per solidarizzare col governo, che rifiutò il loro appoggio e quello degli interventisti democratici, perché, chiuso in una concezione angusta della guerra, non vedeva i vantaggi di una “union sacrée”, ma continuava a pensare in termini di rivincita politica della destra tradizionale.

Moneta ha scritto in “Passato e Avvenire”:

“Su noi pacifisti pesava una leggenda che avrebbe reso per sempre sterile ogni nostra opera di propaganda, la leggenda che eravamo tutti o dei sognatori ad occhi aperti, quasi pastorelli d'Arcadia, o dei senza patria. Indifferenti alle sorti del nostro Paese; ebbene, grazie alla prova di forza della nostra solidarietà con l'intera nazione nel grave frangente attuale, questa leggenda è oggi lacerata e distrutta”167.

Essere pacifista non vuol dire per forza essere senza patria. Può significare dissentire dalle scelte del proprio governo e opporvisi, essendo utili al confronto civile e magari anche riuscendo a convincere l'opinione pubblica che la guerra in Libia si poteva tranquillamente evitare. Facendo solo un brutale calcolo economico, la Libia è un Paese desertico e le giustificazioni della conquista erano farla diventare una colonia di

popolamento per non costringere i contadini poveri a emigrare. La Libia non è fertile e i sistemi d'irrigazione dell'epoca non trasformavano un deserto in una serra. L'unico motivo per cui era conveniente occupare la Libia era il petrolio, ma è stato scoperto quando non era più una colonia italiana. Credo che invece di assumere prestigio agli occhi delle altre potenze, queste ci abbiano deriso perché avevamo conquistato un “scatolone di sabbia” e secondo me non era un caso che fosse uno dei pochi lembi d'Africa ancora liberi.

Da un pacifista uno si aspetterebbe l'universalismo, inteso come pace tra tutti gli Stati e tutti gli individui senza nessun tipo di distinzione, un universalismo cristiano volendo, che considera gli uomini fratelli in quanto figli di Dio. Non è così, Moneta vorrebbe la fine delle guerre ma ne ha combattute e ne giustifica alcune. Che ci siano per lui vari tipi di guerre? Guerre giuste e ingiuste? Pare di sì, non è giusta la guerra europea contro la Cina per difendere i missionari e gli interessi europei dalla rivolta dei boxer, però lo è quella italo-turca, anch'essa invasione europea a danno di non europei. Che cosa distingue queste due guerre? Il fatto che quella italo-turca è stata decisa

dall'Italia per i suoi interessi e il suo prestigio.

Ma la guerra può essere condotta in vari modi e Moneta riprende l'idea di Cattaneo di nazione armata: riduzione della leva, istruzione militare nelle scuole in vista di eventuali necessità difensive, tiro a segno obbligatorio, formazione di una coscienza difensiva. Moneta ha scritto:

“La disciplina che cambia il soldato in macchina ha preparato inaudite catastrofi ad eserciti creduti invincibili, né impedì il crollo dei governi che su di essa confidavano”168.

Anche lui critica il militarismo, ma invece dell'abolizione degli eserciti ne propone la modifica. All'epoca erano in pochissimi a parlare della completa inutilità degli eserciti, pochi oltre ai quaccheri e Tolstoj.

Legato al disarmo c'è un altro tema molto importante, quello dell'arbitrato e la sua logica evoluzione, cioè la federazione di Stati. Moneta ha dato il suo contributo all'arbitrato propagandandolo, non facendolo evolvere dal punto di vista giuridico. Moneta ha sollecitato l'adozione della procedura arbitrale obbligatoria per prevenire nuovi conflitti e si è schierato contro i trattati segreti a base militare in favore dell'arbitrato. Per lui

168Ernesto Teodoro Moneta, Del disarmo e dei modi pratici per conseguirlo, per opera dei governi e dei

parlamenti, relazione al Congresso di Roma per la pace e l'arbitrato internazionale, tenutosi dal 12 al 16

l'arbitrato era la meta essenziale per il mantenimento della pace europea.

Negli ultimi anni Moneta fu turbato da lutti e da problemi di salute: nel 1900 fu colpito da un glaucoma che in pochi anni lo rese cieco; fu assistito dalle sorelle Regina e Clementina. All'inizio del 1918 fu colpito da una polmonite che si aggraverà fino a farlo morire il 10 febbraio a 84 anni. Giace a Missaglia nella tomba di famiglia.

10 Le donne

Anche se poco citate dalla storia ufficiale, che è spesso la narrazione di guerre combattute dagli uomini, le donne hanno avuto un ruolo fondamentale all'interno del movimento pacifista. Tra fine Ottocento e inizio Novecento il movimento per l'emancipazione giuridica e politica delle donne si propagò da Stati Uniti e Gran Bretagna al resto d'Europa. In Italia il femminismo fu appoggiato da radicali e socialisti. Moneta relegava il ruolo della donna alla famiglia, all'educazione e in un appello alle donne ha scritto:

“Anche a voi, donne, spetta una parte importante e, forse, principale. Quando io ero giovane i maggiori eccitamenti alle virtù del patriottismo vennero dalle donne. Esse ebbero il primo posto nelle dimostrazioni per i morti di Palermo a Sant'Eustorgio... e c'era pericolo. Quello che allora fecero le vostre madri per la liberazione dell'Italia dallo straniero fatelo oggi per sottrarre la patria e l'Europa dalla feroce pazzia della spada. Le prime donne che fecero la comparsa nella storia d'Italia sono le donne Sabine, le quali messesi in mezzo impedirono che si sgozzassero tra loro mariti e fratelli. Oggi ogni guerra che si combatte in Europa è una guerra fratricida. Mettetevi alla testa, ditelo ai vostri che questa è un'impresa non politica, né cristiana, ma umanitaria. Io vi invito però a dare agli amici soprattutto notizie di pace che colla parola e colla costanza degli atti faranno avanzare di nuovi passi la nostra causa della pace e della libertà”.

Il ratto delle sabine non mi sembra un esempio di eroismo femminile, me lo ricordo come il rapimento da parte dei romani di donne sabine perché loro erano quasi solo uomini. Credo che sia stato un rapimento collettivo, uno sradicamento totale dalle loro famiglie, probabilmente dai loro mariti e dai loro figli.

Moneta era favorevole all'attivismo femminile nel campo della beneficenza e dell'assistenza sociale, sollecitò il sorgere di Comitati femminili per la propaganda della pace, come la “Lega di Libertà, Fratellanza e Pace” che aveva fondato nel 1878 con la nobildonna Cristina Lazzati.

A “Vita Internazionale” e all' “Almanacco della pace” collaborarono la pacifista Bertha von Suttner, la poetessa Ada Negri, Sofia Ravasi, Cesarina Lupati Guelfi, Rosalia Guiws Adami.

Irma Melany Scodnick e Luisa Mussi fecero parte del consiglio direttivo della Federazione delle Società Italiane della Pace.

Durante la prima guerra mondiale ci fu un altro evento che sconvolse l'Europa,: la rivoluzione russa e in quest'occasione Moneta propose il disarmo e la Federazione Europea. Anche se non subito, sarebbero entrate nella Federazione anche Germania e Austria. Moneta ha scritto:

“Un rinnovato esame di coscienza ci permette di ripetere che una sola via l'onore e insieme l'interesse lasciavano aperta all'Italia: quella su cui dal 1915 essa era arditamente incamminata. Soprattutto la progettata “Lega delle Nazioni” attira la nostra attenzione e la nostra simpatia, poiché con essa verrebbe compiuto il più gran passo verso la definitiva sistemazione pacifica del mondo”169.

11 Le varie anime del pacifismo: i quaccheri, Tolstoj, i pacifisti