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4.0 Riprese

4.2.3.2 Heidegger

B pone subito in differente risalto le affermazioni di Heidegger sul problema religioso contemporaneo, a differenza di Sartre ascritto a pieno titolo «alla linea storica dei filosofi» («historische reihe der Philosophen»), soprattutto quelle del suo cosiddetto «secondo periodo» («zweiten Periode») post 1943. Il filosofo tedesco, constatata l’epoca descritta dalla sentenza nietzscheana229

, non ne decreta la validità perpetua dagli esiti atei o nichilisti e anzi prospetta, al fondo di tale obnubilamento del soprasensibile, un ritorno dell’assoluto230

nella forma del «puro pensiero ontologico, la dottrina dell’essere» («mit einem rein ontologischen

Denken, der Lehre vom Sein») alla confluenza dell’Uno parmenideo con lo spirito

assoluto hegeliano rivelatosi nell’autocoscienza del soggetto. L’essere heideggeriano ha certamente a che fare «con il destino e la storia dell’uomo» («mit Schicksal und Geschichte des Menschen») ma non può esservi ri(con)dotto interamente (G, 84s; ED, 75s), così come il suo riapparire dipende da Se stesso e non dall’uomo. In vista di questo ritorno per Heidegger è indispensabile «chiarire mediante il pensiero il significato di parole come Dio o il sacro» («die

denkerische Klärung des Sinns von Worten wie Gott oder das Heilige an»)231

perché è «[mediante] il pensiero umano della verità» («[worin] dem menschlichen

Denken der Wahrheit») che si è svelato e si svelerà. Riprendendo il commento a

Hölderlin232, Heidegger rileva del resto come manchi anche la parola con cui indicarlo, perché è assieme che compaiono o si ritraggono. Non va quindi tentato un balzo in avanti con la costruzione di un nuovo Dio né un rifugio nella tradizione, in questo senso attaccando il profetismo biblico che avrebbe il difetto di offrire già il Dio annunciato su cui contare per «la sicurezza della salvezza» («die Sicherheit der Rettung») nella beatitudine ultraterrena (G, 86ss; ED, 76ss).

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Gallimard, Paris, 1947 (ma composto e messo in scena già nel 1944).

229

B in nota cita la sezione Nietzsche Wort “Gott ist tot” da Holzwege (1950).

230 Si è visto in precedenza come Heidegger contempli e quasi auspichi questa possibilità (sub

4.2.1.3). Qui il tema viene approfondito e ampliato.

231 B in nota cita Platons Lehre von der Wahrheit. Mit einem Brief über den Humanismus (1947),

75.85ss (per Sartre).

232 B in nota cita Erläuterungen zu Hölderlin Dichtung (1944), e precisamente la sezione Hölderlin

und das Wesen der Dichtung (1936), 26s. Riferimenti più completi nonché a edizioni aggiornate

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Come facilmente intuibile, la replica di B su quest’ultimo passaggio non è benevola:

Nebenbei vermerkt, ich habe nirgends in unserer Zeit ein soweitgehendes Mißverstehen der Propheten Israels auf hoher philophischer Warte gefunden (G, 88)233

Non è del resto difficile per il Nostro argomentare ribaltando tale posizione, constantando che nel profetismo veterotestamentario ‒ ma il discorso vale anche per il Nuovo Testamento, se non per qualche distinguo trascurabile nell’economia argomentativa della replica ‒ le esigenze di fedeltà e conversione richieste al popolo generavano una tensione esistenziale e spirituale tutt’altro che rassicurante. L’uditorio era anzi «nell’abisso spalancato dell’estrema incertezza» («im aufgerissenen Abgrund der letzen Unsicherheit») e il seguace di Gesù non era certamente blandito con facili promesse: «il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8, 20: ὁ δὲ Υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου οὐκ ἔχει ποῦ τὴν κεφαλὴν

κλίνῃ»). La profezia biblica è ancora attuale (G, 88; ED, 78).

Ma la replica tocca il concetto stesso di Essere per come il tedesco lo concepisce, che per B risulta «assolutamente vuoto» («unüberwindlich leer») in quanto irrelato «al dato di fatto inerente ad ogni esistenza» («die allem Seienden

inhärente Tatsache»). Resta la possibilità del ricorso all’Essere come «definizione

filosofica della Divinità» («philosophische Bezeichnung für die Gottheit») concepita da «antecedente alla creazione» («vorschöpferisch»), tipica della scolastica e mistica cristiana, e qui B ha l’occasione di rispolverare i suoi studi giovanili richiamandosi a Meister Eckhart. Il quale antepone all’omologia «di derivazione platonica» («in Platons Spuren wandelnd») «esse est Deus», l’accezione accrescitiva «est enim [Deus] super esse et ens». Heidegger poi sostiene, con espressione che ricorda immediatamente Agostino234 non fosse per la specificazione che la incornicia:

Das ‘Sein’ ‒ das ist nicht Gott und nicht ein Weltgrund. Das Sein ist weiter den alles Seiende und ist gleichwohl dem Menschen näher als jedes Seiende, sei dies… ein Engel oder Gott. Das Sein ist das Nächste (G, 89)235

Ma se tale prossimità è diretta ad altro dalla propria «persona reale e completa» («leibhafte Gesamtperson»), come ad un cogito, allora è di nuovo aliena da B, il

233 «Per inciso voglio dire che non ho trovato da nessuna parte nel nostro tempo una tale

incomprensione dei profeti d’Israele, specialmente nell’ambito della filosofia» (ED, 78).

234

«[...] interior intimo meo et superior summo meo» (Confessiones III, 6, 11).

235 «L’essere ‒ non è Dio né un fondamento del mondo. L’essere è più lontano di ogni essere e

nello stesso tempo è più vicino all’uomo di qualunque singolo esistente [...] sia esso un angelo o Dio. L’essere è ciò che è più vicino» (ED, 78s).

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quale la ritiene non veracemente concepibile, rovesciando la categoria stessa «della pensabilità» («der Denkbarkeit»), fondamentale per Heidegger. Ciò che qui ancora viene respinto è un riduzionismo intellettualista, una mera ontologia logica, svuotata del legame con l’esistenza effettiva (G, 88s; ED, 78s).

Nel riprendere in considerazione le «tesi sul divino» («Thesen über das

Göttliche») del pensatore tedesco, B torna a sottolinearne un aspetto positivo:

«l’estrema coscienza dei limiti tracciati» («aus äußerster Bewußtheit

selbstgezogener Grenzen»). Ciò che non può accogliere è che tali tesi «designino»

(«bezeichnen») Dio come ‘oggetto’ della (ri)apparizione (Wieder-erscheinen) in vista, mentre tutta la tradizione ne ha sempre parlato in termini di inconoscibilità oggettivante e, piuttosto, di figura dalle più diverse ma reali relazioni fra trascendenza e immanenza. Le differenze possono essere di nuovo schematizzate, a patto di qualche forzatura ma efficacemente, come segue:

approcci considerazione modalità mezzo rapporto

tradizione esseri trascendenti incontro preghiera appello

Heidegger oggetti magia conoscenza evocazione

La «magia» («Magie») è chiamata in causa quando la ‘evocazione’ (Beschwörung) mediante «sapere e forza [Schnabel: plurali] segrete» («geheimes

Wissen und geheime Macht»), la sempre insidiosa gnosi (Moore, 183ss),

requisisce Dio, inficiando anche la preghiera:

[…] wer beschwört, wird nicht mehr angesprochen, nicht mehr erwacht Antwort in ihm, und auch wenn er ein Gebet rezitiert, betet er nicht mehr (G, 90)236

B non vuole certamente negare la relazione di partneriato Dio-uomo, che del resto Heidegger conosce pienamente dal commento di Hölderlin237, della non indifferenza e finanche del bisogno del trascendente riguardo all’immanente «indipendente» («selbständigen»), ma non può ammettere una parità interdipendente come la concepisce il filosofo: «né gli uomini e neppure gli dei possono realizzare di per sé un rapporto immediato col sacro» («weder die

Menschen noch die Götter je von sich her den unmittelbaren Bezug zum Heiligen vollbringen können»). Sempre l’assoluto «Unico» («der Einer») prende

236 «[...] chi “evoca” non è più interrogato, non desta più in lui una risposta e, anche se recita una

preghiera, non prega» (ED, 89). Torna il già toccato tema della preghiera (sub 3.2; 3.3-II; 4.1; 4.2.1).

237

B richiama in nota la sezione Wie wenn am Feiertage (1941) delle già citate Erläterungen (p. 66): «den Gesang als der begeisternden Götter und der von ihnen begeisterten Menschen

gemeinsames Werk» (G, 90) → «il canto come opera comune degli dei entusiasmanti e degli

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l’iniziativa di mostrarsi, in modo placido o drammatico, e sempre l’uomo liberamente risponde. La libertà del legame «distingue le forze divine da quelle demoniache» («scheidet göttlichen von dämonische Mächten»). Ma, qui si ribadisce l’antiriduzionismo intellettualista (G, 91s; ED, 79s), «per un influsso del pensiero concettuale non vià spazio tra cielo e terra» («für einen Einfluß des

begriffklärenden Denkens ist zwischen Himmel und Erde kein Raum»). Di una

(ri)comparsa di Dio ad opera di «una moderna magica influenza [...] è inammissibile parlare» («durch einen solchen modern-magischen Einfluß [...] zu

reden, erweist sich als unzulässig»). Un ente supremo meramente pensato o

filosoficamente pensabile, estraneo in quanto tale alla Tradizione vivente (non confinabile dalle rispettive tradizioni) di termine dialogico di una relazione tra io finito e Tu assoluto, è inservibile nella concezione buberiana (Perfetti, 416s).

B registra come Heidegger in un primo tempo avesse tenuto posizioni diverse rispetto al tema238. Sempre commentando il sommo poeta tedesco lascia alcune parole che lo fanno considerare momentaneamente partecipe del pensiero dialogico (Erläuterungen, cit., 37):

Die Götter können nur dann ins Wort kommen, wenn sie selbst uns ansprechen und unter ihren Anspruch stellen. Das Wort, das die Götter nennt, ist immer Antwort auf solchen Anspruch (G, 92)239

Ma da lì a poco Heidegger sarà stato conquistato «dalle forze che lo hanno sommerso» («durch eine Gewalt [...] vernichtet worden»), unendo il suo pensiero dell’Essere al corso storico e identificandone il destino nella svolta tragica che i tempi presero (G, 90ss; ED, 80ss). Soltanto il 29-30 maggio 1957 i due si incontreranno presso il castello Schaumburg-Lippe di Altreuthe, sulle colline prospicienti il lago di Costanza, per l’organizzazione di un convegno sul linguaggio. Un colloquio cortese non privo di autoironia che costò numerose critiche a B, colpevole per molti di essersi lasciato convincere nel tentativo dell’altro di riabilitarsi davanti al mondo ebraico. Ma i temi di discussione furono essenzialmente filosofici e teologici e B negò che si fosse trattato anche minimamente di quello che gli veniva imputato. Il passato filonazista del filosofo venne lasciato da parte, per quanto B si rifiutò poi di accettare successivi inviti. Ai

238 Il filosofo polacco Albert Jewuła ha scritto sulle convergenze-divergenze di Heidegger col

pensiero dialogico, soprattutto circa le figure della chiamata e dell’altro.

239 «Ma gli dei possono acquistare nome solo quando essi ci rivolgono la parola e ci pongono la

loro domanda. La parola, che nomina gli dei, è sempre una risposta a una siffatta domanda» (ED, 81). Un allievo di Heidegger, il già citato teologo gesuita Karl Rahner, ha conseguito il dottorato proprio scrivendo una tesi sull’uomo come esserci aperto alla Parola dell’Essere (Hörer del

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quali rifiuti il tedesco fece seguire una sorta di rimozione pubblica di questo unico incontro (Mendes-Flohr, 1-6).

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