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2.3 Per un realismo conoscitivo umanistico: epistemologia buberiana

2.3.2 Lévinas

Nel contributo al volume collettaneo del 1965 (PMB, 133-150) Emmanuel Lévinas (1906-1995) richiama l’articolo di Friedman del 1954. Pur riconoscendo la penetrante analisi dell’epistemologia buberiana e l’eccellente bibliografia sul principio dialogico e sull’influenza esercitata dal Nostro, avanza alcuni rilievi critici. Mancherebbe infatti la sottolineatura della stretta connessione tra B e le tendenze filosofiche correnti, nello specifico l’abbandono generale della relazione classica soggetto-oggetto e l’ontologia di supporto, al di là dell’accoglienza del

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pensiero dialogico117. Inoltre Bergson non sarebbe il teorico dell’Esso, come Friedman suggerirebbe (PMB, 136)118. Il contributo si rifà soprattutto alla raccolta

Dialogisches Leben, che contiene i lavori filosofici buberiani fino al 1947, ed è

suddiviso in otto paragrafi119, che qui saranno esposti nell’essenziale120. Nell’esordio Lévinas afferma che la teoria della conoscenza è una teoria della verità che ripete la stessa domanda platonica di come possa l’essere assoluto manifestarsi nella verità in un mondo passibile di errore, assumendo che per la mente sia semplicemente necessario riflettere su se stessa per scoprire l’Uno dal quale deriva. Il problema della relazione soggetto-oggetto nel dibattito epistemologico moderno sarebbe un’estensione della antica questione sulla verità. Fin qui il filosofo lituano-francese ribadisce sostanzialmente quanto già scritto da Friedman trentacinque anni prima, eccetto l’assunzione (con ciò che ne deriva) che l’agente della conoscenza occupi una posizione distinta nella gerarchia degli esseri dell’universo. Costui è radicalmente separato dall’essere in quanto tale e ciò dovrebbe portare ad ascrivere la fonte metafisica del suo essere al sé individuale, avendo soltanto sé come riferimento e perciò venendo susseguentemente identificato come soggetto della conoscenza (ovvero coscienza). Ogni movimento della mente, compresi quelli che lo relazionano ad una realtà esterna come affermazioni, negazioni, desideri o che addirittura denotano dipendenza dalla realtà esterna, è concepito cartesianamente come pensiero. La coscienza in cui l’esistenza di quei moti è ultimamente agita è all’origine di tutto ciò che viene dall’esterno. Usando l’espressione di Husserl si potrebbe dire che «ogni filosofia è una egologia». Ma se la fenomenologia husserliana, che ha contribuito alla negazione della nozione idealista di soggetto, è anch’essa un’egologia perché riscopre l’universo nel perimetro del soggetto che lo costituisce, lo è pur sempre nei termini di una coscienza che concettualizza la realtà (esterna).

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In alcuni casi, come questo, l’espressione ‘pensiero dialogico’ impiegata in contesto buberiano equivale a Ich-Du.

118 Bergson e Heidegger soprattutto sono i termini di confronto del pensiero di B nel contributo di

Lévinas. I cui rilievi critici a Friedman, considerato che quest’ultimo scriveva circa una dozzina di anni prima e con una prospettiva leggermente diversa, risultano ad una lettura dell’articolo ingenerosi quando non facilmente smentibili (riferimento a Bergson compreso). Il saggio di Friedman è meno ambizioso nella sua più ridotta articolazione ma decisamente più leggibile e non per questo meno rigoroso e profondo.

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Il problema della verità; Dall’Oggetto all’Essere; Esperienza e incontro; Ontologia

dell’intervallo, ovvero il Tra; Comunicazione e inclusione; La verità; La natura formale dell’incontro; Alcune obiezioni (originali in inglese).

120 Il dettato, sia pure con inevitabili tagli, è riportato quasi in forma di traduzione (con alcune

necessarie integrazioni tecniche che la lingua italiana richiede). Nonostante la difficoltà (ed eterogeneità) di alcuni passaggi del contributo lévinasiano, va riconosciuto alla sua esposizione il vantaggio di offrire un’interpretazione a tutto campo del pensiero buberiano, da cui si ricavano riflessioni utili per la concezione della religione.

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L’epistemologia contemporanea allora deve il suo peculiare significato alla ricerca dell’essere originale e per questo è precedente ad ogni altro ambito d’indagine filosofica, non soltanto in quanto propedeutica conoscitiva ma proprio come teoria dell’assoluto (fondativo). Comprendere la reale vita e l’essenza dell’essere implica una relazione col soggetto in quanto l’oggetto è costituito come opposto al soggetto ma di un’opposizione che resta in potere del soggetto. Ontologia e relazione soggetto-oggetto riposano sulla nozione di verità come contenuto esprimibile a parole nonostante in origine la sua funzione fosse quella di ‘significare’ un significato interiore di una mente solitaria senza interlocutori. La solidità dell’essere dipende dalla possibilità di esprimere la verità e di concepirla come risultato acquisito, nonostante dai tempi di Parmenide l’essere fosse concepito come relazione e dopo Cartesio come pensiero, mentre l’oggetto è stato interpretato come l’intellegibile benché non rappresentabile oggetto delle scienze fisico-matematiche. Venendo finalmente a B, Lévinas ritiene che uno degli aspetti più interessanti del suo pensiero consista nel tentativo di dimostrare che la verità non è un contenuto e che la parola non può in alcun modo nemmeno riassumerla, al contempo mantenendo che questa caratteristica, pur costituendo il massimo della soggettività, in quanto ormai radicalmente lontani da qualsiasi concezione idealistica della verità, consente gli unici mezzi di accesso a ciò che è più oggettivo di qualsiasi altro tipo di oggettività (equipollente della verità classicamente intesa), ovvero a ciò che il soggetto possa mai raggiungere in quanto totalmente altro (PMB 133ss).

Adottando uno sguardo diacronico è evidente che nel pensiero contemporaneo lo sviluppo della teoria della conoscenza è sinonimo del progressivo scomparire del problema soggetto-oggetto. La consistenza del sé è risolta all’interno di relazioni intenzionali per Husserl, oppure nell’essere-nel-mondo (Miteinandersein) heideggeriano o ancora tipizzata nella figura della ‘durata’ per Bergson. Ciò che occorre tenere ben saldo è che la relazione con l’oggetto non è identica alla relazione con l’essere e la conoscenza oggettiva non percorre le tracce dell’originale itinerario della verità. La conoscenza oggettiva è già immersa nella luce che la illumina e una luce è necessaria per vedere la luce, questo per il filosofo e per il salmista121. Si giunge dunque alle soglie della conoscenza dell’essere in quanto oggetto di conoscenza di maggior densità e impenetrabilità di quello tipico della conoscenza scientifica. Il senso originale della verità come comunicazione con l’essere consiste esattamente nel non essere verità rispetto a

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qualcosa di particolare («about anything»), nel non essere un discorso riguardo l’essere, poiché esso non è tema di discussione quanto piuttosto è nella comunicazione originale che noi abbiamo con l’essere che la possibilità di tale discorso (rispetto a qualcosa) è rivelata, che il contesto all’interno del quale le proposizioni oggettive (scientifiche) hanno significato è delimitato. Per Heidegger la rivelazione della verità diffonde quella luce prima che se ne possa parlare; per Bergson la verità è sinonimo di scelta, invenzione, creazione e non è un mero riflesso dell’essere e l’intuizione non implica una mera percezione esterna dell’essere ma si incarna nell’invenzione e nella creazione.

Coerentemente con la posizione contemporanea a livello esperienziale il sé per B non sostanza ma relazione e può esistere solo un Io che si rivolge ad un Tu o che afferra un Esso. Ma come per la fenomenologia non intercorre lo stesso tipo di relazione coi due termini. La sfera dell’Esso, contattata nell’esperienza pratica materiale e circoscritta, come in Bergson, nell’ambito dell’utilizzazione, implica la relazione più superficiale e si avvicina alla cognizione materiale (objective) delle cose. Il fine più profondo di ogni conoscenza, cioè il tentativo di afferrare ciò che indipendente dal materiale visibile, che è completamente altro, è mancato. Poiché l’Esso è neutrale ed equivale all’oggetto intenzionale di Husserl, come già intravisto, e per converso la relazione Io-Te esula dall’intenzionale per costituire piuttosto la condizione di possibilità dell’intenzionale (oggetto o relazione). In anticipo rispetto a Heidegger e contestualmente a Bergson, B persegue la sua ricerca nelle strutture ontologiche anteriori a quelle che caratterizzano l’intelletto oggettivante. Il quale può giungere ad avere un’idea dell’alterità non a rivolgervisi direttamente. Così come l’accesso reale all’alterità dell’altro non consiste in una percezione ma in un’evocazione (thou-saying), insieme contatto e appello. Il Tu infatti non è una sorta di oggetto sconosciuto e l’approccio al Tu non è del tipo che instaura un discorso tematico. Parlargli e non parlare del Tu realizza la sua alterità, evitando il «gravitational field» dell’Io-Esso in cui l’oggetto esternalizzato resta imprigionato. La relazione è la vera essenza dell’Io e ogniqualvolta l’Io afferma se stesso sta affermando contestualmente il Tu, che in quanto orizzonte indeterminato dell’incontro è a priori. La fedeltà della mente primitiva alla legge di partecipazione è, per B, la prova del primato della relazione originaria Io-Tu rispetto all’Io-Esso. Per Lévinas aver colto la differenza qualitativa originaria tra l’esperienza dell’oggetto e l’incontro con l’altro e l’intento di basare l’esperienza umana sull’incontro sono contributi fondamentali di B alla teoria della conoscenza, mostrando non una unità neutrale, impersonale con l’essere degli essenti heideggeriano (Sein des Seiendes) bensì una comunione

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sociale come atto primario dell’essere. In questo ambito va notato anche il carattere fenomenologico degli esempi buberiani, che non ricorrono a principi astratti ma si basano sulla realtà concreta (PMB, 135-139).

A livello ontologico la relazione non è evento soggettivo perché l’Io non si rappresenta il Tu ma lo incontra e tale incontro non può confondersi col dialogo silenzioso che la mente ha con se stessa perché esso non avviene nel soggetto ma nell’ambito dell’essere. L’intervallo tra Io e Tu, lo Zwischen, è il luogo dove l’essere si realizza, e questo luogo non si può intendere come spazio astratto al di fuori dei rispettivi termini che lo delimitano. Questo ‘Tra’ si ricostituisce ad ogni incontro genuino come i ‘momenti’ della durata bergsoniana ed è un Tra interumano per cui si può dire che è appunto l’uomo il luogo dove l’essere viene agito. Questa ontologia dell’incontro, se da una parte non può essere ridotta a psicologia, dall’altra non lo può essere a religione naturale, che ricondurrebbe al modello essere-contenuto già attualizzato, dunque essere-discorso.

A livello comunicativo la relazione ontologia di B è vera perché preserva l’alterità del Tu invece di rilegarlo nell’anonimità dell’esso. Mentre l’Io si ritrae facendo posto al Tu rende possibile il legame (Verbundenheit), che è espressione dell’alterità. Lévinas dice alcune parole interessanti sul tema della responsabilità intesa dal sostrato etimologico. Chi infatti rifiuta di rispondere all’appello del Tu non percepisce la Parola e rimane spettatore in quanto responsabilità significa proprio abilità di risposta e quindi di dialogo con la realtà trascendente che “dice qualcosa” all’uomo prima di tutto come vera essenza del linguaggio, non come espressione categoriale. La verità allora non è strappata dal soggetto spassionato spettatore della realtà ma da un coinvolgimento in cui l’altro resta nella sua alterità, al contrario della filosofia antica, che riteneva come unico accesso alla verità il distacco contemplativo in cui l’Io si identificava estaticamente con il Tu o lo costruiva come oggetto. La verità non è riflessione oggettiva su quel coinvolgimento ma il coinvolgimento stesso. Il dilemma platonico del rapporto essere-verità viene risolto nei termini di una relazione intersoggettiva122 e sociale. Tale relazione implicata dalla responsabilità (dialogo) è reciproca e si rivela nell’inclusione (Umfassung) in cui l’io mantiene formalmente la sua realtà attiva, distinta dal concetto psicologico di empatia (Einfühlung), dove invece il soggetto mette se stesso completamente al posto dell’altro (PMB, 139-142).

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Sul confronto fra Ich und Du buberiano e Pure We di Schutz nell’ambito della «lived presence

of the self» si legga Frederick Grinell, The Problem of Intersubjectivity: A Comparison of Martin Buber and Alfred Schutz in Human Studies 6(2-1983), 185-195. Come B nel 1922 (RG), Schutz si

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A livello veritativo, ovvero della concezione della verità, il fondamento è determinato dalla relazione Io-Tu come relazione con l’essere, sempre distinguendo la verità oggettiva (posseduta, impersonale) dalla verità come modo di essere, una modalità di essere veritativo che denota Dio in modo assoluto e l’uomo nella misura in cui l’attitudine esistenziale particolare (singola) si rivolge all’essere. Una verità (attitudine, ricerca, lotta) vivente insomma, che ha nella vita vissuta autenticamente il suo esame ultimo, e non nell’accordo tra apparenza (presunta) e realtà (posseduta): «Eine menschliche Wahrheit, die Wahrheit

menschlicher Existenz».

La natura formale dell’incontro equivale alla realizzazione (Verwirklichung) della genuina relazione Io-Tu, che scansa la rigida e pietrificata forma di ogni dogmatismo spirituale e si accosta alla concezione liberale della religione come religiosità (Simmel), antagonista della religione ufficiale, e riporta all’opposizione barthiana di religione e fede, dibattuta a suo tempo da B stesso con/da Von Balthasar123. Questo approccio relazionele, potendo esulare appunto da ogni religione costituita e persino dall’etica categorialmente intesa, è possibile tanto con Dio che con le cose. Infatti l’attitudine dell’artista verso il creato assume i connotati della risposta ad un appello e non quelli dello sfruttamento/assoggettamento utilitaristico (tipico esempio dell’albero, prediletto anche dal contemporaneo Rilke). La natura del resto non è apparenza soggettiva(ta nel discorso) né esistenza oggettiva(ta nel discorso), entrambe mere astrazioni, ma realizza il suo essere nell’incontro come le persone. Se la percezione è l’atto originale dell’essere e l’essere è atto (relazionale), allora si può dire che il mondo empirico (natura) è piuttosto obiettivo nelle relazioni con le diverse alterità che obiettività in sé (PMB, 142-147).

Tra le obiezioni di Lévinas al pensiero di B vi è la simmetria delle relazioni. Nel caso di una relazione etica, ovvero basata su presupposti etici di responsabilità, la contemporanea superiorità e inferiorità dell’altro, si rompe il formalismo simmetrico pur senza scadere nella predicabilità della relazione Io- Esso: Otherness is thus qualified, but not by any attribute. La relazione diviene allora più di un vuoto contatto rinnovabile ed espresso al suo massimo dall’amicizia spirituale. Il filosofo francese dell’alterità afferma poi la superiorità della Fürsorge heideggeriana (includendo però tutta la simile tradizione precedente del pensiero) rispetto alla Umfassung quanto alla possibilità di accesso alla alterità dell’altro di una rarefatta amicizia spirituale (PMB, 147s). Su questo

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cade la replica di B in chiusura del medesimo volume, dove nega sia la simmetria delle relazioni124 che la eterea amicizia spirituale sia la più alta forma di inclusione, affermando invece che proprio laddove manchi un comune substrato spirituale comune, addirittura nella distanza e nella lotta reciproca, si verifichi più spesso quel cameratismo esperienziale compiuto in cui le persone si riconoscono pienamente. Quanto all’esperienza di cura, B chiama in causa ancora l’esperienza per negare che la sollecitudine consenta l’accesso alla alterità dell’altro. Piuttosto, chi possiede l’attitudine all’alterità la esperirà nella pratica, ma chi non la possiede già potrebbe passare una vita nella cura dell’altro senza riuscire a pronunciare un vero Tu (PMB, 723).

In una lettera di Lévinas datata 11 marzo 1963, che contiene il prosieguo del dibattito, il ‘filosofo del volto’ precisa come la Sorge di cui parlava non era considerata l’atto meccanico di accudire ma piuttosto per lui «Du sagen» («dire tu») fosse già un donarsi e che separare questo dono dalla relazione portasse a quella amicizia spirituale eterea, già derivata e per nulla originaria, che B gli contestava. Rabbi Yohanan (bTalmud, Sanhedrin 103b) Man de Biran sono tra le fonti che portano Lévinas a questa conclusione (S, 658s).

Le figure poi dello Zwischen e della Umfassung, nonostante B le escluda dal silenzioso dialogo della mente in se stessa, sarebbero inevitabilmente riconducibili ad un processo di coscientizzazione mentale. La differenza tra relazione autentica e coscienza nella sfera del ‘Tra’ andrebbe chiarita. Così andrebbe mostrato come lo spazio del ‘Tra’ possa intaccare l’atto della consapevolezza immediata parallelamente a come la conoscenza stessa (esperita) fa con la relazione Io-Tu, una volta ammesso che la relazione Io-Esso corrompa quest’ultima (PMB, 148ss)125.

Sono fin qui riecheggiate parole identificative per i diversi campi d’indagine buberiana come, senza pretesa di completezza, vita, libertà, unità, ricerca, conoscenza, realizzazione, individuo, comunità, oltre a quelle ‘tecniche’ Oriente- Occidente, Rinascimento, tradizione, mistica, riduzionismo... Parole guida anche per il tema che si sta svolgendo Con gli acquisti di questo secondo capitolo, che hanno approfondito ulteriormente le fonti non soltanto filosofiche ma anche storico-artistiche della sua riflessione soprattutto giovanile e della prima maturità, delineato un ambito particolare della ricezione buberiana in Occidente e allargato

124 «Outside of the relation between us this Thou does not exist. It is, consequently, false to say that

the meeting is reversible» (PMB, 697).

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lo sguardo al suo modus philophandi, si giunge ora al cuore di questo lavoro. I due capitoli che seguiranno saranno giocoforza più brevi del primo, che conteneva i necessari elementi introduttivi utili per la più agevole lettura dell’elaborato, ma più mirati. Si avvicineranno come fattura alla trattazione della tesi di laurea di B, riguardando però una fase del suo pensiero e della sua attività culturale – tra le quali l’interconnessione cresce col passare degli anni ‒ su cui le riflessioni del laureando, si parva licet, poggiano su un terreno talora più dissodato da chi lo ha preceduto. Ci si augura ciò non sia per forza sinonimo di mera ripetizione, pur assestandosi questo lavoro consapevolmente al livello di laurea magistrale e non certo a quello della ricerca tout court.

71 CAPITOLO III

3.0 Lezioni francofortesi: incipit di un percorso

Questo capitolo segna l’inizio della tematizzazione dell’argomento in esame, ma non è slegato da ciò che precede né da ciò che seguirà nelle ulteriori sezioni del lavoro. Da principio il percorso prosegue con qualche dato sulla condizione storico-politica del periodo in cui si inscrive l’insegnamento francofortese di B e con una sintetica lettura del carteggio Buber-Rosenzweig, epifenomeno di uno dei più intensi sodalizi umani e intellettuali del pensiero, e non soltanto ebraico, del Novecento.

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