Negli studi buberiani non è mancato chi volesse far incontrare la nozione della presenza con la produzione giovanile e quella successiva, per comune definizione dialogica145, identificandovi il nesso ermeneutico che la percorre interamente, a partire dalla figura prettamente ebraica della Shekinah biblica poi cabalistica, quindi chassidica (RP, 15) e infine soggetta ad alcune ardite attualizzazioni sioniste. Di seguito esamineremo il ciclo di lezioni Religion als Gegenwart, testo- evento in sé autonomo, premettendone un inquadramento teorico basato sul modello di religione buberiano coevo alla formulazione ma precedente all’affermarsi definitivo dell’ottica dialogica. B prima di tutto distingue due tipi di religione, quella che permette ai seguaci di rispondere liberamente agli stimoli del passato e quella che richiede aderenza a un sistema fissato di dogmi e rituali, occupandosi poi durante il corso in esame del primo tipo, per rilevare che gli uomini scoprono Dio mediante l’interazione reciproca giocata alla luce della Presenza divina (Breslauer, 14s). In un secondo momento B cerca di spiegare anche la dinamica delle religioni istituzionali ‒ crisalidi che conservano in latenza lo spirito originario ‒ individuando tre momenti ricorsivi: evento sconvolgente incomunicabile normalmente, creazione di forme comunicative approssimanti
145 Ci si riferisce soprattutto al terzo e quarto capitolo dell’importante monografia di Paula
Vermes, God and the perfect man (1980). In particolare per (quasi) ognuna delle figure fondamentali del chassidismo evidenziate da B, viene fornito un aggancio con il concetto di presenza all’interno di una trattazione fondata su una catena di testi dalla Torà scritta a quella orale. Ecco i passaggi più stringenti in merito (evidenziatura nostra) del terzo capitolo. «To be
consciuos of God’s presence in his daily life, the first step is ‘cleaving’ to God» (Vermes, 156).
«Shiflut does not look for an abasement of the human person so that God should be
correspondingly glorified. On the contrary, it confirms by means of man’s own presence “in the depths”. That the Presence of God is also there» (Vermes 159). «Intention [kavannah] of receiving
[…] By accepting life as coming from the hands of God, and by carefully tending and using
everything with which he comes into contact, the Hasid is able to break the “shells” which imprison the indwelling Presence and bring about its reunion with God» (Vermes, 161).
«Hasidism […] appeared on the scene of history, religious thought had admittedly moved on still
further to include the doctrine of the indwelling Presence, but the movement’s attitude towards
‘worship’ never loses sight for the past» (Vermes, 165). «[…] promotion of ‘joy’ as the only fitting
condition of the human soul for the indwelling there of the Presence» (Vermes, 169 et similia 172).
«The recommendation to ‘think about oneself’ is, needless to say, also closely associated with the
doctrine of the Presence» (Vermes, 173). «Characteristically, Hasidim reverses the analogy and teaches that it is far better to find the streets of one’s own town as those of heaven, for it is ‘where we live’ that we have to release the hidden light of God’s indwelling Presence and allow it to shine» (Vermes, 179). «For Hasidim […] the ‘concept of unity’ […] reached into every corner of life, so that holy and profane, beginning and end, this world and the world to come, were viewed as simultaneously one, and requiring to be made one (like God and his indwelling Presence)»
(Vermes, 180). Nel quarto capitolo viene discusso criticamente questo accostamento, concludendo con una correlazione positive che riapre la partita: «When Hasidim and Buber’s life of dialogue
are collated, one shared word stands out: presence. Or more precisely, presence and Presence as manifestation of human and divine love» (Vermes, 188). Cfr. FF per la dialogica (PR, 149-245).
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l’evento (miti, rituali, dottrine)146, edizione rivista dell’evento originario. Secondo
questi tre stadi B organizza anche la propria ricerca, descrivendo le forme di una particolare tradizione e analizzandole criticamente per derivarne l’evento originario, infine misurandone l’efficacia sull’adeguatezza dello stimolo verso la rinascita della vita spirituale (Breslauer, 15s). La vicinanza col modello di ‘leader carismatico’ e ‘istituzionale’ si scontra con lo sviluppo ricorsivo e non evolutivo dell’idealtipo weberiano, nonché con l’interesse di B nei confronti dei seguaci piuttosto che dei leader (Breslauer, 42s). Con tale bagaglio si affrontano le lezioni nel complesso poi nello specifico.
La dieci lezioni (Vortage) sono conservate nel Martin Buber Archiv della Biblioteca Nazionale Ebraica a Gerusalemme (Ms. Var. 350/B 29) in duplice copia su carta carbone usata per la trascrizione dallo stenografo, mai identificato, a partire dagli appunti manoscritti di B. Una lettura dello «Stenogram» è stata compiuta da Ernst Simon «mit Rosenzweig» (lettera del 18 aprile 1922: BB, 98), poi giunto con B a Gerusalemme nel 1938. Le copie appaiono trascritte fedelmente, con rari errori di tedesco ma frequenti traslitterazioni (della cui precarietà si è detto) inesatte dal greco e dall’ebraico dovute alla dettatura o alla trascrizione. L’originale è andato perduto ma sopravvivono numerose correzioni apportate dall’autore stesso soprattutto nel quarto e settimo Vortrag, come riconosciuto dall’assistente Margot Cohn (poi archivista), e da altri lettori anonimi147. Le lezioni si sono tenute al Lehrhaus tra mercoledì 15 gennaio e domenica 12 marzo 1922 e sono divisibili chiaramente in due parti. La prima, costituita dalle prime tre (fino al 5 febbraio 1922), di cui ci si occupa qui dettagliatamente, si potrebbe definire pars destruens del corso e tratta i diversi tipi (‘esogeni’) di riduzionismo cui la religione è sottoposta a partire dal mondo contemporaneo ma con uno sguardo allargato ad ogni tempo in quanto tale («an
die Zeit schlechthin»: RG, 49; RP, 44). La seconda comprende le restanti sette
lezioni148 e può essere intesa come la pars costruens del corso, in cui si affrontano i rischi ‘endogeni’ del fenomeno religioso adottando il linguaggio comune al
146 Sull’insegnamento di B sulle religioni gli archivi sono generosi (Stroumsa, 90ss).
147 La cura editoriale di Rivka Horwitz ha facilitata la lettura disponendo la paragrafatura (assente
nella copia stenografata), aggiungendo titoli di sezione (assenti) e la trascrizione delle correzioni manoscritte di B, nonché allestendo una sinossi parziale con Ich un Du (dai Werke I e dall’edizione Lambert Schneider dl 1977) in nota ed una completa in appendice (RG, 39s). Al di là di questa magistrale edizione delle lezioni, di cui si adottano le disposizioni formali, FF segnala una certa distanza della critica e fa i nomi già noti di Casper, Breslauer, Vermes, Mendes Flohr in ambito anglosassone, del nostro Bombaci, oltre a quello di Huston che si incontrerà.
148 Le date sono: IV lezione domenica 12 febbraio; V lezione domenica 19 febbraio; VI lezione
domenica 26 febbraio; VII lezione domenica 5 marzo; VIII lezione domenica 12 marzo (RG, 82.97.111.126.138; RP, 93.113.131.151.169).
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lessico dialogico: la contrapposizione di mondo del Tu e mondo dell’Esso, il Tu Assoluto. Vi è trattata poi una serie di problematiche connesse come il rischio del misticismo, il concetto di Tu innato e di ‘attimo’ propizio (Augenblick), la complessa costruzione del mondo del Tu, l’insorgenza e la corruzione in ricettacolo di contenuti delle religioni storiche (RP, 11s). La delimitazione interna è segnata non solo graficamente dalla separazione delle lezioni, ma testualmente dalla chiusura della terza lezione alla ripresa del tema nell’incipit della quarta:
«das Religiöse hat notwendigerweise den Charakter der Vitalität un notwendigerweise
den Charakter der Wirklichkeit, der Unaufgebbarkeit. All dies zusammen bedeutet – wir können es nun noch einmal wieder aufnehmen, nachdem wir diesen Krei des Verneinungen und Ablehnungen durchmessen haben ‒ absolute Gegenwart. Wie dies sei, danach wollen wir von jetzt ab fragen» (RG, 81)149→«Ich hatte Ihnen schon gesagt, daß
wir jetzt, nachdem wir die einzelnen Versuche, die Religion zu einer Funktion eines geistigen Gebietes zu machen, indem wir diese einzelnen Versuche geprüpft und abgelehnt hatten, daß wir, nachdem wir all dieses Nein festgestellet hatten, nunmehr die Frage nach dem Ja ganz von vorn stellen würden» (RG, 82)150
I) Ma veniamo alla lezione inaugurale del corso, che riporta la presentazione insieme formale – si guardi al registro sintattico ‒ e cordiale condivisa e raccomandata dal direttore Rosenzweig:
«Herr Dr. Franz Rosenzweig weist im Nahmen des Lehrhaus und zugleich auch im Auftrag des Redners die Teilnehmer darauf hin, daß sie gebeten sind, Fragen, die Inhen sofort aufsteigen oder sich hinterher aufdrängen, ihrem Lehrer zu Gehör zu 85uper. Die Fragen können in mündlicher oder schriftlicher Form bei allen Vorlesungen gestellt werden» (RG, 47)151
L’indirizzo è quello anticipato nella contestualizzazione al capitolo, coniugare rigore e affabilità, franchezza e riservatezza. B infatti entra subito in medias res usando termini come «collaborazione» («Zusammarbeit»), «cammino» («Weg»), «esplorare insieme» («gemeinsam zu erkunden») per descrivere i primi passi sulla «religione come presenza» come fenomeno di «presenza vissuta» («gelebte
149 «Il religioso ha necessariamente i caratteri della vitalità e della realtà. Tutto questo assieme
significa, riassumendo, dopo che abbiamo attraversato il circolo delle negazioni e delle confutazioni, presenza assoluta. Come questo sia, ce lo chiederemo a partire da adesso» (PR, 92).
150
«Vi ho già detto che noi adesso, dopo aver esaminato i vari tentativi di fare della religione una funzione di un dominio spirituale, dopo aver messo alla prova e respinto questi tentativi, dobbiamo, per così dire, ricominciare da campo. Dopo aver detto tutti questi “No”, d’ora in avanti porremo la domanda a cui rispondere “Si”» (PR, 93).
151
«In nome del Lehrhaus, ed al tempo stesso anche di colui che parla, il dottor Franz Rosenweig desidera ricordare che i partecipanti sono invitati a porre domande al professore, immediatamente, oppure in un secondo momento. Le domande potranno essere poste in ogni lezione, in forma sia orale che scritta» (RP, 39).
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Gegenwart»), definizione altra rispetto a espressioni, pur tipiche del fatto
religioso, del «ricordo» o della «speranza» («Erinnerung oder Hoffnung»). Una ricerca che abbraccia e supera la dimensione del tempo presente («an diesem
Zeitalter») per validarsi in ogni epoca («an alle Zeit»). L’esigenza di non
circoscrivere l’indagine al tempo presente, seppur da questo muova la domanda, è dovuta a quella parallela di non dover ripetere la validazione dell’assunto di partenza ogni volta per ogni epoca presa in considerazione («jeder Zeit wieder
gestellet → immer neu gestellt»). Questo è il primo aspetto rilevante del primo
paragrafo, che viene declinato in tre punti più specifici: illimitatezza («Inwiefern
ist Religion [...] von keiner anderen begrenzt wird»), incondizionatezza
(«Inwiefern ist Religion unbedingte Wirklichket»), attualità («Inwiefern ist
Religion für jeden gegenwärtig»)152. La prima proprietà si scontra con il vincolo spazio-temporale dell’Augenblick, cioè dell’istante in cui ogni presente diventa passato nell’anima («in der Seele [...] zur Vergangenheit wird»). Questo accade concependo la presenza come dimorante nell’anima; rovesciando invece i fattori del discorso, e concependola come qualcosa in cui l’uomo stesso giace («etwas,
worin der Mensch lebte») e che però resta disponibile al compimento con
l’impegno dell’interiorità («seiner ganzen Innerlichkeit zu erfüllen»), il problema è superabile. La seconda proprietà trova il suo limite nella differenziazione propria delle rispettive realtà, che esattamente differenziandosi mantengono la loro realtà particolare, per cui una realtà incondizionata finirebbe coll’invaderne i confini di queste senza potersi calare in una parte del tutto. B passa allora a definirla come «realtà per eccellenza» che non può essere soppiantata dalle altre. Qui la spiegazione zoppica ai limiti della tautologia. Prendendo a prestito però le modalità dell’argomentazione sulla presentness è possibile superare l’impasse tramite la medesima analogia spaziale. Se infatti il ‘giacere’ invocato prima per la presenza assoluta richiama la condizione di fondamento (Grund) degli istanti susseguentesi nell’anima, la ‘eccellenza’ invocata ora («das schlechtin
Wirkliche») potrebbe richiamare la condizione di supernità (Haupt). Un merismo
dunque.
La terza proprietà va meglio circoscritta. Non si tratta infatti di considerare semplicemente la attualità come presenza continuamente effettiva in sé, che potrebbe forse darsi come corollario delle prime due proprietà, ma in particolar modo ‘per ognuno’ in ogni dove. Ciò che B vuole scongiurare è una concezione
152
Le tre espressioni tedesche sono tradotte così: «In che modo la religione è da nient’altro confinata»; «In che modo la religione è incondizionata realtà»; «In che modo la religione è per ognuno reale» (RP, 41). Non si traducono le frasi precedute immediatamente dall’equivalente italiano.
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elitaria (personale o nazionalista che sia) della presenza, quasi fosse «un monopolio [del] luogo» o un’ulteriore elezione data da uno speciale talento spirituale. Lo spirito a tutti disponibile ne garantisce la prossimità (RG, 48s; RP, 41ss).
A questo punto vengono registrate alcune domande di cui merita dare conto. Due mirano il tema in esame: «Quindi non si è religiosi come si è musicali?» e «Si è religiosi se si è morali?»153. B risponde affermativamente nel primo caso, riconducibile all’eventualità di una presenza discrezionale, elitaria, artistica o spirituale che essa sia: «Esattamente, non è un dono a fianco a un altro dono, che si possiede o no» («Ganz recht, es ist nicht eine Gabe neben andern Gaben, die
man hat oder nicht hat»). Nel secondo caso la risposta è contraria ma articolata in
due tempi. Innanzitutto B rigetta il quesito in sé, rifiutando l’equivalenza tra persona morale («moralisch») e religiosa. Quindi torna sull’argomento precedente per ribadire la contrarietà a una visione esclusiva del religioso come privilegio, in questo caso della persona morale. L’oratore comunque anticipa che il tema sarà trattato diffusamente più avanti. Si chiude il primo paragrafo sulla religione come qualcosa di assoluto («Religion als etwas Absolutes») e comincia il secondo sulla religione come qualcosa di relativo («Religion als etwas Relatives»), secondo la titolazione della Horwitz (RG, 50; RP, 45).
La religione presenta anche l’aspetto inerente di relativizzazione della relazione all’assoluto («Relativierung der Beziehung zum Absoluten»), cioè un necessario condizionamento che la forma storica della religione impone. Nell’epoca contemporanea, già fortemente caratterizzata dal tendere alla relativizzazione, si verifica un particolare tipo di quest’ultima, la «funzionalizzazione» («Funktionalisierung»), cioè la tendenza a rendere la religione dipendente da un’altra grandezza o funzione della realtà complessiva e quindi a svuotarla della propria indipendenza («Unabhängigkeit») a vantaggio «di una delle sfere del cosmo» («einer der Sphären des Kosmos»). Questo unico capoverso è la chiave di tutta la prima parte (RG, 50; RP, 45s).
La prima forza relativizzante individuata da B nel terzo paragrafo della prima lezione, sintetizzato dalla Horwitz nel rapporto tra evoluzione («Entwicklung») e religione, è la biologia, un campo che già a suo tempo era considerato come il più emergente e quindi più ‘avido’ di spazio. Le «concezioni religiose» («religiösen
Konzeptionen») non sarebbero altro, secondo questa tendenza, che una funzione
biologica elaborata da individui o gruppi al fine di conservare e potenziare la
153 «Dann ist man also nicht religiös, wie man musikalish ist?»; «Ist man religiös, wenn man
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propria esistenza, meri mezzi («Mitteln»), per quanto raffinati, nella competizione con i simili. Le stesse concezioni sono addirittura intese come ridotte a finzioni («Fiktionen») fisiologicamente utili alla lotta interspecifica per la vita.
Questo che B definisce senza appello uno scadimento («Degradierung»), coinvolge un attore sin qui poco rappresentato, lo spirito154. Di questo elemento fondamentale vengono offerte definizioni e analogie piuttosto ‘operative’: «costruisce il suo mondo» («baut seine Welt») in cui è «radicato» («wurzelt»), sa di avere radici nel mondo, produce ciò «da cui anche proviene» («woraus er
kommt»), all’interno «di ciò che rivela» («als was er entdekt») e «che trova»
(«als was er findet)». Lo spirito è... «lo spirito che si dispiega solamente nelle forme del divenire cosmico» («nur in diesen Formen das kosmisch gewordenen
Geistes entfaltet») non essendo «un fenomeno di una determinata fase
dell’evoluzione cosmica» («Phänomen einer bestimmen Phase der kosmischen
Evolution»). La definizione più matura nel pensiero buberiano coinciderà con lo
«zwischen», col ‘tra’ della più assestata fase dialogica. Ma questa ontologia ‘di servizio’ basta comunque a riscattare comprensibilmente dalla prigione dello spazio-tempo determinato e del servaggio funzionalista all’evoluzione, oltre a fondare un’affermazione molto forte in un ambito del dibattito pubblico assolutamente attuale:
«sondern Religion ist etwas, was diesem scheinbar so selbstherrlichen Leben das Gesetz zu bestimmen hat, was am Rande des Lebens, im Angesicht des Lebens steht und nicht aus ihm heraus, sondern zu ihm spricht, ihm befiehlt, freilich nicht als etwas, was am Ram stehend außerhalb des Lebens steht, sondern was vor dem Leben steht als etwas, was er zugleich mit umfaßt, und was eben dadurch ihm seine Grenze […] über den hinaus es nicht walten darf»155
Nell’autocontraddizione del biologico fattosi spirituale, assieme e forse prima che nel dilemma vero/falso e nella tensione dimostrabile/credibile, risiede il germe dell’arroganza scientista dei nostri giorni per quanto «finzioni al servizio della vita» («lebensbrauchbar Fiktionen»). B, quasi suo malgrado ironicamente attuale, considerato il desiderio di non legare la propria argomentazione al
154
Più precisamente: ‘zwischen’ (sub 1.1), nervatura del mito (sub 1.2), nucleo dell’ebraismo (sub 1.2), sentimento nazionale (sub 1.3), polarita con la materia (sub 1.3), malattia spirituale (sub 3.2), atteggiamento libero (sub 3.2).
155 «[...] al contrario, la religione è qualcosa che deve determinare le leggi per questa vita
biologica, in apparenza così autocratica; la religione sta al confine con la vita, faccia a faccia con la vita; non parla della vita, ma alla vita, ne è capo, ma non come qualcosa che ne sta fuori, bensì come qualcosa che sta prima, come qualcosa che, nello stesso tempo, la comprende, e che, proprio in questo modo, può determinare quei limiti [...] oltre i quali la vita non può esercitare [FF: estendere] il suo potere» (RG, 52; RP, 48).
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presente, oppone la constatazione epistemologica dell’impossibile riduzione ontologica del dato scientifico (RG, 51s; RP 46ss).
Il quarto paragrafo tratta un tema che non poche volte ha fatto capolino nel primo capitolo, il nazionalismo in relazione alla religione. Probabile che questo nuovo frangente sia stata l’occasione per ripensare l’avvicinamente al movimento
Völkisch ad inizio secolo, pur con tutti i distinguo già espressi. L’assenza di
riferimenti a quel tratto della propria formazione e prima militanza politico- culturale potrebbe rispondere tanto allo stile didattico quanto ad un imbarazzo retrospettivo (contra Huston, 195). Per la prima volta vengono citati due autori e le loro posizioni in merito, Feuerbach e Dostoevskij. Per il primo, autore prediletto del giovane B, si tratta della nota proiezione («Proiektion») antropologica delle proprie particolarità che un gruppo addosserebbe alla divinità. Per il secondo (ne I demoni) i popoli avrebbero il proprio Dio, combattendo con assoluta intolleranza e devozione incondizionata («unbedingten Hingabe») per il quale mostrerebbero la loro vitalità («Lebensfülle»). In questo caso la relativizzazione di matrice sociale della religione comporta da una parte una «terribile limitazione dell’uomo» («furchtbare Begrenzung des Menschen»), dall’altra una speculare «assolutizzazione del gruppo sociale» («Verabsolutisierung der sozialen Gruppe»). A sua volta lo spirito non può permanere in gruppi assoluti incomunicabili tra loro e in lotta perenne (RG, 52s; RP, 48ss)156. Sorgono a questo punto due domande: «[...] la religiosità si impone al posto della religiosità?» («für Religiosität Religion gesetzt wird?»); «Arriviamo quindi allo stesso punto di poco fa col biologismo» («Wir erreichen also dasselbe
als vorhin beim Biologismus?»). Le risposte sono entrambe cautamente negative
perché innegabilmente vi sono elementi di correttezza e coerenza in questi quesiti- ipotesi:
«Avete ragione, c’è del resto un parallelismo. Ma lo stesso risulta altrettanto vero, prima ancora, per le altre sfere, di cui devo ancora parlarvi». «Sie haben recht, das ist in
der Tate in parallelismus. Aber dasselbe wird wohl auch zunächst für anderen Spären zutreffen, von denen ich zu sprechen habe» (RG, 55; RP, 52)
156 «[...] la potenza divina non va sottratta al nostro mondo quotidiano, ma va pensata come una
presenza che compenetra la nostra esperienza del mondo, specialmente nella peculiare dialettica tra opposti esistenziali, come «disgrazia e felicità», «disperazione e fiducia», «annientamento e rinnovamento» (Perfetti, 416; virgolettato da Religione e realtà, titolo del primo capitolo del
Gottesfinsternis, in ED, 33). Questo commento, che peraltro ci rinvia al capitolo seguente,
chiarisce ulteriormente come le potenze spirituali agiscano non direttamente tra i gruppi in competizione ma piuttosto nelle dinamiche interiori dell’esperienza vitale.
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Tuttavia al primo quesito la risposta verte sulla differenza qualitativa delle relativizzazioni subite/inerenti dalla religiosità che intercorrono tra quest’ultimo riduzionismo sociale e quella indispensabile in religione157. Tale necessaria relativizzazione è condizione di possibilità della connessione («Zusammenhang») tra gli uomini, pena la incomunicabilità del religioso lungo le generazioni. Quella contro cui B difende il proprium religioso tende invece a ridurre la religione come «nient’altro che una funzione della vita sociale» («nichts anderes [...] als eine
Funktion des Gesellschaftslebens»). La risposta al secondo dubbio di un
partecipante si esaurisce in due battute, dove B rimarca la differenza tra punto di vista biologico e nazionalistico come quella che intercorre tra universale – «la vita stessa che si afferma» («das Leben selbst, das sich behauptet») ‒ e individualistico (RG, 55; RP, 52).
Il titolo editoriale scelto per l’ultimo paragrafo del testo della prima lezione è
Cultura e religione («Kultur und Religion»). Anche qui l’argomentazione parte
dall’incontro con un riferimento culturale centrale a quell’epoca, cui B è personalmente vicino158, la filosofia organicistica della storia di Spengler citata nell’introduzione. Ogni cultura nasce, si sviluppa e muore come un organismo e