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Hermann von Helmholtz: il principio della conservazione della

Capitolo 2. Il tempo ovvero il divenire

2.2. Eraclito precursore delle teorie della scienza moderna

2.2.1. Hermann von Helmholtz: il principio della conservazione della

Hermann von Helmholtz, figura di primo piano nel panorama scientifico- culturale del XIX secolo, in una memoria del 1847 (Über die Erhaltung der

119 KGB I/2, Brief an Hermann Mushacke, November 1866. Cf. anche Brief an Carl von

Gersdorff, 16. Februar 1868: “Se hai voglia di documentari fino in fondo sul movimento

materialista dei nostri giorni, sulle scienze naturali e sulle loro teorie darwiniane, i loro sistemi cosmologici, la loro camera oscura animata, ma anche sul materialismo etico, sulla teoria di Manchester eccetera, non ho nulla di più insigne da consigliarti se non la storia del

materialismo di Friedrich Albert Lange: è un libro che dà infinitamente di più di quanto

prometta nel titolo e che non ci si stanca di riguardare e di consultare, come un vero tesoro. […] Mi sono fermamente proposto di fare la conoscenza di quest’uomo e, in segno della mia gratitudine, voglio inviargli il mio saggio su Democrito”.

120 H. HELMHOLTZ, Über die Welchselwirkung der Naturkräfte und die darauf bezüglichen

neuesten Ermittelungen der Physik, tenuta a Königsberg il 7 febbraio 1854 per invito della Physikalisch-ökonomische Gesellschaft, tr. it. in Opere, (a cura di) V. Cappelletti, Utet, Torino

1967. Cf. PP, op. cit., p. 149.

121 LIEBMANN, Zur Analysis der Wirklichkeit. Eine Erörterung der Grundprobleme der

Philosophie, Straβburg, 1900, p. 403; O. CASPARI, Die Thomson’sche philosophische Gesichtspunkte, Stuttgart, 1874, pp. 23-24.

Kraft)122 aveva formulato il principio della conservazione della forza. Egli è “unanimemente riconosciuto come il punto terminale nel processo di elaborazione del principio di conservazione dell’energia”123, ossia del primo principio della termodinamica, una disciplina che prendeva forma, in quegli anni, grazie al concorso di numerosi scienziati. Helmholtz considera immutabile la quantità di forza contenuta nell’universo, dividendola in “forza di tensione” (Spannkraft) e in “forza viva” (lebendige Kraft), reciprocamente convertibili:

La perdita della forza di tensione è sempre uguale all’acquisto di forza viva, e l’acquisto della prima è uguale alla perdita della seconda. La somma

delle forze vive e di tensione, che sono presenti, è sempre constante. In

questa forma affatto generale, possiamo definire la nostra legge come il

principio della conservazione della forza.

Nella conferenza del 1854, Über die Welchselwirkung der Naturkräfte, egli interpreta la scoperta delle leggi della termodinamica come il passo definitivo nel processo di esclusione dalla fisica del concetto di perpetuum mobile. Quest’ultimo implicherebbe la violazione dei principi della termodinamica, i quali insegnano che è impossibile costruire un motore che lavori continuamente e che produca dal nulla lavoro o energia cinetica. Il moto perpetuo sarebbe possibile solo se una macchina fosse capace di produrre in uscita una quantità di energia maggiore di quella che consuma, di modo che, una volta avviata, funzionerebbe autoalimentandosi; in alternativa, dovrebbe essere possibile realizzare un dispositivo in grado di convertire interamente il calore estratto da una sola sorgente a temperatura costante in lavoro.

122 H. HELMHOLTZ, Über die Erhaltung der Kraft, Berlin 1847, tr. it., in Opere, (a cura di)

V. Cappelletti, Utet, Torino 1967, pp. 49-116.

123

Cf. P. D’IORIO, La linea e il circolo, cit., p. 60, a cui rimando per un approfondimento do questo tema.

Secondo Helmholtz,

risulta che la natura possiede un deposito di forza attiva, che in nessun caso può essere aumentato o diminuito, e che la quantità della forza attiva nella natura inorganica è immutabile così come la quantità di materia. Io ho chiamato principio di conservazione della forza la legge generale espressa in questa forma124.

Tuttavia, ciò non significa che la forza lavorativa prodotta sia “ulteriormente fruibile a scopi umani”. Egli perviene dunque alle stesse conseguenze che Thomson aveva tratto dai principi di Carnot125, cioè alla dissipazione dell’energia. In ogni movimento di corpi terrestri,

la prima parte del deposito di forza, quella consistente in calore non trasformabile, aumenta continuamente con ogni processo naturale; la seconda parte, ossia le forze meccaniche, elettriche e chimiche, diminuisce continuamente: e, se l’universo è lasciato in balia del decorso dei suoi processi fisici senza l’intervento di azioni esterne, alla fine tutto il contenuto di forza dovrà passare in calore, e tutto il calore distribuirsi in equilibrio termico126.

Helmholtz evidenziava le conseguenze derivanti da un’applicazione cosmologica dei principi della termodinamica. Il tono divulgativo dei suoi

124

H. HELMHOLTZ, Über die Welchselwirkung der Naturkräfte, cit., p. 229.

125 William Thomson viene considerato, insieme a Rudolf Clausius, il padre della

termodinamica. Partendo dai risultati degli esperimenti di Sadi Carnot, egli aveva formulato i due principi che stanno alla base della termodinamica, intuendo l’universale irreversibilità dei fenomeni naturali ed esprimendola con il principio di dissipazione dell’energia. Rimando allo studio di P. D’IORIO, La linea e il circolo, cit., per uno studio approfondito del dibattito scientifico su questo tema e delle sue conseguenze filosofiche. Torneremo comunque sul dibattito scientifico-cosmologico nell’ultima parte del nostro lavoro.

scritti fa di quest’autore il riferimento principale di coloro che si occuparono della questione cosmologica.

Nel capitolo delle lezioni dedicato a Eraclito, Nietzsche cita un passaggio della conferenza del 1854 a dimostrazione del divenire eterno a cui è sottoposta la natura. Tutte le cose, le grandi come le piccole, sono destinate a “passare”. Un giorno o l’altro, anche il nostro mondo scomparirà. Il calore del sole non può durare per sempre127.

Una volta o l’altra il nostro mondo terrestre, per motivi congeniti, deve necessariamente perire. Il calore del sole non può durare eternamente. Non è pensabile l’esistenza di un movimento che produca calore senza che siano consumate altre forze. Si può costruire ogni ipotesi sulla natura del calore solare, ma si giungerà sempre alla conclusione che la fonte del calore è finita. Nel corso di epoche immense, l’intera immensa durata della luce solare e del calore deve esaurirsi completamente. Helmholtz dice nella sua dissertazione sull’azione reciproca delle forze naturali: “Giungiamo all’inevitabile conclusione che ogni flusso e riflusso, se pur infinitamente lento, riduce in modo continuo la riserva di forza meccanica del sistema, di

127

Cf. ZM, cit., p. 69. Sul significato del fuoco nel discorso di Eraclito e sulle sua interpretazioni, vedi in particolare la nota 34 a p. 70. In linea generale, si oppongono un’interpretazione sostanzialista che, leggendo alla lettera il testo del frammento, vede nel fuoco la sostanza di cui è fatto il mondo; e una energetica, che interpreta il fuoco come simbolo della vitalità del cosmo, quindi come forza del divenire. Negli stessi termini il problema si estende a tutta la fisica ionica. Unendo questi due punti di visti si è osservato che il fuoco non è solo un’immagine del mondo, ma la reale sostanza cosmica, in cui si fa più intuitiva la forza vitale del cosmo, cosicché Eraclito diventerebbe un fisico, anticipatore della dottrina di R. Mayer sull’unità dell’energia in tutti i cambiamenti dei suoi fenomeni. Cf. K. JOEL, Gesch. d.

ant. Philos., 1921, p. 293 e H. GOMPERZ, Heraclitus, in Philos. Studies, Boston 1953, p. 93.

Modernamente l’interpretazione di Eraclito come “fisico” è generalmente abbandonata. L’opposizione più decisa viene da K. Reinhardt, che tentava di invertire il rapporto di successione e dipendenza tra Eraclito e Parmenide. Secondo Reinhardt, “la dottrina del flusso come dottrina di Eraclito è solo un fraintendimento che proviene dal sempre ricorrente paragone del fiume… L’idea fondamentale di Eraclito costituisce invece nella più decisa opposizione pensabile alla dottrina del flusso, cioè la permanenza nel cambiamento”. Cf. REINHARDT, Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Bonn 1916, p. 206 e sgg. Cf. nota 18, di Mondolfo su I frammenti del fiume e il flusso universale in Eraclito, in ZM, cit., pp. 47-48. Mutamento e permanenza si presentano insieme nella loro opposizione, come cifra di tutta la realtà, a ogni suo livello. A livello dell’arché, il fuoco permane eternamente attraverso le incessanti τροπαί, e il perdurare temporaneo delle cose singole si fonda sulla loro incessante trasformazione

modo che la rotazione dei pianeti sul proprio asse deve rallentare e questi devono avvicinarsi al sole o ai loro satelliti”128.

Per Nietzsche, non ci si può affidare all’esattezza della nostra scala temporale astronomica. Anche i corpi celesti sono sottoposti alla legge del divenire, nonostante ci appaiano immobili nella loro lontananza. E’ questa la grande scoperta di Eraclito: l’essere non esiste, niente esiste di cui si possa dire “esso è”. Tutto ciò che diviene è in continua trasformazione. La legge (λόγος) di questa trasformazione è il fuoco (το πυρ). L’uno, che è in divenire, è legge a se stesso129.

In realtà Helmholtz accetta come inevitabile l’ipotesi thomsoniana della morte termica dell’universo, vale a dire della fine di ogni movimento e di ogni processo naturale. Si tratta cioè di un’ipotesi non conciliabile con il divenire eracliteo dell’interpretazione nietzscheana. Ciò che interessa Nietzsche è l’idea che tutto, anche le cose che sembrano eternamente immobili, come gli astri, sono sottoposti al divenire. Il divenire governa “le cose grandi come le piccole”, tanto le stelle quanto gli atomi, tutta la realtà, al di là del nostro campo percettivo.