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La falsa maschera di Schopenhauer L’interpretazione del tempo

Capitolo 2. Il tempo ovvero il divenire

2.1. La falsa maschera di Schopenhauer L’interpretazione del tempo

greci

Ne La filosofia nell’epoca tragica dei greci, la concezione del tempo eraclitea è tradotta in termini metafisici e assimilata a quella schopenhaueriana. Il pensatore tedesco valorizza nel filosofo greco un tipo di conoscenza intuitiva sul modello della distinzione operata da Schopenhauer nelle prime pagine de Il

mondo come volontà e rappresentazione. Per Nietzsche, Eraclito si mostra

freddo e ostile alle rappresentazioni che vengono dai concetti e dalle concatenazioni logiche, ma possiede una grande forza intuitiva. Nella rappresentazione intuitiva rientrano due cose: il mondo immediato, variopinto e mutevole, e le condizioni che rendono possibile la sua rappresentazione, ossia spazio e tempo. Questi ultimi possono essere intuiti in modo puro, in sé, indipendentemente dall’esperienza.

Eraclito, orbene, considerando a questo modo il tempo, a prescindere da ogni esperienza, trovava in esso il più istruttivo monogramma di tutto

ciò che può cadere nel campo della rappresentazione intuitiva. Il suo modo di conoscere il tempo è uguale, per esempio, al modo di conoscerlo di Schopenhauer94.

Per il filosofo del Mondo, il tempo è composto da una successione continua di istanti, ciascuno dei quali esiste grazie a quello che lo precede. L’apparizione di uno coincide con la morte dell’altro. Tutto quello che è nel tempo e nello spazio ha una un’esistenza relativa, esiste solo grazie a qualcos’altro che ha la stessa consistenza.

In questa prospettiva, l’intuizione pura del tempo svelerebbe l’essenziale relatività della realtà. Si tratta di una verità intuitiva che tutti possono conoscere. Lo stesso Schopenhauer suggeriva un accostamento a Eraclito:

Il contenuto essenziale di questo pensiero non è nuovo. E’ il punto di vista in cui si collocarono: Eraclito, quando costatava con tristezza l’eterno fluire delle cose; Platone, quando abbassava la dignità dell’oggetto che sempre diviene, senza mai possedere stabile realtà; Spinoza, quando riduceva le cose a puri accidenti di un’unica sostanza, che sola esiste e permane costante; Kant, quando opponeva, sotto il nome di puro fenomeno, l’oggetto della conoscenza alla cosa in sé; infine l’antica saggezza indiana”95.

Secondo Nietzsche, Eraclito ne trae la conseguenza più logica: l’essenza della realtà, il suo essere, si riduce a un agire. “Anche questo è stato spiegato da Schopenhauer”, che elogiava la precisione del termine tedesco: Wirklichkeit, derivato da wirken (agire), piuttosto che Realität, utile ad indicare l’insieme degli elementi materiali96.

94 PHG, cit., p. 164. 95

SCHOPENHAUER, Mondo, I, § 3, cit., p. 44.

Tuttavia, il riferimento a Schopenhauer è inesatto. Quest’ultimo manteneva una sorta di idealismo trascendentale, se pur diverso da quello kantiano. Se è vero che il mondo si manifesta sotto la forma di spazio, tempo e casualità, non si deve dimenticare che il mondo reale è mondo della rappresentazione e che

la casualità non esiste se non nell’intelletto e per l’intelletto: quindi il mondo reale, cioè attivo, è sempre, come tale, condizionato dall’intelletto […] è infatti impossibile pensare senza contraddizione un oggetto senza un soggetto. Tutto il mondo materiale è e resta rappresentazione, e quindi rimane sempre sotto la condizione assoluta del soggetto, ovvero possiede una sua idealità trascendentale97.

E così,

fuori dalla conoscenza non ci fu nessun tempo […] essendo la forma più generale della conoscenza, in cui si dispongono tutti i fenomeni secondo l’ordine della legge causale, dovrà esistere anch’esso, con la sua bilaterale infinità, sin dal primo fatto di conoscenza98.

Come sottolinea Paolo D’Iorio99, seguita rigorosamente la concezione schopenhaueriana conduce alla negazione del divenire, non della permanenza. Il filosofo del Mondo aveva dimostrato l’impossibilità dell’esistenza di una serie infinita al di fuori della rappresentazione del soggetto. Se la serie causale ci appare infinita non dipende dalla conformazione delle cose stesse. Qualcosa che esiste non può essere infinito. E’ la struttura cognitiva del soggetto che vede come illimitato e sottoposto a movimento ciò che, in realtà, è immobile e

97 Ivi, p. 51. 98 Ivi, p. 68. 99

P. D’IORIO, La superstition des philosophes critiques. Nietzsche et Afrikan Spir, in Nietzsche-Studien, Band 22. 1993, de Gruyter, pp. 257-294, p. 265.

atemporale. L’infinito non può sussistere in sé ma solo in una serie infinita di rappresentazioni successive.

Infatti al concetto di una serie infinita contraddice appunto che essa sia interamente data, essendo essenziale l’esistere sempre e solo in relazione al suo scorrere estendendosi; non indipendentemente da questo. […] Infatti la infinità della serie […] può solo esistere in quanto il regresso viene effettuato, non indipendentemente da questo. Come cioè l’oggetto in generale presuppone il soggetto, così anche l’oggetto determinato come una catena infinita di condizioni presuppone necessariamente nel soggetto il modo di conoscenza che gli è corrispondente, cioè il continuo seguire i membri di quella catena100.

Nietzsche stesso attribuiva a Parmenide, l’avversario del divenire, un ragionamento simile a quello di Schopenhauer: una infinità non può esistere, perché ne risulterebbe la contraddizione di un’infinità compiuta.

Ora, in quanto la nostra realtà, cioè il nostro mondo concreto, porta ovunque il carattere di quell’infinità compiuta, essa allora costituisce nella sua essenza una contraddizione rispetto alla sfera logica e quindi anche rispetto alla sfera reale, ed è perciò inganno, menzogna, fantasma101.

Tale ragionamento si basa sulla fede incondizionata nel potere di verità della logica. Un’obiezione possibile all’immobilismo degli eleati, sarebbe affermare che anche la ragione, come i sensi, è sottoposta allo stesso processo. Il pensiero è anch’esso movimento, passaggio da un concetto all’altro. Questo testimonia la realtà del cambiamento in generale. In caso contrario, saremmo

100 SCHOPENHAUER, Mondo, p. 539. Aristotele, a cui Schopenhauer si riferisce poco più

avanti, aveva già dimostrato che un infinito non può mai essere actu, ma solo potentia. Cf. ARISTOTELE, Fisica III, § 5, 204a 22 e § 6, 206a 13; Metafisica, K, 10.

costretti a sostenere che il nostro mondo interiore, il nostro pensiero, è un’illusione, qualche cosa che non esiste al pari del mondo esteriore. In ogni caso, non si è autorizzati a condannare i sensi in nome della ragione: entrambi sono sottoposti agli stessi paradossi. Nietzsche riconduce così all’assurdo la negazione parmenidea del movimento102.

Ispirato dalla lettura di Denken und Wirklichkeit di A. Spir, nella parte dedicata all’Eleata, Nietzsche concepisce il tempo come qualcosa di reale. La tesi kantiana della soggettività del tempo viene rifiutata e, al suo posto, viene riportata una citazione da Spir secondo cui la successione ha una realtà oggettiva.

Questa serie di riflessioni si inserisce storicamente all’interno dell’ampia discussione intorno alla prima delle quattro antinomie della ragion pura. Nel corso del XIX secolo, in seguito alla formulazione dei primi due principi della termodinamica grazie al concorso di numerosi scienziati (dagli esperimenti di S. Carnot agli scritti di J. R. Mayer, J. J. Joule, H. Helmholtz, W. Thomson, M. Rankine e R. Clausius)103, si accende un dibattito scientifico-filosofico sullo statuto del tempo.

Nella “Dialettica trascendentale”, Kant esponeva il primo conflitto delle idee trascendentali che, alla tesi: “il mondo ha un inizio nel tempo e, rispetto allo spazio, è chiuso entro limiti”, contrappone l’antitesi: “il mondo non ha un inizio né limiti nello spazio, ma è infinito così rispetto al tempo come rispetto

102

Per confutare l’immobilismo degli eleati, Nietzsche utilizza gli argomenti che Afrikan Spir aveva diretto contro il trascendentalismo kantiano, in A. A. SPIR, Denken und Wirklichkeit,

Versuch einer Erneuerung der kritischen Philosophie, Leipzig, Findel 1873. Sulla lettura del

filosofo ucraino da parte di Nietzsche e sull’influenza da essa esercitata sul pensiero nietzscheano, cf. P. D’IORIO, La superstition des philosophes critiques. Nietzsche et Afrikan

Spir, citato sopra.

103 Torneremo nella seconda parte del nostro lavoro su alcuni di questi autori e, in generale,

sulla nascita della termodinamica e sul dibattito cosmologico da questa generato. Segnaliamo sin da ora il testo di riferimento per eventuali approfondimenti: P. D’IORIO, La linea e il

allo spazio”104. Per ognuna di queste affermazioni, l’autore offriva una dimostrazione inoppugnabile. La soluzione dell’antinomia era riconoscere la sua non-sussistenza: entrambe le affermazioni sono limitate in quanto esprimono un punto di vista fenomenico. La “Dialettica trascendentale” è il luogo della ragion pura in cui vengono esposte le contraddizioni a cui va incontro colui che voglia estendere il potere della ragione oltre i suoi limiti.

Schopenhauer rifiuta il conflitto delle idee cosmologiche e afferma l’illimitatezza spazio-temporale del mondo fenomenico. In altre parole, accetta come vera l’antitesi del sillogismo kantiano, dimostrando la falsità della tesi. L’infinità del tempo riguarda il fenomeno, vale a dire che è un’illusione prodotta dalla nostra capacità percettiva. “Idealità trascendentale del fenomeno” significa che il movimento e la molteplicità non hanno realtà assoluta, ma dipendono interamente dalle forme d’intuizione del soggetto.

Se si potessero abolire quelle forme della conoscenza, togliendole come un cristallo da un caleidoscopio, ci comparirebbe dinnanzi piuttosto, con nostra meraviglia, come qualcosa di unico, stabile, immortale, immutabile, e nonostante tutte le trasformazioni apparenti forse identico sin nelle più particolari determinazioni105.

In questa prospettiva, il filosofo di Danzica giunge ad una visione radicalmente astorica e antiprogressista. La sua critica alla filosofia hegeliana si fonda sulla convinzione che sia impossibile fare una filosofia della storia. Tutto ciò che esiste è immortale ed eternamente compresente. Se sembra svolgersi nel tempo, ciò è dovuto alla conformazione fisica dei nostri organi

104 Cf. I. KANT, Prolegomeni a ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, tr. it. di

P. Carabellese, Laterza, Bari 1982 e Critica della ragion pura, Laterza,Bari 2000, “Dialettica trascendentale”, cap. II, Sezione Seconda, p. 290 ss.

percettivi106. L’argomento utilizzato da Schopenhauer per dimostrare l’infondatezza della teoria di un’evoluzione progressiva dell’umanità, è quello dell’infinità trascorsa: se il divenire nascondesse uno scopo esso sarebbe già stato raggiunto nel tempo infinito trascorso fino ad oggi.

Noi siamo dell’avviso che da una filosofica cognizione del mondo sia oltre ogni misura lontano chi pensi di poterne cogliere l’essenza, e sia pur sotto i più bei trucchi, storicamente. E questo è il caso non appena nel concetto che costui ha del mondo in sé, venga a trovarsi un qualsiasi divenire, o esser divenuto, o esser per divenire; e un prima e poi acquisti la pur minima importanza, e quindi in modo palese o nascosto si cerchi e si trovi un principio e una fine del mondo, e una via da quello a questa. […] Tutte cose le quali si tolgono di mezzo con l’osservare, che essendo un’eternità intera, ossia un tempo infinito, già trascorsa fino all’attimo presente, tutto quel che può e deve accadere deve anche essere già accaduto

107

.

Tuttavia, dobbiamo ricordare che in un passo de La volontà nella natura, Schopenhauer metteva in guardia contro l’ipotesi di uno stato finale dell’universo. Egli rifiuta quindi la cessazione del movimento, che è la forma d’essere del mondo fenomenico. La volontà eterna gioca con se stessa individualizzandosi nelle forme più diverse, attraverso il tempo e lo spazio:

106

“Il continuo nascere di nuovi esseri e l’annullarsi di quelli esistenti dev’essere considerato come un’illusione, determinata dall’apparato delle due lenti polite (funzioni del cervello), mediante le quali soltanto siamo in grado di vedere qualcosa: esse si chiamano spazio e tempo, e nella loro compenetrazione reciproca si chiamano causalità”. SCHOPENHAUER, Parerga, vol. II, § 136, cit., p. 354.

107 SCHOPENHAUER, Mondo, § 53, op. cit. Cf. anche Supplementi, cit., cap. 17, p. 191: “Alla

teoria spesso ripetuta, di un’evoluzione progressiva dell’umanità o di una perfezione sempre più alta, e in generale di un qualsiasi svolgimento mediante il processo del mondo, si oppone la cognizione a priori, che fino a ciascun dato momento è già trascorso un tempo infinito, per conseguenza tutto ciò che aveva da venire con il tempo, dovrebbe già esistere”.

Da nessuna parte, su nessun pianeta o satellite, la materia perverrà alla condizione di quiete senza fine, ma le forze che dimorano dentro di essa (cioè la volontà, di cui è semplice visibilità) porranno sempre e novellamente termine allo stato di quiete che sia sopravvenuto, risvegliandosi sempre e novellamente dal loro sonno, per ricominciare da capo il loro giuoco come forze meccaniche, fisiche, chimiche, organiche, poiché esse non ne aspettano ogni volta che l’occasione108.

Nietzsche si appropria della filosofia schopenhaueriana, la incorpora e ne modifica il senso alla luce delle proprie convinzioni. Il pensatore tedesco elabora una propria concezione per cui il tempo non è soltanto la condizione soggettiva dell’esperienza, come era per il filosofo Mondo, ma il modo in cui governa il fanciullo eracliteo. Il tempo, identificato con il gioco di Dioniso, comincia a imporsi, agli occhi del giovane Nietzsche, come il principio stesso del mondo.