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Capitolo 1. Eraclito come modello

1.2. Il riformatore della cultura

1.2.1. Il Tiresia accecato

Per spiegare il tipo di conoscenza propria di Eraclito, Nietzsche utilizza l’immagine del “Tiresia accecato”, celebre veggente dell’antica Grecia.

68 CV III, cit., p. 97. Cf. OFN III/3, FP 19[180] 1872-1873: “I fondamenti di tutto ciò che è

grande e vitale poggiano sull’illusione. Il pathos della verità conduce alla rovina. (Qui sta la “grandezza”). Soprattutto conduce alla rovina della civiltà.” “Platone ha bisogno della menzogna per lo stato.”

69 Cf. PP, pp. 82-83, op. cit. Cf. anche PHG, cit., pp. 147-148.; OFN III/3, FP 19[117] 1872-

1873 e 14[28] 1871-1872: “Le concezioni originali di questi filosofi sono le visioni più elevate e più pure che mai siano state raggiunte. Questi uomini sono vere e proprie incarnazioni della filosofia e delle sue diverse forme”.

Eraclito è “il Tiresia accecato” che trova i segreti dell’essere attraverso l’indagine di sé. Il suo carattere è come un demone, la cui rivelazione coincide con la conoscenza del mondo.

Nietzsche riprende l’immagine del veggente cieco da uno scritto di Wagner del 1870, dedicato alla celebrazione del centenario della nascita del “grande Beethoven”, in cui il compositore sviluppava una nuova teoria del dramma musicale fondata sulla metafisica schopenhaueriana70. Basandosi su alcune

riflessioni di Schopenhauer, Wagner valorizzava l’interiorità come via d’accesso alla conoscenza dell’essenza del mondo da parte del genio. La presentazione di Beethoven culminava nel paragone con Tiresia, “il veggente cieco”:

A Tiresia, a cui si è chiuso il mondo dei fenomeni, cui però l’occhio interiore rivela il fondamento di tutti i fenomeni, assomiglia ora il musicista sordo che, senza essere frastornato dai rumori della vita , ascolta soltanto le armonie della mente e delle sue profondità parla soltanto a quel mondo che […] non ha più nulla da dirgli. Così il genio è liberato da tutto quanto è fuori di lui, così è tutto presente a se stesso71.

Nei Supplementi al Mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer aveva sviluppato una “metafisica della musica”, dove quest’arte era definita “il linguaggio universale capace di sperimentare un contatto diretto con il fondo della realtà”72. Per Schopenhauer, la conoscenza delle “relazioni” è conoscenza del fenomeno. Solo grazie al fatto che ogni soggetto conoscente è

70 R. WAGNER, Beethoven, in Ricordi Battagli Visioni, R. Ricciardi Ed., Milano-Napoli, pp.

225-293. Questo scritto si inseriva nel vasto programma di riforma della cultura tedesca: con questo “saggio di filosofia della musica […] l’autore spera che il lavoro stesso consenta alla commossa anima tedesca di stabilire anche con la profondità dello spirito tedesco un contatto più intimo di quello che ha luogo nel consueto uguale andamento della vita nazionale”. Ivi, p. 225.

71

Ivi, p. 257.

anche individuo, vale a dire “corpo”, ha accesso alla vera conoscenza della natura. L’autocoscienza svela il fondo che si nasconde dietro le diverse forme del fenomeno73.

Per via della conoscenza obiettiva, ossia partendo dalla

rappresentazione, non si giungerà mai fuori dalla rappresentazione, cioè dal

fenomeno, si resterà quindi all’esterno delle cose […]. Fin qui io sono d’accordo con Kant. Ora però io, come contrappeso di questa verità, ho messo su l’altra, che noi non soltanto siamo il soggetto conoscente, ma apparteniamo d’altro lato noi stessi all’essere da conoscere, siamo noi stessi

la cosa in sé; che quindi per quella stessa propria e intima essenza delle

cose, nella quale non possiamo penetrare dall’esterno, ci sta aperta una via

dall’interno, quasi un camminamento sotterraneo, un collegamento segreto,

che d’un tratto, come a tradimento, ci introduce nella fortezza che era impossibile prendere d’assalto da fuori74.

Così, scrive Wagner,

proprio questa vita interiore ci fa direttamente affini all’intera natura e quindi partecipi dell’essenza delle cose, in maniere che le forme della conoscenza esteriore, cioè tempo e spazio, non possono più trovarvi applicazione75.

La musica esprime un’idea del mondo, “poiché colui che sapesse chiarirla interamente in concetti presenterebbe ad un tempo una filosofia capace di

73

Cf. WAGNER, Beethoven, cit., p. 231 e SCHOPENHAUER, Parerga I, cit., p. 294: “quella forza nascosta, dominante perfino gli influssi esterni, può avere alla fine la sua radice soltanto nella nostra vera e segreta intimità, dal momento che l’alfa e l’omega di ogni esistenza sono racchiusi in estrema analisi in noi stessi”.

74

SCHOPENHAUER, Supplementi, cap. XVIII, pp. 201-202.

spiegare il mondo”76. Secondo questa prospettiva, il musicista diventa il portavoce dell’in sé delle cose, il “ventriloquo d’Iddio”, colui che conosce immediatamente la verità, grazie alle doti artistiche che gli appartengono. L’attività del musicista è paragonabile a quella del sogno o della visione:

[…] dobbiamo supporre come vero e proprio organo adatto, similmente all’organo del sogno, una facoltà cerebrale con la quale il musicista percepisce anzitutto l’interiore “in sé”, precluso ad ogni conoscenza, una specie di occhio volto all’interno che, volto all’esterno, diventa udito77.

Il supporto filosofico di queste ultime considerazioni è ancora Schopenhauer. Nel Saggio sulle visione di spiriti e su quanto vi è connesso dei

Parerga78, il filosofo analizzava il fenomeno della chiaroveggenza da un punto di vista fisiologico. Tale fenomeno veniva messo in connessione con le visioni del sogno. Wagner tralascia tutta l’argomentazione fisiologica, ma richiama l’ipotesi dell’esistenza di uno specifico “organo del sogno” a sostegno del proprio discorso:

Schopenhauer ci è buona guida con la sua ipotesi del sogno che vi è fondata. In quel fenomeno, infatti, la coscienza rivolta all’interno giunge a una reale chiaroveggenza, vale a dire alla facoltà di vedere dove la nostra coscienza sveglia e rivolta al giorno sente soltanto oscuramente il potente sostrato dei nostri affetti volitivi; da questa notte, invece, anche il suono entra nella percezione realmente desta, come diretta manifestazione della volontà79.

76 Ivi, cit., p. 230. 77 Ivi, p. 243. 78

Cf. SCHOPENHAUER, Parerga I, pp. 309-420. Cf. anche Mondo, § 52.

Il musicista del Beethoven è capace del “sogno vero” e la sua attività “si avvicina, come il secondo sogno, il sogno allegorico, alle rappresentazioni del cervello sveglio che con esse è in grado di fermare la visione del sogno”80. L’occhio divenuto cieco si libera dall’inganno della conoscenza fenomenica. A questo si sostituisce un’altro organo, un occhio interiore, capace di una visione autentica dell’essenza del mondo.

Ritroviamo lo stesso tipo di simbolismo in vari luoghi dell’antichità, ad esempio nella vicenda di Edipo: egli cerca l’assassino del re al di fuori, ma poi lo trova dentro si sé e si scopre profanatore della propria madre. Allora si cava gli occhi, annullando la “verità” dei sensi e la luce del giorno e, per la prima volta vede veramente ciò che è.

Nietzsche paragona Eraclito al genio schopenhaueriano e al musicista wagneriano che, attraversando con lo sguardo la propria interiorità, arrivano direttamente in contatto con l’essenza metafisica del mondo81:

Il suo occhio fiammeggiante, rivolto all’interno, guarda solo apparentemente, spento e glaciale, verso l’esterno82.

Il Beethoven di Wagner, come il genio schopenhaueriano, “esprime la sua più alta sapienza in un linguaggio che la sua ragione non intende”. Allo stesso modo, l’Eraclito di Nietzsche indaga se stesso come un enigma che deve essere interpretato: “Tentai di decifrare me stesso”83…

Nel suo isolamento, Beethoven crea un mondo intorno a sé. Egli “rappresenta il fuoco dei raggi luminosi di quel mondo miracoloso che emana da lui”.

80

Ivi, p. 140. Cf. SCHOPENHAUER, Parerga I, cit., p. 304: “Ciò che è sognato da quell’unico essere, è certo un grande sogno, tale però che tutti i suoi personaggi lo possono sognare insieme a lui”.

81 PP, cit., p. 23. 82

PHG, cit., p. 177. Cf. anche CV I, cit., p. 86.

Il suo occhio quasi paurosamente acuto non percepiva nel mondo esterno altro che modesti disturbi del suo mondo interiore, e si può dire che il suo unico rapporto con questo mondo consistesse nel tener lontani quei disturbi84.

L’immagine di Beethoven dipenda da Wagner contiene non pochi punti di contatto con l’interpretazione nietzscheana di Eraclito. Il compositore tedesco sostiene che “non è possibile fermare l’attenzione sull’uomo Beethoven senza ricorrere al musicista per spiegare l’uomo”. Lo stesso ribadisce Nietzsche che, nella sua interpretazione dei filosofi preplatonici si basava sull’elemento personale per spiegarne la dottrina.