Il primo problema da affrontare per introdurre l'Historia plantarum, è relativo al numero dei libri. Il catalogo delle opere di Teofrasto di Diogene Laerzio elenca dieci libri, mentre i manoscritti più autorevoli in nostro possesso, il Vaticanus Urbinas gr. 61, il Parisiensis gr. 1823 e l'editio princeps, l'Editio Aldina, ne annoverano nove, come fanno tutte le edizioni moderne397. Tale questione ha
suscitato un ampio dibattito critico e varie sono le soluzioni proposte al problema. Come sottolinea Amigues, l'ipotesi che il decimo libro cui fa riferimento Diogene sia andato perduto va scartata, dal momento che tutta la tradizione indiretta rimanda a nove libri398. Ciò apre la strada a due ipotesi:
1. Diogene potrebbe aver considerato uno degli scritti minori di Teofrasto come il decimo libro dell'Historia plantarum;
2. Diogene potrebbe aver avuto accesso a un materiale testuale ripartito differentemente rispetto ai manoscritti in nostro possesso. In quest'ultimo caso, si può supporre che uno dei nove libri fosse originariamente suddiviso in due e unificato in un secondo momento399.
1. Cominciamo dalla prima ipotesi. Di essa si è occupato soprattutto Sollenberger, con il contributo di Wöhrle400. Lo studioso fa preliminarmente una lista dei titoli di opere attribuite da Diogene a
Teofrasto di argomento botanico. Oltre all'Historia plantarum suddivisa in dieci libri e al De causis
plantarum ripartito in otto libri, nel catalogo di Diogene troviamo i seguenti testi: Περὶ μέλιτος (Sul Miele, in un libro), Περὶ οδμῶν (Sugli odori, in un libro pervenutoci sotto il titolo latino De
397 Cfr. Diogene Laerzio 5.36-57: Vita Theophrasti. L'elenco di Diogene Laerzio è riportato da Fortenbaugh [1992: 32- 33]. Cfr. anche Sollenberger [1988: 15] e Amigues [2002: 44]. Per quel che riguarda i manoscritti dell'Historia
plantarum, cfr. le introduzioni curate da Hort [1916: XIII-XIX] e Amigues [1988: XLIII- L], che riportano con grande
accuratezza tutte le edizioni dei manoscritti di quest'opera. Il lavoro di Amigues si segnala per una maggiore trattazione dei problemi filologici e delle differenze testuali tra i vari manoscritti. Hort riporta la classificazione operata da Wimmer nell'edizione da lui curata nel 1842 tra tre differenti classi di manoscritti suddivise a seconda della loro autorevolezza (cfr. Hort [1916: XIII-XVI]). La prima classe, la più autorevole, è formata dal Codex Vaticanus Urbinas e dal Codex
Parisiensis. Sul dibattito critico inerente al numero di libri che compongono l'Historia plantarum, cfr. Sollenberger
[1988: 14-24] e Amigues [2002: 44-54]. Va notato comunque che il Codex Vaticanus Urbinas riporta due versioni del nono libro, pressoché identiche se non per alcune lievi differenze testuali. Cfr. Sollenberger [1988: 15 e 22, n. 8] e Amigues [2002: 44]. Per una ricognizione dei manoscritti successivi che riportano dieci libri, cfr. Sollenberger [1988: 22, nn. 7 e 9].
398 Cfr. Amigues [2002: 44-45].
399 Le ipotesi di cui sopra sono tra i risultati di un dibattito critico avvenuto presso la Rutgers University durante il cosiddetto Project Theophrastus, un gruppo di lavoro riunito da Fortenbaugh a partire dal 1979, che si occupò di studiare i vari aspetti del pensiero di Teofrasto. Tra i partecipanti al progetto, ricordiamo Fortenbaugh, Huby, Keaney e Wöhrle, cui si aggiunsero in un secondo momento Sharples, Sedley, Gutas, Sollenberger, Hughes, van Ophuijsen e van Raalte. Vari sono stati i risultati ottenuti dal Project Theophrastus. Tra il 1983 e il 1985 si tennero alla Rutgers University diverse conferenze sul pensiero di Teofrasto, di cui venne esplorata la vastità di interessi e i contributi in campo botanico, naturalistico e metafisico. Durante queste conferenze venne dibattuto anche il problema del numero dei libri dell'Historia plantarum. I risultati di questi lavori vennero poi editi in due volumi nel 1985 e nel 1988. Inoltre, il
Project Theophrastus ottenne l'importante risultato di riunire tutte le testimonianze su Teofrasto a partire dall'età
ellenistica, fino all'Umanesimo, contribuendo in tal modo alla comprensione della Wirkungsgeschichte del pensiero teofrasteo. I nove volumi che racchiudono le testimonianze e le fonti indirette su Teofrasto vennero editi tra il 1992 e il 2014. Per una storia del Project Theophrastus, cfr. Fortenbaugh, Huby, Sharples, Gutas [1992: 1-14].
odoribus), Περὶ οἴνου καὶ ἐλαίου (Sul vino e sull'olio), Περὶ χυλῶν (Sui succhi, in cinque libri),
Περὶ καρπῶν (Sui frutti)401. Di queste, ci sono pervenute l'Historia plantarum, il De causis
plantarum e il De odoribus, mentre le altre sono andate perdute, ad eccezione di un breve
frammento dello scritto sul miele citato da Fozio402. Sollenberger sostiene che nessuno di questi
scritti, né il De odoribus, né quelli perduti, possa essere considerato il decimo libro dell'Historia
plantarum. Egli argomenta la propria posizione a partire dagli studi di Wöhrle, secondo cui il De odoribus costituisce molto probabilmente l'ottavo libro del De causis plantarum cui fa riferimento
Diogene, per affinità di contenuti rispetto al sesto libro, l'ultimo in nostro possesso403. Tale ipotesi
risulta dunque poco verosimile.
2. Rimane da analizzare la tesi secondo cui Diogene avrebbe avuto in mano un'opera suddivisa diversamente rispetto a quella che noi conosciamo404. Tale ipotesi risale a un articolo di Regenbogen
apparso nel 1934, che viene ripreso e citato da Sollenberger e, in maniera critica, da Amigues. L'idea di Regenbongen è che il secondo libro dell'Historia plantarum fosse originariamente suddiviso in due libri separati. Il primo doveva essere composto dai primi quattro capitoli, inerenti alla propagazione naturale degli alberi, per riproduzione e per generazione spontanea, mentre il secondo doveva occupare gli ultimi quattro, inerenti ai metodi agricoli di propagazione e coltivazione degli alberi405. Come sottolinea Sollenberger, l'ipotesi di Regenbongen presenta due
possibili vantaggi: spiega perché nel catalogo di Diogene fossero segnati dieci libri, e fornisce una possibile risposta sul perché alcuni dei riferimenti fatti da autori antichi all'Historia plantarum non combacino con la numerazione delle edizioni moderne406. L'idea di Regenbongen rimane comunque
401 Cfr. Sollenberger [1988: 14-15] e il catalogo di Diogene contenuto in Fortenbaugh, Huby, Sharples, Gutas [1992: 26-41].
402 Cfr. Sollenberger [1988: 15].
403 Cfr. Wöhrle [1988: 3-13] e Sollenberger [1988: 17-19]. Sul De odoribus e sul Περὶ χυλῶν si tornerà più diffusamente nel paragrafo sul De causis plantarum. Su Περὶ μέλιτος e Περὶ καρπῶν, non abbiamo molte informazioni. Secondo Sollenberger [1988: 20-21], il frammento dello scritto sul miele tratto da Fozio è troppo breve per essere utilizzato a favore dell'idea che fosse il decimo libro dell'Historia plantarum. Sembra inoltre improbabile che questo libro potesse costituire una sezione significativa di un'opera di argomento botanico. Anche per quel che riguarda lo scritto sui frutti ci sono molte ragioni per dubitare che esso fosse il decimo libro perduto. Infatti, sia nell'Historia
plantarum, sia nel De causis plantarum vengono fatti molteplici riferimenti alla questione del frutto, perciò sembra
improbabile che uno scritto monografico su tale argomento potesse costituire una parte di un'opera che ha affrontato più volte e diffusamente questa tematica.
404 Cfr. Sollenberger [1988: 15-16] e Amigues [2002: 54], la cui trattazione si segnala per la grande acribia filologica e la puntuale ricostruzione della tradizione indiretta riguardo le suddivisioni dei libri.
405 Cfr. Sollenberger [1988: 15 e 22, n. 4] e Amigues [2002: 46]. L'idea di ripartire in due un libro a noi pervenuto unitario era già stata proposta dall'edizione del 1821 di Schneider, Theophrasti Eresii quae supersunt Opera et Excerpta
Librorum. Lo studioso accolse i dubbi di Hahnemann sull'unitarietà del quarto libro dell'Historia plantarum e propose
di suddividere in due tale libro, a causa della forte eterogeneità di argomenti in esso trattati. In tal modo, la prima parte del quarto libro avrebbe occupato i primi dodici capitoli, inerenti alla vita delle piante nei differenti ambienti, mentre la seconda parte – che sarebbe così divenuta il quinto libro – avrebbe occupato gli ultimi quattro capitoli, inerenti alla longevità e le malattie degli alberi. L'idea di Hahnemann ripresa da Schneider non ebbe però molta accoglienza. Sulla questione, cfr. Sollenberger [1988: 22, n. 4] e Amigues [2002: 47-48].
406 Cfr. Sollenberger [1988:15 e 22 n. 6]. Nella nota, in particolare, vengono fatti alcuni esempi di citazioni che non combaciano con la nostra numerazione.
ipotetica e non viene accolta da Amigues, secondo la quale “le livre II a une unité thématique
suffisante pour faire écarter l'hypothèse d'une bipartition”407.
Oltre all'ipotesi di Regenbongen, Sollenberger avanza altre possibili spiegazioni. Dal momento che il Codex Vaticanus Urbinas riporta due versioni del nono libro, che si distinguono per alcune lievi differenze testuali, egli ipotizza che il decimo libro fosse proprio la seconda versione del nono libro, rimossa dalle edizioni ottocentesche di Wimmer e Schneider e da quella di Hort del 1916408.
Sollenberger opta comunque per un'altra ipotesi. Egli nota che nel Parisiensis gr. 1823 e nella
Editio Aldina il nono libro porta l'iscrizione Περὶ φυτῶν ὀπῶν ἤ περὶ ῥιζῶν δυνάμεως, “Sui fluidi
delle piante, o sulla potenzialità delle radici”, che sembra accennare ad una possibile bipartizione del libro in due metà, che ben si adattano al suo contenuto. I primi sette capitoli, infatti, si occupano delle resine, dei succhi, della linfa delle piante, mentre i successivi dodici trattano delle piante mediche, delle potenzialità terapeutiche dei succhi delle piante e del modo di estrarli dalle radici. Inoltre – nota lo studioso -, l'inizio dell'ottavo capitolo sembra costituire uno iato rispetto al settimo, poiché Teofrasto annuncia l'intenzione di trattare dei fluidi di cui non ha parlato prima, ossia quelli che possono essere impiegati a scopo terapeutico, e delle radici e dei succhi che si possono estrarre: ciò potrebbe costituire un'evidenza a favore di una possibile originaria bipartizione del libro409. La
netta separazione degli argomenti di cui tratta il nono libro, nonché l'indicazione testuale della bipartizione del libro, spingono Sollenberger a ritenere che il decimo libro fosse in realtà quella che nei nostri manoscritti è la seconda parte del nono libro410. Tale tesi viene ripresa da Amigues, la
quale riconosce che “il est clair que si le titre Perì dunameòs rhizòn convient bien pour les
chapitres 8- 19 (20), celui de Perì phutòn opòn […] est plus approprié aux chapitres 1- 7 qu'à l'ensemble du livre”411. La conseguenza dei due studiosi è quindi che il libro in nostro possesso sia
completo: l'opera è quindi suddivisa in nove libri. Vediamo adesso di cosa si occupano.
Come sintetizza Amigues, Teofrasto in quest'opera si occupa delle “disciplines de la botaniques
pure: morphologie, anatomie, physiologie, pathologie des végétaux, floristique et écologie, mais aussi à la botanique appliquée, pour tout ce qui a trait à l'agriculture, à la technologie du bois, à la pharmacologie”412. L'Historia plantarum è dunque un'opera di grande respiro, che indaga il mondo
delle piante secondo diversi aspetti, e con una grande attenzione verso il particolare. Ancora valida 407 Amigues [2002: 46].
408 Cfr. Sollenberger [1988: 15].
409 Cfr. Sollenberger [1988: 15-16]. Cfr. Teofrasto, Historia plantarum Ι, VIII- 1. 1-6.
410 Cfr. Sollenberger [1988: 15-16]. Inoltre, Sollenberger argomenta la sua posizione anche a partire dall'indicazione di Diogene, secondo cui tra le opere di Teofrasto va annoverato anche un Περὶ χυλῶν in cinque libri. Egli sostiene infatti che quest'opera fosse costituita dagli ultimi tre libri del De causis plantarum e dagli ultimi due dell'Historia plantarum, ossia la prima e la seconda parte del nono libro, considerati all'epoca di Diogene come due libri distinti (cfr. Sollenberger [1988: 17-19].
411 Cfr. Amigues [2002: 51-53]. Per la citazione, cfr. p. 52. 412 Amigues [1988: XXXI].
è un'affermazione di Gomperz a questo riguardo: “il campo nel quale Teofrasto ha colto i suoi allori più belli è lo studio del particolare, l'amoroso approfondimento del singolo dettaglio.”413.
Come per l'Aristotele dell'Historia animalium, l'interesse di Teofrasto è rivolto all'analisi fenomenologica della pianta, indagata nelle sue peculiarità, al fine di operare uno studio dell'individuale, dell'empirico tramite una rigorosa metodologia filosofica che vedremo a breve. Egli descrive con grande perizia un gran numero di specie vegetali, di cui fornisce un fedele ritratto fisiologico, illustrando per ogni pianta analizzata ogni aspetto della sua struttura corporea, come forma, colori, parti, ad esempio il fusto, le foglie, i fiori, i frutti, le radici, le ramificazioni. Per ogni pianta viene anche fornita una delineazione dell'ambiente proprio, che racchiude in sé numerosi fattori: la temperatura ideale, la quantità di pioggia e di sole di cui ha bisogno, le interazioni con le piante limitrofe. Spesso Teofrasto indugia anche sulle tecniche di coltivazione e i possibili usi per l'uomo, sia nel campo alimentare, sia nel campo medico. L'intento rimane comunque sempre teoretico e filosofico.
Vediamo quindi il contenuto dei nove libri.
I. Il primo libro è il più teorico dell'opera e presenta le prime distinzioni e definizioni fondamentali, valide per entrambe le opere414. Per tale ragione, di esso verrà fatto un quadro il più possibile
esaustivo e analitico, poiché da esso si ricava la terminologia e la metodologia impiegate da Teofrasto.
Ι.1. Già dall'apertura del primo capitolo Teofrasto annuncia di cosa tratterà il suo scritto, sottolineando anche la differenza rispetto ad un'indagine sugli animali:
Bisogna prendere in considerazione [ληπτέον] le differenze [τὰς διαφοράς] e la diversa natura [τὴν ἄλλην φύσιν] delle piante [τῶν φυτῶν], secondo le parti [μέρη] e le qualità [πάθη] e le generazioni [γενέσεις] e le vite [βίους]: infatti non hanno comportamenti [ἤθη] e azioni [πράξεις] come gli animali.415
Come vedremo nell'ultimo paragrafo di questo capitolo, tale incipit è un calco puntuale di un'affermazione programmatica che Aristotele enuncia per introdurre lo studio degli animali nell'Historia animalium. Dall'esordio dell'Historia plantarum apprendiamo dunque che l'opera avrà come oggetto le differenze, la natura propria e specifica, le parti, le qualità, i modi di generazione, i modi di vita delle piante, ma non i comportamenti e le azioni, che caratterizzano invece il mondo animale. Vedremo che questo non implica che le piante siano per Teofrasto esseri passivi.
413 Gomperz [1962: 700]. Lo studioso cita qui un grande numero di scienziati di età moderna che hanno lodato la grande perizia e acribia delle descrizioni fornite da Teofrasto, che viene considerato “sorprendente per fedeltà e chiarezza” (cfr. Gomperz [1962: 700-701]; la citazione è tratta da Bretzl, Botanische Forchungen des Alexanderzuges, 1903).
414 Cfr. Gotthelf [1988: 100-138], Amigues [2002: 3-10]. 415 Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 1, 1- 4.
Subito dopo l'incipit, Teofrasto fa una precisazione: lo studio delle qualità e dei modi di generazione e di vita delle piante è facilmente osservabile e analizzabile, mentre lo studio delle parti presenta numerose difficoltà a causa della grande varietà416. Per cominciare la trattazione delle parti, dunque,
egli propone di servirsi della tecnica di indagine tipica della metodologia aristotelica: trovare la definizione dell'oggetto in esame, in questo caso la parte della pianta. Infatti, “questo innanzitutto non è stato sufficientemente definito [ἀφώρισται], cosa bisogna chiamare parte e cosa non bisogna chiamare parte, ma ciò presenta una qualche aporia.”417. La definizione preliminare di “parte” che
Teofrasto fornisce è la seguente:
Dunque la parte che appartiene alla natura propria [della pianta] è ciò che sembra permanere sempre: o in assoluto, o non appena si genera, come negli animali quelle parti che si genereranno successivamente, a meno che non venga rimossa o per malattia, o per vecchiaia, o per mutilazione.418
Per “parte” della pianta Teofrasto intende quindi ciò che permane sempre, o fin dalla nascita, o dopo lo sviluppo della pianta, a meno che un fattore contrario alla natura propria della pianta stessa non ne provochi la rimozione. Non tutte le parti della pianta, però, permangono per tutta durata della sua vita: alcune infatti sono annuali. Tra queste, Teofrasto annovera il fiore, l'amento, la foglia, il frutto e tutto ciò che lo precede, il germoglio419. Questo comporta un'aporia: se consideriamo questi
elementi annuali come parti, allora non sarà possibile identificare e stabilire con precisione assoluta il numero delle parti di una pianta, - al contrario di quanto avviene negli animali -, perché le parti saranno costantemente in mutamento; nel caso contrario rischiamo di non considerare come parti degli elementi che sono essenziali affinché una pianta raggiunga la sua piena completezza420. Per
risolvere l'aporia, Teofrasto enuncia un principio metodologico basilare della sua ricerca botanica, che manifesta il suo interesse teorico specificamente rivolto verso il mondo delle piante:
Ma forse non bisogna cercare nelle piante allo stesso modo tutte le caratteristiche degli animali, né negli altri aspetti, né nelle cose che sono in vista della generazione. E quindi bisogna considerare parti anche le cose che vengono generate, come i frutti, e non invece gli embrioni degli animali. 421
Pertanto, secondo Teofrasto non è sempre possibile rintracciare una piena corrispondenza tra piante e animali: le piante sono dotate di proprie specie-specificità che fanno di loro un regno autonomo del vivente. Come vedremo, in Teofrasto i vegetali non sono concepiti come una forma di vivente meno complessa e sviluppata rispetto agli animali, ma possiedono caratteristiche e potenzialità 416 Cfr. Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 1, 4-7.
417 Τeofrasto, Historia plantarum I, 1, 1, 7-8. 418 Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 2, 1-4. 419 Cfr. Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 2, 4-9. 420 Cfr. Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 2, 9-14.
proprie, degne di un'indagine specifica, che le analizzi non meramente per analogia e differenza con il mondo animale, ma iuxta propria principia. Per tale ragione, egli si dimostra più prudente di Aristotele nell'applicare il criterio analogico tra piante e animali.
Dunque, se negli animali il prodotto del concepimento non può essere considerato parte, - infatti l'embrione non può essere ritenuto una parte della madre -, nelle piante, in virtù del principio appena enunciato, gli elementi in vista della propagazione sono a tutti gli effetti parti, e più precisamente parti annuali. Tuttavia, Teofrasto non nega in toto le possibilità di trovare analogie tra i due regni: anche il caso delle parti non permanenti offre numerosi esempi. Infatti,
Molte piante lasciano cadere le parti ogni anno, come i cervi [lasciano cadere] le corna, gli uccelli che vivono negli antri le piume, e i quadrupedi i peli: perciò non è strano che la caratteristica sia la stessa anche nel processo di fare cadere le foglie. 422
Anche alcuni animali possiedono quindi la caratteristica di mutare le loro parti, anche se non si tratta di elementi legati alla riproduzione, al contrario delle piante. Per questa ragione, mentre il numero delle parti degli animali – anche quelli che fanno la muta – è facilmente determinabile, il numero delle parti delle piante resta indeterminato e indeterminabile:
In generale, come abbiamo detto, non bisogna assumere che tutte le caratteristiche delle piante stiano allo stesso modo nel caso degli animali. Per questo anche il numero [delle parti] è indeterminato: infatti esse sono in ogni parte in grado di germinare [βλαστητικόν] e in ogni parte viventi.423
Teofrasto assume qui, senza esplicitarla, una teoria aristotelica che abbiamo incontrato nel parlare delle differenti longevità tra animali e piante: le piante possiedono la vita e la capacità di germinare in ogni parte del loro organismo semplice e poco differenziato, e per questo sono in generale più longeve degli animali. Egli aggiunge una sua considerazione: il numero delle parti di una pianta è indeterminato proprio in virtù del fatto che la loro vita è diffusa in tutto l'organismo e che ogni parte ha la potenza germinativa. Questa è una delle caratteristiche distintive tra pianta e animale su cui Teofrasto tornerà successivamente. Non si tratta di un nodo teorico secondario: molte delle specie- specificità delle piante rispetto agli animali e molte delle potenzialità di cui esse sono dotate e di cui invece gli animali non sono dotati nascono da questa caratteristica. Per questo secondo Teofrasto lo studio sulle piante non può e non deve focalizzarsi soltanto sulle analogie e le differenze rispetto agli animali: perché il regno vegetale ha caratteristiche proprie che sono del tutto irriducibili rispetto al mondo animale e che solo occasionalmente coincidono. Per tale ragione lo studio delle caratteristiche e della natura propria di ciascuna pianta riveste in Teofrasto una valenza prettamente 422 Teofrasto, Historia plantarum I, 1, 3, 6-8.
filosofica proprio in quanto empirica: egli individua le potenzialità specifiche che rendono i vegetali non soltanto una forma di vita meno strutturata e organizzata degli animali, ma un mondo autonomo dotato di principi e qualità proprie. Infatti,
Bisogna assumere queste cose non soltanto per ciò che ho detto ora, ma in vista di ciò che sto per dire: infatti è inutile affaticarsi a paragonare sott'ogni riguardo ciò che non si può paragonare, per non perdere di vista la ricerca propria [οἰκείαν]. L'indagine sulle piante è, per dire in generale, o secondo le parti esterne e l'intera configurazione esteriore, o secondo le parti interne, come le indagini mediante dissezione nel caso degli animali.424
Questa affermazione può essere considerata una sorta di manifesto della consapevolezza da parte di Teofrasto dello statuto della sua indagine botanica, da lui stesso definita ἱστορία τῶν φυτῶν. Secondo Teofrasto, portare avanti una ricerca soltanto sulla base del paragone con un altro campo di indagine è una fatica inutile [περίεργον] e anche rischiosa, in quanto fa perdere di vista l'oggetto