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Il θρεπτικόν nella terminologia tecnica di Aristotele

Come si è visto, l'introduzione del concetto di ψυχὴ θρεπτική è la più importante innovazione aristotelica nello studio del vivente perché consente di segnare la demarcazione netta tra vivente e non vivente.

Aristotele ne dà una definizione:

L'anima nutritiva [ἡ γὰρ θρεπτικὴ ψυχή] appartiene anche agli altri viventi, ed è la prima e più comune potenzialità dell'anima [πρώτη καὶ κοινοτάτη δύναμίς ἐστι ψυχῆς], per la quale a tutti appartiene il vivere [τὸ ζῆν]. Le funzioni [ἔργα] di questa sono il generare [γεννῆσαι] e il servirsi del nutrimento [τροφῇ χρῆσθαι]. Infatti, la più naturale delle funzioni per i viventi [φυσικώτατον γὰρ τῶν ἔργων τοῖς ζῶσιν], quanti sono compiuti [τέλεια] e non mutilati [μὴ πηρώματα] o che non hanno generazione spontanea, è di creare un altro come sé, l'animale un animale e la pianta una pianta [τὸ ποιῆσαι ἕτερον οἷον αὐτό, ζῷον μὲν ζῷον, φυτὸν δὲ φυτόν], affinché possano partecipare [μετέχωσιν] per quanto possibile dell'eterno [τοῦ ἀεί] e del divino [τοῦ θείου].220

Due sono le principali funzioni dell'anima nutritiva: servirsi del nutrimento e generare un altro individuo simile a sé. Entrambe le attività rivelano una tensione del vivente verso l'eterno e il divino. Infatti, la nutrizione è un processo tramite il quale ogni singolo essere vivente si mantiene in vita, perpetuando così la propria esistenza, mentre, attraverso la riproduzione, egli genera un altro esemplare simile a sé, continuando la specie. Naturalmente, la nutrizione non è in grado di appagare tale tensione verso l'eterno, poiché la durata della vita del singolo è limitata nel tempo. Per questa ragione, ogni essere vivente è dotato della capacità di generare un simile, perpetuando così in eterno la specie. Dunque, la tensione verso l'eternità, che rimane irraggiungibile al singolo e che non può essere ottenuta mediante la nutrizione, è invece realizzata e garantita per la specie tramite l'atto riproduttivo:

Poiché dunque essi non possono accomunarsi [κοινωνεῖν] con continuità [τῇ συνεχείᾳ] all'eterno [τοῦ

220 Aristotele, De anima Β4, 415a24- 415b1. Cfr. King [2001: 49-58], Cardullo [2007: 74-76]. Sulla riproduzione e la nutrizione come funzioni dell'anima nutritiva irriducibili l'una sull'altra, ma inevitabilente intrecciate cfr. Pellegrin [2018: 77-88].

ἀεί] e al divino [τοῦ θείου], per il fatto che nessuna tra le cose corruttibili [τῶν φθαρτῶν ] è in grado di perpetuarsi identica e una di numero [ταὐτὸ καὶ ἓν ἀριθμῷ διαμένειν], ciascuna si accomuna per quanto gli è possibile partecipare, l'una di più, l'altra di meno, e si perpetua non in sé, ma in un individuo simile a sé [καὶ διαμένει οὐκ αὐτὸ ἀλλ' οἷον αὐτό], una non nel numero, ma una nella specie [ἀριθμῷ μὲν οὐχ ἕν, εἴδει δ' ἕν].221

La nutrizione e la riproduzione svolgono un ruolo basilare per la sopravvivenza dell'essere vivente. La nutrizione è il processo vitale più importante per il singolo. Ad essa sono connesse anche le altre attività dell'anima nutritiva che avevamo incontrato in precedenza, ossia la crescita e il deperimento: “Infatti non deperisce e non cresce naturalmente [οὐδὲν γὰρ φθίνει οὐδ' αὔξεται φυσικῶς] niente che non si nutra [τρεφόμενον], e non si nutre [τρέφεται] niente che non partecipi della vita [οὐθὲν ὃ μὴ κοινωνεῖ ζωῆς ].”222.

Tra la nutrizione e la vita esiste quindi una relazione biunivoca, per la quale ciò che si nutre, in quanto tale, è vivente e, reciprocamente, ciò che vive deve necessariamente nutrirsi:

Poiché non si nutre niente che non partecipi della vita [ἐπεὶ δ' οὐθὲν τρέφεται μὴ μετέχον ζωῆς], ciò che si nutre sarà il corpo animato in quanto animato [τὸ ἔμψυχον ἂν εἴη σῶμα τὸ τρεφόμενον, ᾗ ἔμψυχον], cosicché il nutrimento [τροφή] è rivolto all'essere animato, e non per accidente [ἡ τροφὴ πρὸς ἔμψυχόν ἐστι, καὶ οὐ κατὰ συμβεβηκός].223

Dunque, la relazione che lega nutrimento ed essere animato è necessaria e non accidentale. Aristotele descrive la nutrizione come un processo che mette in gioco tre elementi differenti:

Poiché ci sono tre cose, ciò che è nutrito [τὸ τρεφόμενον], ciò con cui si nutre [ᾧ τρέφεται], e ciò che nutre [τὸ τρέφον], ciò che nutre è la prima anima [τὸ μὲν τρέφον ἐστὶν ἡ πρώτη ψυχή], ciò che si nutre è il corpo che la possiede [τὸ δὲ τρεφόμενον τὸ ἔχον ταύτην σῶμα], ciò con cui nutre è l'alimento [ᾧ δὲ τρέφεται, ἡ τροφή].224

Nel processo nutritivo entrano in azione quindi tre diversi fattori. Il corpo è il destinatario finale della nutrizione, ciò che beneficia di tale processo. Il nutrimento è il mezzo per ottenere il risultato, ossia l'appagamento dei bisogni fisici e il mantenimento in vita del corpo. Infine, l'anima è il principio attivo che opera sull'alimento e se ne serve per distribuirlo nel corpo.

Aristotele fornisce qui una veloce sintesi del processo nutritivo, - che verrà approfondita nel De

respiratione -, mettendo in risalto il fattore di produzione della digestione, il calore: “È necessario

che ogni nutrimento possa essere cotto [πᾶσαν δ' ἀναγκαῖον τροφὴν δύνασθαι πέττεσθαι], e ciò che produce la cozione [πέψιν] è il calore [τὸ θερμόν]: perciò ogni essere animato possiede del calore [διὸ πᾶν ἔμψυχον ἔχει θερμότητα].”225.

221 Aristotele, De anima Β4, 415b3- 6. Sulla questione cfr. Cerami [2018: 130-149, in particolare 141-149] e Pellegrin [2018: 77-88].

222 Aristotele, De anima Β4, 415b26- 27. Cfr. King [2001: 52-55]. 223 Cfr. Aristotele, De anima Β4, 416b10- 12.

224 Cfr. Aristotele, De anima Β4, 416b20-23. Sull'argomento, cfr. King [2001: 52-54], Lamedica [2010: 108-115]. 225 Aristotele, De anima Β4, 416b29- 30. Cfr. anche Aristotele, De partibus animalium Β3, 650a3-32.

Tramite il calore del corpo vivente, il nutrimento, che inizialmente costituisce una sostanza contraria rispetto al corpo, subisce un processo di assimilazione per opera della ψυχὴ θρεπτική, e viene così assimilato dal corpo, ossia – letteralmente -, reso simile ad esso. Il processo nutritivo, quindi, ha la funzione di provocare un mutamento al nutrimento, trasformandolo da contrario a simile: in questa maniera, esso può essere utilizzato come materia prima per il mantenimento della struttura organica del corpo226.

L'essere animato ha dunque una necessità essenziale di nutrirsi, altrimenti non potrebbe esistere: Dunque, un tale principio dell'anima [ἡ μὲν τοιαύτη τῆς ψυχῆς ἀρχὴ] è una facoltà [δύναμίς ἐστιν] tale da conservare [οἵα σώζειν] l'essere che la possiede in quanto tale [τὸ ἔχον αὐτὴν ᾗ τοιοῦτον], e il nutrimento la prepara ad operare [ἡ δὲ τροφὴ παρασκευάζει ἐνεργεῖν]: perciò, privato di alimento [στερηθὲν τροφῆς], l'essere animato non può esistere [οὐ δύναται εἶναι].227

La prima facoltà dell'anima, dunque, realizza il basilare compito di mantenere in vita il corpo vivente e la sua attività primaria è la nutrizione: per questa ragione Aristotele la nomina ψυχὴ θρεπτική. Vediamo adesso qual è l'esatto significato del termine θρεπτική.

L'aggettivo “θρεπτική” associato al sostantivo ψυχή è un termine tecnico dello studio aristotelico sul vivente. Deriva dal tema verbale θρεπ- dal cui tema del presente derivano il sostantivo τροφή e il verbo τρέφω. Non si tratta di un hapax aristotelico, poiché lo si ritrova anche in altri autori, anche se molto raro. Tuttavia, Aristotele è il primo che lo impiega in riferimento alla ψυχή, e in tal modo lo tecnicizza e lo specializza.

Prima che in Aristotele, tale aggettivo si ritrova in Platone, e in particolare nel Politico, dove occorre tre volte228. In due di queste è associato al sostantivo τέχνη, e si trova in passi in cui si parla

di tecniche pastorizie e di greggi; anche l'altra occorrenza si trova in un passo inerente alla pastorizia: in entrambi i casi è utilizzato nel suo significato immediato e comune. Importante notare che esso non occorre mai al neutro sostantivato, perciò non è mai tematizzato.

Prima che in Platone, esso potrebbe essere stato impiegato anche da Alcmeone di Crotone, ma non ne abbiamo la certezza, in quanto occorre in una testimonianza di Aezio. Questa volta, esso è impiegato al neutro plurale, ma indica genericamente le sostanze nutritive, e quindi è impiegato come sinonimo di τροφή: occorre in un passo in cui Aezio ci dice che secondo Alcmeone gli 226 Cfr. Quarantotto [2005: 279- 284]. Cfr. Aristotele, De anima Β4, 416a29- b9.

227 Aristotele, De anima Β4, 416b18- 20.

228 Cfr. Platone, Politico, 267b5, 276b4, 276c7. Cito i passi. Platone, Politico, 267b4-5: “τοῦ δὲ πεζονομικοῦ μάλιστα ἀπετέμνετο τέχνη τῆς ἀκεράτου φύσεως θρεπτική.” (“Nell'allevamento dei quadrupedi si è distinta soprattutto l'arte dell'allevamento [τέχνη θρεπτική] di animali dalla natura priva di corna.”. Platone, Politico, 267b3-4: “[…] ὥσπερ τότε δικαίως ἠμφεσβητήθη μηδεμίαν εἶναι τέχνην ἐν ἡμῖν ἀξίαν τούτου τοῦ θρεπτικοῦ προσρήματος.” (“[…] così come allora giustamente si contestò che non sia presso di noi nessuna arte degna di essere nominata 'arte dell'allevamento' [θρεπτικοῦ].”. Platone, Politico, 276c6-7: “εἰ καὶ διενοήθημεν ὅτι μάλιστα τῆς δίποδος ἀγέλης εἶναί τινα θρεπτικὴν τέχνην, οὐδέν τι μᾶλλον ἡμᾶς ἔδει βασιλικὴν αὐτὴν εὐθὺς καὶ πολιτικὴν […] προσαγορεύειν.” (“Se anche fossimo convinti soprattutto che ci fosse una certa arte dell'allevamento [τινα θρεπτικὴν τέχνην] delle greggi bipedi, non avremmo dovuto chiamarla subito arte regia e politica.”.

embrioni assorbono le sostanze nutritive come fossero spugne229. Negli altri autori, invece, non c'è

traccia di questo aggettivo, al contrario dei termini τροφή e τρέφω, che occorrono numerose volte, per esempio in Empedocle, Democrito, Anassagora, nei trattati ippocratici, ma anche in Esiodo e in Omero.

L'aggettivo θρεπτικός non è dunque molto diffuso prima di Aristotele. Egli si serve dunque di una parola già esistente, ma poco adoperata, per risemantizzarla. L'uso che ne fa è piuttosto elevato: essa occorre sessantacinque volte negli scritti aristotelici. La maggior parte delle occorrenze si trova nelle opere dedicate al vivente: è usata venti volte – dunque, quasi un terzo delle intere occorrenze - nel De anima, una volta nel De partibus animalium, undici volte nel De generatione

animalium, venti volte nei Parva naturalia, - ripartite in tal modo: sei occorrenze nel De juventute et senectute, de longitudine et brevitate vitae, de vita et morte, cinque nel De respiratione, cinque

nel De sensu et sensibilibus, tre nel De somno et vigilia, una nel De spiritu. Le rimanenti occorrenze si trovano nelle opere etiche: tre nell'Etica Eudemia, tre nell'Etica Nicomachea, due nei

Magna Moralia.

La risemantizzazione di questo termine costituisce la maggiore novità introdotta da Aristotele nello studio del vivente: essa consente di ripensare e tematizzare le caratteristiche basilari del vivente, a partire da un concetto unitario.

Che in Aristotele tale termine sia frutto di un processo di rielaborazione di un vocabolo già esistente non è rilevato soltanto dall'uso massiccio da lui effettuato, rispetto alla quasi totale assenza negli scritti filosofici dei predecessori, ma anche da un altro fattore. Si tratta del grande impiego di tale aggettivo nella sua forma neutra sostantivata, preceduta o meno dall'articolo determinativo, che dà al termine una sua autonomia sintattica e concettuale. Vedremo a breve che spesso questa forma neutra si riferisce a un sottinteso μόριον, “parte”, e dunque essa va intesa come “la [parte] nutritiva [dell'anima]”, ma anche in questo caso la scelta di parlare di τὸ θρεπτικόν e non di ψυχὴ θρεπτική non è indifferente. Inoltre, all'interno del De anima l'aggettivo occorre in passi in cui Aristotele sta definendo le potenzialità dell'anima, distinguendo l'anima nutritiva dall'anima sensitiva, e descrivendone le potenzialità: il θρεπτικόν è dunque oggetto esplicito di studio per lo Stagirita. Come si è anticipato, molte delle occorrenze del termine avvengono al neutro sostantivato. Naturalmente, esso occorre spesso anche come aggettivo, in riferimento soprattutto ai termini ψυχή, ma anche δύναμις e μόριον. In riferimento a quest'ultimo, esso indica la “parte nutritiva” dell'anima. Tale espressione non va intesa nel senso che l'anima nutritiva sia un frammento di una più vasta entità chiamata “anima”, che racchiude anche la parte sensitiva e razionale. Piuttosto, essa 229 Cfr. Aezio V16, 3 (D. 426), LM ALCM. D28, DK 24A17: “Ἀ. δι' ὅλου τοῦ σώματος τρέφεσθαι (τὰ ἔμβρυα)· ἀναλαμβάνειν γὰρ αὐτῶι ὥσπερ σπογγιᾶι τὰ ἀπὸ τῆς τροφῆς θρεπτικά.” (“A[lcmeone]: [l'embrione] è nutrito dall'intero corpo: infatti esso, come le spugne, assorbe le sostanze nutritive dal nutrimento.”.

va considerata come una astrazione, operata mediante atto linguistico, di una delle tre principali potenzialità dell'anima in quanto tale, ossia l'insieme di funzionalità basilari di un organismo vivente. Anche l'impiego del semplice aggettivo θρεπτικόν, inteso come sottintendente μόριον, indica tale insieme di potenzialità considerate in quanto tali. Da questo punto di vista, dire θρεπτικόν, con μόριον espresso o sottinteso, vorrebbe indicare la capacità di nutrirsi, di accrescersi, di deperire e di riprodursi, per come Aristotele stesso ha indicato. Da questo punto di vista, a mio avviso, θρεπτικόν [μόριον] potrebbe essere equivalente all'espressione ψυχὴ θρεπτική.

Ma allora perché Aristotele utilizza entrambe le espressioni? Analizzando le occorrenze di θρεπτικόν [μόριον], ci si accorge che egli ricorre a questo termine proprio nel momento in cui deve considerare le facoltà della ψυχὴ θρεπτική in quanto tali, astraendole dalle altre potenzialità, e spesso mettendole in correlazione ad esse230. Non è un caso, quindi che nei passi in cui appare

θρεπτικόν [μόριον] compaiano anche altri termini come αἰσθητικόν, ὀρεκτικόν, διανοητικόν. Pertanto, θρεπτικόν [μόριον] coincide a mio parere con un atto puramente linguistico di astrazione di un certo insieme di potenzialità da un complesso molto più vasto di funzionalità organiche.

Ma il θρεπτικόν non è in tutti gli organismi soltanto una parte delle proprie funzionalità. Come sappiamo, nelle piante esso coincide con l'intera gamma di funzionalità inscritte nel loro corpo. Perciò, se dire θρεπτικόν in riferimento agli animali e all'uomo comporta un'astrazione, usarlo per le piante vuol dire enucleare esattamente ciò che una pianta può fare. Non solo. Come si è detto in precedenza, le funzionalità superiori dell'anima retroagiscono su quelle inferiori, modificandole e ristrutturandole. Pertanto, il θρεπτικόν astratto degli animali e dell'uomo è comunque un insieme di facoltà biologiche basilari che ha subito una modificazione, ad esempio l'associazione del piacevole, del doloroso e del desiderio alla nutrizione. Animali e uomini non possiedono un θρεπτικόν puro e separabile realmente dalle loro altre funzionalità.

Al contrario, il θρεπτικόν appartenente alle piante, che non subisce modifiche da alcuna funzionalità superiore, è il θρεπτικόν puro, il θρεπτικόν in quanto tale231. Nelle piante, dunque,

230 Cfr. ad esempio Aristotele, De anima B2, 413b12, Β3, 414a31, 414b33, Β4, 415a17, Γ9, 432b11, Γ10, 433b3. Al contrario, l'espressione ψυχὴ θρεπτική, proprio perché fa riferimento all'anima nella sua interezza, non si trova mai in correlazione oppositiva con le altre anime: come abbiamo visto, infatti, l'anima sensitiva non è un tipo di anima differente dalla nutritiva. Cfr. ad esempio Aristotele, De anima Γ12, 434a21-22: “Dunque è necessario che ogni cosa che viva e abbia un'anima abbia l'anima nutritiva.”.

231 Cfr. ad esempio Aristotele, De anima B2, 413b5-8: “Come la nutritiva può esistere separatamente dal tatto e da ogni sensazione, così il tatto può esistere separatamente dagli altri sensi (chiamiamo nutritiva quella parte dell'anima di cui partecipano anche le piante).” e B3, 415a1-2: “Infatti senza la nutritiva non esiste la sensitiva; ma la nutritiva esiste separatamente dalla sensitiva nelle piante.”. Cfr. anche Aristotele, De somno et vigilia 1, 454a12-14. Un indizio a favore di ciò si può ritrovare nel fatto che Aristotele si serva dell'espressione ψυχὴ θρεπτική in riferimento al carattere comune dell'anima di animali e piante. Cfr. ad esempio Aristotele, De generatione animalium Β4, 740b30-31 e Β4, 741a25. In Aristotele, De generatione animalium Β1, 734b16-18 troviamo invece l'uso di τὸ θρεπτικόν in riferimento all'anima delle piante e degli animali nello stadio embrionale: dal momento che l'embrione possiede le stesse identiche potenzialità della pianta, anche questa occorrenza sembra un indizio utile. In Aristotele,

parlare di θρεπτικόν non comporta alcuna astrazione, perché esse in un certo senso lo incarnano. Non è pertanto un caso, a mio avviso, che, delle occorrenze dell'espressione τὸ θρεπτικόν, il neutro sostantivato, che non richiedano necessariamente un μόριον sottinteso e che non appartengano ad un elenco delle facoltà dell'anima, ben tre – cioè la maggioranza -, siano riferite alle piante. Le cito: “Alle piante appartiene soltanto il θρεπτικόν”; “Il θρεπτικόν esiste separatamente dall'αἰσθητικόν nelle piante”; “Il θρεπτικόν, che appartiene a tutte le piante e a tutti gli animali […].”232.

Il θρεπτικόν è quindi la facoltà che accomuna tutti i viventi; ma se lo si considera in quanto tale, puro e scevro da ulteriori facoltà, esso è, in un certo senso, prerogativa delle piante. Con l'introduzione di tale concetto, Aristotele è riuscito quindi a identificare le piante come un genere a sé, irriducibile al non vivente, e indubitabilmente separato anche dall'animalità, con caratteristiche a sé proprie, che negli altri viventi si possono ritrovare, ma ristrutturate.

Come abbiamo visto, nonostante lo Stagirita abbia dedicato i suoi scritti biologici agli animali, la questione dell'anima delle piante è di centrale importanza nel suo progetto di ricerca. Possiamo adesso focalizzare in dettaglio la questione botanica in Aristotele.