Per iniziare, vorrei richiamare il finale del passaggio dei Meteorologica in cui Aristotele delinea il suo progetto, laddove si parla dello studio degli animali e delle piante:
Dopo aver trattato di questi argomenti, rifletteremo sugli animali e sulle piante [περὶ ζῴων καὶ φυτῶν], se possiamo dare una spiegazione secondo il metodo mostrato, in generale [καθόλου] e separatamente [χωρίς]: infatti, dopo aver parlato di queste cose, sarà quasi giunta la conclusione del progetto [προαιρέσεως] da noi [prefissato] dall'inizio.233
In questo passo, Aristotele annuncia la sua intenzione di affrontare un'indagine sugli animali e una sulle piante, studiandoli sia in generale [καθόλου] sia separatamente [χωρίς]. La prima cosa che va notata qui è l'ordine in cui Aristotele elenca l'oggetto dei suoi studi: la sua intenzione è quella di studiare prima gli animali, poi le piante234. Lo studio delle piante, quindi, viene posto dallo Stagirita
a conclusione della sua ricerca sul mondo naturale.
Ma perché Aristotele colloca la ricerca sulle piante dopo quella sugli animali? Come evidenziato da ἡ θρεπτικὴ δύναμις τῆς ψυχῆς da parte di embrioni e piante: per questo genere di viventi, ψυχὴ θρεπτική, a mio avviso, può essere ritenuto sinonimo di θρεπτικόν. Nel caso degli embrioni, però, come specificato in Aristotele, De
generatione animalium Β2, 736b8, l'anima nutritiva è in potenza in quanto gli embrioni non vivono separatamente
dai genitori. Questo si vedrà meglio in seguito. In Aristotele, De juventute et senectute 2, 468a25-28 troviamo una particolare declinazione di τὸ θρεπτικόν: Aristotele infatti parla della caratteristica che accomuna animali e piante di vivere anche se separate, e sostiene che anche altri animali che non sono insetti possono farlo, proprio grazie al τὸ θρεπτικόν. Come viene spiegato in seguito, infatti, sia l'anima nutritiva sia l'anima sensitiva sono una in atto, ma molteplici in potenza. Cfr. Aristotele, De juventute et senectute 2, 468b2-4.
232 Cfr. rispettivamente Aristotele, De anima B3, 414a 32, 415a4, Γ9, 432a29. 233 Aristotele, Meteorologica Α1, 339a5- 9.
Andrea Falcon, l'indagine sulle piante, in Aristotele, deve essere posticipata rispetto a quella sugli animali per ragioni metodologiche, investigative, euristiche ed esplicative235.
Infatti, secondo Aristotele, un corretto percorso investigativo procede a partire da ciò che ci è più vicino e più familiare verso ciò che ci è meno noto e più oscuro, e da ciò che ha una struttura più delineata e facilmente comprensibile a ciò che possiede una struttura meno delineata236. I risultati
ottenuti dall'indagine di ciò che ci è più noto, infatti, possono essere adoperati secondo un processo analogico per fare chiarezza su quanto ci risulta meno conoscibile inizialmente. Aristotele utilizza questo procedimento, ad esempio, nel De Caelo, precisamente nel secondo paragrafo del secondo libro, quando si serve di una analogia tra gli animali e i corpi celesti per chiarire un concetto astronomico – la presenza, all'interno dei cieli delle sei dimensioni alto-basso, destra-sinistra, avanti-dietro -, favorendo così il reperimento delle cause del fenomeno in questione, e rendendolo più comprensibile237.
Secondo Falcon, un procedimento euristico di questo genere spinge Aristotele a posticipare lo studio delle piante rispetto a quello degli animali: la maggiore somiglianza e comunanza con gli animali rende lo studio di questi ultimi molto più semplice rispetto all'indagine sulle piante. Gli strumenti concettuali e i risultati ottenuti analizzando il mondo animale possono essere poi applicati, per via analogica, al mondo delle piante. Il regno vegetale, infatti, risulta meno ordinato e più caotico di quello animale: per accostarsi ad esso bisogna quindi possedere una preparazione
235 Cfr. Falcon [2015: 76]: “In the explanatory project pursued by Aristotle, the study of animals come before the study of plants, and comes before it in the order of explanation.”. Cfr. anche Falcon [2019: 12-14].
236 Troviamo varie enunciazioni di questo principio all'interno delle opere biologiche. Cfr. Aristotele, De partibus
animalium B10, 656a 11- 13, De generatione animalium B 4, 737b25- 27. In quest'opera, inoltre Aristotele adatta
tale strategia esplicativa tra il secondo ed il terzo libro. Circa i modi di generazione degli animali, infatti, egli dapprima fornisce spiegazioni sugli animali più vicini a noi, i vivipari (De generatione animalium B 4-8). Successivamente, egli indaga gli ovipari, a partire da quelli che producono un uovo interamente formato e dal guscio duro, proseguendo con quelli che producono uova incomplete, fino ad arrivare agli animali non sanguigni che producono uova (De generatione animalium Γ 1- 8). Da qui, egli passa ai modi di generazione di molluschi e malacostraci (De generatione animalium Γ 8), degli insetti (De generatione animalium Γ 9), delle api (De
generatione animalium Γ 10), dei testacei e degli animali fitomorfi (De generatione animalium Γ 11).
Sull'argomento cfr. Falcon [2015: 80-81] e Gotthelf-Falcon [2018: 15-34].
237 Cfr. Aristotele, De Caelo Β 2, 284b6- 286a2. Cfr. Falcon [2015: 76-77, 85 n. 26], Falcon [2015: 322]. Sulla questione, cfr. Lennox [2009: 187-214]. Un procedimento analogo si ritrova all'interno sempre del secondo libro De
Caelo, capitolo 12. Cfr. Aristotele, De Caelo Β 12, 292a25- b25. Aristotele è qui impegnato a risolvere un'aporia
circa alcune irregolarità dei moti celesti: a muoversi di moti più numerosi non sono gli astri più lontani dalla sfera delle stelle fisse, come è ragionevole supporre, ma quelli intermedi, mentre la Luna e il Sole, lontani dalla sfera delle stelle fisse, si muovono di pochi moti, e la Terra non si muove affatto. Aristotele risolve l'aporia proprio grazie all'analogia con gli esseri viventi. Un essere vivente più vicino al bene da raggiungere potrà compiere poche azioni per farlo, proprio come gli astri più vicini alle stelle fisse, che compiono pochi moti. Più si è lontani dal bene, maggiori saranno le azioni da dover compiere, come le stelle intermedie che si muovono di molti moti, come gli uomini che compiono molte azioni per ottenere i molti beni da lui raggiungibili. Ma se si è molto lontani dal bene da raggiungere, le azioni da portare avanti si restringono e diventano pochissime, come accade per la Luna e il Sole e gli animali non umani. Infine, se si è talmente lontani dal bene da raggiungere che qualsiasi tipo di azione o di moto risulta inutile, non ci si muove affatto, come avviene per le piante o per la Terra. Sulla questione, cfr. Repici [2000: 15-17].
concettuale adeguata, che aiuterà a chiarificare ciò che inizialmente appare oscuro238. Un esempio è
costituito dallo studio degli organi di nutrimento di animali e piante, in base alla loro differente struttura corporea239. Per spiegare il concetto di alto e basso in biologia, Aristotele ricorre ad una
distinzione di tipo funzionale, in base alla quale l'alto e il basso non sono la stessa cosa per tutti gli esseri viventi, ma cambiano in relazione alla differente struttura corporea. Infatti, l'alto viene definito da Aristotele come la parte da cui il nutrimento viene introdotto nel corpo, mentre il basso è il termine ultimo della distribuzione del nutrimento. Così, l'alto per gli uomini è costituito dalla testa, perché è da lì che si introduce il nutrimento nel corpo. Per analogia, l'alto nelle piante è costituito dalle radici, che svolgono una funzione analoga alla bocca degli animali: l'introiezione delle sostanze nutritive240. Ricorrendo ad un'analogia funzionale tra la bocca, organo appartenente
agli animali e dunque più facile da studiare, Aristotele riesce così a comprendere la funzione delle radici, che costituiscono una realtà oscura e caotica a prima vista, e dunque difficile da indagare. L'idea che sta alla base di questo modo di procedere in Aristotele risiede, sostiene Falcon, nella teoria esposta negli Analitici Secondi inerente alla spiegazione scientifica, secondo cui ogni spiegazione scientifica deve essere fornita al livello di generalità proprio dell'indagine in corso: ogni indagine deve racchiudere in maniera compatta le caratteristiche generali comuni all'interno del suo dominio di ricerca, così da evitare ripetizioni. All'interno dello studio del vivente questo avviene, ad esempio, tutte le volte che Aristotele analizza unitariamente le caratteristiche comuni ad animali e piante241. L'indagine sulle piante dipende quindi da quella sugli animali.
L'ordine del progetto delineato nei Meteorologica corrisponde quindi, effettivamente, ad un ordine di metodo di ricerca e di esplicazione.
Falcon nota che ad analoghe conclusioni erano pervenuti due studiosi rinascimentali, Francesco 238 Mi limito a segnalare alcuni passi in cui Aristotele tratta di alcuni dei processi fisiologici delle piante, ma lo fa sulla base di un raffronto con gli animali, che rappresentano l'oggetto della sua indagine. Sulla nutrizione, cfr. De
longitudine et brevitate vitae 6, 467b2; De Respiratione 468a5- 12; Historia animalium Β1, 500 b28- 30; De partibus animalium Β, 649a21-28, Β10, 655b32-36, Δ 7, 683b17- 21, Δ 10, 686b32- 687a2; De generatione animalium Β 6, 741b 34- 37. Sulla riproduzione, cfr. Aristotele, De generatione animalium Α1, 715b21-25;
Α4,717a21-25; Α 18, 724b12-21; Α20, 728b32- 729a4; Α23, 730b33-731b8; Γ5, 755b7. Sulla nascita e la generazione, cfr. Aristotele, De juventute et senectute 3, 468b18-28; De generatione animalium Α1, 715b15- 30. Sull'accrescimento e la struttura corporea, cfr. Aristotele, De partibus animalium Δ10, 686b31-687a2; Aristotele, De
anima Β4, 416a2-5; Aristotele, De juventute et senectute, 1, 467b32-468a11; Aristotele, De incessu animalium 4,
705a 28- b8, 705b 9- 21. Sulla stazionarietà, cfr. Aristotele, De caelo Β12, 291b22-292b25. Sulla morte, cfr. De
juventute et senectute 5, 469b23-26, De juventute et senectute 6, 470a19-27, De juventute et senectute 6, 470a26-32, De longitudine et brevitate vitae 4, 466a9- 13, De vita et morte 23, 479a27-28. Torneremo nel prossimo paragrafo su
tali passi. Cfr. Ferrini [2012: 39], Cerami-Falcon [2014: 38].
239 Mi riferisco in particolare a De anima B 4, 415b28- 416a5 e De incessu animalium 4, 705 a28- b8. Su questo passo, cfr. Ferrini [2012: 60-61] e Falcon [2015: 84-85]. Sullo studio delle radici come analogo della bocca e alcuni limiti delle analogie tra organi animali e parti delle piante cfr. Falcon [2015: 83].
240 Cfr. Aristotele, De juventute et senectute 1, 468a1-11.
241 Cfr. Cerami-Falcon [2014: 38], Falcon [2015: 77-78]. Come esempio di applicazione di questo criterio allo studio del vivente, si veda il caso discusso da Cerami-Falcon [2015: 39] sul moto degli animali, per come viene indagato nel De incessu animalium – dunque, le singole tipologie di movimento negli animali, secondo i presupposti teorici di De partibus animalium Α 1, 639b1- 3-, e nel De motu animalium – un'indagine rivolta al movimento in generale.
Cavalli e Jacopo Zabarella242. Entrambi gli autori si oppongono al modo in cui gli studiosi arabi e la
maggior parte degli autori medievali di ascendenza aristotelica avevano impostato l'ordine di studio delle realtà naturali. Infatti, sulla base del De anima, grandi studiosi come Avicenna, Averroè e Alberto Magno avevano organizzato le proprie ricerche sul mondo naturale in una progressione crescente, che portava dalle realtà inanimate, alle piante, agli animali, fino all'uomo243. Al contrario,
Cavalli ritiene che Aristotele abbia anteposto lo studio degli animali rispetto allo studio delle piante, proprio sulla base dell'idea che lo studio debba procedere dalle cose che a noi sono più chiare e familiari, verso quelle che a noi sono più oscure244. Allo stesso modo, Zabarella critica l'errore
compiuto da Averroè nell'aver anteposto lo studio delle piante rispetto a quello degli animali, in quanto contrario al metodo aristotelico245:
The reason which motivated Aristotle was that those things that belongs in common to animals and plants are clearer (distinctiora), and therefor easier to know (faciliora cognitu), whereas they are more rudimentary (rudiora) and more obscure (obscuriora) in plants.246
È a questo punto legittimo domandarsi se Aristotele abbia poi compiuto uno studio sulle piante: è mai esistito uno scritto specifico di Aristotele sulle piante?
Una risposta chiara e incontrovertibile alla questione non c'è: Aristotele potrebbe aver dedicato un suo scritto al mondo vegetale, ma questo non ci è comunque pervenuto247. Va in ogni caso notato
preliminarmente che, oltre ai Meteorologica, vari sono i passi del corpus in cui Aristotele si prefigge il compito di studiare le piante nello specifico. Vediamone alcuni.
Nel De Generatione animalium, durante una trattazione delle differenze sessuali tra gli esseri viventi più semplici, lo Stagirita afferma che, nella maggior parte dei testacei e negli animali che si riproducono per generazione spontanea, non vi è una vera e propria distinzione tra maschio e femmina, ma solo una distinzione analogica, così come nel caso delle piante248. Egli aggiunge
subito dopo: “Dunque, riguardo le piante bisogna indagare questi [argomenti] separatamente e da sé”249.
242 Cfr. Falcon [2015: 79-84] per Francesco Cavalli e Falcon [2015: 83-84] per Jacopo Zabarella. 243 Cfr. Falcon [2015: 78-79].
244 Cfr. Falcon [2015: 79-84]. 245 Cfr. Falcon [2015: 89-90].
246 Cfr. Zabarella, De naturalis scientiae constitutione, 90 B, citato in Falcon [2015: 84].
247 Sulla questione, cfr. Repici [2000: 3- 9], Ferrini [2012: 8-9 e 98-99, nn. 8, 9, 10], Cerami-Falcon [2014: 35-36], Falcon [2015: 75].
248 Cfr. Aristotele, De generatione animalium Α1, 715b15- 30. Ulteriore esempio dell'uso dell'analogia per studiare le piante a partire da osservazioni fatte sul mondo degli animali.
249 Aristotele, De generatione animalium Α1, 716a1- 2. Sulla questione, cfr. Repici [2000: 259, n. 1]. Simili dichiarazioni di intenti si trovano in Aristotele, De partibus animalium Β10, 656a2- 3: “Perciò, sulla loro [scil. delle piante] struttura bisogna indagare separatamente”, in Aristotele, De Generatione animalium Ε3, 783b20- 22: “Perciò, anche tra le piante le sempreverdi sono quelle più grasse, ma bisogna trattare della causa di queste cose in altri luoghi” e in Aristotele, Problemata XX 7, 923b2- 3: “Dunque, la causa per la quale alcune piante sono di vita breve, altre di vita lunga, sarà un altro discorso”.
Aristotele annuncia quindi la sua intenzione di affrontare nuovamente la questione del sesso delle piante in un'opera interamente dedicata all'argomento. Ancora, all'interno dei Parva naturalia, Aristotele fa affermazioni analoghe. Ad esempio, nel De longitudine et brevitate vitae leggiamo: “Ma su queste cose si fornirà una spiegazione per sé negli scritti sulle piante”250.
E, nel De respiratione: “Per quale causa alcune piante non possono vivere separate, mentre altre fanno l'innesto, sarà un altro discorso”251.
Nuovamente, ci troviamo di fronte a passo in cui lo Stagirita dichiara apertamente la sua volontà di indagare il mondo vegetale.
Ma nel corpus troviamo dei passi in cui Aristotele fa riferimento ad un'opera sulle piante già esistente. Ad esempio, nell'Historia animalium leggiamo: “[…] e di queste [piante], le une prendono nutrimento dalla terra, le altre nascono in altre piante, come si è detto nell'indagine sulle piante”252. Un altro passo si trova nel De generatione animalium: “[…] ma sulle piante si è indagato
in altri luoghi”253. Ancora, nel De sensu et sensibilibus leggiamo: “Le altre affezioni dei sapori
hanno un proprio esame nell'indagine naturalistica sulle piante”254.
A questo punto, è lecito domandarsi se queste affermazioni abbiano trovato un effettivo riscontro all'interno del corpus aristotelico, a prescindere dal fatto che una simile opera non ci sia pervenuta. Come abbiamo visto prima, Aristotele affida l'indagine su animali e piante all'ultima parte del suo programma di ricerca, posticipando programmaticamente lo studio sulle piante rispetto allo studio sugli animali. In effetti, la ricerca in campo zoologico trova un largo spazio nell'intero dell'opera aristotelica: gli scritti che trattano il mondo animale costituiscono quasi il 25% del corpus e analizzano quasi 450 specie diverse255. Al contrario, l'assenza tra le opere aristoteliche di uno scritto
dedicato interamente e separatamente alle piante stride con il programma delineato alla fine dei
Meteorologica. Le due ipotesi più plausibili sono che lo Stagirita non abbia fatto in tempo a scrivere
un'opera botanica, o che questa sia andata smarrita256. La domanda da porsi a questo punto è:
250 Aristotele, De longitudine et brevitate vitae 6, 467b4- 5. Sulla questione, cfr. Ferrini [2012: 98, n. 8]. 251 Aristotele, De respiratione 2, 468a30- b1.
252 Aristotele, Historia animalium Ε1, 539a19- 21. 253 Aristotele, De generatione animalium Α1, 731a29-30. 254 Aristotele, De sensu et sensibilibus 4, 442b 24- 25.
255 Cfr. Laspia [2016: 17]. Cfr. anche Lanza-Vegetti [1971: 121, n. 46].
256 Cfr. Repici [2000: 3-9], Ferrini [2012: 8-9, 98- 99, nn. 8 e 10], Cerami-Falcon [2014: 35-36], Falcon [2015: 75]. Sulla questione, cfr. anche Repici [2000: 259, n. 1], Ferrini [2012: 98, n. 8], Carbone [2015: 298, n. 59]. La nota di Carbone rimanda a Regenbongen [1937], Moraux [1951: 109] e Besnier [1997: 33] come autori che deducono dai passi esaminati che Aristotele avesse scritto effettivamente un'opera sulle piante, ma che questa sia andata perduta. Ferrini [2012: 98, n. 8] rimanda a Wimmer [1838], Senn [1930], Moraux [2000]. Cito per esteso Moraux [2000: 479]: “Una monografia di Aristotele sulle piante, noi non la possediamo più, e neppure siamo in grado di stabilire con certezza, una volta per tutte, se qualcosa di simile sia mai esistito. Se è vero infatti che in molti passi del Corpus aristotelico fa sperare in un'indagine sulle piante e in due diversi luoghi sembra perfino rinviare a uno scritto Sulle
piante già esistente, rimane comunque incerto se Aristotele in persona sia arrivato a scrivere una monografia
specifica sul tema. Se lo ha realmente fatto, lo scritto dev'essere caduto in disuso relativamente presto, soppiantato dagli scritti botanici di Teofrasto.”.
esistono evidenze o testimonianze a favore dell'esistenza di una simile opera?
Possediamo a tal proposito due testimonianze provenienti da autori di età post-ellenistica, il dossografo Diogene Laerzio, autore de Le vite dei filosofi, e il medico e filosofo Galeno. Il primo ha infatti segnato nel suo elenco di opere dello Stagirita un Περὶ φυτῶν in due libri, sul quale non abbiamo comunque altri riscontri o notizie257.
Per quel che riguarda il secondo, siamo in possesso di una testimonianza che potrebbe giocare a favore dell'esistenza di uno scritto aristotelico sulle piante. La testimonianza è ripresa da un articolo di Rashed, il quale ipotizza che un'opera aristotelica sulle piante potesse essere esistita fino al secondo secolo d. C.. Tale suggestiva idea scaturisce da quanto si legge nel De indolentia di Galeno. Il medico filosofo narra infatti di un incendio avvenuto nel 192, a causa del quale perse gran parte della sua biblioteca, nella quale si trovavano numerosi rari manoscritti. Tra le opere perdute, Galeno elenca anche un'opera aristotelica sulle piante258. Tale testimonianza potrebbe rivestire un ruolo
importante nella dimostrazione di un'esistenza di un aristotelico Περὶ φυτῶν. Tuttavia, in assenza di ulteriori testimonianze a suo favore, questa non può essere ritenuta una prova decisiva.
Un ulteriore indizio a favore della possibile paternità aristotelica di un'opera sulle piante è costituito dalla presenza di un testo intitolato De plantis a lungo attribuito ad Aristotele e oggi considerato all'unanimità opera del peripatetico del I secolo a.C. Nicola di Damasco. Questo testo risulta di grande interesse perché era inserito – probabilmente - all'interno di un progetto di compendio del
corpus aristotelico da parte di Nicola: dunque, anche questo scritto potrebbe essere il risultato del
lavoro di Nicola su un testo aristotelico preesistente sulle piante. Vediamo meglio la questione. Nicola di Damasco (Damasco, 64 a.C. - Roma, dopo 4 a.C.) fu uno studioso legato alla tradizione peripatetica, autore di numerosi scritti di carattere enciclopedico, tra cui una Storia Universale in 144 libri, nonché di un enorme progetto di compendio delle opere aristoteliche, articolato in tredici volumi259. Tra le opere di questo vasto progetto, troviamo anche il compendio di uno scritto
intitolato De plantis. Il testo originale greco di Nicola non ci è pervenuto: noi possediamo la retrotraduzione greca di una traduzione latina, operata su una traduzione araba, di una traduzione 257 Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, V 25, 21.
258 Cfr. Rashed [2011 55-77], Falcon [2015: 75-76, n. 1].
259 Su Nicola di Damasco, cfr. Ferrini [2012: 7-10 e 343-370], Repici [2000: 3, 251-253 e 338], Amigues [2002: 12- 14], Cerami-Falcon [2014: 42-43], Falcon [2016: 112-115]. Il compendio è articolato in questa maniera: Physica,
Metaphysica in due volumi, De Caelo ain due volumi, tre libri dei Meteorologica, De plantis nel settimo volume,
assieme ad un testo sui metalli, Historia animalium e De partibus animalium nell'ottavo e nel nono volume, De
anima nel decimo, parte dei Parva Naturalia nell'undicesimo, quattro libri del De generatione animalium nel
dodicesimo e, infine, il quinto libro del De generatione animalium e alcuni dei Parva Naturalia nel tredicesimo. Cfr. Cerami-Falcon [2014: 43]. Dall'indice dell'opera si possono fare due importanti rilievi. Innanzitutto, lo studio delle piante e degli animali viene visto come parte integrante di un più ampio progetto sull'intero mondo naturale. Inoltre, l'ordine dello studio adottato da Nicola non corrisponde a quello di Aristotele: l'opera sulle piante viene collocata prima dell'opera sugli animali. Questo ordine di indagine è lo stesso che verrà poi adottato dagli autori arabi al- Fārābi, Avicenna e Averroè e da Alberto Magno. Per queste questioni, cfr. Cerami-Falcon [2014: 43] e Falcon [2015: 78-79].
siriaca del testo originale260. La versione da noi posseduta fu edita per la prima volta nel 1539 nei
Geoponica e inclusa, nello stesso anno, in tutte le edizioni del corpus aristotelicum, a partire
dall'edizione Isingriniana, la seconda edizione di Basilea261. Di quest'opera si possono dunque
individuare cinque diverse traduzioni, siriaca, araba, ebraica, latina e greca, e due ramificazioni della tradizione e della sua storia degli effetti, in Oriente e in Occidente262.
Se in Occidente durante il Medioevo il testo era attribuito quasi unanimemente ad Aristotele, in Oriente le posizioni erano più discordanti: proprio in Oriente varie fonti cominciarono ad attribuirlo a Nicola di Damasco263. Durante il Rinascimento la questione dell'attribuzione del testo venne
ridiscussa, sulla base di vari studi filologici. Primo sostenitore del carattere spurio dell'opera fu Giulio Cesare Scaligero, a cui fece seguito Friedrich Sylburg, che, nella sua edizione del 1587, mise in discussione la paternità aristotelica dell'opera a causa della menzione della città di Roma (821b7) da parte dell'autore del trattato264. Dello stesso parere era Francesco Cavalli, collaboratore di Aldo