Nelle opere di Platone il tema delle piante è affrontato più volte, per molteplici questioni: egli parla di vegetali in relazione alle tecniche agricole e alla loro utilità nella comunità, per narrare di miti inerenti all'età dell'oro, oppure per via metaforica in riferimento alla coltivazione delle virtù dell'anima99.
Il Timeo è l'unica opera platonica in cui troviamo una riflessione filosofica sulla natura: perciò è in quest'opera che le piante vengono indagate non esclusivamente in riferimento all'uomo, ma in quanto tali100. L'opera offre infatti un resoconto cosmogonico dell'intera realtà naturale, riprendendo
così una tematica cara alla filosofia presocratica, e introduce all'interno di questa narrazione un breve, ma importante, riferimento botanico.
Come nel caso dei presocratici, anche nel Timeo lo studio delle piante si inserisce dentro un'indagine più ampia, volta a fornire una spiegazione dell'intero cosmo in forma di mito verosimile. Nuovamente, l'interesse rivolto alle piante non è motivato da esclusivi intenti botanici, ma dalla volontà di spiegare la totalità dell'esistente.
La spiegazione che Platone fornisce tramite Timeo circa il ruolo delle piante all'interno del cosmo è legata alla concezione antropocentrica che lo caratterizza. Il fine per il quale le piante sono state create dalle divinità, infatti, è quello di fornire nutrimento all'uomo, che costituisce il fulcro ultimo della creazione delle divinità minori. Esse rappresentano per l'uomo l'aiuto [βοήθεια] che gli dei 96 Cfr. Repici [2000: 57-61].
97 Cfr. Repici [2000: 57-61]. 98 Cfr. Repici [2000: 57-61].
99 Si parla di piante in riferimento alla funzione per la comunità nella Repubblica, nel Politico e nelle Leggi; in riferimento all'età dell'oro nel Protagora e nel Crizia; come metafora per l'educazione nello stesso Timeo. Cfr. Repici [2000: 143-165].
hanno congegnato per preservarne intatto il corpo101.
Come spiega Timeo, infatti, gli organi che costituiscono l'organismo umano come un tutto unitario sono soggetti per necessità alla consunzione e al decadimento per effetto dell'aria e del fuoco che li circonda102. Per questa ragione, le divinità hanno escogitato una maniera per consentire al corpo di
reintegrare le perdite e di mantenersi così in vita: questo è il motivo per cui sono state create le piante, che, nel discorso cosmologico antropocentrico di Timeo, rivestono quest'unico ruolo per il benessere del cosmo103.
La necessità di fornire un alimento all'uomo fa sì che la creazione delle piante sia eseguita in maniera che esse abbiano una natura congenere a quella umana – dunque, tale da poter supplire effettivamente alle perdite del corpo dovute al suo deteriorarsi -, mista ad altre forme, affinché il vivente generato sia comunque differente: “Infatti, essi creano una natura congenere alla natura umana, mista ad altre forme e sensazioni, tale da essere un altro vivente”104. Pertanto, le piante sono
create tramite una mescolanza di componenti congeneri all'uomo, che servono alla sua alimentazione e di differenti forme e sensazioni, affinché siano forme diverse di vivente. Non è ben chiaro in che senso esse differiscano per “forme” e “sensazioni”: Repici sostiene che con “forme” si possa intendere la strutturazione corporea e la bassa differenziazione organica, mentre con “sensazioni” si potrebbe intendere che esse siano percipienti – dunque, non solo viventi, ma anche animate -, ma che non abbiano organi sensori; il senso del passo è dunque oscuro105. Sul tema delle
sensazioni delle piante nel Timeo si tornerà più adeguatamente a breve.
Proseguendo nel racconto della creazione delle piante, Timeo ci informa che all'inizio esistevano soltanto le piante selvatiche, che infatti risultano più antiche di quelle coltivate: gli alberi, le piante e i semi vennero poi educati tramite l'arte della coltivazione e adesso, che sono diventati domestici, producono i loro frutti per il bene dell'uomo106. Nuovamente, la finalità ultima della creazione delle
piante è l'uomo: le divinità le hanno create selvatiche, ma addomesticabili, e l'uomo si è servito dei suoi mezzi agricoli per assoggettarle al suo uso.
A questo punto, il discorso di Timeo inserisce quasi ex abrupto una fondamentale descrizione delle 101 Cfr. Platone, Timeo 77a 3. Sulla questione, cfr. Repici [2000: 166-168] e Carpenter [2010: 281-282].
102 Cfr. Platone, Timeo 76e 7- 77a 3.
103 Cfr. Platone, Timeo 77a 3. Cfr. anche Repici [2000: 166-168] e Skemp [1947: 53-54]. Dello stesso tenore, un passo che occorre poco oltre: “Avendo i nostri superiori creato tutti questi generi [di piante] per noi inferiori come nutrimento […].” (Platone, Timeo 77c 6). Le piante sono quindi il fondamento dell'alimentazione umana e l'unica fonte legittima di sostentamento. Infatti, riguardo il destino dell'anima dopo la morte, Timeo espone una dottrina di trasmigrazione, in cui l'anima che è appartenuta a un uomo può reincarnarsi anche in un animale. Questa idea ha come suo correlato una scelta di alimentazione esclusivamente vegetariana. Cfr. Repici [2000: 314], Skemp [1947: 53-54], Carpenter [2010: 281-282].
104 Platone, Timeo 77a4-5. Skemp nota che la traduzione di συγγενῆς, qui reso etimologicamente con “congenere”, può essere resa con “esattamente contemporanea”, “nata insieme”, che ben si adatta alla necessità della pianta rispetto all'uomo. Cfr. Skemp [1947: 54].
105 Cfr. Repici [2000: 167]. Di pareri simili anche Skemp [1947: 54-55].
piante, considerate questa volta non dal punto di vista umano, ma in quanto tali e in quanto viventi. Questo è il passaggio centrale per comprendere lo statuto ontologico delle piante nel Timeo, che apre numerose questioni su cui è bene soffermarsi:
Infatti qualunque cosa partecipi del vivere, potrebbe giustamente essere detta correttamente 'essere vivente' [ζῷον]: ciò di cui parliamo ora partecipa del terzo genere di anima, che il discorso ha collocato in mezzo al diaframma e l'ombelico, alla quale non appartiene affatto l'opinione, né il ragionamento, né l'intelletto, ma la sensazione del piacevole e del doloroso insieme al desiderio. Infatti persiste per tutta [la vita] passiva, e la sua generazione per natura non è provvista della capacità di ragionare discernendo qualcosa di sé, né di rivolgersi a se stessa e in se stessa, né di respingere da sé il movimento proveniente dall'esterno, esercitando quello proprio. Perciò dunque vive e non è altra cosa dall'animale, ma è stazionaria e radicata fissa in terra, a causa del suo esser priva di movimento.107
Il passo in questione fornisce tutte le informazioni necessarie per comprendere la natura delle piante nel Timeo di Platone. Esse sono infatti incontrovertibilmente chiamate “esseri viventi” [ζῷον] - ma la traduzione potrebbe anche essere “animali”, come vedremo meglio a breve -, sono dotate di anima, possiedono la sensazione del piacevole e del doloroso, nonché il desiderio. Esse mancano comunque di capacità cognitive e non sono in grado di ragionare.
Le piante possiedono dunque, quasi del tutto, le caratteristiche degli animali. Infatti, possiedono il terzo tipo di anima, collocata nell'uomo tra il diaframma e l'ombelico, per essere lontana dal cervello, sede dell'anima intellettiva, sono prive di intelletto, ma possono esperire percettivamente il mondo circostante e possono provare desideri, alla stessa maniera degli animali108. Per questa
ragione, Timeo può affermare che la pianta “non è altra cosa dall'animale”.
Tuttavia, c'è una caratteristica che le distingue dal resto degli animali: la loro assoluta passività, l'incapacità di reagire agli stimoli esterni, pur provando desideri, e l'impossibilità di riflettere su se stesse, e la conseguente assenza di autoconsapevolezza109. La loro sensazione e i loro desideri sono
dunque irriflessi, privi di cognizione e comprensione. Per questa ragione, Carpenter ritiene che le piante in Platone non siano animali, per il carattere inconscio delle loro sensazioni e dei loro desideri: a riprova di ciò la studiosa cita il passo visto in precedenza in cui Platone sostiene che le sensazioni delle piante siano differenti da quelle degli animali110. La questione è dunque
problematica.
Le piante sono dunque viventi/animali immobili, fissi a terra, dotati esclusivamente del terzo genere 107 Platone, Timeo 77b 2-6. Sulla questione, cfr. Repici [2000: 168-170], Skemp [1947: 56-60], Carpenter [2010: 281-
303, in particolare pp. 282-283] per alcune osservazioni sulla traduzione del passo.
108 Cfr. Repici [2000: 168-169 e p. 314, n. 53]. In particolare, nella nota la studiosa riporta l'opinione di Galeno secondo cui Platone attribuì un'anima alle piante in quanto esse hanno in se stesse la capacità del mutamento. Carpenter [2010: 284- 286] solleva alcuni dubbi circa la plausibilità di un'assimilazione tout court tra piante e animali in Platone. In particolare, la studiosa nota che la narrazione della creazione delle piante viene svolta in maniera totalmente separata rispetto a quella degli animali. Inoltre, Timeo non cita le piante nella lista degli animali che il Demiurgo plasma guardando il Vivente in Sé (cfr. Platone, Timeo 39e7- 40a2).
109 Cfr. Repici [2000: 170]. Cfr. anche Carpenter [2010: 286]. 110 Cfr. Carpenter [2010: 286].
di anima, che nell'uomo risiede tra l'ombelico e il diaframma. Si è già detto che la collocazione fisica di questo tipo di anima nell'uomo ha una spiegazione: essa è posta nel punto più lontano dalla testa, sede dell'anima intellettiva. Nell'uomo, quindi, il genere di anima che distingue piante e animali dal non vivente è soltanto una parte di anima, quella più lontana dalla natura prettamente umana, e i due generi di anima si trovano collocati nei poli opposti del corpo. L'anima intellettiva dell'uomo si trova dunque collocata nel cervello, sede delle operazioni cognitive, perché è rivolta al cielo e alla divinità, mentre il terzo genere di anima si trova tra il diaframma e l'ombelico in quanto vicino al ventre e tendente verso il basso. Da questo punto di vista, l'uomo è per Timeo una sorta di pianta capovolta, le cui radici sono costituite dalla testa, che tende verso il cielo, per assimilarsi alla divinità:
Questa [l'anima intellettiva], che diciamo che abita presso la parte superiore del nostro corpo, ci innalza dalla terra verso la nostra parentela in cielo, poiché diciamo giustamente che siamo piante non radicate in terra, ma celesti.111
Come risulta chiaro da questo passo, Platone ritiene che le piante, in quanto animali inamovibili dalla terra che le nutre, siano il genere di vivente speculare rispetto all'uomo, che invece ha le sue radici in cielo, da cui riceve la massima libertà possibile: l'esercizio del proprio intelletto. Come si è già detto, piante e uomini sono in Platone simili, ma differenti: sono simili in quanto viventi e dotati di anima, ma, mentre l'uno possiede un solo genere di anima e vive dipendendo dalla terra, l'altro ha le tre specie di anima, e trova la sua compiutezza nella contemplazione del cielo. Il surplus ontologico dell'uomo sulle piante può essere considerato come una fonte di legittimazione della teoria platonica delle piante come create esclusivamente per soddisfare le necessità alimentari dell'uomo.
Abbiamo quindi detto che le piante nel Timeo sono esseri viventi – se siano animali o no non è pacifico – radicate per terra, finalizzate esclusivamente alla nutrizione umana, dotate del terzo genere di anima, e dunque di sensazioni e desideri, ma non di ragionamenti o cognizione. Tuttavia, non è ancora ben chiara una questione: se esse sono dotate di capacità percettive e desideri, non è contraddittorio affermare che in esse non sia presente alcuna forma di cognizione del mondo esterno e di sé? La descrizione della vita delle piante condotta da Aristotele, come vedremo, non lascia adito a dubbi sulle loro funzioni biologiche. In Platone, sembra invece essere presente una forma di contraddizione. Su questo problema riflette Carpenter, che trova una possibile soluzione alla questione: seguiamo il ragionamento della studiosa.
La contraddizione platonica viene individuata a partire da un passo del Timeo, precedente a quello sulle piante, in cui si connette esplicitamente la capacità percettiva all'intelligenza [τὸ φρόνιμον]: 111 Platone, Timeo 90a4-6. Sulla questione, cfr. Repici [2000: 171-172 e 312 n. 62], a cui rimando per ulteriore
“Quando anche una breve affezione raggiunge ciò che è facilmente mosso per natura [la sensorialità], questa si diffonde […] fino a raggiungere l'intelligenza [τὸ φρόνιμον].” 112.
Da questo passo risulta quindi che l'affezione che provoca la sensazione si diffonde fino a giungere all'intelligenza: le due capacità sembrano essere dunque correlate. Ma riguardo le piante, Timeo aveva detto che esse hanno sensazione, ma non intelligenza. Come leggere questa contraddizione? Carpenter sostiene che dinanzi ad essa ci sono quattro possibili opzioni:
1- Anche le piante possiedono il φρόνιμον, dunque sono intelligenti;
2- Anche le piante possiedono il φρόνιμον, ma questo non indica l'intelligenza, ma qualcosa di più basilare;
3- La sensazione nelle piante è diversa da quella negli uomini, proprio perché manchevole di φρόνιμον;
4- Data la differenza di argomenti trattati, Platone non si è accorto della contraddizione quando ha parlato delle piante113.
La prima opzione è esplicitamente negata da Timeo, quindi non può essere ritenuta al momento valida. Su di essa si tornerà comunque in conclusione.
Carpenter comincia la sua analisi dall'opzione che potrebbe apparire meno plausibile, la quarta. Secondo la studiosa, essa non va comunque scartata a priori: i contesti delle due affermazioni sono molto differenti, perciò la contraddizione non si nota immediatamente.
Inoltre, nota Carpenter, nel passo sulle piante l'interesse di Platone era dimostrare che esse sono vive e che hanno caratteristiche comuni agli animali e agli uomini, ma che sono comunque molto differenti dagli uomini: per questa ragione egli attribuisce loro la sensazione, ma non l'intelligenza. Platone non aveva infatti a disposizione la classificazione chiara e netta del vivente che farà in seguito Aristotele; egli aveva quindi necessità di comprendere perché le piante siano differenti dalla roccia e siano invece più simili agli esseri umani, ma siano anche radicalmente diverse da essi. Platone doveva quindi definire il concetto di 'vita inconscia' e di vita 'puramente biologica', con tutte le difficoltà che tali questioni avrebbero potuto sollevare. In un contesto del genere, la contraddizione rispetto a ciò che era stato affermato in precedenza potrebbe sfuggire114.
Ma – si chiede Carpenter – la vita puramente biologica delle piante per come la definisce Timeo può essere considerata uguale a quella animale? La sensazione senza consapevolezza potrebbe caratterizzare esclusivamente le piante? Se l'opzione quattro è plausibile, ma difficile da provare, le 112 Platone, Timeo, 64b3- 6. Cfr. Carpenter [2010: 283].
113 Cfr. Carpenter [2010: 283].
domande che abbiamo posto adesso possono invece spingere a prendere in considerazione l'opzione tre. Se questa fosse confermata, le piante avrebbero una sensazione priva di φρόνιμον: dunque non sarebbero differenti soltanto per forme e sensazioni, ma avrebbero differenti forme di sensazioni115.
Questa soluzione potrebbe apparire la più credibile, ma manca totalmente di evidenze testuali. Come evidenzia Carpenter, infatti, Timeo dice che le piante possiedono il terzo genere di anima, non una sorta di terzo genere di anima: egli non istituisce differenze tra l'anima appetiva delle piante e degli uomini, perciò non possiamo supporre che tale distinzione esista. Allo stesso modo, Timeo dice che le piante possiedono la sensazione, ma non fa ulteriori specificazioni: se la sensazione delle piante non fosse consona alla definizione di sensazione da lui fornita in precedenza, egli lo metterebbe in risalto. Eppure, afferma che esse hanno la sensazione, non una forma di sensazione. Inoltre, il passo in cui Timeo dice che esse differiscono dagli uomini per le sensazioni non legittima a pensare che con questo egli volesse dire che le loro sensazioni mancano di φρόνιμον, altrimenti le loro sensazioni sarebbero tali solo per via analogica: questo implicherebbe che esse siano dotate del terzo genere di anima solo analogicamente, ma non è affermato nel testo116.
Rimane da affrontare la seconda opzione. Questa ipotesi sostiene che le piante, in quanto dotate di sensazione, sono dotate anche di φρόνιμον, ma che questo termine, se usato in connessione con la sensazione, non indica l'intelligenza, ma qualcosa di più elementare, l'autoconsapevolezza delle sensazioni. Per verificare l'esattezza dell'ipotesi, la studiosa ricorre nuovamente ai testi platonici. Come nel caso precedente, Platone smentisce tale opzione. Infatti, l'analisi del termine φρόνιμον, del verbo corrispettivo, φρονέω, e di altre parole facenti parte della stessa famiglia lessicale rivela inequivocabilmente che essi sono connessi all'area semantica dell'intelligenza intesa nel senso più forte117. La studiosa cita numerose occorrenze di tali vocaboli, provenienti non solo dal Timeo, ma
anche dal Teeteto, dal Filebo, dalla Repubblica. Mi limito a richiamarne un paio, entrambe tratte dal
Timeo.
La prima occorre nella descrizione della formazione dell'Anima del Cosmo tramite il moto di rivoluzione dei cerchi dell'Identico e del Diverso. Tali moti, impartiti ai Cieli, costituiscono la prima spinta interna del loro moto. In particolare, il moto dell'Identico viene descritto come “il moto circolare della rivoluzione singola e più intelligente [φρονιμωτάτη].”118. Com'è chiaro,
l'intelligenza incarnata dall'Anima del Cosmo è la massima forma possibile di intelligenza: e in questo passo l'aggettivo utilizzato è il superlativo assoluto di φρόνιμον. Da ciò si deduce che il 115 Cfr. Carpenter [2010: 287].
116 Cfr. Carpenter [2010: 287]. 117 Cfr. Carpenter [2010: 288-298].
Cosmo possiede in massimo grado la forma di intelligenza posseduta, ad un grado inferiore, dagli altri viventi. Dunque, φρόνιμον non può indicare una forma debole di intelligenza.
In maniera analoga, il secondo passo che vorrei riportare afferma che “dunque, la testa si è rilevata come la più sensitiva e la più intelligente [φρονιμωτέρα] […].”119. Come abbiamo visto prima, la
testa, sede dell'anima intellettiva, costituisce la parte più propria ed essenziale dell'essere umano. Dunque, se la testa contiene il φρόνιμον dell'uomo, ne consegue che quest'ultimo indica necessariamente l'intelligenza in senso forte. Interessante peraltro notare che la testa è anche la parte più dotata di sensibilità: nuovamente intelligenza e percezione risultano intimamente connesse.
Da ciò deriva che φρόνιμον non indica un tipo di intelligenza debole, vicino alla semplice appercezione, ma, al contrario, implica l'intelligenza nel senso più forte. Anche l'opzione due risulta quindi non verificata120.
Carpenter trova una possibile soluzione a tale contraddizione platonica. La studiosa comincia la sua riflessione notando che le piante occupano una posizione strana all'interno del Cosmo del Timeo: non sono esseri inanimati come le pietre o simili elementi naturali, ma sono animate come gli animali, con i quali condividono la sensazione e il desiderio, pur non possedendo il moto locale. Mentre un animale può andare alla ricerca di cibo se ne ha desiderio, quindi, la pianta non può spostarsi dal terreno su cui vive. Un animale può quindi provare a raggiungere il bene, pur avendo di esso soltanto una idea confusa e legata agli stimoli sensoriali, mentre la pianta non può mirare ad esso121. Il suo bene è interamente decretato dal terreno, che le fornisce il giusto nutrimento, e che
contemporaneamente le consente di espletare l'unico ruolo che riveste per il benessere cosmico, ossia nutrire l'uomo. La vita della pianta è dunque in connessione diretta con la vita della Terra stessa, di cui costituisce un naturale prolungamento. L'ipotesi di Carpenter è quindi che le piante, pur avendo ognuna la sua individualità, le sue sensazioni, i suoi desideri, siano parte integrante della vita del Cosmo stesso, e che il loro possesso di anima non sia altro che una partecipazione all'anima cosmica122. Infatti, come abbiamo visto, le piante possiedono un unico ruolo, dunque un
unico bene, all'interno della totalità cosmica. Così, mentre gli uomini e gli animali possono espletare diverse funzioni e possono individuare diverse forme di bene, le piante vivono interamente per realizzare il loro unico bene: la loro vita è dunque rivolta unicamente al loro ruolo nel Cosmo. In un certo senso, esse sono come le rocce o i corsi d'acqua, ma partecipano in più dell'anima cosmica proprio perché devono essere simili all'uomo per fornire adeguatamente 119 Platone, Timeo, 75c 5- 6. Cfr. Carpenter [2010: 296].
120 Cfr. Carpenter [2010: 295-298]. 121 Cfr. Carpenter [2010: 299]. 122 Cfr. Carpenter [2010: 299-302].
nutrimento123. La conclusione di ciò è che la sensazione e l'intelligenza non sono caratteristiche
delle piante, ma attività di cui esse partecipano tramite l'Anima del Cosmo124. Questa soluzione è
dunque una riproposizione elaborata della prima opzione, scartata immediatamente.
In definitiva, è difficile stabilire esattamente lo status ontologico delle piante nel Timeo. La proposta di Carpenter appare molto affascinante, anche perché avvicina Platone alle teorie stoiche