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Il programma di ricerca aristotelico nell'ambito del vivente

Per analizzare le caratteristiche dell'indagine aristotelica sul vivente al fine di comprendere se essa costituisca un programma di ricerca, può risultare utile servirsi dei quattro criteri enunciati da Lennox. Bisogna dunque comprendere se la biologia aristotelica: 1- Sia relativa ad un dominio relativamente autocontenuto; 2- Miri alla conoscenza teoretica di tale dominio; 3- Identifichi i propri principi basilari; 4- Definisca concetti e metodi del dominio. Cominciamo quindi dall'identificare il suo dominio di ricerca.

1. L'indagine aristotelica nel campo della biologia, volta ad individuare le caratteristiche generali e particolari degli esseri viventi, è parte integrante di un ampio progetto, che prevede lo studio del mondo naturale in toto, ossia l'indagine rivolta alle realtà dotate di un principio di movimento interno. La distinzione tra gli enti che sono per natura, e quelli che sono per altre cause, dunque dipendenti da un principio esterno, costituisce l'incipit del secondo libro della Fisica:

Degli enti alcuni sono per natura [φύσει], altri per altre cause, e quelli per natura sono gli animali e le parti di essi, e le piante e quelli semplici tra i corpi [τά τε ζῷα καὶ τὰ μέρη αὐτῶν καὶ τὰ φυτὰ καὶ τὰ ἁπλᾶ τῶν σωμάτων], come la terra e il fuoco e l'aria e l'acqua (infatti diciamo che questi e simili enti sono per natura), ed è chiaro che tutti questi differiscono da quelli che non sono per natura. Infatti ciascuno di essi ha in sé un principio di movimento e di quiete [ἐν ἑαυτῷ ἀρχὴν ἔχει κινήσεως καὶ στάσεως], alcuni secondo luogo [κατὰ τόπον], altri secondo crescita e corruzione [κατ' αὔξησιν καὶ φθίσιν], altri secondo alterazione [κατ' ἀλλοίωσιν].134

Aristotele delinea il suo programma di ricerca in campo fisico nell'incipit dei Meteorologica135.

L'opera si apre con un rapido riepilogo degli argomenti naturalistici già trattati, ovvero le cause 134 Aristotele, Physica Β1, 192b8- 15. Ove non altrimenti indicato, la traduzione è mia. Sui processi biologici come parte integrante dello studio del mondo fisico, ossia delle realtà dotate di principio di movimento interno, cfr. Falcon-Lefebvre [2018: 3].

135 Sulla nozione di “programma di ricerca” in Aristotele cfr. Lennox [2001: 110-114] e Laspia [2016: 7-24], Li Causi [2018: 30-32]. Il passo aristotelico in cui viene delineato il programma di studio naturalistico è tratto da Aristotele,

Meteorologica Α1, 338a20- 339a9. Su tale passo, cfr. Vegetti-Ademollo [2016: 31-45], Cerami-Falcon [2014: 35-

prime della natura e di ogni movimento naturale [τῶν πρώτων αἰτίων τῆς φύσεως καὶ περὶ πάσης κινέσεως φυσικής], gli astri [ἄστρων], gli elementi dei corpi [τῶν στοιχείων τῶν σωματικῶν], la generazione e la corruzione [γενέσεως καὶ φθορᾶς]136. Segue poi l'indicazione degli argomenti che

verranno affrontati nel corso dell'opera stessa, i fenomeni naturali che vengono chiamati “meteorologia” [μετεωρολογίαν]: le comete [κομητῶν], i processi comuni di aria e acqua [ἀέρος κοινὰ πάθη καὶ ὕδατος], le cause dei venti e dei terremoti [πνευμάτων καὶ σεισμῶν αἰτίας], i fulmini [κεραυνῶν], i tifoni [τυφώνων] e i turbini [πρηστήρων].137 Infine, Aristotele annuncia gli argomenti

che rimangono da trattare per concludere l'indagine fisica:

Dopo aver trattato di questi argomenti, rifletteremo sugli animali e sulle piante [περὶ ζῴων καὶ φυτῶν], se possiamo dare una spiegazione secondo il metodo mostrato, in generale e in particolare: infatti, dopo aver parlato di queste cose, sarà quasi giunta la conclusione del progetto [προαιρέσεως] da noi [prefissato] dall'inizio.138

Questo passo enuclea le questioni da affrontare per concludere la trattazione naturalistica: Aristotele aveva trattato delle realtà del mondo sopralunare e della natura inanimata del mondo sublunare; adesso gli rimane da indagare il regno del vivente sublunare, costituito da animali e piante.

L'ordine in cui egli elenca gli ultimi due argomenti da affrontare non è casuale, e fornisce un'importante indicazione metodologica ed euristica sul modo di procedere aristotelico nei confronti dello studio sulle piante, come vedremo.

Le ultime due sostanze, animali e piante, costituiscono il dominio relativamente autocontenuto delle opere biologiche aristoteliche cui fa riferimento Lennox. Aristotele analizza in particolare il mondo degli animali, mentre Teofrasto quello delle piante, ma vedremo che non mancano negli scritti dello Stagirita numerose osservazioni sulle piante, che nascono da una comparazione per analogia o differenza rispetto agli animali139.

Lo studio diretto degli animali è realizzato da Aristotele nelle opere biologiche propriamente dette. Tuttavia, per comprendere le caratteristiche al livello massimo di generalità degli esseri viventi, ossia le δυνάμεις più comuni che appartengono al vivente in quanto tale, è opportuno iniziare dalla definizione di vita [ζωή] e delle caratteristiche che le competono in quanto tale offerta nel libro B del De anima140:

136 Cfr. Aristotele, Meteorologica Α1, 338a20-338a25. In questo passo Aristotele fa riferimento agli argomenti trattati nella Physica, nel De caelo e nel De generatione et corruptione.

137 Cfr. Aristotele, Meteorologica Α1, 338a25-339a5. 138 Aristotele, Meteorologica Α1, 339a5- 9.

139 Sui riferimenti alle analogie e alle differenze tra mondo vegetale e mondo animale si tornerà più analiticamente in seguito. Su questo argomento, cfr. Repici [2000: 3-44 e 259-268], Amigues [2002: 3-4 e 12-14], Ferrini [2012: 59- 74], Laspia [2016: 17-28] e Falcon [2013: 318], [2015: 74-90] e [2017: 16-21]. Sui legami tra le opere biologiche di Aristotele e le opere botaniche di Teofrasto, cfr. Desautels [1988: 226-243], Gotthelf [1988: 100-135], Balthussen [2000: 56-70], Repici [2000: 175-211], Repici [2013: 30-35], Lennox [2001: 110-119], Amigues [1988: XVI- XVIII], [2002: 3-10 e 20-42], Cerami-Falcon [2014: 35-39], Falcon [2015: 74-82] e [2017: 16-19].

Sostanze sembrano essere soprattutto i corpi, e tra questi quelli naturali: infatti questi sono principio degli altri. Dei corpi naturali, alcuni hanno vita [ζωήν], altri non l'hanno: chiamiamo 'vita' il nutrirsi [τροφήν] da sé e la crescita e il deperimento. Cosicché ogni corpo naturale dotato di vita sarà sostanza, ed esattamente come sostanza composta.141

Su tale definizione si tornerà più analiticamente nel prossimo paragrafo; al momento basta osservare che le sostanze naturali oggetto di indagine nel De anima – e che verranno studiate a fondo nelle opere biologiche - sono quelle dotate di vita, ossia della capacità di nutrirsi da sé, di crescere e di deperire. I corpi naturali viventi, in quanto tali, possono realizzare queste attività biologiche perché sono dotati di un principio funzionale di organizzazione interna tra le parti che ne definisce le potenzialità e ne costituisce la forma e l'essenza più propria, e che Aristotele chiama ψυχή, anima. Ogni corpo naturale dotato di vita sarà dunque, in quanto tale, dotato anche di ψυχή: “Dunque diciamo […] che l'animato [ἔμψυχον] si distingue dall'inanimato [ἀψύχου] per il fatto di vivere.”142.

Il legame tra vita e anima, e la concezione dell'anima come forma del corpo vivente sono sintetizzati nella prima delle tre formulazioni della definizione di ψυχή che Aristotele fornisce nel

De anima: “È dunque necessario che l'anima sia sostanza come forma [εἶδος] di un corpo naturale dotato di vita in potenza.”143.

La questione è della massima importanza per la comprensione della biologia aristotelica e verrà trattata più a fondo nel prossimo paragrafo: adesso mi basta sottolineare che il dominio relativamente autocontenuto dell'indagine biologica aristotelica è costituito da tutte e sole quelle sostanze che sono dotate di sono dotate di vita [ζωή], dunque della capacità di nutrirsi, di crescere, di riprodursi e di deperire, e che, in quanto tali, sono composte da un corpo organico dotato di anima [ψυχή] in quanto forma [εἶδος]144. Ne possiamo concludere che il primo criterio identificato

da Lennox è rispettato: l'indagine biologica aristotelica riguarda un dominio relativamente autocontenuto, che comprende le sostanze naturali dotate di vita in potenza, dunque animate, ossia piante e animali.

2. Analizziamo adesso il secondo criterio di Lennox, secondo cui un programma di ricerca mira a una conoscenza prettamente teoretica del proprio dominio.

Dopo aver analizzato il De anima, che fornisce le caratteristiche dei viventi al livello massimo di generalità, fungendo da introduzione propedeutica al corpus biologico, passiamo al primo libro del 141 Aristotele, De anima Β1, 412a12-17. Cfr. Bolton [1978: 269-270].

142 Aristotele, De anima Β2, 413a21. Sull'importanza dello studio dell'anima nei confronti dello studio del vivente, cfr. Lloyd [1995: 146-168].

143 Aristotele, De anima Β1, 412a19-21.

144 Il concetto di corpo vivente come sinolo di materia e forma è il punto di partenza per lo studio della biologia aristotelica. Cfr. a tal proposito Falcon-Lefebvre [2018: 1-12].

De partibus animalium, da Lennox definito “a philosophical introduction to the science of living nature and not simply the first book of PA”145.

Già dal primo paragrafo, Aristotele enuncia quali sono gli obiettivi e le finalità della sua indagine: Dico ad esempio che bisogna che chi assume ogni singola sostanza trovi delle definizioni su di essa per sé, come sulla natura dell'uomo o del leone o del bue, o di qualche altro animale, esaminando ciascuno, o presupponendo gli accidenti comuni a tutti secondo qualcosa di comune.146

Aristotele afferma la necessità di trovare per ciascuna specie animale studiata delle definizioni che consentano di identificare ogni specie per sé, e di trovare poi degli accidenti che siano comuni a più specie. Un tale genere di conoscenza è prettamente teoretico, poiché mira a pervenire a definizioni che nulla offrono, se non una maggiore conoscenza dell'oggetto di indagine. Aristotele ribadisce altre volte la valenza teoretica della sua indagine, sostenendo la necessità di trovare cause e definizioni sul mondo degli animali: “Bisogna anche che il naturalista, avendo osservato [θεωρήσαντας] dapprima i fenomeni sugli animali e le parti di ciascuno, dica poi il perché [τὸ διὰ τί] e le cause.”147.

Lo studioso della natura ha dunque il compito di osservare i fenomeni riguardanti gli animali, al puro fine di esplicarne il perché e le cause: lo scopo dell'indagine biologica è quindi pervenire a un possesso teoretico del dominio di ricerca. Il primo motore dell'indagine biologica aristotelica è pertanto la conoscenza e la comprensione del mondo del vivente, verso il quale lo Stagirita provava una forte ammirazione e una forte attrazione:

Quante delle sostanze sono costituite per natura, alcune sono ingenerate e incorrutibili eternamente e in assoluto, altre partecipano della generazione e della corruzione. Ma accade che su quelle sostanze onorevoli e divine a noi appartiene una minore conoscenza (infatti sono del tutto poche le cose chiare attraverso la sensazione, dalle quali si potrebbe fare un'indagine su queste cose e su quelle di cui abbiamo sete di sapere), mentre sulle sostanze corruttibili [φθαρτῶν], piante e animali, siamo molto più ricchi riguardo la conoscenza per la convivenza. Qualcuno, volendo trattare sufficientemente con cura di questi enti, potrebbe cogliere molte cose su ciascun genere. Ogni [ricerca] comporta gioia [χάριν]. Infatti, anche se afferriamo una piccola parte di questi enti, ugualmente per la dignità del sapere, la ricerca è più piacevole rispetto a quella sulle cose presso di noi, come anche esaminare una parte casuale e piccola delle cose amate è piacevole più di conoscerne con precisione molte altre e importanti; gli altri enti, per la conoscenza più grande e completa di essi, assumono la preminenza della scienza, e ancora, per il loro essere più vicini a noi e più familiari di natura, controbilanciano in qualche modo la ricerca del sapere verso le cose divine. Poiché abbiamo trattato questi argomenti, dicendo le cose che sono chiare a noi, rimane di parlare della natura animale, senza tralasciare possibilmente nulla, né le cose più disprezzate, né quelle più apprezzate. Infatti, nelle cose che non risultano gradevoli [μὴ κεχαιρισμένοις] per la sensazione, la natura che le ha prodotte [δημιουργήσασα φύσις] offre ugualmente piaceri straordinari per l'indagine a coloro che possono conoscere le cause e che amano il sapere per natura. Infatti sarebbe illogico e strano se gioissimo [χαίρομεν] osservando le raffigurazioni di questi, perché consideriamo insieme l'arte che le ha prodotte [δημιουργήσασαν τέχνην], come la pittura o la scultura, ma non amassimo maggiormente la considerazione di queste cose che si formano per natura, essendo in grado di riconoscerne le cause. Perciò non bisogna provare

145 Lennox [2001: 112].

146 Aristotele, De partibus animalium Α1, 639a15- 19. Cfr. Lennox [2001: 112]. 147 Aristotele, De partibus animalium Α1, 639b8- 10. Cfr. Lennox [2001: 112].

disgusto in maniera infantile verso l'indagine sugli animali meno nobili: infatti in tutte le cose naturali è presente qualcosa di meraviglioso [θαυμαστόν]; e come si dice che Eraclito abbia detto agli stranieri che volevano incontrarlo, poiché mentre avanzavano lo videro scaldarsi al focolare si fermarono (lui ordinò loro di entrare con coraggio: infatti anche lì erano gli Dei), così non bisogna guardare con sdegno anche verso la ricerca su ciascuno degli animali, poiché in ciascuno degli enti c'è qualcosa di naturale e bello.

Infatti nelle opere della natura non c'è mai il caso, ma il fine [ἕνεκά τινος], e al grado massimo: il fine per cui qualcosa si è costituito o generato ha assunto il posto del bello. Se qualcuno ritiene che la considerazione degli altri animali sia indegna, bisogna che pensi allo stesso modo anche di se stesso: infatti non è possibile conoscere senza molto fastidio da cosa è costituito il genere degli uomini, come sangue, carne, ossa, vene e parti simili.148

Ho ritenuto opportuno riportare l'intera traduzione di questo passo perché, a mio avviso, esso costituisce un manifesto dell'entusiasmo aristotelico verso lo studio del vivente, senza il quale non è possibile comprenderne finalità e prospettive. Dal passo trapela la passione teorica aristotelica verso lo studio del regno del vivente. Secondo Aristotele, in natura alcuni enti sono più nobili di altri – i corpi celesti sono più nobili degli enti naturali sublunari e corruttibili -, ma l'indagine naturalistica risulta ugualmente nobile in ciascuna delle sue diramazioni. Così, se studiare gli astri produce un grande piacere perché si ha a che fare con le cose divine, un uguale piacere si ricava dallo studio degli animali comunemente ritenuti sgradevoli alla sensazione e meno degni di considerazione: infatti, la ricerca delle cause in natura è ugualmente gradevole, senza alcuna distinzione. Aristotele invita tutti coloro che amano il sapere a contemplare le realtà che appaiono meno nobili, perché anche in loro esiste un che di meraviglioso, che produce piacere e gioia a chi non li trascura. Il passo in questione è pertanto, a mio avviso, massima espressione delle finalità prettamente teoretiche dell'indagine naturalistica aristotelica. L'unico scopo dello studio del vivente è il piacere che la pura conoscenza di ciascun animale produce in chi sta studiando.

Dunque, per tali ragioni la ricerca biologica aristotelica si pone come un'indagine prettamente teoretica, finalizzata a nient'altro che alla pura conoscenza. Di questo troviamo ulteriore testimonianza nel primo paragrafo del libro Ε della Metaphysica:

Poiché anche la scienza della natura [φυσικὴ ἐπιστήμη] riguarda un qualche genere dell'essere (infatti riguarda quella tale sostanza nella quale si trova il principio di movimento e quiete in se stessa), è chiaro che essa non è né una scienza pratica, né una scienza poietica (infatti il principio delle creazioni è in chi crea, ed è o la mente, o l'arte, o una qualche facoltà, il principio delle azioni è in chi agisce, ed è la scelta: infatti lo stesso sono l'oggetto dell'azione e della scelta), cosicché se ogni conoscenza è o pratica, o poietica, o teoretica, la fisica sarà conoscenza teoretica [ἡ φυσικὴ θεωρητική], ma teoretica circa quel tale ente che è capace di muoversi, e su quella sostanza secondo la definizione che non è separata [dalla materia] per lo più .149

Dunque la φυσικὴ ἐπιστήμη è una conoscenza θεωρητική, poiché non riguarda né le azioni morali, oggetto della conoscenza pratica, né le produzioni artistiche e materiali, oggetto della conoscenza 148 Aristotele, De partibus animalium Α5, 644b22- 645a30.

poietica, ma riguarda quel genere di essere che ha in sé principio di movimento e di quiete e che per definizione non è separabile dalla materia: anche il secondo criterio di Lennox è rispettato.

Passiamo al terzo criterio, ossia all'identificazione dei principi basilari dell'indagine.

3. Per riconoscere i principi basilari dello studio biologico di Aristotele è necessario servirsi ancora del primo libro del De partibus animalium. Qui è infatti enunciato un principio metodologico fondamentale dello studio aristotelico del vivente, che funge da strumento esplicativo per la comprensione dell'organismo: si tratta della cosiddetta 'necessità a partire da una condizione' [ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως]. Ne troviamo la definizione nel primo paragrafo del primo libro del De

partibus animalium:

il [necessario] assoluto appartiene alle cose eterne, il necessario a partire da una condizione alle cose in generazione, come anche a quelle nelle tecniche, come a una casa, o a qualsiasi altra di simili cose. È necessario che ci sia tale materia, se ci sarà una casa o un qualche altro fine: e bisogna che si generi e che sia mossa dapprima questa cosa, poi quella, e che dunque questa direzione [sia] senza interruzione fino allo scopo e al fine per cui ciascuna cosa si genera ed è. Allo stesso modo [avviene] nelle cose che si generano per natura.150

La necessità a partire da una condizione è, dunque, un genere di necessità non assoluta, che si verifica soltanto in particolari situazioni, perché è determinata dal fine da raggiungere. Siamo in presenza di ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως, dunque, quando, per ottenere uno scopo specifico, siamo necessitati a soddisfare determinati criteri, che altrimenti non sarebbero necessari. Come vedremo nel prossimo paragrafo, a livello biologico l'ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως è il principio che regola il rapporto tra l'organo [ὄργανον] e la sua funzione [ἔργον]: ogni organo corporeo esiste necessariamente al fine di realizzare una determinata funzione, senza la quale la sua esistenza non sarebbe necessaria. La necessità di ogni organo non è quindi assoluta, ma a partire da una condizione, ossia il compimento dell'ἔργον per il quale esso esiste. Per compiere la sua specifica funzione l'organo necessita di una determinata materia, che risulta quindi necessaria per soddisfare una specifica condizione: lo vedremo meglio più in avanti.

Ne troviamo un'altra definizione verso la fine del primo paragrafo del primo libro del De partibus

animalium:

Ci sono quindi due cause, quella in vista di qualcosa e quella per necessità: infatti molte cose si generano perché è necessario. Forse ci si potrebbe chiedere quale necessità dicano coloro che dicono 'per necessità': infatti non esiste nessuna delle due forme distinte nelle opere di filosofia. Nelle cose che hanno generazione, c'è comunque la terza: infatti diciamo che il nutrimento è qualcosa di necessario non in base ad alcuno di questi modi, ma perché senza di esso non è possibile [vivere]. Questa necessità è come a partire da una condizione: infatti, poiché bisogna spaccare con la scure, è necessario che essa sia dura e, se è dura, che sia di bronzo o di ferro, così anche, poiché il corpo è uno

150 Aristotele, De partibus animalium Α 1, 639b24- 640a1. Cfr. anche Aristotele, De partibus animalium Α 1, 640b1- 4: “Poiché una cosa è tale, è necessario che la generazione accada così e tale: perciò dapprima, tra le parti, si genera questa, poi quella. E dunque questo ugualmente è il modo per tutte le cose che si costituiscono per natura.”. Cfr. Lennox [2001: 112-113]. Morel [2007: 69] ha creato un diagramma semplice per riassumere i tipi di necessità e finalità nell'indagine biologica aristotelica.

strumento (infatti ciascuna delle parti è in vista di qualcosa, e ugualmente anche l'intero), è necessario allora che sia in questa maniera e composto da tali cose, se sarà questo.151

In questo passo, Aristotele legge uno dei processi biologici più importanti, la nutrizione, come una ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως: essa è necessaria non in senso assoluto, ma al fine della sopravvivenza152.

Strettamente connessa alla necessità a partire da una condizione è l'idea che tutto in natura avviene in senso finalistico e nulla invano. L'idea di teleologia in natura è sintetizzata nell'espressione, molto frequente e variamente declinata, φύσις οὐδὲν ποιεῖ μάτην. All'interno del corpus aristotelico la troviamo ventidue volte, di cui tre nel De caelo, due nel De anima, una nel De respiratione, sei nel De partibus animalium, tre nel De incessu animalium, quattro nel De generatione animalium, tre nella Politica. Si tratta di un principio metodico euristico che Aristotele applica al fine di trovare una chiave di lettura a fenomeni che potrebbero apparire episodici e difficilmente intellegibili. La centralità di tale principio è sottolineata nel De incessu animalium:

Principio della ricerca è servirsi spesso dei presupposti a cui siamo abituati per l'indagine naturalistica, assumendo le cose che hanno questo metodo in tutte le opere della natura. Uno di questi è che la natura non fa nulla invano, ma sempre la più nobile tra le cose che sono possibili per essenza circa ciascun genere di animale: perciò, se qualcosa è migliore in questa maniera, allora così sta secondo natura.153

Aristotele definisce qui il principio in questione come ὑποθέμενος, presupposto, dell'indagine naturalistica e come un fondamentale ἀρχὴ τῆς σκέψεως, principio della ricerca, nello studio della natura. La sua importanza in campo euristico trova effettiva applicazione numerose volte, fungendo da criterio di comprensione del perché dei fenomeni biologici. Ne troviamo un esempio nel De

anima:

È necessario che l'animale abbia la sensazione, se la natura non fa nulla invano. Al fine di qualcosa, infatti, tutte le cose esistono per natura, o come accidenti di ciò che esiste al fine di qualcosa. Dunque, se ogni corpo capace di muoversi localmente non avesse la sensazione, verrebbe distrutto e non andrebbe verso lo scopo, che è il compito della natura.154

Nel passo in questione, il principio serve ad Aristotele per trovare la causa della presenza della sensazione negli animali: la natura, che non fa nulla invano, dona all'animale la sensazione al fine di