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La ψυχή, fondamento della biologia aristotelica

Ribadiamo brevemente ciò che avevamo visto in precedenza circa le caratteristiche della ψυχή. L'interesse primario dell'indagine aristotelica è costituito dallo studio dei viventi sulla base delle loro caratteristiche osservabili empiricamente e spiegabili tramite un procedimento discorsivo: la scienza aristotelica, che trova il suo punto di avvio dai λεγόμενα dei predecessori, è dunque uno studio di φαινόμενα174. La definizione di “vita” che abbiamo visto in precedenza, posta all'inizio del

secondo libro del De anima, si basa dunque sulle attività osservabili in tutti gli esseri viventi: si tratta quindi di una definizione operativa. Non è inopportuno ribadire tale definizione:

Sostanze sembrano essere soprattutto i corpi, e di questi i naturali: infatti questi sono principio degli altri. Delle sostanze naturali, alcune hanno vita [ζωή], altre non l'hanno: chiamiamo vita la capacità di nutrirsi [τροφή] da sé e la crescita [αὔξησιν] e il deperimento [φθίσιν].175

171 Cfr. Witt [1995: 170-171]. In particolare, a p. 171 Witt scrive: “The purpose of the critical phase of dialectic is twofold: it offers a glimpse of the end or goal of the investigation just as the negative of a photograph outlines a positive image, and it also helps one decide which theory is adequate or most adequate in relation to the array of puzzles and problems.”.

172 Cfr. Aristotele, Topici Ζ 6, 145b17- 18: “Sembrerebbe che l'uguaglianza di ragionamenti contrapposti sia l'elemento produttivo dell'aporia”.

173 Cfr. Witt [1995: 169]: “Aristotle's purpose is not primarily historical, however, since a discussion of earlier views on a given topic is an integral and an important part of his philosophical method, dialectic.”.

174 Sulla questione Owen [1961: 113-126].

Sulla base di questa definizione, Aristotele può stabilire cosa è vivente e cosa no: ogni sostanza naturale che possiede vita, in quanto tale, deve essere in grado di nutrirsi da sé, crescere e deperire. Il corpo vivente, rispetto al corpo non vivente, deve poter svolgere quindi delle funzioni biologiche minime. Ma in virtù di cosa un tale corpo può essere in grado di realizzare tali attività? Arisotele lo spiega nel passo successivo:

Perciò, ogni corpo naturale dotato di vita [πᾶν σῶμα φυσικὸν μετέχον ζωῆς] sarà sostanza [οὐσία], e lo sarà in quanto sostanza composta [ὡς συνθέτη], e poiché è un corpo simile quello che possiede la vita [ζωήν], non sarà il corpo la sua anima.176

Ogni corpo vivente è da Aristotele considerato sostanza composta: più precisamente, esso è un composto di corpo e di anima. Ciò che possiede la vita, dunque, per Aristotele possiede anche l'anima e non è solo corpo: ogni essere vivente, in quanto tale, è animato177. Le funzionalità basilari

per definire la vita, che vengono espletate dal corpo, trovano la loro origine nell'anima.

Per tale ragione, Aristotele fornisce una prima formulazione della definizione di anima in questi termini: “È necessario dunque che l'anima sia sostanza in quanto forma [εἶδος] di un corpo naturale dotato di vita in potenza [σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος].”178. Il corpo naturale vivente è,

in quanto tale, dotato di anima, la quale funge da principio formale del corpo, poiché costituisce il complesso di potenzialità intrinseche ad esso. In un corpo vivente, corpo e anima possono essere disgiunti soltanto mediante un atto linguistico di astrazione, ma essi formano un'unità inscindibile, impossibile da separare. Vediamo meglio perché e in che senso.

Per farlo, occorre servirsi della seconda formulazione della definizione di anima:

Perciò, l'anima è entelechìa [ἐντελέχεια] prima di un corpo naturale che ha la vita in potenza [σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος], e tale è un corpo dotato di organi [ὀργανικόν].179

Per un corpo vivente, quindi, l'anima costituisce la sua entelechìa, ossia la sua finalità interna, che struttura funzionalmente l'organizzazione corporea dell'organismo. Come viene detto nella seconda metà della definizione, infatti, il corpo vivente animato, in quanto tale, è dotato di organi. I termini 176 Aristotele, De anima Β1, 412a15- 16: “ὥστε πᾶν σῶμα φυσικὸν μετέχον ζωῆς οὐσία ἂν εἴη, οὐσία δ' οὕτως ὡς

συνθέτη. ἐπεὶ δ' ἐστὶ καὶ σῶμα καὶ τοιόνδε, ζωὴν γὰρ ἔχον, οὐκ ἂν εἴη σῶμα ἡ ψυχή.”. Cfr. Falcon [2019: 9-11]. 177 Cfr. Aristotele, De anima Β4, 415b8: “L'anima è causa e principio del corpo vivente.” e 415b13- 14: “L'essere per i

viventi è il vivere e causa e principio di ciò è l'anima.”. Cfr. Cardullo [2007: 74]: “Alla scienza fisica compete anche lo studio dell'anima, cioè la psicologia […]. È questo uno dei settori in cui più evidente appare il distacco teoretico e metodologico di Aristotele dalle posizioni platoniche; egli infatti – diversamente da Platone – ritiene l'anima un principio biologico (da bios, “vita”) e non soprannaturale, e fa della disciplina che se ne occupa una parte integrante della fisica e non della metafisica.”.

178 Aristotele, De anima Β1, 412a19- 20: “ἀναγκαῖον ἄρα τὴν ψυχὴν οὐσίαν εἶναι ὡς εἶδος σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος”. Cfr. Bolton [1978: 260-262].

179 Aristotele, De anima Β1, 412a12- 17: “διὸ ἡ ψυχή ἐστιν ἐντελέχεια ἡ πρώτη σώματος φυσικοῦ δυνάμει ζωὴν ἔχοντος. τοιοῦτον δὲ ὃ ἂν ᾖ ὀργανικόν.”. Cfr. Bolton [1978: 269-270]. Secondo Bolton [1978: 262-264], questa formulazione è riconducibile alla definizione nominale di cui Aristotele parla in Analitici Secondi Β 10, 93b 30, ossia la spiegazione del significato di un fenomeno o di un ente, prima di averne spiegato la causa. Sul tema, cfr. King [2001: 40-48].

“entelechìa” e “organo” occupano un ruolo centrale nella biologia aristotelica: è dunque opportuno soffermarsi su di essi.

Il primo è un neologismo aristotelico, composto da tre termini: ἐν, “in”, τέλος, “fine”, ἔχειν, “avere”. Esso indica il possesso interno del proprio fine, la natura interna della finalità di ogni essere dotato di anima. L'ἐντελέχεια è l'autorealizzazione in sé della finalità propria di ciascun vivente, il cui scopo non va mai ricercato in una realtà ad esso esterna – per esempio, il fungere da cibo per un altro essere vivente -, ma nella realizzazione delle proprietà ad esso intrinseche. Dunque, l'anima, in quanto entelechìa prima del corpo naturale dotato di vita in potenza, è l'attuazione delle finalità intrinseche di ogni tale corpo, che non ha alcuno scopo se non l'attuazione delle proprie potenzialità, tramite la strutturazione organica del corpo stesso, che dunque non è indifferente alla realizzazione del τέλος ad esso intrinseco180.

Il secondo termine, ὀργανικόν, deriva dalla radice al grado forte ἐργ-, da cui derivano termini connessi con l'area semantica dell'operare e dell'agire, come ἔργον o ἐργάζομαι. Il sostantivo corrispondente è ὄργανον, che significa 'strumento', e, solo per traslato, 'organo'. Tale vocabolo è quindi legato alla sfera concettuale dell'operativo, dello strumentale: ὄργανον è il mezzo tramite cui realizzare un ἔργον. In campo biologico, esso indica l'organo, inteso come lo strumento corporeo necessario per compiere le funzioni vitali. L'organo è composto dall'unione di componenti non omogenee, o anomeomere, formate da componenti che sono al loro interno omogenee, dette omeomere, ma tra loro non omogenee, a loro volta composte dalle potenzialità da cui derivano le sostanze elementari aria, acqua, terra, fuoco, ossia caldo/freddo e secco/umido181. L'organo – in

quanto composto disomogeneo – assume nel corpo una funzione strumentale, mentre le componenti omogenee, nel caso degli animali, servono per la sensazione:

Essendo presenti, inoltre, negli animali parti strumentali e parti sensibili, ciascuna delle strumentali è anomeomera, come si è detto prima, mentre la sensazione si genera per tutti nelle componenti omeomere [...].182

Un corpo vivente e, dunque, dotato di organi, è un corpo costituito non come un blocco unico privo di differenziazioni interne, ma come una totalità unitaria ed internamente articolata. Tramite ciascuno dei suoi ὄργανα, il corpo riesce a compiere i propri ἔργα, attuando così la propria ἐντελέχεια: la realizzazione del patrimonio di potenzialità inscritte all'interno della ψυχή di ciascun 180 Cfr. King [2001: 45]: “The Greek word translated by 'actuality', entelecheia, an invention of Aristotle's, may be taken to mean that the entity concerned has (echein) its end (telos), and this in turn implies that such an entity has no further end. Put positively, that would be stay that the soul of a living thing is that aspect of it which is complete; put negatively, it is that aspect which serves no end beyond itself.”. Cfr. anche Lo Piparo [2003: 8].

181 Cfr. Aristotele, De partibus animalium Β2, 646a13-24.

182 Aristotele, De partibus animalium Β1, 647a3-6. La questione è in generale trattata in tutto il primo paragrafo del secondo libro del De partibus animalium. Esempi di componenti corporee omeomere e anomeomere si trovano in Aristotele, Historia animalium Α1, 487a2-9.

vivente richiede quindi uno specifico ὄργανον deputato ad un preciso ἔργον.

Dalla seconda formulazione della definizione di anima, emerge quindi che non si dà ψυχή senza un σῶμα ὀργανικόν che possa realizzarne le potenzialità183. Pertanto, le sostanze naturali oggetto di

indagine nello studio sul vivente sono composte da una inscindibile unità di anima, come forma ed entelechìa, e di corpo differenziato in organi, necessari ad espletare le attività. Non si può quindi trattare del vivente senza prendere in considerazione il corpo in quanto animato, e l'anima in quanto radicata in un corpo:

Questa [scil. la ψυχή] è essenza [τὸ τί ἦν εἶναι] di un corpo determinato, proprio come se uno degli strumenti [ὀργάνων], come la scure, fosse un corpo naturale: infatti, l'essenza di questo sarebbe l'essere una scure e questa sarebbe la sua anima; eliminata questa, la scure non sarebbe più, se non per omonimia, ma ora [nell'esempio] è solo una scure. Infatti, l'anima non è l'essenza e la definizione di un tale corpo, ma di un determinato corpo naturale, che ha in se stesso il principio di movimento e quiete. Bisogna osservare quanto detto anche per le parti corporee. Infatti, se l'occhio fosse un animale la sua anima sarebbe la vista: infatti questa è sostanza dell'occhio secondo la definizione (mentre l'occhio è materia della vista), tolta la quale non c'è più l'occhio, eccetto che per omonimia, come l'occhio di pietra o l'occhio dipinto. Ora bisogna assumere quello [che vale] per la parte sull'intero corpo vivente.184

Questo passo spiega il concetto aristotelico di ψυχή. Nel primo, Aristotele invita a immaginare che uno strumento [ὄργανον], la scure, sia un corpo naturale ἔμψυχον. Se lo fosse, la sua anima sarebbe la sua essenza e la sua definizione, ovvero il suo essere scure. Se eliminassimo l'anima da una simile scure, essa perderebbe la sua essenza e non sarebbe più scure. Per un corpo naturale vivente, quindi, l'anima è l'essenza che definisce il proprio essere.

Questo primo esempio prende in considerazione un corpo non naturale. La ψυχή, invece, è forma di un corpo naturale: per tale ragione, Aristotele ricorre ad un altro esempio, questa volta un ὄργανον corporeo, l'occhio. Se l'occhio fosse un animale, la sua anima – in quanto essenza che lo definisce - sarebbe la vista, mentre il sostrato corporeo sarebbe l'occhio materiale. L'anima intesa come ἐντελέχεια è quindi l'insieme delle potenzialità inscritte all'interno di un determinato corpo naturale:

183 Su questo punto, cfr. Aristotele, De anima Β1, 412b5- 10: “Perciò, non bisogna cercare anche se l'anima e il corpo sono un'unità, come non bisogna cercarlo per la cera e la figura, né in generale per la materia di ciascuna cosa e la parte che non è materia. Infatti, poiché l'uno e l'essere si dicono in molti modi, quello principale è l'entelechìa.”. Cfr. Kahn [2005: 195]: “Thus, the organic body as a whole is the matter and potentiality for the life of the organism. That is why Aristotle can define the psyche as the essence or form or 'first actuality (entelecheia)' of a body that is capable of life. As 'first actuality', the psyches constitutes the life of the organism in the sense that it structures and unifies the body as a living thing; whereas the 'second actuality' of the body is the set of life activities (feeding, mating, hunting, etc.) that the organism can actually carry out.”. Cfr. anche Morel [2007: 20-31].

184 Aristotele, De anima Β1, 412b11- 23. Su questo passo, cfr. Lo Piparo [2003: 9]. Di tenore simile un passo contenuto nel De partibus animalium: “Poiché ogni strumento [ὄργανον] è in vista di qualcosa [ἕνεκά του], ciascuna delle parti del corpo è in vista di qualcosa, e l'in vista di qualcosa è una qualche azione, è chiaro che anche il corpo tutto intero è organizzato in vista di una qualche azione multipla. Infatti, il segare non è al fine della sega, ma la sega al fine del segare: infatti il segare è un certo utilizzo, cosicché anche il corpo in qualche modo è in vista dell'anima, e le parti sono in vista delle funzioni [ἔργων] alle quali ciascuna è deputata per natura.” (cfr. Aristotele, De partibus

animalium Α 5, 645b15- 21). Cfr. anche Aristotele, De partibus animalium Α1, 640b30- 641a5, che leggeremo a

nell'esempio, la vista è l'ἔργον dell'occhio, perciò essa ne costituisce la ψυχή185. Aristotele aggiunge

una considerazione: quanto osservato per la parte, ovvero in questo caso per l'occhio, vale per l'intero corpo vivente. Pertanto, se l'anima dell'occhio è la vista, ne consegue che l'anima di un corpo vivente è l'insieme dei suoi possibili ἔργα, inscritti come potenzialità all'interno del suo corpo. Dal momento che ognuno degli ἔργα di un corpo ha bisogno di un ὄργανον in grado di realizzarlo, ecco che il σῶμα, per essere ἔμψυχον, deve necessariamente essere anche ὀργανικόν. Ne consegue che non si dà ψυχή senza un σῶμα ὀργανικόν186. Ogni σῶμα ἔμψυχον non può che

essere un σῶμα ὀργανικόν:

Ma come la pupilla e la vista costituiscono un occhio, così l'anima e il corpo costituiscono un animale. Dunque, non è oscuro che l'anima, o alcune parti di essa, se per natura è separabile in parti, non è separata dal corpo: infatti, l'entelechìa di alcune delle sue parti è entelechìa delle parti di questi [scil. i corpi].187

L'anima costituisce quindi un tutt'uno con il corpo, dal quale non è separabile, e ognuna delle parti di essa è entelechìa di uno specifico organo corporeo. Tra il corpo vivente e l'anima sussiste un rapporto di mutua necessità, tale che se viene meno l'uno, viene meno anche l'altro: “dunque, non è il corpo che ha smarrito l'anima quello tale da vivere in potenza, ma quello che la possiede.”188.

La ψυχή aristotelica offre allo Stagirita un criterio metodologico preciso per stabilire cosa sia vivente e cosa no, e quali caratteristiche appartengano al vivente. Da questa definizione deriva che un corpo vivente, in quanto tale, deve essere dotato di anima, in quanto entelechìa, ossia principio formale, e di corpo dotato di organi, in quanto principio materiale189.

La distinzione tra forma e materia di un corpo vivente consente infatti allo Stagirita di spiegare i fenomeni legati alla vita senza ricadere negli opposti unilateralismi dei filosofi a lui precedenti. Così, se ad esempio Democrito e la trattatistica medica fornivano delle spiegazioni prettamente materialistiche e meccanicistiche dei processi vitali, Aristotele può replicare che l'aspetto corporeo riguarda soltanto l'esecuzione di tali attività, ma il principio regolatore ha una natura formale, radicata nella sua natura materiale, ma irriducibile ad essa190. Allo stesso modo, alla teoria platonica

di un'anima come indipendente dal corpo, e ad esso legata soltanto come prigione terrena, egli può rispondere che l'anima, in quanto forma, è sempre forma di un corpo, e pertanto, non si dà senza di 185 Cfr. anche Aristotele, De anima Β1, 413a1: “l'anima è entelechìa come la vista e la potenzialità [δύναμις] dello strumento [ὀργάνου].”. Cfr. Kahn [2005: 195]: “Properly speaking, however, the organs exist only as parts of an organism, which is itself matter for a living body whose unifying form or principle is the psyches or 'soul' that constitutes it as a plant or an animal.”.

186 Cfr. Whiting [1995: 78-95], Ahn [1997: 346-366], van der Eijk [1997: 231-258], Falcon [2019: 6-9]. Non è mia intenzione trattare qui della tematica del νοῦς, e in particolare del νοῦς ποιητικός, che richiederebbe una trattazione approfondita e specifica, che esula dagli scopi e dalle tematiche della presente tesi.

187 Aristotele, De anima Β1, 413a2- 6. 188 Aristotele, De anima Β1, 412b26.

189 Su questi temi, cfr. King [2001: 40-48], Lennox [2001c: 182-204], Gotthelf [1997: 85-96]; Bolton [1978: 258-278]. 190 Cfr. anche Aristotele, De motu animalium 9, 701a1- 2.

esso.

La definizione dei due ambiti di pertinenza dell'anima e del corpo, rispettivamente formale e materiale, fornisce quindi ad Aristotele un valido strumento concettuale per superare le aporie dei predecessori. Aristotele se ne serve per mostrare che le due realtà, separabili esclusivamente mediante un processo mentale di astrazione che avviene tramite linguaggio, sono in realtà indissolubili tra loro, poiché la sostanza composta, il corpo vivente, da essi formata è un'unità originaria:

Perciò non bisogna chiedersi se l'anima e il corpo sono un'unità, come non bisogna cercarlo per la cera e la figura, né in generale per la materia di ciascuna cosa e ciò cui appartiene tale materia.191

Alle filosofie a lui precedenti, che restituivano una visione delle realtà naturali come esclusivamente materiali e, spesso, governate dalla necessità e dal determinismo, egli oppone una visione che la storia degli effetti ha chiamato “ilemorfismo”192. L'ilemorfismo aristotelico consiste nell'idea

secondo cui, all'interno del vivente, la materia non è mai inerte e puramente passiva, soggetta esclusivamente a leggi meccaniche, ma intessuta di potenzialità e di funzionalità, che sono regolate da un principio legato ad essa, ma non riducibile ad essa. Reciprocamente, il principio formale non si ritrova in un astratto mondo delle idee, ma è sempre forma di qualcosa, da cui può essere scissa solo mediante un atto linguistico.

Ciò permette anche di distinguere in maniera netta i corpi viventi dai corpi non viventi. Infatti, i corpi naturali non viventi possiedono delle caratteristiche che non soddisfano i requisiti della vita. Da un punto di vista materiale, essi non possiedono una differenziazione organica, ma sono composti da parti giustapposte e non mutualmente interagenti. Da un punto di vista formale, non possiedono anima. L'assenza anche di uno solo dei due requisiti implica l'assenza dell'altro: se manca l'anima, le parti corporee non sono in grado di svolgere alcuna funzione, pertanto non sono organi; se mancano gli organi, l'anima non esiste, perché essa è forma di un corpo vivente dotato di organi. Il legame ilemorfico tra la realtà materiale del corpo e l'anima in quanto principio formale regola anche il rapporto tra l'organo e la sua funzione. Ogni ὄργανον, per svolgere il proprio τέλος, 191 Aristotele, De anima Β1, 412b6- 8. Cfr. Bolton [1978: 270-271] e Bolton [2018: 227-248].

192 Cfr. Irwin [1991]. Cfr. anche Lamedica [2010], Bolton [1978: 262-266], Nussbaum-Putnam [1995: 30-60], Cohen [1995: 61-77], Kahn [2005: 195-196]. Per un'analisi approfondita e una ricostruzione della critica sull'ilemorfismo, cfr. Irwin [1991: 66-76], Nussbaum-Putnam [1995: 30-59], Cohen [1995: 61-77], Grasso-Zanatta [2005: 37-49], Morel [2007: 11-31], Berti [2008: XI-XIII e XVIII-XXI], Lamedica [2010: 39-68]. Per una panoramica sulle altre principali interpretazioni della ψυχή aristotelica, cfr. Irwin [1991: 66-83], Code-Moravcsik [1995: 129-145], Grasso- Zanatta [2005: 25-75], Lamedica [2010: 39-68]. Una posizione differente, che legge il rapporto tra anima e corpo in senso strumentale e gerarchicamente ordinato si trova in Menn [2002: 83-139] e in Bos [2003: 13-30]. Come si è visto, Menn [2002: 83-139] propone una visione diversa, strumentista, in cui il corpo è utilizzato dall'anima come strumento, e non è ad essa coessenziale. Cfr. ad esempio Menn [2002: 138-139]: “The soul-body relation is not like the relation of an ordinary nature to the natural thing […], since the soul acts on the body and uses it as an instrument. The soul-body relation is in this respect more like the artisan-instrument relation.”. Sull'ilemorfismo all'interno del processo riproduttivo cfr. Falcon-Lefebvre [2018: 1-12, in particolare 3-4].

deve necessariamente essere composto in un modo determinato e tramite una materia specifica. A sua volta, ogni ἔργον, per trovare attuazione, ha bisogno di una specifica ὕλη come ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως193. La materia di cui è costituito l'ὄργανον non è dunque indifferente rispetto alla

funzione che esso deve svolgere: la funzione non richiede un supporto materiale di qualsiasi tipo per essere svolta, ma ha necessariamente bisogno di una materia che le sia propria, rispetto alla quale ha una relazione di ἀνάγκη ἐξ ὑποθέσεως. L'ἔργον, che detta il fine e la definizione dell'organo, richiede quindi necessariamente una determinata ὕλη, senza la quale non potrà essere compiuto. Questo è uno dei principi basilari su cui si fonda la biologia aristotelica, che trova una delle sue più importanti formulazioni nella critica a Democrito che si trova nel primo libro del De

partibus animalium:

Se dunque ciascuno degli animali e delle parti consistesse nella configurazione [σχήματι] e nel colore, giustamente direbbe allora Democrito: infatti è chiaro che supponga così. Dice certamente che a ognuno è chiaro che cosa sia l'uomo secondo la figura [μορφήν], essendo questo conoscibile per la configurazione e il colore. Tuttavia, anche il cadavere ha la stessa figura della configurazione [τὴν αὐτὴν τοῦ σχήματος μορφήν], ma ugualmente non è un uomo. Ancora, è impossibile che sia una mano quella creata in qualche maniera, come di bronzo o di legno, se non per omonimia, come il medico dipinto. Infatti non potrà compiere la propria funzione [ἔργον], come i flauti di pietra non [possono compiere] la propria funzione [ἔργον], né il medico dipinto. Ugualmente a questi, nessuna delle parti del cadavere è ancora tra queste, dico come un occhio o una mano.194.

Questo efficace passo può essere considerato un manifesto dell'ilemorfismo aristotelico. Aristotele sostiene che il corpo vivente non è riducibile alla configurazione estrinseca delle sue parti, come dimostra il fatto che un cadavere ha lo stesso aspetto esteriore di un uomo, ma non è un uomo. Il cadavere non è infatti in grado di portare avanti tutte le funzioni vitali primarie e tutte le attività che