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Partecipazione I poveri devono poter partecipare nel processo decisionale così da poter far sentire la propria voce e indicare le proprie

III.2. Homelessness e turismo nelle grandi città

È difficile pensare ad una situazione più socialmente ed economicamente emarginante di quella che colpisce le persone senza dimora. L’essere senza un’abitazione nella quale vivere è considerato infatti uno dei fattori principali che impedisce ad un individuo di essere incluso e considerato attivamente all’interno di una società. Dare una definizione completa ed univoca di homelessness non è mai stato semplice. Di recente la Federazione Europea delle organizzazioni che lavorano con persone senza dimora ha elaborato una classificazione detta ETHOS, acronimo inglese che corrisponde a “Tipologia europea sulla condizione di senza dimora e sull’esclusione abitativa”, utilizzata a livello internazionale come punto di riferimento per quanti operano in questo settore. Partendo dal presupposto che la condizione di disporre di un luogo in cui abitare è un requisito fondamentale per l’inclusione sociale di una persona, ETHOS vuole, da un lato, favorire la conoscenza delle dinamiche che portano gli individui ad essere emarginati dalla società e, dall’altro, fornire una definizione misurabile e adottabile a livello internazionale affinché il fenomeno possa essere misurato periodicamente. All’interno del vocabolario italiano troviamo numerose espressioni che possiamo utilizzare per riferirci a quanti si trovano in una condizione di homelessness, tra cui clochard, senza tetto, senza fissa dimora, barboni, persone in condizioni di povertà estrema eccetera. Si tratta in realtà di espressioni che, pur utilizzate come sinonimi, descrivono aspetti diversi di un fenomeno quanto mai complesso e diversificato, che non riguarda solo la dimensione dei bisogni primari ma anche, e soprattutto, quella relazionale ed emotiva. Normalmente, il termine più utilizzato per tradurre l’espressione inglese homeless è quella di persona senza fissa dimora, intesa come un individuo che non dispone stabilmente di un luogo personale e riservato in cui esprimere in sicurezza ed intimità la propria persona (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, 2015). Si capisce dunque come il “disagio abitativo” costituisca un fattore determinante di povertà estrema.

Secondo uno studio di Ocse, i senza tetto nel mondo sono più di due milioni. In Italia, nel 2014, se ne contavano 50.724 solo nei 158 comuni principali46. Secondo i dati Istat, più del 72% delle persone senza dimora non ha un lavoro né stabile né saltuario e, di queste, quasi l’8% non ha mai lavorato durante la propria vita. La perdita di un lavoro è dunque 46 https://www.ilsole24ore.com/art/quasi-2-milioni-senzatetto-paesi-avanzati-italia-sono-oltre-50mila-

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uno dei fattori più rilevati nel percorso di graduale emarginazione che porta alla condizione di senza dimora, unito spesso alla separazione dalla famiglia e alle cattive condizioni di salute (Istat, 2014).

A questo punto ci si potrebbe chiedere che relazione possa esserci tra le persone senza fissa dimora ed il turismo, soprattutto pensando a quanto la vista degli homeless ai margini delle strade, sulle panchine delle piazze e nelle stazioni dei treni delle grandi città possa disturbare i vacanzieri. Il rapporto turismo-homelessness risulterebbe ancor più strano se considerassimo che molto spesso, nelle grandi città, le amministrazioni cittadine dispongono ordini di allontanamento per coloro che stazionano abusivamente nei pressi dei centri storici e di interesse turistico (in Italia sono definiti Daspo urbani). In realtà, tenendo in considerazione quanto detto fino a questo punto dell’elaborato sull’impegno del turismo nella lotta alla povertà e sulla conseguente nascita di nuove forme di turismo alternativo che adottano l’approccio pro-poor, il binomio turismo-homelessness potrebbe apparire meno sconveniente e, al contrario, più interessante. Sebbene sia indubbio che il cosiddetto pro-poor tourism sia nato principalmente pensando ad una sua applicazione nei Paesi del Sud del Mondo, è interessante pensare che, con le dovute accortezze e adattamenti, iniziative di turismo pro-poor possano essere introdotte anche nei Paesi sviluppati. Tuttavia, come accennato in precedenza, Butler et al (2013) nota come, ad eccezione del suo lavoro, l’applicazione del turismo pro-poor non sia pressoché mai stata studiata nei Paesi del Nord Globale. Le significative riduzioni nel settore pubblico e il crescente numero di persone che vivono in condizioni di povertà giustificherebbero una maggiore ricerca sul tema, la quale potrebbe dar valore sia all’industria turistica sia agli enti che operano nel settore sociale. Nonostante l’argomento sia ancora poco studiato, e nonostante sia stata individuata una sola iniziativa di pro-poor tourism nel mondo occidentale, più precisamente in Scozia, molte città di Paesi sviluppati hanno recentemente visto sorgere progetti volti a coinvolgere persone che vivono in condizioni di povertà all’interno di iniziative dallo spiccato carattere turistico. Da Praga a Los Angeles, passando per Zagabria, Bologna, Milano, Berlino, Copenaghen, Vienna, Edimburgo e Londra, i senza dimora, emblema della povertà nei grandi agglomerati urbani, guidano turisti e cittadini alla scoperta delle loro città in una forma alternativa. A Praga, per esempio, nel 2012 è nata Pragulic, un’organizzazione che offre tour off-the- beaten-track guidati da persone senza tetto e che si propone un triplice obiettivo: far

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vivere ai visitatori un’esperienza unica e diversa, scoprendo la città da un’angolazione diversa; aiutare i senza tetto a cominciare una nuova vita; combattere pregiudizi e stereotipi. Tappe dei tour proposti non sono le famose attrazioni turistiche della capitale ceca, bensì i suoi luoghi più nascosti ed evitati, che la gente non conosce o si rifiuta di vedere, per avvicinare i visitatori alla realtà dell’homelessness. Ma proprio come i favela tours, la cui pratica è esplosa verso la fine degli anni ’90, anche le esperienze di Pragulic non faticano a rientrare nel concetto di slum tourism e portano a chiedersi quanto queste pratiche possano beneficiare i soggetti coinvolti e se siano eticamente corrette. Da un lato, i visitatori giustificano la loro partecipazione ai tour con il loro desiderio di mostrarsi solidali e attenti ai problemi dei più poveri. Dall’altro, i più critici vedono in queste pratiche nient’altro che un atto di egoistico vouyerismo, per cui i visitatori fanno ciò che fanno per soddisfare il proprio desiderio di “vedere come vivono i poveri”.

Figura 5-Un gruppo durante un itinerario di Pragulic (www.chasingtravel.com)

Una simile organizzazione è Unseen Tours di Londra, la quale però si dichiara ben lontana dall’industria del poverty tourism, sostenendo di non voler in alcun modo puntare l’attenzione sulle aree degradate dei quartieri londinesi e sulle persone che le vivono, bensì mostrare le stravaganze storiche e culturali di Londra in un modo inusuale e divertente.

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Figura 6- Un accompagnatore senza dimora durante un tour di Unseen Tours (www. unseentours.org.uk)

Recentemente, simili progetti sono sbarcati anche in Italia. Nel 2017 a Milano un gruppo di senza tetto, chiamati I Gatti Spiazzati, in collaborazione con la cooperativa Oltre, ha pubblicato “Gatti di Milano non toccano terra”, una mappa turistica di Milano vista con lo sguardo di chi vive per strada. Lo stesso gruppo ha poi realizzato un calendario di date in cui hanno proposto degli itinerari urbani tra i quartieri più insoliti e meno noti della città47. Infine, l’anno successivo la stessa idea è stata adottata anche a Bologna e ha fatto

nascere il progetto Gira la cartolina. Si tratta di un’iniziativa che, pur volendo offrire ai visitatori la possibilità di vivere una Bologna nascosta, non si pone come obiettivo quello di fare conoscere il disagio o gli angoli bui e malfamati della città. I tour ideati dal gruppo infatti hanno luogo proprio nel centro città o in luoghi cari agli accompagnatori degli itinerari, come per esempio il quartiere dell’infanzia, e sono pensati proprio per valorizzare le loro risorse e capacità e il patrimonio storico artistico della città, utilizzando aneddoti e racconti della vita in strada esclusivamente come elemento necessario a proporre una chiave di lettura critica della società.

47 https://milano.repubblica.it/cronaca/2017/07/04/news/a_spasso_con_i_clochard_per_milano-

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Sia a Milano che a Bologna il concetto che sta alla base di tutto è lo stesso: sfruttare lo straordinario patrimonio artistico e culturale nascosto nelle città e farlo rivivere attraverso le voci degli ultimi. Fare dunque del turismo alternativo uno strumento di riscatto economico, sociale e soprattutto personale per persone che, avendo perso tutto, sono sempre più spesso ignorate e recluse ai margini della società.

Figura 7- In alto, la locandina del tour dei Gatti Spiazzati di Milano (www.milano.repubblica.it). In basso, la locandina di Gira la cartolina (www.laquadreria.it)