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I BAMBINI RACCONTANO QUALCHE MOTIVO A FAVORE

Nel documento I bambini pensano con le storie (pagine 46-50)

NARRAZIONE COME SCUOLA E ARTE DI VIVERE

2. I BAMBINI RACCONTANO QUALCHE MOTIVO A FAVORE

Adesso ti racconto io…

Due fl ash narrativi per introdurre l’argomento.

Ore 8.15. I bambini sono in classe (una prima). L’insegnante guarda dalla fi nestra e vede Eleonora seduta su un muretto del cortile che guarda in alto e parla fra sé. La chiama, ma la bambina fa segno con la mano di non interromperla. Dopo poco Eleonora si rimette la cartella e si avvia al portone della scuola. Il suo racconto: “Mi sono fermata perché ho

visto la luna di giorno. È magra e quasi bianca, forse non sta bene. Ma io le ho detto Va a dormire che ti passa.”

Ore 8.15. Manuel entra in aula e si siede con il berretto di lana in testa. La maestra lo invita a toglierlo, ma lui le fa notare: “Meglio di no, se no mi scappano via i sogni di questa notte.”

Sono solo due briciole di racconto, suffi cienti però a far intravedere la peculiarità del pensiero bambino, la modalità animistica nel percepire le situazioni, nel rappor-tarsi con gli eventi del mondo reale e con il mondo interiore. Come tutte le cose na-scenti, anche la conoscenza e la forma comunicativa dei bambini possiedono tratti di freschezza e di originalità irripetibili. Si dice che i bambini nelle loro espressioni sono ingenui, spesso equivocando il termine ingenuità con semplifi cazione banale delle re-lazioni con il reale. Tanto che, ad esempio, una sottoletteratura dedicata all’infanzia gioca su questa presunta semplicità dei bambini, e dedica ad essi certe storielle fal-samente ingenue, all’insegna dei diminutivi e del sentimentalismo più noioso. E per fortuna ci pensano gli stessi bambini a difendersi da testi di tale fattura, “agglomerati di parole ripetute all’infi nito che pretendono di essere storie”, quando li rifi utano, “in un disperato scatto di intelligenza…”5

L’ingenuità dei bambini è altra cosa. Indica allo stesso tempo lavorio dell’imma-ginazione e misura di una conoscenza del reale ancora molto parziale, sulla quale i piccoli tentano tuttavia di formulare le prime teorie, appunto ingenue, con cui darsi le prime spiegazioni dei fenomeni. È uno sforzo continuo di rappresentarsi la realtà, vera o immaginata che sia, e di comunicare agli altri pensieri, vissuti, fantasie. In questo impegno la narrazione, il racconto, prima orale, in seguito scritto, hanno una rilevanza importante, che investe la conoscenza di sé, la relazione con gli altri, lo svi-luppo del linguaggio e, in ambito più strettamente cognitivo, il dominio delle capacità di comprensione e di produzione della lingua scritta.

C’è però da tenere presente una condizione a doppia faccia. Per i bambini raccon-tare è importante, e insieme diffi cile.

È importante per gli aspetti appena ricordati, e in modo speculare per gli stessi mo-tivi indicati nel paragrafo precedente, a proposito dell’ascolto di storie, della sua funzio-ne di bussola, che orienta i bambini funzio-nei labirinti della realtà, e li aiuta a costruirsi i fi li necessari per connettere gli eventi umani dentro cornici comprensibili, le storie. Allo stesso modo, mentre raccontano per gli altri, i piccoli narratori chiariscono prima di tutto per sé i propri pensieri, richiamano esperienze, danno forma all’attività creativa

5 B. Bettelheim, K. Zelan, Imparare a leggere, Feltrinelli, Milano, 1984.

caotica dell’immaginazione. Iniziano a rappresentarsi come persone dotate di autono-mia, anche se, in questa prima forma di esplicitazione di sé, il contesto e gli interlocutori sono ancora elementi necessari. L’interazione faccia-faccia, se positiva, funziona infatti da supporto e da specchio, incoraggia e gratifi ca. A patto che dalla parte adulta ci sia ascolto autentico, non attenzione debole o, peggio, intervento che si sovrappone per accelerare o correggere lo sforzo narrativo, che nei bambini è notevole.

Per i bambini raccontare è anche diffi cile. Per loro, pensiero ed emozione, espe-rienza e realtà interna, non si sono ancora integrati in una personalità equilibrata che li sappia riconoscere e governare, così il fl usso dei pensieri e delle emozioni si acca-valla in maniera spesso caotica ed intermittente. Inoltre non sono suffi cientemente evoluti sia lo sviluppo del linguaggio, sia la capacità di organizzare il pensiero in un testo, seppure orale, tenendo in conto tutte le variabili che intercorrono in un’attivi-tà tanto complessa. Un bambino che racconta utilizza solo parzialmente la parola.

Molto spesso spezza il discorso, lo lascia sospeso, o ricorre a completamenti di altro tipo, come la mimica facciale, la gestualità, lo slang onomatopeico. Per spiegarsi, usa frequenti riferimenti al contesto - era lungo da qui fi no a lì - e omette elementi o pas-saggi chiave, che lui conosce e perciò dà per scontati anche per gli altri. Ha urgenza di raccontare, ma sfugge a due caratteristiche fondamentali della narrazione, la de-contestualizzazione e la conseguente esigenza di esplicitazione.

Nonostante tutto ciò, il racconto è connaturato con la maturazione dell’intelligen-za, conoscitiva, creativa ed emotiva, e compare molto presto come modalità usuale di autoaff ermazione, quando i bambini parlano da soli a voce alta, mentre pensano, o mentre si rivolgono direttamente ai giocattoli, per non smettere mai, come “dialogo interiore” e come “voce narrante ad altri, in tutto il corso della vita.”6

La narrazione accompagna la crescita dei bambini, in parte la condiziona. Quindi anche a scuola, il racconto e l’ascolto di storie e di esperienze, e successivamente la loro produzione scritta, la lettura e i percorsi della memoria occupano lo spazio pri-vilegiato in cui, accanto allo sviluppo degli apprendimenti disciplinari, si aff ermano le identità individuale e sociale. Per questo va data grande attenzione alle modalità ed alle strategie che organizzano gli aspetti dell’oralità e della scrittura, così che, mentre si affi nano le abilità di tipo cognitivo, si raff orzino anche la conoscenza di sé e la di-sponibilità ad ascoltare e a leggere la storia degli altri.

Molte esperienze con i bambini, descritte nella parte didattica, vanno in questa di-rezione. Limitando l’ambito ad alcune attività possibili con i più piccoli, è signifi cati-vo riprendere alcune indicazioni della Lentin,7 che considera il racconto orale, se

or-6 Rosita Paganin, Narrare per tessere insieme esperienze e conoscenze, in Movimento di Cooperazione Educativa, Freinet, Dialoghi a distanza, La Nuova Italia, Firenze, 1997.

7 L. Lentin, Dal parlare al leggere, Emme Edizioni, Milano, 1979.

ganizzato dentro una cornice intenzionale, come momento importante di passaggio, preparatorio alla più complessa attività di produzione scritta. La strategia adottata è quella di avvicinare il più possibile i due tipi di linguaggio, e per far questo i bambini lavorano prima sulla lingua d’uso, che già conoscono, e successivamente sono portati per gradi fi n sulla soglia della scrittura. Viene cioè enfatizzato il diverso rapporto fra oralità, scrittura e contesto, e fatta sperimentare la necessità dell’uso esclusivo delle parole e dell’esplicitazione del senso mediante parole nella costruzione del testo scritto. Le attività che la Lentin propone si collocano in una zona di intersezione fra oralità e scrittura, in modo che i bambini possano ancora contare su elementi che usano correntemente mentre raccontano. Ad esempio la caratteristica fonologica del-la lingua, una certa autonomia dall’ascoltatore e il patto di fi nzione sono tutti aspetti che anche la narrazione orale possiede, ma che nella lingua scritta assumono una fi sionomia più defi nita.

Fra le attività proposte dalla stessa Lentin, ne ricordo due. La prima è entrata in misura apprezzabile nella pratica didattica, e consiste nella dettatura all’insegnante scriba di storie o di esperienze brevi, raccontate prima ai compagni o inventate in-sieme senza vincoli particolari. Qui è opportuno dispiegare tutta una messinscena simbolica eloquente, che marca il passaggio dall’attività del raccontare a voce a quella di trasporre la stessa narrazione in un testo scritto, ed è la forza persuasiva del fare a sottolineare che le due operazioni si assomigliano, ma non sono la stessa cosa. C’è un mezzo concreto, il computer, o un ‘foglione’ su cui scrivere, e c’è il vincolo di ri-narrare in forma di dettatura, scegliendo con cura quali informazioni trasmettere attraverso le sole parole e in quale forma. Lo scopo è pratico e condiviso, conservare la storia per sé o per altri, consegnandola a un testo scritto. Una storia fatta quindi di sole parole. È un lavoro di grande attenzione, che porta i bambini fi no lì dove comin-cia il complesso compito di scrittura, prima ancora di possedere le abilità strumentali per farlo. Una sorta di fondazione di quello che diventerà il laboratorio di scrittura collettiva.

La seconda possibilità si innesta su attività che i bambini fanno normalmente, come disegni liberi, manipolazione di materiali, giochi di fi nzione. Sfrutta quindi esperienze ed azioni mosse da pura immaginazione e aiuta i bambini a traghettar-le sul versante della narrazione, prima oratraghettar-le, poi scritta. L’insegnante si inserisce in modo delicato e si fa raccontare quello che succede, la situazione o la storia inventata.

Il seguito riprende l’attività descritta sopra. Il bambino o la bambina ri-raccontano quanto appena narrato, dettandolo all’insegnante, che lo scrive per conservarlo, e poterlo rileggere nel tempo.

3. IL PENSIERO NARRATIVO A SCUOLA

Nel documento I bambini pensano con le storie (pagine 46-50)