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2.2 Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

2.2.3 I criteri di allocazione delle risorse naturali

Una delle questioni più importanti da trattare per meglio identificare il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali è il tema dell’allocazione delle

289 A tal proposito, si possono citare: Convenzione di Rasmar sulle zone umide del 1971, la

Convenzione di Parigi per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale del 1972, la Convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro del 1992 o la Convenzione-quadro sui cambiamenti climatici del 1992 con il relativo protocollo di Kyoto del 2001.

132 stesse, che sancisce, dal punto di vista giuridico, il soggetto detentore di tale diritto e i casi in cui lo stesso è al centro di dispute e, a volte, conflitti armati. In base agli strumenti giuridici precedentemente analizzati, è possibile affermare che il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali si indirizza, allo stesso tempo, sia ai popoli e sia agli Stati. Mentre risulta chiara l’attribuzione di tale principio in capo agli Stati, occorre precisare che per “popoli” si intende le intere popolazioni, soprattutto nei casi in cui esse si trovano sottoposte a occupazioni straniere o di dominio coloniale, e non ai singoli gruppi locali. Tale affermazione risulta confermata anche dalla prassi, riscontrabile soprattutto in alcune risoluzioni degli organi delle Nazioni Unite in merito a situazioni di conflitto armato. Ad esempio, è possibile citare varie risoluzioni dell’Assemblea Generale riguardo i Territori palestinesi occupati290,

o le posizioni del Consiglio di Sicurezza in merito al conflitto iracheno291 o allo

sfruttamento delle risorse nella Repubblica Democratica del Congo292. In tutti i

documenti citati, il principio che viene ribadito è lo stesso e riguarda il fatto che tutte le popolazioni, comprese quelle sottoposte a occupazione straniera e a situazioni di conflitto armato, sono i soggetti titolari del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, così come gli Stati. Il fine, infatti, è lo stesso: che si tratti di uno Stato indipendente o di un popolo sotto dominazione

290 Sono numerose le risoluzioni dell’Assemblea Generale utili alla nostra ricerca: tra queste, è

possibile citare la A/RES/3005 (XXVII) del 15 dicembre 1972, la A/RES/3175 (XXVIII) del 15 dicembre 1973, la A/RES/3516 del 15 dicembre 1976, la A/RES/32/161 del 15 dicembre 1977 e la 37/135 del 17 dicembre 1982. In tutti questi documenti, l’organo riafferma la sovranità dei popoli palestinesi sulle risorse naturali presenti nel territorio, definendo le azioni atte allo sfruttamento delle stesse da parte del governo israeliano come illegali.

291 Allo stesso modo, è possibile citare diverse risoluzioni atte a ribadire il principio di sovranità

del popolo iracheno sulle proprie risorse naturali: la risoluzione S/RES/1483 (2003), la S/RES/1511 (2003), la S/RES/1546 (2003). In particolare, nella S/RES/1483 (2003) si prende atto dell’istituzione di un Fondo per lo Sviluppo dell’Iraq (Development Fund for Iraq) su cui depositare i proventi per l’esportazione del petrolio in attesa della costituzione del governo iracheno. Si specifica, inoltre, che tale fondo dovrà essere utilizzato al fine di soddisfare i bisogni umanitari della popolazione, alla ricostruzione economica e infrastrutturale, al completo disarmo, a sopportare i costi dell’amministrazione civile e ad altri scopi a beneficio della popolazione. Cfr. Resolution 1483 (2003) adottato in data 22 maggio 2003, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, 2003, par. 12-14.

292 Alcune delle risoluzioni inerenti al tema delle risorse naturali e del loro sfruttamento nella

RDC sono: S/RES/1546/2004, S/RES/1291 (2000), S/RES/1304 (2000). In tali documenti, si afferma il principio di sovranità sulle risorse naturali del popolo congolese e si condanna lo sfruttamento illegale delle stesse in alcune zone del Paese.

133 straniera, lo sfruttamento delle risorse presenti in un territorio deve essere finalizzato al raggiungimento dell’indipendenza economica del Paese e del benessere del popolo in questione. A conferma del fatto che tale principio appartenga agli Stati e ai popoli a prescindere della loro condizione politica, è possibile affermare che il termine “permanente” affiancato alla parola “sovranità” implica proprio il fatto che essa continua ad appartenere ai soggetti titolari della stessa anche se si trovano in situazioni di sottomissione o occupazione militare; inoltre, tale principio persiste anche in presenza di contratti siglati che regolano la cessione dei diritti di sfruttamento delle risorse a soggetti terzi293. La sovranità su di esse, di conseguenza, persiste in maniera

“permanente” a prescindere dalle condizioni di contingenza.

Nonostante la chiara definizione dei principi che determinano la natura del soggetto detentore dei diritti di sfruttamento delle risorse, non è sempre possibile stabilire con certezza a chi tali diritti spettino. Esistono, infatti, alcuni casi in cui il riconoscimento del soggetto sovrano su determinate risorse non è di immediata lettura, ma si trova al centro di dispute, contenziosi e, a volte, anche conflitti armati.

In base alla loro allocazione, è possibile classificare le risorse naturali secondo tre gruppi: le risorse rientranti nella giurisdizione di uno Stato, quelle che rientrano nella giurisdizione di due o più Stati (risorse transfrontaliere) e quelle che si trovano nelle aree internazionali, non appartenenti ad alcuna entità statale. Il primo gruppo risulta essere quello, tradizionalmente, di più facile lettura poiché riguarda risorse che si trovano interamente nel territorio di uno Stato definito, comprese le acque territoriali. In questo caso, vengono presi in considerazione i criteri di “zona economica esclusiva”294 e “piattaforma

293 Cfr. VALENTINA ZAMBRANO, Il principio di sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali

tra vecchie e nuove violazioni, cit., pp. 119 - 120.

294 La definizione di “zona economica esclusiva”, presente nella Convenzione delle Nazioni Unite

sul diritto del mare (UNCLOS), è la seguente: “an area beyond and adjacent to the territorial sea,

subject to the specific legal regime established in this Part, under which the rights and jurisdiction of the coastal State and the rights and freedoms of other States are governed by the relevant provisions of this Convention”. Cfr. United Nations Convention on the Law of the Sea, Nazioni Unite,

134 continentale”295. Tradizionalmente, lo Stato dispone del territorio e delle risorse

presenti sotto la propria giurisdizione nella maniera ritenuta più opportuna, con poteri virtualmente illimitati, pieni ed esclusivi. In base agli sviluppi recenti del diritto internazionale, tuttavia, l’ambito di applicazione di tali poteri si è parzialmente affievolito in base alle disposizioni poste dalla comunità internazionale su temi come l’ambiente o i diritti umani, che di fatto si pongono come un limite alle prerogative statali. Tali disposizioni, tuttavia, non influiscono, se non in maniera molto limitata, sull’allocazione delle risorse stesse. Il secondo gruppo oggetto della nostra analisi riguarda le risorse transfrontaliere, quelle disposte, in altre parole, tra le giurisdizioni di due o più Stati. In questi casi, come facilmente intuibile, la distribuzione delle risorse non corrisponde alla delimitazione dei confini statali. Infine, la terza categoria riguarda le risorse naturali disposte su aree internazionali, non soggette ad alcuna giurisdizione statale. Questo gruppo, in realtà piuttosto residuale, viene solitamente collocato in due aree geografiche ben precise: l’alto mare e la regione antartica. A loro volta, lo sfruttamento delle risorse presenti nelle due aree sopracitate è regolato in maniera specifica. Per quanto riguarda l’alto mare, le risorse viventi vengono considerate liberamente appropriabili, mentre quelle presenti sul fondo marino sono classificate come “patrimonio comune dell’umanità” e, pertanto, possono essere sfruttate soltanto seguendo delle regolamentazioni e regimi particolari e sotto la supervisione dell’Autorità Internazionale dei Fondi Marini296. Per la regione antartica, invece, vale un

295 Secondo la definizione fornita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la

“piattaforma continentale” di uno Stato costiero “comprises the seabed and subsoil of the

submarine areas that extend beyond its territorial sea throughout the natural prolongation of its land territory to the outer edge of the continental margin, or to a distance of 200 nautical miles from the baselines from which the breadth of the territorial sea is measured where the outer edge of the continental margin does not extend up to that distance”. Cfr. United Nations Convention on the Law of the Sea, cit., art. 76.

296 Tali disposizioni sono determinate dalla “Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del

mare” (UNCLOS), aperta alla firma nel 1982 in Giamaica. Entrata in vigore nel 1994, al momento è stata firmata da 164 Stati. L’articolo 157 del documento recita: “The Authority is the

organization through which States Parties shall, in accordance with this Part, organize and control activities in the Area, particularly with a view to administering the resources of the Area”. Cfr. United Nations Convention on the Law of the Sea, cit., art. 157.

135 discorso leggermente diverso. Sono sette297, infatti, gli Stati che nel corso del

tempo hanno avanzato rivendicazioni di sovranità sui territori in questione; attraverso la firma del “Trattato Antartico”298, tuttavia, i Paesi in questione si

sono impegnati a sospendere reciprocamente tali pretese, senza però rinunciarvi299, sancendo, inoltre, il divieto di sfruttamento della regione per

scopi economici e militari e mantenendo la possibilità di condurre studi scientifici sugli stessi territori300.

La classificazione sopra esposta mette in luce un elemento particolare: il principio fondamentale sul quale si base l’allocazione delle risorse naturali è la sovranità territoriale. Il diritto di sfruttamento delle risorse appartenenti a un determinato territorio, infatti, viene assegnato all’autorità statale che ne esercita la relativa giurisdizione301. Se una risorsa, infatti, si trova all’interno del

territorio sotto il controllo di uno Stato, questo eserciterà su di essa poteri

297 Gli Stati che hanno avanzato rivendicazioni di sovranità su parte dei territori antartici sono:

Argentina, Australia, Cile, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia e Regno Unito.

298 Il “Trattato Antartico”, altresì noto come “Trattato di Washington”, è stato siglato in data 1

dicembre 1959 da 12 Paesi firmatari. Attualmente, sono 50 gli Stati che ne fanno parte, inclusa anche l’Italia. Cfr. https://www.nsf.gov/geo/plr/antarct/anttrty.jsp

299 L’articolo IV del Trattato affronta il tema delle rivendicazioni territoriali degli Stati e recita

quanto segue: “1. Nothing contained in the present Treaty shall be interpreted as: (a) a

renunciation by any Contracting Party of previously asserted rights of or claims to territorial sovereignty in Antarctica; (b) a renunciation or diminution by any Contracting Party of any basis of claim to territorial sovereignty in Antarctica which it may have whether as a result of its activities or those of its nationals in Antarctica, or otherwise; (c) prejudicing the position of any Contracting Party as regards its recognition or nonrecognition of any other State's right of or claim or basis of claim to territorial sovereignty in Antarctica. 2. No acts or activities taking place while the present Treaty is in force shall constitute a basis for asserting, supporting or denying a claim to territorial sovereignty in Antarctica. No new claim, or enlargement of an existing claim, to territorial sovereignty shall be asserted while the present Treaty is in force”. Cfr. The Antarctic Treaty, Washington, 1959, art. IV.

300 In particolare, riguardo il tema della ricerca scientifica, l’articolo II sostiene che: “Freedom of

scientific investigation in Antarctica and cooperation toward that end, as applied during the International Geophysical Year, shall continue, subject to the provisions of the present Treaty”. Cfr. The Antarctic Treaty, cit., art. II.

301 Il giurista Ian Brownlie, a riguardo, afferma: “In classical international law natural resources

had no place. The disposition of resources was assumed to follow the delimitation of sovereignty in spatial terms between States. Access to resources was a question managed within the legal categories of acquisition of territory, the making of agreements, the concept of the freedom of the seas, and the doctrines of intervention, so far as the last were comprehensible”. Cfr. IAN BROWNLIE,

Legal Status of Natural Resources in International Law (Some Aspects) in Recueil des cours,

Académie de droit international de la Haye, vol. 162 in MARCO PERTILE, La relazione tra risorse

136 esclusivi; se la risorsa si trova, invece, su spazi comuni a più Paesi, sarà valido il principio della libera appropriabilità.

La sovranità dello Stato sulle risorse naturali a disposizione, definita in base a criteri territoriali, implica naturalmente anche la possibilità di cedere a vario titolo i diritti sulle risorse in questione. L’autorità statale può, infatti, trasferirne i relativi diritti di sfruttamento a soggetti terzi, solitamente privati, nonché a volte la stessa proprietà; in realtà, tale cessione, dal punto di vista formale, rimarrebbe parziale dal momento che lo Stato cedente mantiene la possibilità di nazionalizzare o espropriare le risorse in questione. Il passaggio del controllo sulle risorse naturali può avvenire, in primo luogo, attraverso la cessione del territorio da uno Stato all’altro: come intuibile, infatti, questo passaggio coinvolgerebbe anche le risorse presenti nel territorio stesso. Tale procedura, tuttavia, nella prassi risulta poco praticata302, dal momento che l’ordinamento

internazionale attuale non ammette conquiste o annessioni forzate. Più consueta, invece, è la cessione di un territorio a seguito di una decisione arbitrale o giurisprudenziale. In tali situazioni, però, lo status della popolazione che abita nella porzione di territorio ceduta rimane incerto. Non esiste, infatti, una norma internazionale che sancisce il diritto delle popolazioni locali a determinare la propria appartenenza a uno Stato piuttosto che a un altro. Il principio di autodeterminazione appartiene, consuetudinariamente, alle intere popolazioni, storicamente sotto dominio coloniale o straniero; non si indirizza, per questo motivo, ai gruppi che si collocano all’interno di uno Stato, a cui non spetta, di conseguenza, il diritto a essere consultati. Dal punto di vista della prassi, è possibile citare alcune circostanze in cui la cessione di una parte di territorio e il conseguente passaggio di una parte della popolazione a un altro Stato non ha implicato obblighi di consultazione dei gruppi in oggetto; tra

302 I casi in cui è avvenuta una cessione di territorio tramite la conclusione di un trattato sono

pochi; tra questi, è possibile citare la Convenzione del 1956 tra Francia e Svizzera atto a sancire la cessione di un terreno per la costruzione di una pista dell’aeroporto di Ginevra. Cfr. MARCO

137 questi, le controversie tra Camerun e Nigeria303 o Burkina Faso e Mali304,

negoziate tra gli Stati e decise dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Oltre alla cessione del territorio è possibile elencare altri meccanismi attraverso i quali uno Stato può usufruire di risorse naturali situate sotto la giurisdizione altrui. Esistono, ad esempio, numerosi episodi nella prassi in cui tale procedura ha avuto luogo, senza per altro provocare cambiamenti di sovranità sul territorio in questione. Basti pensare ai casi di Hong Kong, Macao o Guantanamo, territori “gestiti” da autorità statali diverse da quelle che ne detengono la sovranità; un altro episodio significativo riguarda il caso del fiume San Juan tra Costa Rica e Nicaragua, su cui si è pronunciata la Corte Internazionale di Giustizia. In particolare, la controversia tra i due Stati riguardava la pretesa, da parte del Costa Rica, di poter praticare attività di pesca sul fiume in questione, interamente collocato entro i confini nicaraguensi. Secondo il richiedente, infatti, sarebbe esistito un diritto consuetudinario degli abitanti della riva costaricana che concedeva loro la possibilità di pescare nel fiume sopracitato, usufruendo dunque delle risorse presenti nel territorio del Nicaragua, in virtù di una prassi esistente prima ancora della formulazione del Trattato che regola i confini tra i due Stati. Il Nicaragua, contrario a tale pretesa, si vide tuttavia impossibilitato a smentire l’esistenza di tale pratica e dovette accettare il verdetto della Corte, che sanciva il diritto del Costa Rica a usufruire del diritto di pesca sul fiume in questione, seppur appartenente interamente al territorio dell’altro Stato. In altre parole, tale sentenza ha sancito la possibilità, in virtù di fonti pattizie e consuetudinarie, di poter sfruttare una risorsa naturale (il fiume e i pesci presenti all’interno dello stesso) pur senza detenerne la sovranità. Nel caso in questione, la Corte ha tuttavia confermato il diritto del

303 Cfr. Land and Maritime Boundary between Cameroon and Nigeria (Cameroon v. Nigeria:

Equatorial Guinea intervening) del 11/06/1998, Corte Internazionale di Giustizia, 1998.

304 Cfr. Frontier Dispute (Burkina Faso/Republic of Mali) del 22/12/1986, Corte Internazionale di

138 Nicaragua a regolare le attività del Costa Rica al fine di garantire la protezione e la conservazione dell’ambiente305.

In altre occasioni, invece, la cessione dei diritti di sfruttamento sulle risorse naturali da uno Stato all’altro, tramite la sottoscrizione di trattati internazionali, è risultata funzionale all’ottenimento di risultati politici e alla risoluzione di controversie. Tuttavia, è doveroso sottolineare il fatto che accordi di questo tipo riguardano spesso aree marginali o scarsamente popolate, che si ritrovano esterne a questioni di tipo etnico o nazionale e, di conseguenza, si tratta solitamente di controversie più facili da risolvere tramite la sottoscrizione di patti o accordi internazionali, poiché svuotate di rivendicazioni storiche o nazionaliste. Al riguardo, è possibile citare il caso delle isole Svalbard/Spitsbergen, risolto tramite la firma del relativo trattato nel 1920 a Parigi. Tramite questo strumento giuridico, gli Stati parti si sono impegnati a riconoscere la sovranità della Norvegia sulle isole in questione, risolvendo in tal modo una lunga disputa sul tema, ottenendo però in cambio la possibilità, per i propri cittadini, ad avere libero accesso alle acque e alle terre relative alle isole in condizioni non discriminatorie, potendo inoltre portare avanti qualsiasi attività marittima, industriale, mineraria e commerciale senza alcun impedimento306. Alla Norvegia, invece, veniva riconosciuta la prerogativa di

305 Nello specifico, la sentenza recita come segue: “[…]the Parties agree that the practice of

subsistence fishing is long established. They disagree however whether the practice has become binding on Nicaragua thereby entitling the riparians as a matter of customary right to engage in subsistence fishing from the bank. The Court observes that the practice, by its very nature, especially given the remoteness of the area and the small, thinly spread population, is not likely to be documented in any formal way in any official record. For the Court, the failure of Nicaragua to deny the existence of a right arising from the practice which had continued undisturbed and unquestioned over a very long period, is particularly significant. The Court accordingly concludes that Costa Rica has a customary right. That right would be subject to any Nicaraguan regulatory measures relating to fishing adopted for proper purposes, particularly for the protection of resources and the environment”. Cfr. Dispute Regarding Navigational and Related Rights (Costa Rica v. Nicaragua) del 13/07/2009, Corte Internazionale di Giustizia, 2009, pp. 265 – 266.

306 L’articolo 3 del citato documento, recita come segue: “The nationals of all the High

Contracting Parties shall have equal liberty of access and entry for any reason or object whatever to the waters, fjords and ports of the territories […]; they may carry on there without impediment all maritime, industrial, mining and commercial operations on a footing of absolute equality. They shall be admitted under the same conditions of equality to the exercice and practice of all maritime, industrial, mining or commercial enterprises both on land and in the territorial waters, and no monopoly shall be established on any account or for any enterprise whatever.”. Cfr. Treaty between Norway, The United States of America, Denmark, France, Italy, Japan, the Netherlands,

139 poter agire al fine di preservare o, in caso, ricostituire la flora e la fauna locali307,

nonché la possibilità di espropriare tali attività per ragioni di pubblica utilità e in concomitanza di un adeguato risarcimento308.

Per quanto riguarda il tema della delimitazione dei confini tra due Stati e, in particolare, il contenzioso relativo all’attribuzione di un territorio a un’autorità statale piuttosto che all’altra, la presenza di risorse naturali non rappresenta un criterio determinante alla risoluzione della controversia. In altre parole, le caratteristiche fisiche e geografiche del territorio spesso non incidono sull’attribuzione della sovranità sul territorio stesso. Come dimostrato dal caso riguardante l’Alpe Craivarola, contesa tra Italia e Svizzera e assegnata allo Stato italiano in base a documentazioni risalenti al quindicesimo secolo nonostante il maggior accesso e uso del territorio da parte della popolazione elvetica309, il