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Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali nei principal

2.2 Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

2.2.2 Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali nei principal

Dopo aver analizzato il percorso storico attraverso il quale il principio oggetto del paragrafo è evoluto nel corso del tempo, si procederà con l’esame dei principali strumenti giuridici internazionali che trattano e definiscono l’ambito di applicazione del principio. Come già accennato in precedenza, non esiste una Convenzione multilaterale espressamente dedicata alla materia, per cui è necessario procedere all’analisi dei riferimenti posti al tema dai principali strumenti giuridici costituenti del diritto internazionale.

270 Cfr. VALENTINA ZAMBRANO, Il principio di sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali

tra vecchie e nuove violazioni, cit., p. 30.

271 Cfr. RAFFAELE CADIN, Il diritto internazionale dello sviluppo: genesi, evoluzione e prospettive, in

ERSILIAGRAZIA SPATAFORA, RAFFAELE CADIN, CRISTIANA CARLETTI, Sviluppo e diritti umani nella

125 La tematica delle risorse naturali viene trattata nell’articolo 1 comune ai due Patti delle Nazioni Unite del 1966, in cui si afferma che:

“Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza”272.

Come è possibile notare, non si fanno riferimenti espliciti al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, per ferma opposizione del gruppo dei Paesi sviluppati, timorosi dai potenziali effetti della norma nel dare via libera ai processi di nazionalizzazione; inoltre, vengono menzionati gli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, quale condizione a tutela degli interessi delle reti commerciali globali, e del diritto internazionale (a differenza di quanto espresso in sede NOEI273). Tale formulazione, che

rappresentava un compromesso tra la visione dei Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati riguardo al tema, di fatto non soddisfaceva né l’una né l’altra parte274; questo contribuì all’introduzione, nell’ottobre 1966, di un ulteriore

passaggio sul tema, precisato nell’articolo 47 del Patto relativo ai diritti civili e politici e nell’articolo 25 del Patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nei quali si afferma che:

“Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in senso lesivo del diritto inerente a tutti i popoli di godere e di disporre pienamente e liberamente delle loro ricchezze e risorse naturali”275.

Un altro strumento giuridico, stavolta regionale, che tratta della questione della gestione delle risorse naturali è la Carta africana dei diritti degli uomini e dei

272 Cfr. Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, cit., art. 1, par. 2 e Patto

internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, cit., art. 1, par. 2.

273 V. par. 2.2.1.

274 Cfr. VALENTINA ZAMBRANO, Il principio di sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali

tra vecchie e nuove violazioni, cit., p. 38.

275 Cfr. Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, cit., art. 47 e Patto internazionale

126 popoli del 1981. L’articolo dedicato al tema è il numero 21, che recita quanto segue:

“1. I popoli hanno la libera disponibilità delle loro ricchezze e delle loro risorse naturali. Questo diritto si esercita nell’interesse esclusivo delle popolazioni. In nessun caso, un popolo può esserne privato.

2. In caso di spoliazione, il popolo danneggiato ha diritto al legittimo recupero dei beni e ad un adeguato indennizzo.

3. La libera disponibilità delle ricchezze e delle risorse naturali si esercita fermo restando l’obbligo di promuovere una cooperazione economica internazionale fondata sul reciproco rispetto sul giusto scambio e sui principi del diritto internazionale.

4. Gli Stati Parti alla presente Carta si impegnano, sia individualmente che collettivamente, a esercitare il diritto di libera disponibilità delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, in vista del rafforzamento dell’unità e della solidarietà africane.

5. Gli Stati Parti alla presente Carta si impegnano a eliminare qualsiasi forma di sfruttamento economico straniero, specialmente quella che è praticata dai monopoli internazionali, allo scopo di permettere alla popolazione di ciascun paese di beneficiare pienamente dei vantaggi provenienti dalle proprie risorse nazionali”276.

L’articolo in questione si riveste di un’importanza del tutto particolare sia dal punto di vista giuridico e sia dal punto di vista valoriale, dal momento che il contesto africano è quello che più di ogni altro si è visto protagonista del processo di decolonizzazione e, di conseguenza, risulta tra i più sensibili alla questione delle risorse naturali. Procedendo con l’analisi, l’articolo afferma il diritto dei popoli a poter disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle risorse naturali, nel perseguimento dell’interesse delle popolazioni. Non si fanno riferimenti espliciti al principio di sovranità permanente, ma in ogni caso si afferma il diritto di ogni popolo a riprendere legittimamente controllo sui beni sotto dominio straniero e a ricevere un adeguato indennizzo, se vittima di spoliazione; allo stesso modo, la Carta impone l’obbligo verso gli Stati membri di eliminare ogni forma di sfruttamento economico straniero sulle risorse, al fine

127 di perseguire gli interessi della popolazione coinvolta. In generale, è possibile notare il fatto che l’articolo si rivolga direttamente ai popoli277, lasciando agli

Stati l’obbligo di agire in modo che i vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse naturali ricadano proprio sulle popolazioni in questione, ad esempio attraverso il “legittimo recupero dei beni” o l’eliminazione di “qualsiasi forma di sfruttamento economico straniero”. Le finalità di tali disposizioni sono, infatti, chiare: il benessere delle popolazioni coinvolte, la promozione di una cooperazione economica internazionale equa, l’unità e la solidarietà africana. A livello giurisprudenziale, è possibile citare uno storico caso in cui i principi contenuti nell’articolo citato sono stati proclamati attraverso l’azione della Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli: la decisione sul caso degli Ogoni278. Piccola etnia situata nel delta del Niger, gli Ogoni sono stati

vittime dell’azione “predatoria” di alcune compagnie petrolifere internazionali, quali la Shell e la Chevron, che si insediarono nella zona dopo la scoperta di alcuni giacimenti avvenuta nel 1958, costringendo la popolazione autoctona ad abbandonare le terre d’origine senza alcuna consultazione preventiva. L’insediamento forzato di queste compagnie internazionali provocò la creazione di sistematica di violazione dei diritti umani (dal punto di vista sociale, economico, culturale e ambientale), che portò, nel corso degli anni, alla radicalizzazione delle proteste e dei conflitti. La situazione creatasi attirò l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, soprattutto nei primi anni ’90, specialmente in seguito alle pesanti repressioni attuate dal governo nigeriano verso i rappresentanti dei movimenti a difesa degli Ogoni279. In tale

277 Come ulteriore precisazione, Valentina Zambrano sostiene che: “Sebbene esso [l’art.21] parli

di “popolazioni”, è da escludere che i redattori abbiano voluto riferirsi anche alle singole etnie che vivono all’interno dei confini statali come conferma il riferimento alla “popolazione di ogni Paese” e alle “risorse nazionali” che figura nel par. 5. Chiaramente, l’obiettivo era di evitare di mettere in pericolo i già precari equilibri interni degli Stati africani”. Cfr. VALENTINA ZAMBRANO, Il principio di

sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali tra vecchie e nuove violazioni, cit., p. 41.

278 Cfr. 155/96 : Social and Economic Rights Action Center (SERAC) and Center for Economic and

Social Rights (CESR) / Nigeria, Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, 2001.

279 Tali repressioni culminarono nell’uccisione di alcuni attivisti del Movimento per la

sopravvivenza del popolo Ogoni e di uno dei loro leader, Ken Saro-Iwa. L’esecuzione, avvenuta tramite impiccagione nel 1995, avvenne a seguito di un processo farsa ed ebbe ripercussioni mediatiche a livello internazionale. Cfr. RAFFAELE CADIN, Il diritto internazionale dello sviluppo:

genesi, evoluzione e prospettive, in ERSILIAGRAZIA SPATAFORA,RAFFAELE CADIN,CRISTIANA CARLETTI,

128 contesto, si è inserita la storica decisione della Commissione africana del 2001, in cui venivano accertate le numerose violazioni della Nigeria nei confronti della popolazione in questione, in termini di diritti individuali (tra questi, il diritto alla vita e quello alla salute) e collettivi (ad esempio, il diritto a un ambiente soddisfacente favorevole allo sviluppo e quello di poter disporre liberamente delle proprie risorse e ricchezze naturali280) espressi nella Carta africana281.

Al giorno d’oggi, la questione delle nazionalizzazioni e degli investimenti stranieri, a lungo oggetto di dibattiti e controversie internazionali, è regolamentata nella maggior parte dei casi da accordi bilaterali sulla promozione e la protezione degli investimenti (Bilateral Investment Treaties – BITs). Tali accordi hanno visto la loro massima diffusione a partire dal processo di decolonizzazione e, in misura ancora maggiore, nel corso degli anni ’80, decennio caratterizzato da profonde crisi economiche e finanziarie da parte dei Paesi in via di sviluppo, estremamente bisognosi di afflussi di capitali esteri. La sottoscrizione di questi accordi, finalizzati a regolare l’ambito di applicazione, il trasferimento di denaro, la gestione dell’investimento, la protezione da possibili atti di nazionalizzazione e la soluzione delle controversie, consentirono una maggiore tutela degli investitori, di conseguenza più invogliati a intraprendere interventi monetari nei Paesi in questione. Inoltre, in questi accordi si risolve spesso la problematica questione dell’indennizzo in caso di nazionalizzazioni: nella maggior parte dei casi, è possibile riscontrare le condizioni di “adeguatezza” e “immediatezza”, che fissano l’ammontare della compensazione

280 In relazione al diritto di poter disporre liberamente delle proprie risorse naturali, sancito

dall’art. 21 della Carta e precedentemente analizzato, la Decisione dispone quanto segue: “The

Complainants also allege a violation of Article 21 of the African Charter by the Government of Nigeria. The Complainants allege that the Military government of Nigeria was involved in oil production and thus did not monitor or regulate the operations of the oil companies and in so doing paved a way for the Oil Consortiums to exploit oil reserves in Ogoniland. Furthermore, in all their dealings with the oil consortiums, the government did not involve the Ogoni communities in the decisions that affected the development of Ogoniland. The destructive and selfish role played by oil development in Ogoniland, closely tied with repressive tactics of the Nigerian Government, and the lack of material benefits accruing to the local population 11, may well be said to constitute a violation of Article 21”. Cfr. 155/96 : Social and Economic Rights Action Center (SERAC), cit., art.

55.

281 Cfr. RAFFAELE CADIN, Il diritto internazionale dello sviluppo: genesi, evoluzione e prospettive, in

ERSILIAGRAZIA SPATAFORA, RAFFAELE CADIN, CRISTIANA CARLETTI, Sviluppo e diritti umani nella

129 al valore di mercato (pur, talvolta, tenendo in considerazione le condizioni economiche del Paese nazionalizzante) e che permettono un pagamento celere della quota stabilita. Le maggiori tutele verso gli investimenti stranieri si riscontrano nel settore estrattivo, quello che richiede i maggiori costi per l’avvio delle attività di sfruttamento. Per questo motivo, gli investitori che accettano di coprire tali spese pretendono importanti garanzie e tutele a protezione del proprio investimento, che spesso corrispondono alla possibilità di accedere a un giudizio in tempi rapidi, in condizioni di riservatezza e con compensazioni adeguate282. Paradossalmente, tali condizioni risultano essere molto vicine a

quelle determinate dalla già accennata “formula Hull”, lungamente osteggiata dai Paesi in via di sviluppo. Ciò dimostra il grande mutamento nelle rivendicazioni sovrane di tali Paesi nel giro di pochi anni, soprattutto nel tema in questione. Le cause maggiori di questo cambio di atteggiamento sembrano essere di natura economica; le crisi vissute da questi Paesi, in un certo senso ancora attuali, hanno forzato gli Stati in questione a cedere riguardo le proprie pretese in materia economica e ad aprirsi, con politiche di promozione e di liberalizzazione, ai capitali provenienti dagli investimenti stranieri283.

Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali viene affermato anche in alcuni accordi internazionali riguardanti la tematica ambientale. Tra questi, vale la pena citare l’Accordo ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico)284 sulla conservazione della natura e delle risorse naturali del 1985, in

cui si riconosce l’importanza rivestita da un corretto utilizzo e sfruttamento delle stesse, per il benessere delle popolazioni presenti e future. Al tal fine, gli Stati parti si impegnano a intraprendere delle azioni atte alla loro conservazione e a una corretta gestione, anche attraverso la cooperazione nella ricerca e in campo scientifico285. Allo stesso modo, un riferimento alla gestione delle risorse

282 Cfr. ERIC NEUMAYER, LAURA SPESS, Do bilateral investment treaties increase foreign direct

investment to developing countries?, in World Development, Vol. 33, 2005., pp. 9 – 10.

283 Cfr. MARIA ROSARIA MAURO, Gli accordi bilaterali sulla promozione e la protezione degli

investimenti, Giappichelli, Torino, 2003.

284 Gli Stati membri dell’ASEAN, attualmente, sono: Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia,

Myanmar, Filippine, Singapore, Tailandia, Vietnam.

285 Nell’art. 15 della citata Convenzione, si legge: “The Contracting Parties shall individually or in

130 naturali viene effettuato anche nella Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, adottata a Parigi nel 1994. All’interno del preambolo, si ribadisce il diritto degli Stati alla sovranità sulle risorse naturali e al libero sfruttamento delle stesse, al fine di perseguire le proprie politiche di sviluppo e ambientali, ricordando loro la responsabilità di assicurare che tali attività non rechino danni all’ambiente dentro e fuori dalla propria giurisdizione286. Inoltre, un ulteriore riferimento al tema si trova nell’articolo

11, in cui gli Stati parti sono invitati a cooperare per la realizzazione di programmi condivisi di gestione sostenibile delle risorse transfrontaliere, al fine di combattere la desertificazione e la siccità287. In seguito vale la pena citare, per

un’analisi più approfondita del tema, la Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità del 1992. Anche nel corso del suddetto documento, viene riaffermato il principio di sovranità e di responsabilità degli Stati sulle risorse naturali e, in particolare, su quelle biologiche288, la cui conservazione e

preservazione vengono considerate fondamentali per la sopravvivenza dell’intera umanità. Al fine di ciò, gli Stati vengono invitati a sostenere una gestione e uno sfruttamento sostenibile delle stesse, verso cui sono considerati responsabili. Inoltre, la Convenzione esprime in maniera implicita che uno degli obiettivi da perseguire è lo scambio e la condivisione equa dei benefici derivanti

and, whenever possible, support scientific and technical programmes of relevance to the conservation and management of natural resources, including monitoring, research, the exchange of technical information and the evaluation of results”. Cfr. Agreement on the Conservation of Nature and Natural Resources, ASEAN, Kuala Lumpur, 1985, art. 15.

286 Nel passaggio citato, si sostiene che: “[…] States have, in accordance with the Charter of the

United Nations and the principles of international law, the sovereign right to exploit their own resources pursuant to their own environmental and developmental policies, and the responsibility to ensure that activities within their jurisdiction or control do not cause damage to the environment of other States or of areas beyond the limits of national jurisdiction”. Cfr. United Nations Convention To Combat Desertification In Those Countries Experiencing Serious Drought And/Or Desertification, Particularly In Africa, Nazioni Unite, Parigi, 1994, Preambolo.

287 Nell’articolo 11 della Convenzione, si afferma: “Affected country Parties shall consult and

cooperate to prepare, as appropriate, in accordance with relevant regional implementation annexes, subregional and/or regional action programmes to harmonize, complement and increase the efficiency of national programmes. […]Such cooperation may include agreed joint programmes for the sustainable management of transboundary natural resources, scientific and technical cooperation, and strengthening of relevant institutions”. Cfr. United Nations Convention To Combat Desertification, cit., art. 11.

288 Nel documento, si afferma che la definizione di risorse biologiche “includes genetic resources,

organisms or parts thereof, populations, or any other biotic component of ecosystems with actual or potential use or value for humanity”. Cfr. Convenzione sulla diversità biologica, Nazioni

131 da un sostenibile sfruttamento delle risorse biologiche e genetiche, incluso il trasferimento della tecnologia utilizzata a tal fine.

In sintesi, è possibile affermare che tali Convenzioni in campo ambientale, che trattano il tema delle risorse naturali, risultano interessanti soprattutto perché affiancano al principio di sovranità permanente degli Stati sulle risorse la responsabilità di conservazione sulle stesse; in altre parole, sugli Stati pende un obbligo di protezione e di conservazione delle risorse naturali, attraverso azioni ad hoc e uno sfruttamento sostenibile, come segno di responsabilità nei confronti dell’umanità intera e delle generazioni future. In un certo senso, è dunque possibile leggere questi obblighi pendenti sulle autorità statali come una limitazione del principio di sovranità statale: i Paesi sono, per questo, liberi di poter sfruttare in maniera autonoma le risorse naturali presenti sotto la propria giurisdizione, tenendo tuttavia presente l’obbligo di una corretta conservazione delle stesse, per il benessere dell’intero pianeta. Come ulteriore dimostrazione di ciò, è possibile citare vari accordi internazionali che mirano a regolare e, talvolta, limitare l’utilizzo e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte degli Stati, molti dei quali prevedono la possibilità di sanzioni verso i Paesi trasgressori289. In definitiva, la tematica della gestione delle risorse naturali

sembra prevaricare il solo dominio riservato degli Stati, ma chiama in causa gli interessi e i bisogni riguardanti l’intera comunità internazionale, presente e futura.