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I diversi tipi di intelligenza e l’ipermedialià

TASSO DI PENETRAZIONE BANDA LARGA RETE FISSA PER 100 ABITANT

1.2 Fattori personal

1.2.1 I diversi tipi di intelligenza e l’ipermedialià

Che l’intelligenza non sia più considerata come monolitica ma che abbia una natura eterogenea lo riportano vari studi negli ultimi due decenni. Lo studioso più noto e accreditato è Howard Gardner (1983, 1993, 2005) il quale ritiene l’intelligenza “multipla” e identificabile con vari “tipi” di intelligenza che si individuano sulla base dei canali di percezione.

La didattica delle lingue da anni studia e applica la teoria delle Intelligenze Multiple come procedimento fondamentale e le teorie di Gardner hanno suscitato molto interesse in ambito glottodidattico. Su queste teorie molti altri studiosi hanno basato le loro ipotesi operative per l’apprendimento linguistico.

Parlare di tipi di intelligenza diversi vuol dire affrontare l’entità classe non più come gruppo di persone indifferenziate ma come un gruppo di persone ognuna costituita da una sua identità, dunque la classe come un gruppo di identità distinte. La variabile individuale caratterizza la glottodidattica umanistica che in quanto tale si rivolge alla personalità di ogni singolo studente.

Ogni studente è contraddistinto da una combinazione differente della percezione, i canali di percezione portano alle

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diverse tipologie di intelligenza, una intelligenza “multipla” (Gardner, 1993) che si caratterizza a seconda dei fattori che predominano. Ogni studente dunque è dotato di una personale combinazione tra intelligenza visiva, intelligenza uditiva, e intelligenza cinesetetica (Gardner, 1987).

Per Gardner l’intelligenza non è circoscrivibile o confinabile alla logica e al linguaggio in quanto l’uomo possiede altre sfere cognitive che fanno da tramite per esperire il mondo e conoscerlo. Dunque non più una sola intelligenza, quella confinata classicamente nel Quoziente di Intelligenza, QI, ma varie e diverse intelligenze che ognuno possiede in differenti combinazioni.

Questo assunto dell’intelligenza multipla conduce la glottodidattica di portata umanistica a produrre materiali differenziati, a proporre attività differenziate, così da favorire tutti i tipi di intelligenza.

Diverse intelligenze e diverse identità combinano il gruppo classe, le identità sono così descritte da Fabio Caon (2006: 12)

frutto dell’integrazione tra fattori biologici innati e fattori socio-culturali esterni quali, ad esempio, l’educazione familiare e scolastica, il contesto socio- culturale d’appartenenza, le esperienze esistenziali personali.

La teoria delle Intelligenze Multiple (Multiple Intelligence Theory, Mit) ha le sue radici in due testi di Gardner: Frames of Mind del 1983 e Intelligence Reframed del 1999. In questi due testi Gardner individua e dimostra l’esistenza otto intelligenze, ognuna delle quali è un potenziale bio-

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psicologico idoneo a elaborare informazioni anche con l’obiettivo di risolvere problemi.

Le otto intelligenze sono:

• l’intelligenza linguistico verbale, tra le sue componenti principali la semantica, la fonologia, la sintassi, la pragmatica;

• l’intelligenza logico matematica, atta all’elaborazione di lunghe catene di ragionamento;

• l’intelligenza visivo spaziale, che è l’abilità di rappresentare le proprie idee modificando o ricostruendo mentalmente la disposizione degli oggetti nello spazio;

• l’intelligenza ritmico musicale legata al pensare, godere e comporre musica;

• l’intelligenza corporea o cinestetica che permette due abilità come quella di manipolare gli oggetti e quella di controllare i movimenti del corpo come un ballerino o uno sportivo;

• le intelligenze personali che riguardano la psiche nell’intelligenza intrapersonale e in quella interpersonale;

• l’intelligenza naturalistica che riguarda la capacità di operare classificazioni nel regno animale e nel regno vegetale.

• Infine l’ultima intelligenza definita da Gardner intelligenza esistenziale (1999), è una intelligenza del tutto legata alla questione umana nel suo divenire, nel suo porsi quesiti esistenziali fondamentali.

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A queste intelligenze Gardner apre possibilità di aggiunta (2005: 75):

[…] ci saranno indubbiamente tentativi di proporre nuove intelligenze. Negli ultimi anni, oltre all’esplosione dell’interesse per l’intelligenza emotiva, ci sono stati seri tentativi di descrivere un’intelligenza spirituale e un’intelligenza sessuale. Il collega Antonio Battro ha suggerito l’esistenza di un’intelligenza digitale”.

A queste aggiungiamo una intelligenza formulata da Daniel Goleman: l’intelligenza emotiva. Per Goleman (1997) le interazioni sociali sono governate da questo tipo particolare di intelligenza che le persone sviluppano a seconda delle situazioni di stimolo della stessa. Un individuo che ha sviluppato la propria intelligenza emotiva conosce le proprie emozioni e le sa elaborare e gestire: sa come motivarsi per raggiungere gli obiettivi prefissati, sa riconoscere le emozioni, le esigenze e gli interessi degli altri (si rimanda al paragrafo sull’empatia), è in grado perciò di accordare pensiero e sentimento in modo equilibrato.

Tali intelligenze, che possediamo alla nascita, si sviluppano poi in modo minore o maggiore a seconda dell’interazione con l’ambiente esterno e con le esperienze di apprendimento. Pertanto, il modo in cui interpretiamo il mondo è variabile e soggettivo e tale comprensione può essere espressa con modalità differenti. La cultura di appartenenza gioca un ruolo considerevole nello sviluppo e nel valore dato alle diverse intelligenze. E’ di grande importanza tener conto di questo aspetto quando ci troviamo a lavorare con allievi provenienti da altre culture. Non solo i talenti delle diverse intelligenze

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possono crescere e svilupparsi, ma anche le strategie di pensiero possono essere insegnate.

Per quanto concerne l’utilizzo di ipermedia in sede di glottodidattica, basandoci su un approccio umanistico e una visione socio-costruttivista del contesto scuola, possiamo riscontrare come lo strumento ipermedia agevoli e applichi le strategie didattiche che Gardner illustra nei suoi studi. Gardner infatti, ad esempio, spiega come sia importante introdurre un concetto utilizzando diversi tipi di rappresentazioni mentali, gli entry points (1993) che lui stesso definisce “tante finestre che danno su una medesima stanza” (1995: 62). Attraverso l’uso di ipermedia come strumento di classe può avvenire l’introduzione di un concetto con molteplici stimoli sensoriali in modo da raggiungere diversi tipi di intelligenza presenti nella classe, e la ridondanza attraverso differenziate tipologie di input permette una maggiore assimilazione da parte dello studente. L’ipermedia offre la possibilità di presentare un concetto, una regola grammaticale, con diversi stimoli percettivi: un testo, una immagine, un suono, un video, uno schema, un’opera d’arte, un’esperienza guidata eccetera, o alcuni di questi combinati insieme.

Sempre secondo Gardner a un entry point dovrebbe corrispondere un exit point che corrisponderà non obbligatoriamente a una prova linguistica. L’ipermedia, come vedremo nella terza parte di questo lavoro, permette di esporre lo studente a un linguaggio molteplice attraverso materiali autentici derivanti da film, libri, canzoni, mappe eccetera.

90 1.2.2 Gli stili cognitivi e l’ipermedialità

Abbiamo visto nel precedente paragrafo come decenni di studi abbiano condotto la glottodidattica a rapportarsi non più con un solo tipo di intelligenza, ma con un’intelligenza multipla. Allo stesso modo gli studi degli ultimi anni hanno trattato la questione dello stile cognitivo, argomento complesso e ancora oggetto di molti approfondimenti. A tutt’oggi infatti la classificazione di differenti stili è ampia e dettagliata, ma ancora in elaborazione. Noi ne riporteremo una analisi utile alla nostra tipologia di studio.

Messick (1994: 22) si riferisce allo stile cognitivo20 come a

“una modalità di funzionamento cognitivo (pensiero, memoria, percezione, presa di decisione eccetera) che riflette regolarità nella processazione dell’informazione che si sviluppano intorno a orientamenti soggiacenti alla

20 La ricerca sugli stili cognitivi si è sviluppata agli inizi degli anni ’40. Ha

coinvolto diversi ambiti teorici: la psicologia dello sviluppo, gli studi sulla percezione, le teorie dell'intelligenza, la motivazione, il comportamento sociale, la psicologia della personalità e la psicologia dinamica. Introdotto nel 1937 da Allport, come un modo di riferirsi a differenti tipi di personalità o di comportamento, il costrutto relativo allo stile cognitivo si è venuto via via definendo, passando attraverso varie denominazioni. Intorno agli anni ’60, sono apparsi i primi lavori in cui si è tentata una classificazione degli stili cognitivi. Boscolo (1981) definisce lo stile cognitivo una “modalità di elaborazione dell’informazione che il soggetto adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e si generalizza a compiti diversi”. Non rappresenta dunque un’indicazione sul livello di intelligenza di una persona o sulle sue abilità, ma la descrizione dei modi in cui acquisisce, elabora e successivamente traduce in comportamenti le nuove informazioni. L'assimilare gli stili più alle tipologie che alle abilità ha il vantaggio di svincolarli da giudizi di valore; le abilità invece ne sono cariche e, infatti, i soggetti valutati in base alle abilità possedute vengono classificati positivamente o negativamente in rapporto al grado più o meno elevato di abilità posseduta. Le diagnosi formulate sugli stili, invece, non esprimono giudizi di valore, anche se, in realtà, non tutti gli stili presentano in pari misura elementi di positività e negatività (alcuni risultano infatti essere cognitivamente più vantaggiosi o socialmente più accettabili di altri).

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personalità”. Mentre Vettorel (2006: 95) intende per stile cognitivo “un approccio generale preferito nell’esperienza, nell’elaborazione delle informazioni e nella rappresentazione della realtà”.

A tal proposito risultano di grande rilievo per noi gli studi che trattano da una parte la questione delle caratteristiche innate, dunque slegate da condizionamenti ambientali e sociali, dall’altra proprio quelle caratteristiche contestualizzate ai diversi luoghi di vita della persona. Il punto di maggiore interesse in un ambito glottodidattico, basandoci su un approccio umanistico e una visione socio-costruttivista del contesto scuola, è l’approfondimento della relazione tra ambiente e sviluppo degli stili di apprendimento. Se infatti il nostro studio verte sulla influenza che la tecnologia digitale ha sui giovani che vi sono cresciuti a contatto, abbiamo motivo di ritenere che gli stili cognitivi e le tecnologie siano un argomento fondamentale.

La dimensione che più ci riguarda è laddove gli stili cognitivi vengono condizionati dall’ambiente in cui il soggetto vive e apprende. Trattando, infatti, di nativi digitali e di didattica ipermediale, in contesto pertanto interculturale, la questione ambiente in cui il soggetto vive e apprende è per noi di grande rilevanza.

Si tratta di classi di apprendenti la lingua italiana provenienti da contesti differenti: continente, paese, città, lingua, società, ambiente, cultura d’appartenenza, studi eccetera. Ognuno con una identità disparata che va a formare un gruppo classe differenziato al suo interno. Affinché l’apporto di ognuno sia risorsa per tutti è essenziale che le individualità facciano parte del nel gruppo, e che siano valorizzate a beneficio del gruppo.

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Ogni stile personale nel percepire la realtà, riadattare i dati, svolgere un compito, si configura nelle diverse intelligenze che coesistono e interagiscono nel nostro cervello. Ambienti culturali di vita diversi contribuiscono a stimolare diversamente le intelligenze, sollecitando maggiormente alcune e trascurandone altre: “è l’ambiente che aiuta a capire quali sono gli stimoli da privilegiare” (De Beni, 2000: 30). Lo stile cognitivo (Boscolo, 1981) viene definito come la modalità di elaborazione dell’informazione che un individuo adotta in modo prevalente, che permane nel tempo e che si generalizza a compiti diversi.

Se da un lato ci risulta particolarmente interessante sottolineare come gli stili cognitivi abbiano il compito di diversificare la modalità con cui la mente ristruttura le nuove informazioni, dall’altro tale modalità è molto attinente con il nostro studio.

Infatti la modalità ha a che fare con l’ambiente in quanto gli stili di cognitivi si formano anche sulla base dell’ambiente circostante all’apprendente nella sua crescita.

È opinione condivisa che gli stili cognitivi siano acquisiti in modo preponderante attraverso la socializzazione. Fin dall’infanzia, infatti, percepiamo che determinati stili di interazione con gli altri, e con l’ambiente in generale, vengono ricompensati più di altri. Probabilmente allora, veniamo attratti da questi “stili vincenti” anche se le nostre predisposizioni pongono limiti all’entità e alle modalità di adottarli in modo da ricevere maggiore gratificazione. Ci sarebbe, dunque, un continuo feedback tra l’esercizio di uno stile e il grado in cui esso funziona in un dato compito imposto dalla società (Cadamuro, 2004: 102).

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Cadamuro sottolinea come gli stili cognitivi vengano acquisiti in modo predominante attraverso la socializzazione in quanto l’interazione con gli altri e con l’ambiente vengono ricompensati più di altri in modo da venirne attirati maggiormente come fonte di gratificazione cognitiva. Questa teoria è di grande importanza per il nostro studio in quanto, come abbiamo riportato nei precedenti paragrafi, l’ambiente che circonda le persone nate in epoca digitale è un ambiente differente sia come luogo sia come rapporti e interrelazioni con gli altri.

Gli stili cognitivi dei giovani di questa epoca, pertanto, sono il prodotto di una acquisizione in un ambiente completamente diverso dai precedenti, con dinamiche nuove, alcune ancora da studiare e molte in evoluzione.