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I licenziamenti individuali: giusta causa e giustificato motivo

Nel documento Il rapporto di lavoro bancario (pagine 157-163)

Capitolo VII. L’esercizio del potere disciplinare: i licenziamenti

3. I licenziamenti individuali: giusta causa e giustificato motivo

Il tema della risoluzione del rapporto, e più specificamente quello dei licenziamenti individuali, rappresenta uno dei più delicati e complessi, anche perché inevitabilmente le norme contrattuali

vanno lette alla luce della mutevole e più volte mutata disciplina legislativa.

Il caso del personale bancario non sembra sfuggire a questa rego-la e le ragioni possono apparire di tutta evidenza se si considera che in un sistema giuridico, quale quello nazionale, che ha fatto della “stabilità” del contratto una vera bandiera per decenni, il la-voro nel settore del credito è stato sempre considerato, nella per-cezione sociale, fra i più “sicuri” e cioè al riparo dal rischio di ri-soluzione anticipata rispetto al momento del pensionamento.

L’ingresso in banca, in altre parole è stato costantemente consi-derato, almeno fino ad un non lontano passato, esente dal rischio di perdita del posto di lavoro per ragioni riconducibili al compor-tamento del lavoratore, ma soprattutto per vicende derivanti dall’andamento dell’impresa, quali ristrutturazioni e riorganizza-zioni.

Da diversi anni la situazione appare radicalmente mutata e se, a quanto consta, non si registra, sul piano quantitativo, un massic-cio ricorso ai licenziamenti per cause individuali, quali la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo, sempre più frequenti sono le operazioni di riduzione del personale sul piano collettivo, riconducibili nell’alveo della l. 23 luglio 1991, n. 223 (seppure ra-ramente applicata fino in fondo dalle imprese bancarie), con il conseguente utilizzo dell’“ammortizzatore sociale” specifico del settore del credito, rappresentato dal “Fondo di solidarietà”, isti-tuito originariamente ai sensi dell’art. 2, comma 28, della l. n.

662/1996.

Non è casuale il fatto che il CCNL dei bancari abbia sentito la necessità di chiarire dopo la legge del 1991 (si veda attualmente l’art. 89) che questa è applicabile «a tutto il personale appartenen-te alla caappartenen-tegoria dei quadri direttivi (dal primo al quarto livello re-tributivo)». In proposito, infatti, era insorta a suo tempo una vera e propria divergenza interpretativa con riguardo all’applicabilità

delle regole sui licenziamenti collettivi al personale con qualifica di funzionario (1). Questione poi risolta in senso positivo da parte della magistratura (2).

Sono ormai oltre 60mila i lavoratori destinatari dell’assegno straordinario di sostegno al reddito, riconosciuto a coloro ai quali mancano non più di 60 mesi (84 per un breve periodo transito-rio) alla maturazione del diritto a percepire il trattamento pensio-nistico di anzianità (ora pensione anticipata) o di vecchiaia a cari-co dell’AGO. Le imprese del settore creditizio, infatti, non sono destinatarie, come noto, del sistema di cassa integrazione ordina-ria e straordinaordina-ria, né del trattamento di mobilità propri dell’industria e di altri settori produttivi e devono utilizzare le mi-sure del predetto Fondo, sostenendo in proprio gli oneri dei rela-tivi trattamenti.

Volendo soffermare l’attenzione soprattutto sulle fattispecie in-dividuali di risoluzione del rapporto, si devono considerare le pe-culiarità del settore in esame, limitandosi a qualche accenno alle pur rilevanti questioni di carattere generale che caratterizzano la delicatissima tematica dal punto di vista normativo, evitando di entrare in questa sede nel merito della complessa evoluzione della disciplina legislativa culminata prima nella legge Fornero (l. n.

92/2012) e poi nel Jobs Act e segnatamente nel d.lgs. n. 23/2015:

questioni su cui abbondano trattazioni specifiche ben più autore-voli ed a cui dunque necessariamente si deve far rinvio.

Sul piano contrattuale è opportuno distinguere la disciplina rela-tiva, da un lato, a quadri direttivi ed aree professionali e, dall’altro, quella concernente i dirigenti.

(1) Si veda M. RAFFAGHELLO, Il funzionario delle aziende di credito e i licenzia-menti collettivi (nota a Pret. Sassari 20 dicembre 1994), in DL, 1995, n. 3-4, II, p. 241.

(2) Si veda Pret. Bari decreto 27 maggio 1996 e Pret. Catanzaro 20 maggio 1996, in NGL, 1996, p. 247.

Per le prime di dette categorie, si prevede, all’art. 77, che la riso-luzione del rapporto, superato il periodo di prova, possa avvenire per una serie di causali.

Tra esse, le fattispecie riconducibili all’iniziativa dell’impresa sono le seguenti:

• superamento da parte dell’interessato del periodo di conserva-zione del posto e dell’eventuale periodo di aspettativa previsti dal contratto stesso per i casi di malattia ed infortunio;

• possesso da parte del lavoratore ultrasessantenne dei requisiti pensionistici, sempre che non abbia optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi della vigente normativa di legge in materia;

• giustificato motivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966;

• giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.

Le fattispecie riconducibili, invece, all’iniziativa del lavoratore so-no:

• dimissioni;

• giusta causa, ex art. 2119 c.c.

Ad esse si aggiunge la fattispecie della risoluzione del rapporto per morte del lavoratore.

In tutti i casi suesposti il contratto nazionale regola, negli articoli successivi ed in allegato, il regime e l’entità dei preavvisi dovuti in ciascuna delle predette circostanze, in relazione all’anzianità di servizio maturata dal lavoratore, nonché le voci computabili ai fi-ni del trattamento di fine rapporto.

Ciò posto, si può osservare come la fattispecie della risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto non pre-senti peculiarità particolarmente significative rispetto ad altri tratti collettivi nazionali, se non per la durata dei periodi di con-servazione del posto e/o del trattamento retributivo che risultano piuttosto consistenti, variando da 6 mesi a 24, in ragione dell’anzianità del dipendente e dell’eventualità che si tratti di un

unico evento morboso (c.d. comporto “secco”), ovvero di una pluralità in un quadriennio (c.d. comporto “per sommatoria”), con possibilità di elevazione a fronte di malattie di particolare gravità (in ogni caso l’ABI dedicò all’argomento una sua pubbli-cazione cui può rinviarsi).

Quanto all’ipotesi della risoluzione per limiti di età, sembra ap-pena il caso di osservare come la previsione potrebbe essere su-scettibile di qualche adeguamento alla luce della riforma del si-stema pensionistico che ha rivisto profondamente la pregressa e tormentata disciplina in materia, incidendo ovviamente in modo diretto sugli assetti della contrattazione collettiva.

È ben noto, infatti, che il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito nella l. 22 dicembre 2011, n. 214), ha dettato, all’art. 24, nuove e drastiche disposizioni in materia di trattamenti pensionistici, con il dichiarato intento di ridurre la spesa pubblica, nel rispetto degli impegni internazionali e con l’Unione europea, dei vincoli di bi-lancio e della stabilità economico-finanziaria.

Ne è derivato, a decorrere dal 1° gennaio 2012, un significativo innalzamento dell’età pensionabile (fatte salve alcune limitate sal-vaguardie) ed un irrigidimento dei criteri di calcolo, attraverso la generalizzazione del c.d. sistema contributivo, solo parzialmente mitigato temporaneamente dai noti, più recenti interventi del 2018 definiti sinteticamente “quota cento”.

Ai fini che qui specificamente interessano è opportuno richiama-re di detta complessa legge, la prichiama-revisione secondo la quale nei confronti dei lavoratori dipendenti l’efficacia delle disposizioni di cui all’art. 18 della l. n. 300/1970 e successive modificazioni ope-ra fino al conseguimento del c.d. “limite massimo di flessibilità”, che consente al lavoratore di proseguire l’attività lavorativa fino all’età di 70 anni (limite invero impensabile in Italia fino ad un recentissimo passato).

Nessun rilievo particolare sembra poi doversi fare con riferimen-to alle dimissioni, la cui disciplina contrattuale, concernente l’entità del preavviso e la possibilità di ampliarlo o ridurlo per vo-lontà delle parti, non presenta particolarità degne di nota rispetto al regime legale ed alla regolamentazione di altri settori.

In merito, a questo punto, alle fattispecie del giustificato motivo e della giusta causa si deve ricordare come la recente l. n.

92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) abbia profondamente modificato (commi 36-42 dell’art. 1), sia la l. n. 604/1966 che l’art. 18 della l. n.

300/1970, dopo un vasto e acceso dibattito non solo in sede par-lamentare. A tali norme, come si è visto, fanno espresso richiamo le disposizioni del CCNL del credito riguardanti le due fattispecie di licenziamento in esame.

Da osservare come il CCNL estenda a tutti i lavoratori delle im-prese che occupano complessivamente più di quindici dipendenti l’applicazione di quanto previsto dall’art. 18 Stat. lav., limitata-mente a quanto disposto nel primo, secondo, terzo, quarto e se-sto comma della norma di legge nel vecchio tese-sto (il quinto comma escluso riguardava il trattamento indennitario in luogo della reintegrazione).

Il contratto 31 marzo 2015 ha puntualizzato, a seguito di una ste-sura particolarmente difficile da definire, che quanto previsto dall’art. 18 (nel testo vigente), commi 4-7, applicabile a tutti i la-voratori e lavoratrici delle imprese che occupino complessiva-mente più di 15 dipendenti, si riferisce al personale in servizio al 7 marzo 2015, nelle imprese che presentavano a tale data detto dato occupazionale. La previsione si è resa necessaria per assicu-rare, nei confronti del personale assunto successivamente, la pie-na applicazione, senza le deroghe che i sindacati avrebbero volu-to e che hanno riproposvolu-to in sede di rinnovo nel 2019, di quanvolu-to disposto dal d.lgs. n. 23/2015 (segnatamente agli artt. 1 e 3). La

soluzione adottata nel rinnovo del 2019 ed è stata esaminata nel capitolo I.

Il contratto non contiene ulteriori disposizioni al riguardo, fatta salva l’indicazione dell’entità del preavviso in caso di risoluzione del rapporto per giustificato motivo, sia soggettivo che oggettivo.

Ovviamente nessuna misura è stabilita per l’ipotesi della giusta causa, per la quale, come noto, l’art. 2119 c.c. esclude l’obbligo di preavviso. Dispone infatti detta norma che «Ciascuno dei con-traenti può recedere dal contratto prima della scadenza del ter-mine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una cau-sa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rap-porto».

In proposito bati richiamare la particolarità del rapporto fiducia-rio che caratterizza il personale bancafiducia-rio in ragione della partico-lare delicatezza delle mansioni che, a vario livello, è chiamato a svolgere: peculiarità costantemente riconosciuta dalla giurispru-denza e già ampiamente ricordata.

Nel documento Il rapporto di lavoro bancario (pagine 157-163)