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5. Problemi di attuazione

5.2. I problemi di attuazione della Direttiva alluvioni in Ita-

Nella valutazione dell’attuazione della Direttiva alluvioni conflui- scono tre ordini di problemi: (1) l’elaborazione dei Piani di rischio nei tempi previsti dalla direttiva e con le modalità previste dalla stessa, an-

che con riferimento ai contenuti obbligatori; (2)il coordinamento con il

Piano di gestione delle acque; (3) il coordinamento a livello distrettuale. Per esaminare i seguenti ordini di problemi, si è deciso di porre l’accen- to su quanto avvenuto nel Distretto delle Alpi Orientali, ambito territo- riale che è stato scelto come caso di studio per l’evidente importanza che riveste nell’ambito della Convenzione delle Alpi.

Per quanto riguarda il rispetto delle scadenze, il Piano di gestione del rischio relativo al Distretto delle Alpi Orientali è datato marzo 2016, quindi in linea con le tempistiche europee. Se si prende per buona la data di dicembre 2015 per l’approvazione del Piano di gestione delle acque, si può dunque concludere che i due processi di pianificazione sono di fatto avvenuti in parallelo.

Informazioni sostanziali sul livello di coordinamento dei due stru- menti vengono poi alla luce analizzando in contenuto del Piano di ri- schio. Tale coordinamento è avvenuto anzitutto nella fase conoscitiva, dal momento che il Piano di gestione del rischio alluvioni ha effettuato la valutazione della pericolosità concentrandosi sui corpi idrici indivi-

duati nella pianificazione generale del periodo 2010-2015178.

Anche nell’individuazione delle misure di prevenzione, il Piano di rischio ha tenuto conto del Piano di gestione delle acque privilegiando

le misure “che rispettano gli obiettivi ambientali dei corpi idrici”179. Il

Piano di gestione di rischio stesso sottolinea poi la presenza in entrambi i piani di c.d. misure win-win che, avendo un effetto potenzialmente positivo sia in termini di miglioramento della qualità delle acque sia in termini di prevenzione delle alluvioni, sono state incluse in entrambi i

178 Si veda il Piano di gestione del rischio alluvioni del Distretto delle Alpi Orienta-

li, Relazione di Piano e Allegati, disponibile online all’indirizzo: http://www.alpiorien tali.it/dati/direttive/alluvioni/fd_20160309/PGRA_Relazione%20di%20Piano_Allegati _I_II_III_V.pdf, p. 76.

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piani distrettuali. Il Piano di rischio contiene infine un’analisi dettaglia- ta del ventaglio dei possibili impatti sugli obiettivi ambientali, con spe- cifica menzione dell’eventualità di conflitti.

Inoltre, in materia di partecipazione, il Piano di gestione del rischio fa riferimento a un processo formalizzato di partecipazione del pubblico e coinvolgimento dei soggetti interessati, con precise scadenze per la messa a disposizione del pubblico dei documenti rilevanti e per la pre-

sentazione da parte dei soggetti coinvolti delle osservazioni180. Il piano

ha fatto altresì maggiore chiarezza sulla definizione di soggetti interes- sati, riconoscendo il valore di una consultazione quanto più ampia pos- sibile, che sia rappresentativa di quattro categorie di soggetti, e cioè le amministrazioni, la società civile, le comunità locali e le imprese. La mappatura dei soggetti interessati ha preceduto la fase di consultazione vera e propria sulla base delle categorie sopra elencate. Si è infine este- sa la partecipazione a tutti i soggetti che lo richiedessero esplicitamen-

te181. Sembra si possa rilevare un coordinamento con il Piano di gestio-

ne delle acque del periodo di programmazione precedente, dal momen- to che le autorità competenti si sono servite di esperienze pregresse per

l’individuazione dei soggetti interessati182.

Il Piano di gestione del rischio ha anche individuato correttamente le Autorità di bacino come autorità competenti nelle more dell’istituzione

delle Autorità distrettuali183. Le prime devono assicurare altresì il coor-

dinamento a livello distrettuale attraverso l’istituzione di un apposito

tavolo di lavoro con le principali amministrazioni coinvolte184.

Dall’analisi delle autorità competenti emerge un livello di comples- sità ulteriore. Il Distretto delle Alpi Orientali comprende, come già ri- cordato, anche il fiume Adige. Per tale corso d’acqua, il problema della pianificazione coordinata si intreccia con la questione delle competenze delle due Province autonome in materia di acque. Ugualmente a quanto

180 Ibidem, p. 83.

181 Ibidem, p. 84.

182 Non sono però riportate le iniziative di partecipazione riguardanti le Province

autonome.

183 Ibidem, p. 81. Tra le autorità competenti, oltre all’Autorità di bacino Nazionale

del fiume Adige, vi sono anche le Province autonome di Trento e Bolzano.

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visto per la pianificazione distrettuale generale, anche per il rischio al- luvioni le due Province autonome hanno delle competenze primarie e secondarie che giustificano una pianificazione settoriale indipendente per la parte del bacino dell’Adige che ricade nel territorio delle Provin- ce. Ai sensi dell’articolo 8(13) e (24), le Province autonome hanno competenza esclusiva in ambiti quali le opere di prevenzione per cala- mità pubbliche e le opere idrauliche, materie che certamente hanno una ricaduta forte sulla gestione del rischio alluvioni. Proprio alla luce di questa riserva statutaria, l’articolo 17(1) del d.lgs. 49/2010 ha fatto sal- ve le competenze esclusive delle Province autonome, delegando di fatto l’attuazione delle norme in materia di alluvioni alle Province stesse nel- l’ambito dei propri territori.

Proprio in questa luce bisogna dunque valutare l’attuazione della Di- rettiva alluvioni con riferimento a questo territorio, sottolineando sin da subito che la parcellizzazione dell’esercizio di pianificazione può po- tenzialmente compromettere gli obiettivi della direttiva, che sono cali- brati a livello distrettuale, se non vengono messe in atto le necessarie misure di coordinamento. Per quanto riguarda il coordinamento con gli obiettivi ambientali, l’adozione del Piano di rischio provinciale va valu- tata non solo in relazione all’adozione del Piano distrettuale di gestione delle acque, ma anche dei PGUAP.

Per quel che concerne la Provincia di Trento, il Piano di rischio è

stato adottato nel dicembre 2015185, dunque dopo qualche mese rispetto

all’aggiornamento del PGUAP del mese di luglio. Come si rileva dal sito della Provincia, il relativo piano è stato integrato all’interno di

quello distrettuale186. La Provincia di Trento ha inoltre messo in atto un

processo partecipativo sia nella fase di redazione delle mappe, sia prima

dell’approvazione definitiva del piano187. La fase della valutazione in-

vece non è stata effettuata in accordo con la deroga generale prevista a

185 V. Delibera n. 2209 del 3 dicembre 2015, Approvazione del Piano di gestione

del rischio alluvioni (PGRA) della Provincia autonoma di Trento, in attuazione della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio di data 23 ottobre 2007, disponibile alla pagina: http://www.delibere.provincia.tn.it/scripts/GSearch.asp.

186 V. online l’indirizzo: http://pguap.provincia.tn.it/#. V. anche il Piano di gestione

del rischio alluvioni del Distretto delle Alpi Orientali, Relazione di Piano e Allegati, cit.

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livello nazionale188. Si registra dunque una sostanziale comunanza di

intenti con il livello distrettuale. Il Piano distrettuale ha poi una sezione

dedicata ai “punti di contatto” con la Direttiva quadro189. Pare quindi

che una riflessione sul coordinamento con gli obiettivi ambientali sia avvenuta.

Il Piano provinciale di gestione del rischio della Provincia di Bolza- no è datato febbraio 2016. Si può dunque registrare anche in questo

caso una concomitanza formale nell’adozione dei piani succitati190. Tut-

tavia, guardando al contenuto del Piano provinciale poco si sa dell’in- terscambio di dati e dell’eventuale coordinamento dei processi parteci- pativi o degli obiettivi. I contenuti sono infatti molto più limitati di quelli inclusi nella pianificazione distrettuale. Tra i limiti più evidenti si può rilevare la mancanza delle tre fasi previste dalla direttiva e dalla legislazione italiana (valutazione, mappe, piano) e un’interpretazione molto restrittiva di partecipazione alla pianificazione, intesa solo come sensibilizzazione del pubblico sui rischi. Resta da vedere se per le parti della pianificazione che sono più dettagliate nel Piano distrettuale, la Provincia di Bolzano farà concretamente riferimento al piano generale o a quello provinciale, che è certamente più scarno e non valuta la rela- zione tra le misure di prevenzione e le misure ambientali. Sembra op- portuno propendere per questa seconda interpretazione, dal momento che anche il Piano di rischio della Provincia di Bolzano è integrato al-

l’interno del Piano distrettuale191. D’altra parte, pare opportuno sottoli-

neare come l’efficacia delle misure di prevenzione dipenda certamente dal livello di coinvolgimento e responsabilizzazione delle amministra- zioni locali.

188 V. paragrafo 3 di questo capitolo.

189 Si veda il Progetto di piano di gestione del rischio alluvioni del Distretto delle

Alpi Orientali, Vol. 3, pp. 22-26, disponibile online all’indirizzo: http://www.alpiorien tali.it/dati/direttive/alluvioni/volume3_ob_mis_priorita.pdf. Si veda anche il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni del Distretto delle Alpi Orientali, Relazione di Piano e Allegati, cit., p. 22 e pp. 51-52.

190 V. A

GENZIA PROVINCIALE PER L’AMBIENTE, Piano di gestione del rischio di allu-

vioni della Provincia di Bolzano, febbraio 2016, disponibile online all’indirizzo: http://

www.provincia.bz.it/opere-idrauliche/bacini-montani/953.asp.

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6. Il problema della frammentazione

Per trarre le somme dell’analisi effettuata nelle precedenti sezioni, si può dire che la normativa europea in materia di acque presenta notevoli elementi di complessità non solo e non tanto per via della complessità stessa della disciplina, ma per il margine ampio che la Direttiva quadro offre agli Stati membri relativamente al recepimento della stessa. Tale margine di azione genera una frammentazione della disciplina che, se da un lato assicura flessibilità, dall’altro provoca una diversificazione delle fonti atte a regolare la materia. Di tale frammentazione interna al sistema europeo si dà conto nella presente sezione, mentre nel prossimo capitolo si farà qualche cenno al problema del coordinamento delle fon- ti europee con quelle che il diritto internazionale pone a governo dello stesso settore.

La frammentazione della disciplina in materia di tutela e gestione delle acque è in parte insita nella natura della stessa Direttiva quadro. Come ricordato, essa ha posto una disciplina di riorganizzazione del patrimonio idrico europeo, stabilendo altresì obiettivi ambientali comu- ni. Per quel che riguarda specifici aspetti di tale tutela, tuttavia, la Diret- tiva quadro è stata affiancata dalle già citate direttive figlie, tra cui la Direttiva alluvioni. Si rileva quindi, in primo luogo, una frammentazio- ne dell’ambito materiale della normativa europea in materia di acque. Tale caratteristica del regime europeo, però, non genera particolari preoccupazioni, dal momento che la disciplina contenuta nelle direttive figlie è legata alla Direttiva quadro in un rapporto di genere a specie.

In tal senso, per quanto concerne la Direttiva alluvioni, come già vi- sto nella sezione 3 del Capitolo primo, gli eventuali conflitti tra le due direttive sono solo potenziali, nel senso che non vi è un conflitto in sen- so stretto (obblighi confliggenti all’interno delle direttive esaminate), ma solo potenziali discordanze derivanti dall’attuazione delle disposi- zioni delle due direttive in maniera non coordinata. Tali conflitti, tutta- via, sono risolvibili ai sensi dell’articolo 9 della Direttiva alluvioni che prevede un coordinamento con la Direttiva quadro. Quest’ultima, inol- tre, offre gli strumenti per conciliare le misure di prevenzione delle al- luvioni che fossero in contrasto con gli obiettivi ambientali della Diret-

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tiva quadro, grazie al sistema delle deroghe previsto dall’articolo 4 del-

la stessa192.

Se la frammentazione delle discipline a livello europeo non presenta particolari problemi, difficoltà maggiori possono rilevarsi nella traspo- sizione del regime europeo all’interno di atti normativi statali, come visto nelle sezioni 2, 3, e 5 di questo capitolo. In questo senso, difficoltà di coordinamento possono sorgere nel caso in cui la trasposizione na- zionale non sia in linea con il dettato europeo. In effetti, in Italia c’è stato un tentativo di coordinamento, almeno a livello normativo, fra la disciplina in materia di acque e quella in materia di alluvioni. In linea con quanto previsto a livello europeo, l’attività di pianificazione si pre- senta come anello di congiunzione che nella volontà del legislatore do- vrebbe unificare tutti i livelli. In tal senso, in Italia il Piano di gestione del bacino e il Piano di assetto idrogeologico (base del Piano di gestio- ne dei rischi) costituiscono entrambi piani stralcio del Piano di bacino distrettuale.

Un ulteriore problema di coordinamento nasce poi a livello naziona- le, quando si tenga conto dell’attuazione concreta della disciplina da parte delle autorità statali, regionali e locali competenti. Come illustrato nella sezione 5 di questo capitolo, vi sono notevoli difficoltà di coordi- namento fra le varie amministrazioni regionali/provinciali che fanno capo alle diverse Autorità di bacino, sia per quel che riguarda l’adozio- ne del Piano di bacino distrettuale, sia per quanto concerne il coordi- namento tra Piano di bacino e Piano di gestione del rischio di alluvioni. Questi problemi, derivanti dalle peculiarità del caso italiano e dall’inte- razione tra competenze nazionali e locali, sono approfonditi qui di se- guito.

6.1. Il problema della governance multilivello dell’ambiente in Italia

La questione del riparto tra Stato e Regioni delle competenze legi- slative in materia di ambiente è centrale per la comprensione delle dif- ficoltà di attuazione della normativa europea sopra descritte.

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Anteriormente alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, la materia ambiente non era esplicitata nel testo costituzionale ed era venuta emergendo, quale materia trasversale, grazie all’opera interpre- tativa della Corte costituzionale sulla base di varie disposizioni (ex art. 117 Cost. sull’urbanistica, art. 9 sul paesaggio, art. 32 sulla salute, art. 41 sull’iniziativa privata, e art. 42 sulla proprietà pubblica e priva- ta). In particolare, la Corte aveva riconosciuto potestà legislativa gene- rale dello Stato nella materia ambientale, in nome di un’esigenza di uni- formità della disciplina, cui si accompagnava una competenza concor- rente delle Regioni da attuarsi secondo il principio di leale collabora-

zione193.

Con la riforma del Titolo V, la materia “tutela dell’ambiente” trova posto per la prima volta nelle elencazioni dell’articolo 117 e quindi ri- ceve un’esplicita considerazione ai fini del riparto di competenze legi- slative fra Stato e Regioni. In particolare, il legislatore costituzionale distingue fra la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente, del- l’ecosistema e dei beni culturali”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ex articolo 117(2)(s), e legislazione finalizzata alla “valoriz- zazione dei beni culturali e ambientali”, collocata invece al comma ter- zo dell’articolo 117, e quindi attribuita alla competenza concorrente di Stato e Regioni. L’articolo 116(3) prevede poi l’ipotesi di conferimen- to, con legge statale, di ulteriori forme e condizioni particolari di auto- nomia alle Regioni a statuto ordinario, oltre che per tutte le materie og- getto di legislazione concorrente anche per alcune delle materie di competenza esclusiva statale, tra cui la “tutela dell’ambiente, dell’eco- sistema e dei beni culturali”.

Tale nuova ripartizione, tuttavia, ha presentato caratteri di particola- re problematicità, richiedendo un notevole sforzo interpretativo della Corte volto a chiarire i confini entro cui s’inscrive la competenza di cui

all’articolo 117(2)(s) della Costituzione194. All’alba della riforma del

193 Si vedano le seguenti sentenze della Corte costituzionale: n. 151 del 24 giugno

1986; n. 127 del 16 marzo 1990; n. 437 del 9 dicembre 1991; n. 54 del 15 febbraio 2000; n. 412 del 18 dicembre 2001.

194 Sull’evoluzione del pensiero della Corte costituzionale relativamente alla defini-

zione di ambiente e sul confine del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, si veda

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Titolo V l’esigenza, dunque, era quella di mitigare la cesura tra il pre- vigente sistema, fondato sull’accentramento delle competenze legislati- ve in capo allo Stato, e il nuovo regime in cui la funzione legislativa veniva invece suddivisa per materie di competenza esclusiva statale, regionale concorrente e regionale residuale, mentre la funzione ammi- nistrativa veniva attribuita ai Comuni salvo che fosse necessario confe- rirla a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

La Corte costituzionale, in una prima fase, ha sostenuto l’orienta- mento in base al quale lo Stato avrebbe dovuto fissare criteri ambientali minimi che garantissero l’uniformità di tutela sul territorio nazionale, mentre le Regioni e le Province autonome avrebbero potuto introdurre con proprie leggi standard più severi così riverberando la propria com- petenza entro i confini di quella statale. A partire dal 2007, il Giudice delle leggi è ritornato sui propri passi, ritenendo opportuno ripensare quanto fino ad allora elaborato in tema di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, e attestando la propria posizione sul bi- nomio tutela statale dell’ambiente e competenze regionali e delle Pro-

vince autonome195 volte a regolare la fruizione dell’ambiente, queste

ultime concorrendo con la prima, ma rimanendone distinte196.

La tutela dell’ambiente ha dunque un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito a un bene materiale e complesso, l’ambien- te, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stes-

so197. Su questo medesimo bene insistono diversi livelli di competenza

querelle tra Stato e Regioni in materia di tutela e fruizione dell’ambiente. Il caso delle risorse idriche, in Ambiente & Sviluppo, 7, 2010, pp. 655-664.

195 Per quanto riguarda le Province autonome, la sentenza della Corte cost., n. 387

del 19 novembre 2008 ha precisato che “la materia tutela dell’ambiente non è contem- plata nello Statuto Trentino-Alto Adige/Südtirol, con la conseguenza che tutti gli ogget- ti, che non rientrano nelle specifiche e delimitate competenze attribuite alle Province autonome, rifluiscono nella competenza generale dello Stato nella suddetta materia, la quale implica in primo luogo la conservazione uniforme dell’ambiente naturale, me- diante precise disposizioni di salvaguardia non derogabili in alcuna parte del territorio nazionale”.

196 Si veda: Corte cost., sentenza n. 180 del 19 maggio 2008.

197 In tal senso, ex plurimis, si vedano le seguenti sentenze della Corte costituziona-

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esclusiva statale, regionale concorrente, regionale residuale, a seconda delle diverse discipline che vengono in rilievo. Secondo lo schema trac- ciato dal legislatore costituzionale, allo Stato è demandata in via esclu- siva la tutela e la conservazione dell’ambiente, mediante la fissazione di livelli “adeguati e non riducibili di tutela”, laddove alle Regioni, pre- messo il rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, è consentito di esercitare le proprie competenze concorrenti o residuali, dirette a regolare la fruizione dell’ambiente. Una volta che lo Stato ab- bia fissato i confini di tutela ambientale, le Regioni, nell’ambito del- l’esercizio delle loro competenze, possono stabilire livelli di tutela più elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze, in materia per esempio di tutela della salute, di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali. Attraverso tali interventi, le Regioni incidono di fatto sul bene materiale ambiente allo scopo, però, non di tutelare l’ambiente, che resta di prerogativa statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. Indirettamente, viene in tal modo fatta salva la facoltà delle Regioni e delle Province auto- nome di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell’esercizio di competenze loro attribuite dalla Costituzione, che incidano su quella dell’ambiente. Tuttavia, ciò è ammissibile solo ove esso sia un effetto indiretto e marginale della disciplina adottata dalla Regione nel- l’esercizio di una propria legittima competenza e comunque non si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che proteg-

gono l’ambiente198.

Nelle pronunce più recenti la Corte costituzionale ha ribadito che il carattere trasversale della normativa in tema di tutela dell’ambiente e