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Negli ultimi decenni ha iniziato a farsi strada un nuovo concetto, o, per meglio dire, un’evoluzione del concetto di DC, il Distretto Culturale Evoluto (d’ora in avanti DCE). Sacco (2006) interpreta questo nuovo modello come una vera e propria evoluzione del DC, in grado di legare il concetto di sviluppo non più solo ai fattori tangibili quali i beni materiali, artistici, storici, naturalistici, architettonici, ma anche a concetti più ampi quali la libertà degli individui, l’innovazione, la creatività, la qualità della vita. Questa “nuova” tipologia di

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distretti20, più inclusiva, pervasiva e che ipotizza effetti più profondi nella vita della popolazione e della regione che lo ospita, generalmente si muove lungo tre possibili canali di sviluppo: la localizzazione dei professionisti, del talento, della nuova classe creativa (Florida, 2002), l’orientamento all’innovazione (Porter, 1990, 2003 e 2004) ed infine la capacitazione (capability) e ri-orientamento motivazionale (Sen, 1994, 2002). Questi tre canali agiscono in maniera sinergica anche se ogni distretto vedrà il prevalere di un aspetto piuttosto che di un altro, situazione questa che lo caratterizzerà e lo renderà perfettamente identificabile in futuro (Sacco, Ferilli, 2006). Florida parte dal presupposto che negli ultimi decenni le scelte allocative di imprese e famiglie sono state influenzate sempre di più da fattori quali la qualità della vita, la creatività, la tolleranza, piuttosto che da elementi quali l’accessibilità o la qualità del lavoro. La crescita economica dunque è sembrata avvenire in maniera più marcata in luoghi caratterizzati da alto grado di tolleranza e creatività, insomma nei luoghi dove, secondo Florida, sono presenti quelle che lui definisce le “tre T” (Florida, 2002, 2011): Technology, Talent e Tolerance. Secondo l’autore ognuno di questi elementi è fondamentale ma allo stesso tempo è insufficiente se non abbinato agli altri due. Se i primi due elementi appaiano strategici in maniera abbastanza intuitiva, meno immediato è invece il discorso per la Tolerance. Da alcuni studi svolti da Florida è stato evidente che le aree a maggior crescita erano anche

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In realtà non è una visione del tutto nuova poiché è rintracciabile già in Santagata, il quale contempla forme di espressione della creatività non convenzionali.

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quelle che garantivano una maggior tolleranza verso le diverse comunità presenti (quelle gay, ad esempio). Ciò sottende un’apertura di fondo, una mentalità in grado di miscelare in maniera armonica i vari input provenienti dalla società e di utilizzarli per innescare processi di sviluppo rapidi e in grado di attecchire facilmente. La mancanza di paura per il nuovo e l’inclinazione alla sperimentazione culturale risultano fattori strategici in grado di attrarre talenti e sviluppare nuove tecnologie. Eliminando le barriere all’entrata e garantendo la possibilità di insediamento di soggetti diversi per cultura, estrazione sociale, ecc., si convogliano bagagli culturali differenti che rappresentano per il territorio uno stimolo all’aumento demografico ed occupazionale. E’ quella che Florida definisce “classe creativa”21

, quella classe economica in rapida ascesa costituita da capitale umano creativo che sviluppa idee, individua diverse opzioni di stili di vita e fornisce nuove opportunità economiche (Ance e Ambrosetti, 2005). Altro elemento che caratterizza i DCE è l’orientamento all’innovazione all’interno di una transizione verso la società post-industriale, sul modello del “vantaggio competitivo localizzato” teorizzato da Porter. Secondo l’autore lo sviluppo e il successo dei cluster derivano dal fatto che, vista la concentrazione geografica e la competizione tra i vari soggetti presenti nella regione, questi sono spinti, dato l’analogo bisogno di talento, tecnologie e infrastrutture, ad utilizzare

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Secondo Florida la Classe Creativa è composta di due nuclei fondamentali: i professionisti creativi, il cui scopo è quello di trovare soluzione a problemi complessi di vario genere, e i supercreativi, persone il cui scopo è quello di creare idee, tecnologie e contenuti nuovi (Ance e Ambrosetti, 2005).

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al meglio le risorse a disposizione, favorendo l’innovazione grazie alla presenza di fonti locali di vantaggio competitivo (assets), conoscenze localizzate (skills) e capitale (Porter, 1990). Vista la crescente globalizzazione e la conseguente facilità nel reperire diversi elementi che fino a quel momento erano stati fonte di vantaggio competitivo, i veri fattori in grado di garantire reale vantaggio al distretto restano davvero pochi, assumono sempre più il carattere dell’immaterialità (Pichierri, 2005) e sono sempre più legati alle caratteristiche specifiche del territorio, alla sua storia e alla popolazione che quella zona abita. L’ultimo aspetto cruciale dei DCE è la loro capacità di attivare processi di creazione e diffusione della conoscenza, in grado di consentire e incentivare la popolazione al perseguimento della realizzazione di sé attraverso lo sviluppo delle proprie capabilities. Esse, una volta acquisite e consolidate, diventano strategiche per l’individuo e per la società perché consentono una più vivace capacità innovativa e competitiva del territorio (Palmi, 2013).

Nel DCE cultura, ricerca, formazione, sperimentazione, attività produttive, sono correlati per operare in modo intimamente integrato e sinergico. La delimitazione territoriale è legata all’identità che è principalmente riconosciuta dalla popolazione. La cultura diventa una sorta di humus per lo sviluppo sociale ed economico, un elemento di base sul quale innestare processi di sviluppo, più che una fonte di profitto diretta. In questo modello di sviluppo per il territorio cruciale è il ruolo dei soggetti pubblici e in particolare della loro iniziativa promozionale e progettuale, e di importanza critica diventa il momento

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dell’interazione tra soggetti pubblici e privati che hanno interesse nei progetti. La costante ricerca di cross-fertilization tra settore culturale e settori produttivi locali è dunque l’elemento discriminante tra il DCE e il DC (Dossena Cioccarelli, 2013). In questo contesto il problema organizzativo diventa centrale: un’opportuna gestione delle competenze e la creazione di processi organizzativi

ad hoc è fondamentale per conseguire i livelli di integrazione e stimolo auto-

generato necessari affinché il DCE possa diventare strategico per lo sviluppo a tutto tondo del territorio.