Nel ripercorrere la storia della scuola rurale ci si è accorti della lontana origine della questione pedagogica sulla opportunità o meno di promuovere queste particolari realtà istruttive de‐localizzate. Per un verso, soprattutto rispetto al periodo che va dall’Unità a tutta la seconda metà dell’Ottocento, è emerso un interessamento dello Stato alla loro promozione cercando di comprendere meglio la reale ricaduta della presenza del servizio in aree rurali (si veda la già citata inchiesta del 1864); ma d’altro canto c’è pure da registrare come nel medesimo arco temporale il giudizio degli studiosi non sia stato sempre positivo. La “scuola rurale a più classi”, infatti, per Luigi Credaro (che guardava ad Herbart per una pedagogia scientificamente fondata) era un “assurdo pedagogico”, o peggio ancora una “mostruosità pedagogica”, cui affiancare la definizione di Francesco Saverio De Dominicis che ebbe a qualificarle come una “sciagura pedagogica e didattica”. Un così duro giudizio pedagogico, ancorché autorevole, ha di fatto pesato costantemente lungo tutto l’arco dell’esistenza di queste scuole, inducendo chiunque se ne sia occupato, con diverse premesse e conclusioni, a doversi confrontare seriamente con i vari limiti evidenziati soprattutto da una pedagogia di matrice positivista, che nello stesso
379
Cfr. F. MARENGO, F. SENNI, Le scuole di montagna salgono in cattedra, in «Rassegna dell’istruzione», 4‐5, 2008, pp. 98‐107.
380 Cfr. C. S
CAGLIOSO, Culture locali e scuola, in «Formazione e società», 16, 1987, pp. 10‐29.
381
Cfr. C. MAROTTA, Scuole di montagna, in G. CERINI, M. SPINOSI (a cura di), Voci della Scuola. Il sistema
121
“Dizionario illustrato di Pedagogia” edito alla fine dell’800, curato dello stesso Credaro e da Martinazzoli, alla voce “Scuole rurali” scrive che: «quantunque legalmente costituita, è però antipedagogica, insufficiente, inadatta ed in aperta contraddizione col fine stesso della scuola»382. I limiti esposti da questa “sentenza” erano elencabili nel sovraffollamento di queste scuole, la mancanza di strumenti didattici adeguati, l’angustia dei locali, stretti e malsani, l’impossibilità di far fare ai bambini esercizi ginnici, la carenza d’igiene e la correlata mancanza di luce ed aria, la quasi impossibilità a correggere i compiti, la pochezza degli stimoli adeguati alle differenti età dei bimbi, l’impossibilità pressoché completa di sviluppare la rettitudine del loro animo. Un giudizio a dir poco drastico, ma certo non irrealistico, che ancor oggi riesce a persuadere coloro che manifestano serie perplessità su quel tipo di scuole, soprattutto di montagna, che adesso chiamiamo semplicemente pluriclasse. Occorre, però, registrare opinioni differenti desumibili in letteratura pedagogica. Possiamo così riportare, insieme ad un timido avallo espresso da parte di Ernesto Codignola, che descrive queste scuole rurali come «esperimenti modesti, ma ricchi di succhio vitale»383, svariati pareri esplicitatisi in favore delle scuole rurali/pluriclasse, al di là dei vari interventi di Giuseppe Lombardo‐Radice384, ad esempio quelli di studiosi ed esperti come Luigi Volpicelli385, Francesco Bettini386, Guglielmo Banal387, Giuseppe Flores d’Arcais388, Giovanni Calò e Giorgio Gabrielli389,
382 A. M
ARTINAZZOLI, L. CREDARO, Dizionario illustrato di pedagogia, vol. III, N‐Z, Vallardi, Milano [1894], p. 431. 383 E. C
ODIGNOLA, Le “Scuole nuove” e i loro problemi, La Nuova Italia, Firenze 1956, p. 90. Parere già espresso
dal pedagogista ligure anche durante gli anni ‘30, quando a margine di un intervento su una rivista da lui diretta, si mostrava d’accordo allo scritto di un collaboratore (teso a criticare l’accentramento delle competenze di queste scuole dagli Enti delegati nel 1936 all’O.N.B., dunque ad un’organizzazione centralizzata); cfr. il commento dell’A. a chiusura di P., Scuole rurali, in «La nuova scuola italiana», anno XVII n. 2, 17/10/1937, pp. 9‐11.
384 Per un cenno ai più riferimenti del pedagogista cfr. G. L
OMBARDO‐RADICE, Didattica …, cit., pp. 201‐224.
385
Cfr. L. VOLPICELLI, pref. a F. SOCCIARELLI, Scuola e vita a Mezzaselva, La Scuola, Brescia [1930?]. Dello stesso A. si vedano altresì i più interventi su «I Diritti della Scuola».
386 Numerosi gli scritti di questo funzionario ministeriale, che negli anni è più volte tornato sul tema; fra le fonti consultabili cfr. F. BETTINI, Vita di scuole rurali: piccolo mondo sereno, La Scuola, Brescia 1936; Id.,
Educazione al lavoro. Il lavoro rurale e i fanciulli, in «Supplemento pedagogico», X, 1939, pp. 293‐316; Id., La scuola di S. Gersolè, La Scuola, Brescia 1940; Id., Didattica nella vita della scuola rurale. L’esplorazione dell’ambiente: osservare, riflettere, esprimere, La Scuola, Brescia 1959. Da notare come l’A. sia stato negli
anni ’30 responsabile della sezione “Didattica” de «La nuova scuola italiana» (diretta da Ernesto Codignola). 387 Cfr. G. B
ANAL, op. cit. 388 Cfr. G. F
LORES D’ARCAIS, La pluriclasse, in «Rassegna di pedagogia», cit., pp. 96‐116.
389
Cfr. CDNSE, La scuola unica pluriclasse: atti del Convegno nazionale di Firenze, 8‐11 febbraio 1958, Tip. F. Failli, Roma 1958.
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Riccardo Dal Piaz390 e Cesare Scurati391. Pareri, questi, che rappresentano alcune delle più autorevoli voci discordanti con il pesante “anatema” lanciato da Credaro392. Bisogna, però, fare attenzione. Non siamo di fronte ad autori che neghino talune spinosità delle rurali/pluriclassi, riconducibili soprattutto alla compresenza in aula di bambini di età diverse o ad altri fattori d’intralcio alle concrete esigenze didattiche, ma si tratta di dar conto dell’appello della maggior parte di questi a far di necessità virtù, di trasformare l’eccezionalità di queste scuole in occasioni di servizio come le altre di città e soprattutto in laboratori all’aperto per una permanente sperimentazione educativa. Le diverse e lodevoli esperienze in materia accumulatesi nel tempo, in particolar modo nel lasso che va dagli inizi del XX secolo sino a tutti gli anni ’50 dello stesso, palesano come non sia stato tanto un problema di modello formativo unico a decretare i successi di scuole italiane come quelle realizzate a La Montesca e Rovigliano in Città di Castello, San Gersolé nei pressi di Firenze, le numerose pluriclassi trentine o all’estero come quelle del Canton Ticino. Si è trattato piuttosto di comprendere, volta per volta, con estrema attenzione le esigenze dello spazio (inteso come ambiente sociale e naturale) circostante e dei tempi didattici da adeguare all’azione educativa, di sentire da parte dei maestri come una vera missione civica il loro operato, di andare anche oltre i dettami dei manuali di pedagogia per farla, in prima persona, per porre in atto la scuola, per avvicinarsi ai contadini senza il ben che minimo gesto di sciocca albagia, con volontà ed umiltà. Un modello formativo, quindi, vincente se e solo se reso flessibile dal maestro, consapevole di esser tale solo nella misura in cui l’elevazione dei suoi piccoli scolari di campagna veniva posta innanzitutto. Non era e non è una questione di strumenti didattici, come ricordava
390
Cfr. R. DAL PIAZ, La scuola unica pluriclasse, in «Pedagogia e vita», I, 1956, pp. 46‐54. 391 Cfr. “Pluriclasse (scuola)”, voce a cura di R. D
AL PIAZ e C. SCURATI, in Dizionario enciclopedico di pedagogia, vol. IV, II ed., Editrice S.A.I.E., Torino 1972, pp. 314‐319.
392
È necessario, però, chiarire che la posizione di Luigi Credaro non era tanto quella di un fermo avversario dell’idea dell’istruzione rurale, quanto quella di evidenziare soprattutto la seria problematica della compresenza di tanti bambini di diversa età in una sola classe. A tale vulnus didattico lo stesso affiancava poi quelle altre ragioni pedagogiche ed igieniche già accennate. Nel 1912, infatti, lo stesso Credaro, allora ministro della P.I., non lesinò apprezzamenti alle scuole rurali volute dal senatore Eugenio Faina e al modello educativo ivi realizzato, scrivendogli: «Ella offre un nobile esempio di illuminato patriottismo e mi auguro trovi imitatori molti ed in ogni parte d’Italia. Il gravissimo problema dell’istruzione popolare si avvierebbe rapidamente alla sua soluzione. La quale si potrà ottenere soltanto da una unione degli sforzi dei privati coll’azione del Governo. L’istruzione popolare da Lei ideata risponde ai veri bisogni della nostra popolazione rurale, alla quale non occorre acquistare erudizione dottrinaria, sibbene abilità, cognizioni pratiche e buoni abiti mentali». Il testo della missiva è riportato da L. MONTECCHI, Una scuola per …, in «History of Education & Children’s Literature», cit., p. 185.
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Lombardo‐Radice, ma di coscienza educativa, potremmo dire di “professionalità poetante”, un esser docente in cui far coesistere scienza e poesia. Solo esprimendosi così, gli educatori migliori sono riusciti a dare il meglio che l’istruzione poteva donare ai bambini di quelle aree rurali393. Il topos classico “natura‐cultura” ha avuto in queste scuole il miglior banco di prova. «Noi che abbiamo la scuola nella campagna – scriveva Maria Maltoni – abbiamo aperto dinanzi il grande libro della natura, con la sua inesauribile ricchezza di motivi. Strana aberrazione quella di voler condurre a studiare sui libri ciò che si può meglio imparare osservando direttamente le cose o di voler riprodurre artificialmente i fatti che avvengono in natura, invece di fermarsi a considerare via via che si producono»394. Alberi e quaderni, coltura e cultura intrecciati così naturalmente da risultare, sotto l’attenta guida del maestro, come un testo ad ogni pagina sbalorditivo per ogni bambino in cui echeggia ancora la riserva di gioia dell’uomo che sarà. Chi è riuscito, con consapevolezza e sensibilità, a declinare le proprie capacità docenti e la propria cultura secondo le “regole” dell’ambiente in cui erano immersi i loro allievi ha certamente contribuito a far di questi delle “persone oneste e dei buoni cittadini”395 sulla via del mondo. Maria Maltoni, una delle educatrici che di più hanno lasciato un’alta testimonianza pedagogica nella storia delle scuole rurali396, ha scritto: «I fanciulli di campagna, guidati da una scuola consapevole sulla via del vedere, del pensare e dell’esprimere, vi camminano subito speditamente ed ogni loro passo porta l’impronta di un’anima originale»397. Sul luminoso sentiero di campagna ancor s’espande il fresco profumo d’un sapere antico che sa di libertà.
*
393
Di converso, però, è altresì doveroso ammettere che in questo tipo di approccio l’eccessivo puntare sulla figura docente, particolarmente motivato e dal talento didattico particolarmente plastico, svilisce la necessità di una capillarità che era alla base stessa della presenza in ogni angolo rurale e montano del Paese di queste scuole. Limite, questo, evidenziato da Codignola e da altri autori.
394
M. MALTONI, “Gli alberi” visti dai ragazzi, in «Scuola italiana moderna», 15/10/1961, LXXI, 3, pp. 26‐27. Di lei hanno scritto in tanti; fra questi L. VOLPICELLI, I quaderni di S. Gersolé, in «I problemi della pedagogia», 1,
1960, pp. 3‐5; P. CALAMANDREI, I fanciulli raccontano, in «Il Ponte», 7, 1956, pp. 1203‐1204; O. FALLACI, L’aria
di San Gersolé, in «Il mattino dell’Italia centrale», 7/6/1949, p. 3.
395 La citazione è ricollegabile ad un altro protagonista della pedagogia come don Bosco. Per quanto attiene al suo pensiero cfr. G. MALIZIA et al., “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie
di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/allievi delle loro scuola/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, CNOS ‐ FAP, Roma 2011.
396 Nel periodo 1938‐41 Maltoni ha collaborato con «Scuola Italiana Moderna», «Pedagogia Italiana» e «Argomenti».
397 M. M
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Cap. III
Analisi t(h)eorica: scatti e spazi di un abitare educativo
III.1 Profilo di scatti e ritratti
Dalle fotografie scattate alle scuole rurali/montane/pluriclassi e ai suoi protagonisti nel corso del XX secolo, emerge un’idea d’infanzia che segue l’evoluzione storico‐pedagogica di una comunità in cammino. I volti dei bambini appaiono perlopiù intenti a farsi indagare, fissi nel prestare la loro immagine alla macchina fotografica che promette di tradurre il loro operato in un fatto di testimonianza educativa. Tutti in fila, accanto al maestro, seduti o in piedi, schierati fronte al fotografo e spalle all’edificio scolastico. Un rito, quasi, che però è solo apparentemente identico a se stesso nei lustri che scorrono sotto gli occhi di chi ne ha studiato modelli, protagonisti, forme ed esperienze. Ogni scatto parla, seppur sottovoce, di fatiche e di sfide per la promozione umana e civile.
L’uso della fotografia in pedagogia, però, non si esaurisce in un’analisi interpretativa di carattere iconico su di un passato/vissuto esperienziale‐educativo398, ma può costituirsi quale metodo ed indirizzo scientifico utile alle pratiche di formazione attiva dei docenti del XXI secolo. Valga per tutti la riuscita e ripetuta esperienza in sede universitaria adottata da pedagogisti come Sandra Chistolini, che nelle fasi laboratoriali delle discipline a lei affidate nell’Ateneo Roma Tre ha ottenuto più che soddisfacenti risultati399. I laboratori sono le palestre della promozione delle abilità e il banco di prova delle competenze dei docenti in formazione. «Il laboratorio – come scrive la docente capitolina – è la sede della dimostrazione scientifica di verità umane, definite in idee, oltre che luogo di controllo dei dati forniti dalla natura. Nel laboratorio l’esperienza del fare scuola e i concetti pedagogici sono oggetto di lettura, studio, riflessione, progettazione. L’idea
398
Per una lettura pedagogicamente rilevante della rappresentazione iconica intorno al quid educativo cfr. le tavole fuori testo di M. MANACORDA, Storia dell’educazione per immagini, in M. LAENG, S. CHISTOLINI et al.,
Atlante di pedagogia, opera in 3 voll. (Le idee – Le didattiche – I luoghi), Tecnodid, Napoli 1990‐93.
399 Cfr. S. C
HISTOLINI, Libertà e cittadinanza nell’immagine del pensiero. Studiare all’università per insegnare
nella scuola, Edizioni Kappa, Roma 2008; Id., Pedagogia della cittadinanza. Lo sviluppo dell’intercultura nella formazione universitaria degli insegnanti, Pensa Multimedia, Lecce 2007.
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stessa di educazione è sezionata nelle aule universitarie nelle quali si preparano gli studenti all’esercizio della professione docente»400. È lì, dunque, che si misura tutta la dimensione/portata culturale, professionale, creativa, collaborativa e innovativa acquisita da ciascuna persona che ha scelto di fare come mestiere l’educatore. Usare la fotografia, dunque, non solo come fonte da cui trarre elementi reconditi di un fare scuola, di un viverla secondi tempi e modi di una determinata fase storica, ma anche come strumento pedagogicamente rilevante per sondare, scandagliare e potenziare quel bagaglio iconico e semantico indispensabile ad ogni maestro per fare di ogni giorno a scuola per il bambino un evento semplicemente unico. Come uno scatto, al di là della sua ormai riproducibilità tecnica, poiché quello e solo quel momento è testimone di una svolta, una delle tante, che trasformano lo stare a scuola in un atto di continuità infinita con la vita, fatta di attimi infiniti.
III.2 Scatti pioneristici: dai primi del Novecento agli anni ‘20
Le prime foto in questione ci portano all’a.s. 1908‐09. Si tratta di nove scatti, realizzati in scuole festive e serali dell’Agro romano401. La prima cosa che risalta è il settingpedagogico in cui questi pionieri dell’istruzione lavoravano: capanne, stalle, rimesse,
tavolacci come banchi e lavagne approssimative. Ci sono anche un paio di aule, con ampi finestroni, un numero elevato di bambini con adulti seduti l’uno accanto all’altro. Non manca un esempio di lezione all’aperto. Qualche cartina geografica ed alcune illustrazioni didattiche sul corpo umano fanno da cornice alle lezioni dei maestri. I vestiti dei bambini e le loro espressioni tradiscono lo sforzo delle famiglie di presentarli con il loro miglior abito. Non ci sono sorrisi, ma braccia conserte, occhi sgranati e timidamente desiderosi di conoscere, di capire meglio ciò che li circonda. Questi contadini sono analfabeti, ma hanno una loro cultura. Non si tratta, quindi, di gente da compatire, ma di persone che possiedono una loro “cultura”, che non va sradicata, bensì completata, arricchita. 400 Id., Scienza e formazione. Manuale del laboratorio universitario di pedagogia, F. Angeli, Milano 2006, p. 7. 401 Cfr. Le scuole serali e festive nell’Agro romano (1908‐1909), Tip. Colombo, Roma 1909.
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Il secondo gruppo di fotografie ritrae ancora bambini dello stesso territorio, ma il testo in cui queste sono pubblicate si riferisce agli anni scolastici 1909‐13402. Stessi umili indumenti, volti composti, vegetazione, ma anche pietre ed il buio che avvolge un vagone adibito a classe serale. Un cartello in alto ad una di queste capanne recita “scuola maschile”, con la lettera “s” trascritta in modo scorretto. Non è dato sapere se il giovane maestro raffigurato coi suoi allievi se ne sia mai accorto, ma in fondo quel che conta è che la Scuola ci sia!
Terminata la Grande Guerra un rinnovato impulso pedagogico anima la ripresa della gestione delle scuole rurali in Italia. In questo clima s’inserisce la riforma del sistema scolastico ad opera di Giovanni Gentile nel 1923, cui diede un contributo notevole, rispetto al segmento elementare, Giuseppe Lombardo–Radice. Nelle nove fotografie di un libro edito dall’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI)403, uno degli Enti morali delegati dallo Stato alla gestione di queste scuole404, vengono riprodotte alcune scolaresche di più località siciliane nell’a.s. 1923‐24. In questi scatti, spesso si nota la bandiera nazionale. Un sentimento patriottico, quello che queste immagini evidentemente vogliono comunicare, che rende testimonianza di un impegno pedagogico in tal senso405. La scuola non solo come luogo in cui imparare a leggere, scrivere e far di conto, ma anche come avamposto civico e politico per fare gli Italiani. Al di là di questi aspetti, per nulla secondari, l’analisi delle prime tre foto, effettuate nelle scuole rurali delle isole Eolie, mostra bambine perlopiù vestite con abiti chiari e bambini indossanti delle giacchette scure. In una foto si vede una scolaresca alle pendici dell’Etna, in altre spicca una scuola che fa bella mostra di sé alle spalle dei soggetti inquadrati. Classi 402 Cfr. Le scuole per i contadini dell’Agro romano 1909‐13. Relazione del direttore delle scuole, ANIMI, Roma 1913.
403 Cfr. ANIMI, Le nostre scuole. L’opera contro l’analfabetismo in Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia
(1923‐24), Tip. editrice laziale, Roma 1926.
404 Il R.D. 28/8/1921, n. 1371, istituiva l’Opera contro l’Analfabetismo. Tale provvedimento dava corpo ad
un vivace dibattito sorto intorno alla scuola alla fine della prima guerra mondiale. Dal 1923, sciolta l’Opera, veniva poi affidata la delega dell’istruzione popolare, come già esposto, ad alcuni Enti culturali qualificati, abbattendo i costi per lo Stato. Con il R.D.L. 31/10/1923, n. 2410, il raggio d’azione degli Enti delegati si espande, ma in un quadro più statalista e decisamente ricollegabile alle scelte degli animatori.
405 Cfr. A. A
RISI ROTA, M. FERRARI, M. MORANDI (a cura di), Patrioti si diventa. Luoghi e linguaggi di pedagogia
patriottica nell’Italia unita, F. Angeli, Milano 2009. In questa chiave è da leggere il capitolo intitolato La nazionalità del sapere e della scuola, in G. GENTILE, La riforma della scuola. Discorsi ai maestri di Trieste, Sansoni, Firenze 1955, pp. 1‐16.
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numerose, affidate in più casi a due o tre docenti. Una foto ritrae tutta la scolaresca in fila, l’insegnante sul lato destro e al centro un cane perfettamente in posa. Il sole fa capolino in tutti gli scatti e la sensazione che se ne trae, a differenza di quelle effettuate nel decennio precedente, è di una maggiore ariosità. Non è solo una questione di stile. L’azione delle scuole rurali deve procedere di pari passo con quella sanitaria406, poiché è solo tramite una loro combinazione che la popolazione contadina può giovarsi d’un salto in avanti verso la piena integrazione civile.
Passiamo ad altre scuole rurali. La fonte da cui sono tratte le immagini è ancora un testo a cura dell’ANIMI, che racchiude alla fine degli anni ’20 alcune delle circolari indirizzate a queste scuole407. La prima di queste foto ritrae l’edificio scolastico di S. Angelo di Cetraro, nel Cosentino. L’angolazione di ripresa è piuttosto ampia e i numerosi alunni appaiono solo in lontananza insieme ai maestri. È evidente che lo scopo del fotografo è quello di esaltare la nuova struttura scolastica. Il tricolore appare dal balconcino del primo piano della piccola scuola, attorniato da tre persone. La montagna ed il cielo, infine, si dividono alla pari il primato dello sfondo che avvolge tutto. L’altro scatto si riferisce alla scuola rurale di Ursini a Caulonia (Reggio Calabria). I bambini sono in primo piano rispetto alla scuola, il maestro si trova a sinistra della scolaresca, composta da una trentina di alunni, alcuni dei quali con dei quaderni in mano. La scuola è sovrastata da un grande albero, quasi a significare l’importanza di ciò che la cultura può generare: radici solide per una crescita vigorosa. L’ultima foto di questa terna è stata realizzata nella scuola rurale di Malacalzetta – Iglesias (all’epoca in provincia di Cagliari). Appaiono poco più che una ventina di bambini, insieme al maestro, sull’uscio della loro scuola. I maschietti sono quasi tutti in calzoncini e le femminucce indossano vestiti chiari e semplici. In alto l’altra insegnante, anch’ella di bianco vestita.