«Il mio primo anno d’insegnamento l’ho prestato presso la scuola di Borgo Schirò nell’a.s. 1967/68. Dopo essermi diplomata presso l’Istituto Magistrale “De Cosmi” di Palermo, ho lavorato per un breve periodo presso una libreria. Di lì a poco ricevetti l’incarico per insegnare in quella piccola scuola di campagna. Direttrice era la dott.ssa Di Marco e ricordo che volle accompagnarmi personalmente alla mia sede di servizio: una pluriclasse con soli 7 bambini. Più volte nel corso dell’anno scolastico ella venne a farci visita; devo dire che in ogni suo incontro con i bambini si mostrava attenta quanto affettuosa, direi materna. La stessa, inoltre, non lesinava al mio indirizzo tanti ed utili consigli.
La scuola aveva due aule: nella prima si faceva lezione, nell’altra i bambini potevano fare il ripasso e parte dei compiti per l’indomani. Non sedevo quasi mai in cattedra, ma preferivo stare fra i miei alunni, così da poter meglio interagire ed agevolare il loro apprendimento. I bambini venivano a scuola con serenità ed erano educati, tranquilli e rispettosi. L’arredo scolastico era piuttosto semplice: un crocefisso alle spalle della cattedra, una ventina di banchi e le mura piuttosto disadorne.
A Borgo Schirò vi abitavano solo poche persone ed un paio di Carabinieri che lì, a turno, prestavano il loro servizio. Il 15 gennaio 1968 ci fu poi il terremoto del Belice, che colpì seriamente la scuola e la gran parte dei rimanenti edifici. Per questo la scuola restò chiusa per più di due settimane ed in seguito fummo quindi ospitati nei locali della sacrestia. A questo episodio spiacevole ne accosto, però, uno più spensierato: la festa del 1° maggio. In quel giorno vennero molti contadini delle zone limitrofe per celebrare quella ricorrenza, cui presero parte anche abitanti di altre località che ne approfittarono per una scampagnata.
L’appartamento dell’insegnante, situato al primo piano dell’edificio scolastico, era composto da una stanza, più il bagno. La casa, comprensiva anche di una cantina, era tutto sommato accogliente e abbastanza spaziosa, ma confesso che ho preferito
490 L’intervista è stata realizzata a Palermo il 13 febbraio 2008. La docente ha prestato servizio presso la scuola rurale pluriclasse di Borgo Schirò (PA) nell’a.s. 1967/68. La testimonianza della maestra è già stata pubblicata nel contributo di F.P. CALVARUSO, La scuola rurale in Sicilia. Avamposto civile fra natura e cultura, in S. CHISTOLINI, La scuola raccontata …, op. cit., pp. 75‐76.
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raggiungere giornalmente il posto di lavoro in automobile, spesso in compagnia di mio padre, che aspettava nella piazzetta antistante, per nulla annoiato. Non erano rare le occasioni in cui, lungo la strada, dessi un passaggio a due o tre dei miei studenti, che mi ringraziavano con tanta tenerezza.
Uno dei fattori negativi per il mio insegnamento era la quasi totale mancanza di strumenti didattici. Mi sono in ogni caso ingegnata portando qualche libro, delle cartine geografiche ed altro ancora. Dal punto di vista intellettivo devo dire che i ragazzi, purtroppo ma comprensibilmente, erano poco stimolati. Molti i dettati ed i copiati somministrati.
Il bidello era il sig. Cannuscio, che fungeva anche da custode della scuola e da sacrestano. La campanella c’era, ma non suonava. Non occorreva. I tempi del borgo erano così ritmati, direi quasi naturalmente, che talune esigenze organizzative mostravano in quel contesto la loro inutilità. L’attività educativa risentiva positivamente di questo contatto con la natura, apportando alla didattica tempi, metodi e risultati adeguati al luogo in cui ci trovavamo a crescere assieme. Spesso, quando il tempo lo consentiva, uscivamo dall’aula per delle passeggiate intorno all’abitato, osservando piante, fiori ed animali. Era un’esperienza che ogni volta catturava entusiasticamente la loro immaginazione ed il ritorno in classe era proficuo e carico di gioia. Didattica attiva. Tutti i bambini indossavano il grembiule e mi colpiva non poco che curassero con così attenta dovizia il proprio corredo scolastico. La scuola, in quegli anni, era ancora molto considerata ed il mio lavoro apprezzato, soprattutto quale strumento di miglioramento sociale.
Alle 11 si faceva la ricreazione e la moglie del bottegaio portava spesso la merenda agli studenti, fra i quali vi erano anche i propri figli. Si trattava di panini semplici, ma dal gusto genuino. Le lezioni terminavano alle 12.30. L’anno scolastico passò velocemente. L’ultimo giorno di scuola si svolsero gli esami di II e V elementare: tutti furono promossi.
Il mio ricordo è piacevole. Ho vissuto un’esperienza cominciata con viva preoccupazione e terminata con dispiacere per ciò che lasciavo. Ho ancora chiaro in mente il momento esatto in cui andai via da quella piccola scuola, che avevo imparato ad
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apprezzare mese dopo mese, ma su tutto rivedo gli sguardi dei bambini che pur emozionati mi salutavano compostamente. La carriera mi ha portato in varie altre scuole, sempre più vicine a casa, rendendomi più agevole il quotidiano problema logistico. Ma il ricordo di quell’anno immerso fra i campi di sulla mi ha costantemente accompagnato ridandomi ossigeno anche quando questo, in città, progressivamente col traffico caotico andava scarseggiando.
Sono tornata a Borgo Schirò qualche anno addietro ed ho provato una forte emozione nel rivedere l’edificio, benché così malconcio, e quella scritta a caratteri maiuscoli indicante la presenza della scuola all’ingresso della struttura, ma devo dire che altrettanto viva è stata l’amarezza per lo stato d’abbandono in cui versa quel luogo di formazione in cui, ai miei tempi, si faceva un tipo di scuola che ancora, potrei tranquillamente dire, era a misura d’uomo».
IV.2.3 Salvatore Natale
491Diversa ma egualmente ricca di particolari interessanti la testimonianza del maestro Salvatore Natale, insegnante per sedici anni presso la scuola rurale di borgo Gattuso – Petilia. Questo docente nisseno, appassionato di minerali ed ancor più del suo mestiere, dal quale non si sente affatto lontano pur nella meritata pensione, ha continuato, anche dopo la chiusura ufficiale della sua amata scuola, a coltivarne l’esistenza curandone dal 2005 i locali con la presenza di un’Associazione culturale intitolata “Storia e Memoria”, da lui voluta unitamente alla moglie, anch’ella insegnante elementare, con l’intento di custodire e tenere assieme il sano della civiltà contadina e la ricchezza della cultura di cui la Scuola è ovunque portatrice.
491 L’intervista è stata realizzata a Caltanissetta l’11 febbraio 2009. Il docente ha prestato servizio presso la scuola rurale pluriclasse di Borgo Gattuso – Petilia (CL) dall’a.s. 1978/79 all’a.s. 1993/94. La testimonianza del maestro è già stata pubblicata nel contributo di F.P. CALVARUSO, La scuola rurale in Sicilia. Avamposto
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Natale è stato non solo un insegnante ma una guida per tanti bambini, che con instancabile costanza ha sempre cercato di trasmettere loro, su tutto, l’amore per la libertà. Un valore inalienabile, questo, che vivifica qualsiasi contenuto impartito nelle ore trascorse in classe. Dall’entusiasmo di questo vivace ottuagenario nel raccontare i tanti episodi che ne hanno segnato l’iter professionale è facile intuire la qualità dei benefici culturali di cui si saranno avvalsi i tanti fanciulli che con lui sono cresciuti. Mai una frase di seppur larvata sufficienza nei confronti del rendimento degli allievi più svantaggiati, nemmeno una sbavatura irrispettosa per questa gente unta solo del sudore della fronte di chi dalla terra sa trarre frutti d’ogni genere. La cultura, in questo come in tanti altri casi, ha sposato la natura in modo fecondo. Buone pratiche da conoscere, registrare e re‐ interpretare.
La scuola rurale pluriclasse di Borgo “Gattuso – Petilia”, attiva sino all’A.S. 2001/02, consta di tre aule, più i servizi igienici, una stanza per la refezione ed una ad uso ufficio. Sulle pareti interne sono presenti ancora antiche riproduzioni di tela che rappresentano alcune virtù, qualche scena del Risorgimento e varie località importanti per la storia d’Italia. Tra di esse: Il Pantheon di Roma – L’anfiteatro flavio (il Colosseo) – Castel
Sant’Angelo (mole Adriana) – La raccolta delle arance – La camera da letto – Le dieci giornate di Brescia (Tito Speri) – Il giuramento di Pontida – La visita del medico – Chi ben serra, ben trova – La mamma vede tutto! Visibili altresì dei cartelloni più recenti, che
riproducono fiori e frutti, uccelli d’ogni specie, una tavola ecologica sull’azione degli animali e dell’uomo nell’equilibrio della natura, le piante ornamentali e quelle medicinali, una tavola dei cibi con relativi valori energetici. Molteplici, infine, le suppellettili custodite, come ad esempio un banco con penna e calamaio, una cartella, un paio di pagelle, dei libri ed alcuni armadi. Insieme a questi un’ampia collezione di oggetti d’uso agricolo che si fondono col tutto come a suggellare ancor più stretto un rapporto simbiotico fra i campi del sapere ed il sapere dei campi. Cultura e coltura intrecciati otre la semantica: fare cultura è seminare istruzione, favorire la crescita di quelli che sono gli inestimabili germogli dell’umanità.
“Una volta – ricorda il maestro Natale – chiesi ai bambini di svolgere un tema in classe sul treno. Uno di loro scrisse: “Si sentì nu fischiu, doppu nu rumuri; lu trenu partì, trasì n’a
158 gallerì e di lì spirì”. Per me questo breve componimento del mio alunno, fino a quel
momento restio ad esprimersi, fu come ricevere in dono una poesia, spontanea, genuina, diretta, rapida, libera ed ermetica. Quel giorno tornai a casa lieto e colmo di gioia”. Il lampo della compartecipazione di due anime che nell’educazione fra i campi trova spazio per riunire in armonia le complesse dimensioni dell’insegnamento.
IV.2.4 Carla Cafaggi ‐ Anna Maria Ranchelli ‐ Vera Testerini
492 Francesco Paolo Calvaruso (FPC): «Nell’iniziare questa intervista di studio vi pregherei di presentarvi, specificando le scuole di e gli anni di servizio, pregandovi di espormi qualsiasi aspetto della vostra esperienza nel solco della mia ricerca sulle scuole rurali/pluriclassi». Carla Cafaggi (CC): «Sono Carla Cafaggi e sono nata nel 1933. Ho cominciato ad insegnarenel 1954 con le scuole serali, poi con varie supplenze in zone di montagna e quindi di ruolo sempre nelle pluriclassi».
FPC: «Vuole parlarmi di queste scuole rurali/pluriclassi dove ha iniziato la sua carriera?». CC: «Alcune di queste piccole scuole erano ubicate nei pressi di Arezzo; si trattava di
supplenze molto brevi, di circa 20 o più giorni. Altre erano site nei pressi di San Sepolcro (AR), altre ancora nella zona di Badia Tedalda, vicino Sestino. Zone montane, difficili da raggiungere per gli insegnanti non del luogo, ai quali la normativa si premurò in quegli anni di assegnare un punteggio maggiorato. Vivevamo una situazione logistica effettivamente disagiata, perché bisognava restare nei pressi della scuola per tutto l’anno o, per lo meno, per quasi l’intera settimana. Ricordo che nella mia prima esperienza in pluriclasse avevo alunni dal I al V anno, cui si aggiungeva un ragazzo che doveva essere ammesso al Seminario di San Sepolcro». FPC: Com’erano i suoi alunni? Che ricordo ne ha?». 492 Intervista multipla realizzata presso i locali della Libera Università dell’Autobiografia, ospitati all’interno dell’Istituto Superiore Statale “Luca Pacioli” di Sansepolcro (PG) il 12 Marzo 2011.
159 CC: I ragazzi erano molto educati e sensibili. Io li ricordo così».
FPC: Come descriverebbe il rapporto di questi bambini con la natura?»
CC: Ricordo che molti di loro per raggiungere la scuola dovevano quotidianamente
percorrere mezz’ora o anche trequarti d’ora di strada. Nel pomeriggio, poi, andavano ad aiutare i loro genitori nei campi».
FPC: Secondo lei, al di là del rapporto squisitamente logistico e “lavorativo”, ritiene che in
questi scolari vi fosse una certa e spiccata sensibilità per il mondo della natura? Nell’esperienza della maestra Maria Maltoni a San Gersolé, come lei sa, il contatto con fiori e animali circostanti la scuola era promosso sia dal punto di vista educativo che didattico».
CC: Certo, i bambini riportavano spesso a scuola le loro esperienze di vita rurale. Il mio è
stato un insegnamento improntato alla promozione della scoperta, della ricerca. Ho altresì puntato molto sugli aspetti organizzativi, dovendo far fronte alla compresenza di alunni di classi diverse. In particolare devo dire che gli alunni di I avevano maggiormente bisogno della mia guida, non avendo potuto frequentare la scuola materna. Per quanto riguarda gli alunni degli altri anni di corso il mio intervento didattico poteva svolgersi in contemporanea, abbinandoli».
FPC: Aveva qualche collega nelle sue prime esperienze pluriclassi?». CC: No, ero da sola e con poca esperienza».
FPC: Luigi Credaro ebbe a definire queste scuole, per il problema della compresenza in
aula di scolari di età diversa, come un “assurdo pedagogico”. Lei ha vissuto questa particolare situazione educativo‐didattica come un problema insormontabile oppure è riuscita a gestirlo in maniera proficua, nonostante le indubbie difficoltà del caso?».
CC: Riuscivo a gestire questa condizione ricorrendo spesso, come già detto,
all’abbinamento fra classi. Da questa compresenza, si diceva anche, che i bambini più piccoli potessero persino trarne dei vantaggi. Non so se questo fosse rispondente al vero, ma questa era la realtà con cui mi misuravo ai primi passi della mia carriera».
160 FPC: Molti dei pedagogisti che hanno sottolineato gli aspetti positivi delle pluriclassi
hanno evidenziato proprio il punto da lei testé esposto. Nella società c’è sempre chi sa di più e chi meno, chi ha più esperienza e chi no; persino in famiglia i figli non sono quasi mai coetanei, eppure un genitore attento al proprio compito educativo tiene sempre in considerazione la diversità del proprio intervento in relazione alla loro personalità e alla loro età».
CC: Riconosco che i ragazzi possano aver tratto dei vantaggi dalla loro situazione
pluriclasse, ma la fatica era notevole».
FPC: La scuola non prepara solo da un punto di vista culturale, ma anche civicamente.
Come coltivava questo versante dell’educazione?».
CC: Se devo riferirmi ai frutti di questo tipo di insegnamento devo dire che non
mancavano i gesti di solidarietà fra compagni, che si traducevano in azione di reciproco aiuto nello svolgere le attività loro proposte. Mi piace pensare che questo sia stato anche frutto del mio intervento dal punto di vista civico».
FPC: Può raccontarmi qualcosa di più specifico sull’educazione al senso civico? Parlavate
in aula, ad esempio, di argomenti correlati alla bandiera nazionale, alla figura del Presidente della Repubblica o ai valori promananti dalla Costituzione?».
CC: Nel 1961 mi trovavo a Caprese Michelangelo, insieme ad una collega. In quell’anno
ricorreva il centesimo anniversario dell’Unità d’Italia. In paese si diceva che una famiglia avesse in casa alcuni cimeli appartenuti a Garibaldi: un paio di scarponi, una bilancia ed altri oggetti ancora. Non so come ne fosse venuta in possesso, ma me li feci prestare così da poterli portare in classe e parlare con i miei alunni di questo eroe nazionale». FPC: Passiamo ora alla prossima insegnante, la maestra Ranchelli». Anna Maria Ranchelli (AMR): Sono nata nel 1931 a Montecchi. Ho frequentato l’Istituto
Magistrale ad Arezzo, ma mi sono diplomata a 21 anni per via della guerra. Nel 1952, appena diplomata, ho insegnato in una scuola materna del mio paese per quattro anni. Il mio primo incarico annuale nella scuola elementare è stato nella pluriclasse di Brancialino, nel Comune di Pieve Santo Stefano, a pochi chilometri da San Sepolcro».
161 FPC: Di che anni scolastici stiamo trattando?».
AMR: Direi 1956‐57. Erano incarichi annuali, che si svolgevano presso una scuola rurale
fondata da un conte, in una fattoria di sua proprietà. In realtà era una scuola sussidiata. Ricordo che dovevo dormire in loco, perché non c’erano sufficienti mezzi per viaggiare, sicché vivevo a pieno nella comunità locale. Avevo fatto amicizia con la collega che era proprio del posto, di Castelnuovo, dove era ubicata un’altra scuola pluriclasse in una fattoria confinante. Ho collaborato molte volte con questa collega e ricordo con piacere un progetto didattico che svolgemmo di comune accordo, ponendo a centro d’interesse “Il viaggio del Tevere”. Un’ispettrice di Arezzo apprezzò molto quest’iniziativa, perché consentiva di coinvolgere fruttuosamente tutti i bambini delle nostre pluriclassi. Nell’illustrare ai bambini il percorso del Tevere si poteva parlare loro contemporaneamente e di storia e di geografia, includendo anche un lavoro importante sul tabacco, che allora era la risorsa della vallata: si trattava del tabacco tipo Sumatra. Non sapevo allora perché questo si chiamasse così e perché i campi costeggianti il Tevere fossero ricoperti da una garza bianca. Ma la ricerca condotta insieme ai bambini ci fece scoprire che a Città di Castello era venuto tempo addietro un agronomo, probabilmente olandese (i cui figli sono ancora oggi residenti a San Sepolcro), il quale aveva condotto degli studi nell’isola di Sumatra, dove questa pianta cresceva con un clima caldo‐umido. In sostanza, questo studioso aveva riprodotto nella nostra zona le condizioni ottimali per la coltivazione di questo tabacco». FPC: Quali erano i rapporti con i bambini e con il mondo della natura?». AMR: Se prendo ad esempio il lavoro appena riferitole sul tabacco, devo dire che i risultati erano soddisfacenti. I bambini di I anno iniziavano a comporre le prime sillabe TA‐BAC‐CO e poi facevano il disegno, mentre quelli di IV e V trascrivevano sul quaderno le loro ricerche. Ma la mia permanenza nel borgo oltre l’orario scolastico mi permetteva di condividere altri momenti con questi bambini. Ricordo che alcune volte mi portarono a vedere dei nidi, di cui poi l’indomani parlavamo a scuola. Le famiglie, inoltre, mi invitavano spesso a prendere il tè in casa loro».
162 AMR: Il proprietario di questa fattoria risiedeva a San Giustino, proprio nella pianura in
cui veniva piantato il tabacco. Una volta lo invitammo a parlare in classe dell’esperienza diretta di questo suo lavoro. Fu una buona occasione per interagire con il territorio e i suoi abitanti. Per quanto concerne la mia sistemazione, dormivo presso una famiglia con due mie alunne, una di IV e una di V. Quest’ultima, oggi, appartiene al personale ATA dell’Istituto d’Arte di San Sepolcro ed ogni volta che m’incontra mi abbraccia con tanto affetto. Per me quella fu la mia prima esperienza, piena di entusiasmo. Aggiungo che sia io che la collega fummo molto lusingate dall’ispettrice che veniva spesso ad informarsi sul nostro percorso di formazione. Questa mia collega, che non si è mai sposata, ha dedicato tutta la sua vita al mondo della scuola. Ricordo che vinse il concorso da direttrice a Roma e poi si spostò a Milano. Ha pubblicato sulla rivista Scuola Italiana Moderna e ha scritto anche dei libri. Dal contatto con lei ritengo di avere ricevuto molto».
FPC: Rammenta il nome di quest’insegnante? Mi sembra giusto lasciar traccia anche di
questa persona».
AMR: Certo, il suo nome è Giuliana Pandolfi».
FPC: Maestra Ranchelli, poc’anzi, prima della nostra intervista, mi parlava del contatto
avuto con la maestra Maria Maltoni».
AMR: Sì, perché appena diplomata, nel 1952‐53, ho inizialmente lavorato a Firenze, come
segretaria di un negozio di ceramiche artistiche, dove stetti tre mesi prima della chiamata alla materna di cui ho già accennato».
FPC: La maestra Maltoni ha infatti insegnato alle porte del capoluogo toscano sino al
1956».
AMR: Dovevo prepararmi al concorso magistrale e in quel tempo frequentavo la
Biblioteca nazionale. Avevo inoltre sentito ben parlare di questa docente nell’ultimo anno delle magistrali e, trovandomi lì, presi appuntamento tramite telefono con questa persona. Con il filobus andai a trovarla e ricordo di aver visto i disegni dei suoi allievi, che minuziosamente riproducevano fiori e gemme. Il suo era un insegnamento votato al contatto diretto con la natura: i bambini venivano accompagnati nei campi intorno alla
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scuola, invitati ad osservare attentamente tutto ciò che in essi potesse essere utile didatticamente e li spronava a riprodurre le loro esperienze dirette tramite il disegno,