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Capitolo 2. La prima fase della ricerca

2.8. Le interviste

2.8.2. Il background familiare, socio-culturale ed economico

La prima osservazione che, con grande rilevanza, è emersa dall’analisi della totalità delle interviste è l’influenza del background familiare, socio- culturale ed economico nei processi di insegnamento-apprendimento. Si

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possono individuare, rielaborando il pensiero di Jencks e Mayer (1990), quattro elementi che connettono l’esperienza contestuale, di vita, con quella dell’apprendimento: le norme sociali comunemente accettate e condivise nell’area che si abita; i modelli di comportamento delle figure adulte di riferimento, i modelli istituzionali di riferimento e i modelli di contesto altri, specifici, che inducono un paragone, un confronto con la propria situazione – nel nostro caso, ad esempio, il raffronto tra pari. Quando questi quattro fattori, che vedremo emergere ed interconnettersi in tutti i prossimi paragrafi, sono associati ad un contesto contraddistinto da condizioni di povertà e svantaggio, aumentano esponenzialmente le possibilità che questo incida negativamente sui comportamenti del bambino e, quindi, sulla sua crescita individuale, sociale e d’apprendimento.

Analizzando tematicamente tutte le interviste, emerge, nella maggior parte, una stretta connessione tra contesto familiare disagiato e alunni con basso rendimento scolastico.

I: Usually there is a pattern bet… or a connection between broken family background and low achieving students. But then you have children coming from… a good family background and they still have academic difficulties. (6BZi/12-13) (15)

Non solo. Visto che chi ottiene risultati molto mediocri viene inserito nelle classi di livello basso, la scelta, del sistema scolastico, di selezionare e suddividere gli studenti in base agli esiti accademici coincide con una divisione in base alla loro classe sociale:

I: [The banding system] It’s choosing children according to marks but you’re also choosing a social class. (6BZi/) (16)

Gli studenti delle fasce di livello basso sono quindi, nella maggior parte dei casi, bambini che vivono, a casa e in famiglia, un contesto particolarmente

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difficile: questo ne influenza profondamente gli atteggiamenti (Rosenberg e Hovland, 1960)44, anche nei confronti dell’educazione in sé.

I: They don’t have help at home… they don’t have stability. Education is not a priority. […] And it’s always going to be like that if you don’t change their background, their family background. You can do nothing about it, you can help them you can give them support… but sometime for them that’s not enough, that’s what they need, but it’s not what they need after all. (1MC/8-10) (17)

I: We have many children with many different problems… R: What do you mean?

I: Mmh, like… they don’t know their fathers, they don’t work, they are very poor. So education is not their aim in life. […] The children are unlucky. (6SC/2-3) (18)

Condizioni di instabilità, povertà, deprivazione – parole ricorrenti nei dialoghi con gli insegnanti – creano una situazione di bisogno che sembra non trovare risposta nell’educazione e che vincola fortemente, in negativo, le prospettive di sviluppo di questi bambini “sfortunati” (unlucky).

Soprattutto se a casa non solo mancano supporto, aiuto e attenzione per l’alunno – altro campo semantico estremamente utilizzato per esprimere carenze o mancanze delle famiglie –, ma non vi sono modelli (adulti) di

riferimento positivo, la situazione diventa, come rilevato dalle parole degli

insegnanti, sempre più problematica e complessa nella gestione. I: They do as their parents did, if not worse than that… because their parents don’t give them a nice example and it’s a big problem (6SC/14) (19)

I: I think… the school itself is managing much of the behavior but that’s just until 2. Then if the family, if the parents are setting a bad example that would still reflect on the child. So that’s my biggest complain. We don’t get the full cooperation with the parents.

44 Per atteggiamenti intendiamo le tre componenti teorizzate di Rosenberg e Hovland (1960): la componente cognitiva, ossia l’insieme di informazioni e di credenze; la componente affettiva, ossia le reazioni emotive; la componente comportamentale, ossia le azioni messe in atto.

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I would never blame the children. I’m just blaming the background of the child… sometimes even themselves they have learning difficulties, but […] it’s not just because of the learning difficulties or maybe a low IQ. It’s not just that. Because they could still, they can still learn, they can still enjoy the learning… the learning experience. But they are bothered with whatever is happening at home, they are bothered that they don’t have a solid background and that’s disrupting their learning abilities in a way or another. […] Yeah, some children have learning difficulties but that’s what we are here for. Learning difficulties that’s our problem to tackle, but we cannot tackle the parents and the background. (5BZv/29-30) (20)

Il “cattivo esempio” dei genitori si riflette sui bambini avviando un processo di conoscenza sociale ed esperienziale che determina il rafforzamento di azioni negative e aggressive, di rifiuto e di ribellione nei confronti dei compagni, dei docenti e della scuola. È da biasimare (to blame) il contesto, non i bambini: “Le difficoltà di apprendimento sono un nostro problema da affrontare, ma non possiamo affrontare genitori e contesto”; le difficoltà di apprendimento sono un ostacolo comune, che gli insegnanti devono, possono e sanno aggirare; quello che, invece, non riescono a contrastare è il background familiare che, in un modo o nell’altro (in a way or another), distrugge (to disrupt) le capacità di apprendimento (learning abilities) degli allievi. Questa convinzione è talmente forte che, principalmente tra i docenti dei nurture group (i gruppi di supporto per problemi di comportamento) ma anche tra i docenti di classe, la necessità che emerge più frequentemente dallo studio delle interviste, come possibilità di arginare questo processo, è quella, per gli insegnanti, di riuscire ad essere per gli allievi un modello accogliente e propositivo con cui potersi confrontare e rapportare.

I: Maybe they would see another reality of a family […] we should be good role models, we are very good friends, we work as a team, there’s no ehm… we try, we try everything to show them how a family should be and how good friends should be. (NZ2/21) (21)

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Insomma, l’esigenza è quella di riuscire a compensare la situazione socio- familiare, ponendosi come nuova base sicura (Bowlby, 1989): tutte le persone, e i bambini in particolare, sono più sereni, interessati e capaci di

affinare il proprio ingegno per migliorare e migliorarsi, se e quando

possono confidare su una figura di supporto e guida che li affianchi e li sostenga – specialmente in caso di difficoltà – e nella quale ripongano la loro totale ed incondizionata fiducia. Infatti, parole come casa (home)45, famiglia, amici, ascolto e amore sono spesso reiterate nell’analisi delle interviste e dimostrano il tentativo, della maggior parte degli insegnanti – anche se emerge con più intensità dai colloqui svolti con coloro che insegnano nelle “classi speciali” – di essere da esempio, capace di veicolare attitudini positive nei confronti, in primis, di sé stessi e, poi, degli altri (pari e adulti) e dell’apprendimento.

La soluzione che gli insegnanti propongono – ed elemento di cui tutti lamentano la mancanza – è la collaborazione con le famiglie: dall’indagine approfondita delle interviste emerge, infatti, nella totalità dei casi, l’esigenza di comunicare, di fare rete e lavorare per un obiettivo comune che conduca il bambino in un fruttuoso percorso di crescita e apprendimento.

I: There’s a lot that we can do, a lot that we can do, but not on our own, not on our own. There has to be everyone on board.

R: Who’s everyone?

I: The parents for example. If they go home and then they say now it’s time to study, you have to do the homework, sit down… no, they don’t tell that. And some of them doesn’t even found anyone at home. […] It’s no longer a matter of education […] It’s a matter of who is not doing his part. Who is not doing his part? Who is not keeping his responsibilities? […] For me it’s like a circle: if I do my part you can do yours and it’s one after the other but if some parts leak… […] For them [parents] even education is not important so

45 In lingua inglese, utilizzare la parola “home” per indicare la “casa” significa riferirsi non solo al luogo fisico (“house”), ma all’insieme degli affetti, della famiglia; presuppone un forte coinvolgimento emotivo, psicologico e relazionale.

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they are showing the kids that ‘Uh, iva, you didn’t do it? Uh, iva. No worry’. (5SC/15-19) (22)

Tutti sono chiamati a partecipare, ad essere a bordo (to be on board), a condividere responsabilità educativa (Biscaldi, 2013), soprattutto nel caso, molto frequente tra i bambini con difficoltà scolastiche, di situazioni familiari “problematiche”: genitori e insegnanti devono poter lavorare insieme, in modo condiviso e sinergico, in cui ciascuno “fa la sua parte” (I do my part, you can do yours) per arginare le potenziali conseguenze attitudinali negative che evolvono in risposta a contesti svantaggiati, non edificanti, incoraggianti e motivanti.