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Il background teorico e gli studi empirici

La letteratura che studia gli abbandoni si articola secondo due approcci: uno teorico, l’altro empirico. Nell’ambito della letteratura teorica, il lavoro più significativo è rappresentato dal modello realizzato da Tinto nel 1975, il cosiddetto Student Integration Model (SIM). In tale modello, la scelta da parte degli studenti di proseguire gli studi universitari deriva da un processo di interazione tra gli studenti stessi e l’ambiente educativo messo a disposizione dall’università. Precisamente, ogni studente, sulla base del personale background di istruzione e socio-economico, sceglie il proprio obiettivo educativo e decide il grado di impegno necessario affinché possa raggiungerlo (goal commitment).

Alle teorizzazioni di Tinto si collega poi lo studio di Astin (1975), il quale sostiene che la scelta di uno studente in merito alla prosecuzione degli studi sia fortemente correlata con il grado di coinvolgimento con cui questi partecipa alla vita sociale e accademica della comunità scolastica di cui fa parte.

Il modello originario di Tinto viene successivamente ripreso da Bean (1980), il quale individua una corrispondenza tra il turnover dei lavoratori e gli abbandoni degli studi. Per cui, allo stesso modo in cui l’organizzazione del lavoro e la strutturazione delle ricompense influenzano il turnover dei lavoratori, le variabili personali e organizzative interagiscono tra loro, determinando il grado di soddisfazione e la permanenza degli studenti nel percorso accademico.

Ancora, Tinto (2003) individua cinque fattori fondamentali nel determinare la persistence degli studenti nei percorsi di studio. Tali fattori sono rappresentati dalle aspettative, dalle attività di supporto, dai feedback, dal coinvolgimento e dall'apprendimento. Nelle ipotesi formulate da Tinto, un alto livello di aspettative circa il successo dello studente influenza positivamente la probabilità che questi concluda gli studi accademici; quanto alle azioni di supporto, Tinto si riferisce ad attività afferenti non solamente

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all’ambito accademico, ma anche alla sfera sociale e personale. L’attuazione delle forme di supporto può avvenire grazie alle relazioni tra lo studente e il personale accademico, oppure può essere effettuata attraverso programmi strutturati (summer bridge programs, mentor programs (Tinto 2003, p. 3)). Con riferimento ai feedback, Tinto suggerisce di effettuare interventi in itinere (early warning systems, classroom assessment techniques, and frequent mini-

exams (Tinto 2003, p. 3)), affinché gli studenti possano correggere per tempo

eventuali deficit nella propria performance. Riguardo al fattore coinvolgimento, Tinto si riferisce ai contatti tra lo studente e la facoltà, il personale e gli altri studenti: quanto più frequenti sono tali contatti, tanto più elevata è la probabilità che lo studente prosegua gli studi (Tinto, 1993). Infine, negli ambienti che favoriscono l’apprendimento vi è una più elevata probabilità che gli studenti proseguano e completino gli studi (Tinto, 2000). Tinto fa, inoltre, notare che qualsiasi azione che intenda incentivare la prosecuzione degli studi deve considerare come punto di partenza l’attività svolta nelle aule universitarie (Tinto, 2003), il cui effetto è quello di stimolare e promuovere l’apprendimento degli studenti e la loro partecipazione all’ambiente universitario.

Gli apporti dalla letteratura teorica hanno rappresentato la base fondamentale per lo svolgimento delle analisi sugli esiti dei percorsi di istruzione, tuttavia la ricerca si è maggiormente sviluppata sul versante della letteratura empirica, occupandosi di individuare e analizzare i principali fattori associati alle decisioni di abbandono degli studi.

Nell’ambito dei lavori empirici, vi è una parte di studi in cui si affronta la questione in un’ottica più generale, definendo il fenomeno degli abbandoni e considerando le modalità secondo le quali il fenomeno si presenta in termini spaziali e temporali. Ci riferiamo, per citarne alcuni, a Johnes e Taylor (1989), Montmarquette et al. (2001) e, con riferimento all’Italia, a Ugolini (2000) e Di Pietro e Cutillo (2008), i cui contenuti e risultati sono esposti nel presente paragrafo. Altre ricerche, invece, seguono un approccio maggiormente

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analitico, occupandosi di esaminare e misurare l’effetto prodotto sugli abbandoni da specifici fattori.

Johnes e Taylor (1989) svolgono un’analisi per comprendere le differenze tra le università nei tassi di non completamento degli studi. L’analisi riguarda le coorti di studenti immatricolati negli anni 1979 e 1980 che non completano il corso di laurea presso l’università di prima iscrizione. Nello studio, il tasso di non completamento è dato dal rapporto tra il saldo degli iscritti all’anno (t) e i laureati entro l’anno (t+6) e il numero di iscritti all’anno

(t). Inoltre, gli studiosi considerano un cut-off point di sei anni, per cui

assumono che chi ha concluso il corso di studi in sei anni (dunque fuori corso) sia considerato come un soggetto che non ha completato il corso di laurea9. Nell’analisi viene pure messo in evidenza il tempo entro cui uno studente decide di abbandonare e si dimostra che circa il 53 per cento degli abbandoni avviene entro quindici mesi dall’iscrizione, dopo di che si riduce, approssimandosi a zero nel sesto anno dall’iscrizione.

Montmarquette et al. (2001) compiono una stima di tipo bivariate

probit with sample selection utilizzando un data set longitudinale predisposto

dall’Università di Montreal. Nello studio vengono presi in esame tre semestri (autunno 1987, inverno 1988 ed autunno 1988) per un campione di 3.418 studenti. Dalla stima emerge che, già al primo anno gli abbandoni riguardano ben il 24,7 per cento degli studenti, di cui il 6,9 abbandona già dopo il primo semestre.

Con riferimento all’andamento degli abbandoni nel tempo, Ugolini (2000), basandosi sui dati forniti dall’“Osservatorio per la valutazione del sistema universitario”, mette in luce come, considerando un periodo di osservazione che va dal 1960 al 1997, il saldo tra laureati e studenti ritirati è stato positivo solamente fino al 1974, infatti dal 1975 in poi il numero di abbandoni è salito progressivamente, superando il numero di lauree.

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Tale restrizione appare sensata nel caso anglosassone, dove il numero di studenti che si laureano in sei anni è trascurabile, non lo sarebbe invece nel caso italiano che è caratterizzato da un forte rallentamento negli studi.

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Di Pietro e Cutillo (2008) svolgono una stima bivariate probit with

sample selection basandosi su una survey cross-sectional condotta

dall’ISTAT10. Nell’analisi si considerano tre coorti di studenti universitari immatricolatisi nel 1995, nel 1998, dunque nel periodo antecedente la riforma, e nel 2001, anno di entrata a regime del riordino dei corsi di studio. Nello studio si nota che nell’ultimo decennio il fenomeno degli abbandoni ha registrato un declino, e ciò grazie a una serie di interventi che hanno modificato l’offerta formativa: ossia, l’aumento della varietà dei corsi offerti e la diversa articolazione dei corsi introdotta dal Processo di Bologna (meglio conosciuta come riforma del “3+2”). Per cui, l’adozione di tali misure, oltre ad agevolare l’aumento delle iscrizioni, ha anche favorito la riduzione dei tassi di abbandono.