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Il bestiame delle formiche (vv 261-272) 9

Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 172-177)

P ARTE SECONDA

10.1 Il bestiame delle formiche (vv 261-272) 9

Le informazioni relative agli allevamenti delle formiche derivano da Brehm e Michelet. Così il primo a proposito degli «amici» delle formiche, «i cosiddetti mirmecofili»:

Parecchi entomologi hanno […] enumerato questi tali insetti, per scoprirne l’attinenza colle formiche: 1° Quelli che vivono nei nidi allo stadio di larva o di crisalide, e perciò sono tollerati come ospiti innocui. Così […] la larva della cetonia dorata. 2° Quelli che sono trovati allo stadio di insetti perfetti nei nidi […]. Debbono pure essere contati fra questi i gorgoglioni, che non vi vengono volontariamente, ma portati dalle formiche, presso cui devono vivere in qualità di mucche. Fu già accennato quanto ghiotti sieno tutti gli imenotteri della dolce secrezione dei gorgoglioni, e perciò non abbiamo da meravigliarci se le formiche non si accontentano di ricercarli al di fuori del nido e di indurli, mediante il palpeggiamento, il leggero fregare delle loro antenne, a lasciar colare quel liquido, ma ancora rapiscono le inermi e deboli bestioline che portano in casa […]. Sovente le formiche circondano di un mucchio di terra una società di gorgoglioni e vi portano le loro larve, oppure mettono la colonia delle piccole mucche in comunicazione colla loro mediante una galleria coperta. Nei paesi caldi, ove mancano i gorgoglioni, le piccole cicale, loro cugine, li surrogano.10

L’associazione delle formiche con i pastori e dei mirmecofili col bestiame è riproposta anche da Michelet:

Les fourmis de nos climats, pour la plupart incapables de faire du miel, satisfont au besoin qu’elles en ont en léchant ou trayant une sorte de miellée sur les pucerons […]. La trasmission de ce miel […] s’opère par une sorte de chatouillement ou de traction douce, comme celle que nous exerçons sur une vache. Ces pucerons […] sont de très- humbles créatures […]. La verre grossissant vous les montre toujours courbés, toujour à paître. Leur attitude est celle des bestiaux. Ce sont pour les fourmis leurs vaches laitières. Pour en profiter en tous temps, elles les transportent souvent dans la formilière […]. Dans les situations où il y aurait difficulté pour les transporter et les mettre à l’étable, elles les parquent sur place, construisent, tout autour des rameaux,

9 «Mucche» nell’indice autografo che si legge in G. LXI-1-1. 46 (per cui vd. supra § 3, n. 87). 10 BREHM 1873, p. 234.

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des cylindres de terre […]. On peut appeler cela les parcs, les chalets des fourmis. Elles y vont traire leurs bêtes à certaines heures, et parfois portent leurs petit sua milieu du troupeau pour leur distribuer plus aisément la nurriture.11

Le stesse informazioni sono rielaborate nel Ciocco, I, vv. 168-179:

Ho inteso ch’hanno le sue bestie: quali, pecore, e quali, proprio bestie,

ossia da frutto, ovvero anche da groppa. Ma piccole e verdi queste, e quelle

con una lana molle come sputo: pascono in cento un cuccolo di fiore. E il pastore ha due verghe, esso, non una:

due, con nodetti, come canne: e molge con esse: le vellica, e danno il latte;

o chiuse dentro, o fuori, per le prata: come noi, che si molge all’aria aperta, nella statina, le serate lunghe.12

Dopo un rapido accenno ai mirmecofili e al loro rapporto con le formiche (vv. 261- 265), il poeta particolareggia la descrizione presentando i pastores impegnati con capi di bestiame differenziati per taglia, il pecus e gli armenta (così è anche nel Ciocco I, vv. 168-170); nelle fonti, invece, si accenna esclusivamente alle «mucche» delle formiche (gli afidi), dunque a un ‘bestiame’ di taglia grande.

Has abigit formica greges haec ubera pressat, sive tenet clausum stabulis pecus omne sub urbe, seu foveis armenta cavis et pascua vallo

saepsit

11 MICHELET 1890, pp. 261-262.

12 «Bestie», in dialetto toscano, allude alle vacche; «Da frutto» (v. 170) significa «da latte e da parto»; «da

groppa» (v. 170) sono detti gli animali da soma; la «statina» (v.179) è «l’estate al suo principio»; vd. NAVA

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(vv. 266-269).

Il segmento presenta una marcata componente terminologica afferente al lessico agricolo, a cominciare da abigo v. 266: l’accezione principale è quella di «scacciare», «mandar via», ma, riferito alle greggi, il verbo significa «condurre», «spingere davanti a sé» (in Cic.

Verr. 3, 5, 7, è ben chiara la specializzazione semantica della voce in rapporto al bestiame: Familiam abduxit, pecus abegit13).

Considerati alla luce del lessico, questi versi risultano connessi da una precisa gerarchia semantica: il pecus chiuso nelle stalle (v. 267) e gli armenta (v. 268), si susseguono come determinazioni dell’iperonimo greges (v. 266). «Gregge», che in italiano indica generalmente branchi di pecore o capre, in latino rimandava a un insieme più vago (greges

equarum in Cic. Verr. 4, 7, 20; greges lanigeri in Verg. Aen. 3, 287, etc.)14. L’accenno alle greggi

offre una visione d’insieme sui pascoli; i termini successivi ne specificano le tipologie. Il secondo emistichio del v. 266 riferisce un’altra occupazione delle formiche: il recupero delle secrezioni zuccherine prodotte dagli afidi. L’operazione, in linea con la metafora che associa le formiche ai pastori, è immaginata come una vera e propria mungitura, haec ubera pressat: la iunctura è diffusa (Verg. Ecl. 3, 99; Ov. Met. 15, 472 e Fast. 4, 769), ma la clausola e il contesto rimandano a Verg. Aen. 3, 641-642: cavo Polyphemus in antro / lanigeras claudit

pecudes atque ubera pressat [Polifemo chiude le bestie lanose nell’antro profondo e le munge].

Nelle immagini successive, il quadretto georgico si arricchisce di particolari estranei alle fonti. Le attività pastorali degli insetti, che in Brehm e Michelet sono rivolte esclusivamente alle «mucche» delle formiche, coinvolgono qui sia il bestiame minuto (il

pecus del v. 268, tenuto in stabulis) sia quello grosso (gli armenta del v. 267, recinti da fossati, foveis, in spazi aperti)15. Il v. 267 riprende Verg. Georg. 3, 352, illic clausa tenent stabulis

13 Vd. anche Varr. Rust. 2, 16; 2, 5, 11; Liv. 24, 20, 16, passim e, tra i Carmina pascoliani, Post. Occ. 109

(Rex omnes […] abegit / ut pecudes) e Thall. 194, dov’è riferito alla schiava, spinta via dal suo nuovo padrone alla stregua di una bestia (per il primo vd. PISINI 2012, p. 34; per Thall. 194 vd. BARCHIESI in VALGIMIGLI

1960, p. 639 e TRAINA 1993, p. 101).

14 Grex est moltitudo animalium […], ut ovium, buum, avium etc. (FORCELLINI s. v.) e vd. anche BRUNO 1969,

p. 104 e ThLL, VI. 2, 2330, 45 ss. La parola avrà un ulteriore sviluppo semantico, una precisazione della più generica accezione originaria, indicando, in opposizione ad armenta, le mandrie di animali di piccola taglia (vd. ThLL, VI. 2, 2331, 21 ss., quindi Ov. Met. 1, 513: Non hic armenta gregesve / […] observo; Serv.

Aen. 6, 38, etc.).

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armenta, ma il fatto che le stabulae si trovino fuori dalla città, nel suburbio, è un’aggiunta

pascoliana, conforme alla solita antropomorfizzazione della formica, le cui stalle, come accade nei centri urbani, sorgono nelle zone periferiche, sub urbe (e urbs, nel Myrmedon, indica spessissimo i formicai16). L’enunciato successivo adatta alla scena georgica la

locuzione vallo et fossa saepire, attestata esclusivamente in contesti marziali17. Il poeta, però,

sostituisce fossa con fovea, il «fossato piccolo»18, più adatto alle esigenze della formica-

pastore, che se ne serve per recintare lo spazio riservato agli armenti. Userà inveve steccati (valla) per delimitare i pascua, «i campi lasciati al pascolo»19.

I recinti dei gorgoglioni sono spesso collegati ai formicai da un cunicolo: percorrendolo, le formiche possono facilmente raggiungere i pascoli e condurvi la prole20:

At ducit cupidos ad ovile cuniculus aeque pastores: ipsi captivo melle fruuntur et lac inmulgent pullis infantibus almum.

(vv. 269-272)

L’ultimo verso si segnala per la scrupolosa coerenza semantica del verbo e per il sintagma tautologico pullis infantibus, espressivo della delicatezza che connota l’immagine. Si noti anche l’iperbato a cornice lac … almum21, che espone in chiusura l’aggettivo (caro alla lingua

poetica)22 e circoscrive l’esametro in una raffinata iunctura, non mai attestata in prosa né in

versi, ma implicita in Stat. Ach. 2, 98: Nec almis uberibus satiasse famem [Mai ho soddisfatto la fame con seni nutrienti]. Di inmulgeo si registrano solo quattro attestazioni, due in poesia (Liv. Andr. Trag. 38, RIBBECK: Quem ego nefrendem alui lacteam inmulgens opem [Che io ho

16 Vd. i vv. 17, 103, 135, 182, 218, 220, 267, 277, 288; suburbani sono invece definiti i campi dell’insetto

(sulci per metonimia) destinati alle colture, v. 283.

17 P. es. Cic. Att. 9, 12, 3: Populi Romani exercitus Cn. Pompeium […] fossa et vallo saeptum tenet; Caes. Bell.

Gall. 2, 5, 6; 3, 1, 6, etc. e vd. ThLL, VI. 1, 1210, 84 – 1211, 13.

18 Fovea est fossa brevis […]. Fossae sunt ampliores, et ad vallos murosque urbis pertinent; foveae angustiores,

breviores [La fovea è uno scavo piccolo. Le fosse sono abbastanza ampie e si trovano in prossimità dei

bastioni o delle mura cittadine; le foveae sono più strette e più basse]; FORCELLINI s. v. «Fovea».

19 BRUNO 1969, p. 17.

20 Il particolare è in Brehm, vd. supra, p. 164.

21 Analogo, nella struttura, a quello di Myrm. 306, per cui vd. infra, § 11, p. 206. 22Vd. ThLL I, 1703, 31–32.

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nutrito ancora infante spremendo la lattea ricchezza del mio seno] e Verg. Aen. 11, 572:

[natam] nutribat, teneris immulgens ubera labris [Nutriva la figlia spremendo il seno sulle tenere

labbra]) e due in prosa (Plin. Nat. Hist. 11, 232: fabulosum arbitror [strigas] ubera infantium

labris inmulgere [Credo che sia una fandonia il fatto che le streghe spremano le mammelle

sulla bocca dei bambini] e 28, 72). Escludendo l’ultimo caso, dove si consiglia di spremere il latte materno direttamente sugli occhi infiammati, il verbo rimanda a un’azione ben precisa: l’allattamento dei bambini al seno. Sulla base di questo significato, definito inequivocabilmente dalle poche occorrenze del verbo, inmulgeo rappresenta la scena con il consueto rigore semantico. La ricerca di una voce che determinasse minuziosamente l’azione trova conferma nell’abbozzo autografo G. LXI-1-1. 79: il poeta aveva scritto, in origine, ipsi captivo lacte fruuntur / Mellaque restillant pullis lactentibus idem (con restillo dettato da mel); ha poi sostituito lacte con melle nel primo verso e riscritto il seguente secondo la lezione definitiva (et lac inmulgent pullis infantibus almum), pur comincindo l’esametro con un et praebent, immediatamente cassato perché poco preciso. Quanto al pleonasmo pullis

infantibus, i termini della iunctura possono valere sia come attributi che come sostantivi: pullus («piccolo») è aggettivo, tra gli altri, in Hor. Sat. 1, 8, 27 (pulla agna); è invece sostantivo

(«cucciolo»), in Lucr. 3, 764; Hor. Sat. 2, 3, 314, passim. Analogo il caso di infans, ma nel verso pascoliano, dato il contesto animale, la parola varrà certamente come aggettivo di

pullus: il rapporto morfologico fra i due termini è ben chiaro nel citato abbozzo manoscritto

G. LXI-1-1. 79, dove, in una prova del verso - cancellata, ma facilmente leggibile -, pullis è in locuzione con l’aggettivo lactentibus. Il sintagma è ridondante, ma la dittologia - mai attestata in tutto l’arco della latinità - tende a marcare la tenera età dei pulli, quindi l’affettività che pervade la scena23.

23 Nella traduzione si è evidenziata l’iterazione sinonimica, evitando una resa troppo razionale, come

quella di VALGIMIGLI 1960, p. 457 e CALZOLAIO 2011, p. 1159 («i loro figli piccoli»); «minuscoli

poppanti» traduce, invece, CARBONETTO 1996, p. 645. Un caso vagamente affine a quello in esame è

nell’Ultimo viaggio (PC), La partenza, vv. 37-40: «ed era a tutti, l’aurea cetra, a cuore, / come a bambino infante un rondinotto / morto, che così morto egli carezza / […] e teme e spera che gli prenda il volo»; «infante» è chi non sa ancora parlare, dunque il bambino nei primissimi anni di vita: il pleonasmo «bambino infante», al v. 138, accentua la tenerissima età del fanciullo e lascia immaginare la sua ingenuità di fronte al corpo morto del rondinotto.

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Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 172-177)