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Un’eccezione alla ‘norma’ del rigore semantico: Myrm 223-224.

Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 197-200)

P ARTE SECONDA

10.5 Un’eccezione alla ‘norma’ del rigore semantico: Myrm 223-224.

L’«esattezza nomenclatoria»105 che caratterizza la lingua del Myrmedon è disattesa rare volte.

Nei vv. 223-224 si dice che le legionarie, distrutti i nidi delle colonie limitrofe, portano via le uova e i piccoli dal corpicino non ancora formato, incertus:

ovaque secum heu tenerosque ferunt incerto corpore natos,

variatio di Lucr. 4, 1104: nec manibus quicquam teneris abradere membris / possunt errantes incerti corpore toto [né con le mani possono spiccar nulla dalle tenere membra, mentre errano,

incerti, per tutto il corpo]. Incertus, nel passo lucreziano, è detto degli amanti nel momento dell’amplesso; in Myrmedon, invece, è il corpus delle larve e delle crisalidi106.

Il latino - soprattutto quello scientifico di Plinio il Vecchio, già ricordato tra le fonti documentarie del carme sulle formiche - conosceva una terminologia specifica per le varie fasi dello sviluppo degli insetti. Con tinea, uruca e vermiculus (quest’ultimo è in Myrm. 244), ad esempio, si indicavano le larve, come in Plin. Nat. Hist. 11, 117 e 112:

Multa insecta nascuntur […] e rore. Insidet hic raphani folio […]. Inde porrigitur vermiculus parvus et triduo mox uruca […] araneo accreta, quam chrysallidem appellant

[Molti insetti nascono dalla rugiada che giace sulle foglie del ravanello. Da qui si allunga una larva e, dopo tre giorni, un bruco avvolto da una sorta di ragnatela che si chiama crisalide].

105 L’espressione, già più volte richiamata, è di CONTINI 1970, p. 238.

106 Sullo sviluppo delle formiche, dalle uova alle larve e dalle crisalidi all’insetto adulto, vd. BREHM 1873,

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Chrysallis allude qui al bozzolo in cui si avvolgono le ninfe, ma il termine, per estensione, indicava pure le ninfe stesse, dette appunto crisalidi107. Oltre a chrysallis, il latino, come oggi

l’italiano, usava anche il sinonimo nympha, detto delle api e delle vespe in Plin. Nat. Hist. 11, 48. Nell’abbozzo manoscritto G. LXI-1-1. 39, il poeta aveva inizialmente optato per la solita determinatezza lessicale: Rapiunt larvae et chrysalides (larva significava «maschera» e, più spesso, «spirito», «spettro»; qui, invece, va inteso nell’accezione zoologica moderna), ma nella redazione definitiva - e già in alcune prove successive - la scelta è caduta su un’espressione generica, dotata, tuttavia, di una forte valenza espressiva: teneros … incerto

corpore natos. Nella drammatica chiusura dell’episodio - oltre alle immagini violente delle

legionarie che sgozzano le trepide nutrici (v. 223) e ghermiscono i piccoli della colonia, si noti anche l’interiezione heu, che, in apertura d’esametro, rivela la commossa partecipazione dell’autore -, il particolare dei corpicini ancora deboli e amorfi, inserito al centro di un iperbato che ribadisce la fragilità dei piccoli insetti (teneros … natos), incrementa il pathos della scena con un realismo figurativo che voci più precise (larva, vermiculus o

chrysallis) non avrebbero garantito.

107 Giusta la definizione del Forcellini (s. v. «Chrysallis»): hoc nomine appellabantur insecta, quae primo sui

ortu vermiculi sunt, deinde circa se folliculum, seu telam aranei similem obducunt, eaque se involvunt: ex qua postea se expedientes, emissis alis evolant [con questo nome sono chiamati gli insetti che, appena nati, sono delle

larve; in seguito si avvolgono in una specie di guscio, simile a una ragnatela; liberatisi da questo involucro e finalmente dotati di ali, volano via].

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11

NOZZE

(

VV

.

301-312)

1

Ut vero occidui fatalem solis amorem

suasit et in tepidas thiasum iubar allicit auras, ecce omnes castosque lares terramque iacentem deseruere: volant pennataque corpora miscent

et simul optatis auris et amore fruuntur. 305

At puro stupuit nubes exsistere caelo pastor et obtorto convolvi incendia fumo. Sed brevis error erat: toto pluit aere nigris formicis, reptantque mares pedibusque teruntur

aut saturant merulas communis praeda voraces. 310

At fordae subeunt decisis atria pennis et nova sufficiunt sollertis saecula gentis.

Finalmente adulti, gli insetti spiccano il volo nuziale, assicurando, con l’unione, la continuità della specie. La singolarità di quest’ultima scena si rivela chiara dal confronto col modello virgiliano (la digressione sull’etologia delle api in Georg. 4)2 e con Pecudes.

Escluse le attività agricole e pastorali (descritte in Myrm. 261-290), le formiche seguono quasi puntualmente le abitudini, i comportamenti sociali e l’organizzazione gerarchica delle api virgiliane, non fosse che queste, uniche nel mondo animale, sono estranee agli istinti della sessualità3. A una libido sfrenata, a un istinto di procreazione che culmina in «un

1 Con «Nozze» è indicata la sequenza nella didascalia tracciata in G. LXI-1-1. 46, per cui vd. supra § 3, n.

87.

2 Per i rapporti del poemetto pascoliano con Verg. Georg. 4, vd. supra § 4, pp. 29-34.

3 Vd. Verg. Georg. 4, 197-201: Illum adeo placuisse apibus mirabere morem / quod neque concubitu indulgent,

nec corpora segnes / in venerem solvunt aut fetus nixibus edunt; / verum ipsae e foliis natos, et suavibus herbis / ore legunt [Ti stupirai di un particolare comportamento delle api: queste non si accoppiano tra loro, non

sfiniscono i corpi infiacchite dall’amore, non generano la prole con dolore, ma raccolgono i piccoli con la bocca dalle foglie e dalle erbe profumate].

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prodigieux spectacle […] de fureur […], plen de vertige, et […] de terreur»4, cedono invece le

formiche del Myrmedon:

…dopo di che si presenta una singolare scena, le nozze delle formiche. Si può osservare per lo più in agosto, verso la sera di un giorno caldo e senza vento […]. Nulla fra le umane cose può dare un’idea del tumulto, della confusione, di cui non si può dire se indichi amore o furore. Fra il brulicame dei fidanzati spasimanti dimentichi di tutto, vanno individui privi d’ali che li aggrediscono […]. Ma tale non è la loro intenzione, vogliono unicamente ricordar loro l’ubbidienza […]. Quelle severe vergini sorvegliano gli innamorati e sopraintendono alla solennità delle nozze, la vera festa popolare. Ma lo spasimo degenera in follia, la schiera alata s’innalza in vorticose masse, e, in mezzo ad alterne cadute e salite, riesce alfine ad una certa altezza ed in parte scompare in lontananza. Lassù, nell’etere, ha luogo l’unione, e quelle femmine che ricadono presso al nido sono agguantate dalle operaie e riportate a domicilio, ove perdono le ali cadendo o se le vedono strappare […]. I maschi trovano presto la morte. Del resto in tali occasioni migliaia di individui cadono preda degli uccelli, o perdono la vita per qualsiasi causa. Gli sciami di formiche, specialmente quando s’incontrano parecchie in una medesima località, hanno talvolta gettato lo sgomento tra gli uomini, giacché furono presi per minacciosi nuvoloni di fumo. Nelle nuove colonie le femmine attendono anzi tutto all’allevamento della prole, e fondano le medesime nell’anno in corso o nel successivo. Depongono le uova in qualche piccola buca, e lasciano alle future operaie la cura di allestire una acconcia dimora5.

Analoga la descrizione di Michelet, il quale, tuttavia, pone maggiormente in rilievo l’aspetto civile del rituale fecondativo6:

La scène la plus surprenante à laquelle on puisse assister, c’est un mariage de fourmis. Les folies, comme on sait, les plus folles sont celles des sages. L’honnête, l’économe, la respectable république donne alors […] un prodigieux spectacle, d’amour? De fureur, on ne sait, mais plein de vertige, et, tranchons le mot, de terreur […]. Mais non,

4 MICHELET 1890, p. 253. 5 B

REHM 1873, pp. 232-233.

Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 197-200)