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La misteriosa origine dei giacimenti minerari (vv 22-25).

Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 110-115)

P ARTE SECONDA

7.1 La misteriosa origine dei giacimenti minerari (vv 22-25).

La locuzione qualis ubi, al v. 2224, introduce la prima similitudine della serie (qualis…talis,

vv. 22-26 e qualis…sic, vv. 26-2725), quella che avvicina i cunicoli dei formicai ai tunnel,

altrettanto oscuri e intricati, delle miniere sotterranee. Il segmento compreso tra i vv. 22- 25 evoca in una descrizione suggestiva, giocata sull’elemento occulto e primordiale, la lunga fase geologica che ha determinato, nei millenni di una preistoria incommensurabile, la formazione dei giacimenti minerari26. La tessera obscura vetustas (v. 22) rende l’idea di quel

passato incognito (obscurus) che ha sepolto in terrae venas i residui organici essenziali alla formazione dei depositi fossili27. Al v. 23, la coppia verbale condere e urere rimanda ai due

23 FRANCHETTI–SONNINO 1925, pp 347-352; per la condizione dei carusi vd. anche SQUARZINA 1963,

pp. 113-135 e MERLI 1972, pp. 234-235.

24 Sette volte in apertura d’esametro anche nell’Eneide, p. es. in 2, 471; 4, 143; 8, 589, etc. 25 Per la funzione di queste similitudini nell’economia del segmento vd. supra, pp. 94-95.

26 In toni simili è descritta l’intima profondità del monte Leone, nell’ode che celebrò il Traforo del

Sempione: «Erano, là, le tenebre primeve, / il peso bruto, il muto oblio» (Gli eroi del Sempione, OI, vv. 17-18).

27 La clausola del v. 22 potrebbe essere la riformulazione semantica e morfologica di una chiusa ovidiana

(Met. 6, 521): rex Pandione natam / in stabula alta trahit, silvis obscura vetustis [il re trascina la figlia di Pandione in una grande stalla nel buio di una selva antica]. Per CALÌ 2015, p. 45, invece, obscura vetustas

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principali fenomeni legati alla genesi di quei depositi: la stratificazione dei vegetali preistorici (il poeta pensa alle felci e ai terebinti) e la loro successiva, lenta decomposizione per effetto del calore sotterraneo28, che, non potendosi sviluppare in fuoco nell’ambiente

anossico del sottosuolo, è giustamente rappresentato con l’immagine delle fiamme oculte,

tacitae … flammae. Quest’ultima iunctura, in poesia e nelle stesse sedi metriche, ricorre in

Ov. Rem. 105: Interea tacitae serpunt in viscera flammae [E intanto fiamme silenziose serpeggiano nelle viscere] e Sil. It. 11, 389: [Venus] natis / imperat et tacitas in pectora mittere

flammas [Venere ordina ai figli di instillare fiamme silenziose nei cuori]29; i casi citati sono

tutti riconducibili a contesti erotici in cui la flamma rappresenta la passione amorosa che consuma, silenziosa e profonda, il cuore dell’amante. Anche uro indica spesso gli effetti interiori di una passione rovinosa30, sicché il passo pascoliano risulta chiaramente debitore

del lessico erotico, risemantizzato in un contesto nuovo, ma comunque legato all’idea di un’intima consunzione.

Quanto alle felci e ai terebinti (v. 24), la scelta e la caratterizzazione delle due piante è adeguata allo scenario preistorico. Annoverate tra le prime forme vegetali apparse sul pianeta e soggette, come tali, ai fenomeni di stratificazione subiti dalla crosta terrestre, le antichissime felci avevano dimensioni di gran lunga maggiori rispetto a quelle attuali (lo testimoniano i numerosi calchi fossili rinvenuti presso alcuni giacimenti carboniferi)31; di

qui l’insolita connessione di filices con procerae («alte», «slanciate»), un aggettivo che il latino ha attribuito solo a piante longilinee, come il pino (pinus proceras in Enn., 6, 194 VAHLEN),

numina templo [È occultata da tenebre fitte l’antica ragione, ormai sommersa, per la quale gli Enotri

abbiano dedicato un tempio a divinità cartaginesi]. Lo stesso (IBIDEM) rimanda a Vitr. De arch. 8, 1, 7

([nives] liquatae per terrae venas percolantur et ita perveniunt ad infimas montium radices [Disciolte, le nevi penetrano attraverso le vene del suolo e così giungono nelle estreme profondità dei monti]) per la locuzione in terrae venas di Myrm. 22. Vena, nell’accezione geologica di filone minerario (dicitur de meatibus

aquarum et metallorum, FORCELLINI, s. v.), si trova, tra gli altri, in Verg. Georg. 2, 165-166, modello di

Pietole (NP), X, vv. 7-8.

28 Fattore effettivamente coinvolto nella genesi del carbone: vd. G.D. E. s. v. «Carbone».

29 Vd. anche Stat. Theb. 5, 445 (Ergo iterum Venus et tacitis corda aspera flammis / Lemniadum pertentat Amor

[E di nuovo Venere, insieme ad Amore, agita i cuori duri cuori delle donne di Lemno con fiamme silenziose]), che CALÌ 2015, p. 45, cita come unico e sicuro modello del Pascoli, per quanto la

dislocazione metrica della iunctura nel Myrmedon dipenda senza dubbio dai versi di Ovidio e Silio Italico.

30 Si ricordino almeno la condizione di Didone in Verg. Aen. 4, 68: uritur infelix Dido e quella di Fedra

in Ov. Epist. 4, 19-20.

31 Vd. G.D.E. s. v. «Felci». In MICHELET 1890, p. 32, le felci preistoriche sono coinvolte nella formazione

dei giacimenti carboniferi del sottosuolo: «“Pendant que vous dormiez encore” – diraient les fougères – “nous seules […] fîmes le trésor souterain des bancs énormes de charbon qui réchaufent votre foyer».

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l’ontano o il frassino (Verg. Ecl. 6, 63 e Hor. Carm. 3, 25, 16). La iunctura offre un saggio dell’audacia linguistica che caratterizza il Myrmedon, quella propensione ad esprimere, in un latino formalmente impeccabile, concetti inimmaginabili nel contesto comunicativo di un parlante romano. Il caso delle procerae filices è emblematico, poiché traduce con una

iunctura frequente e regolare (procerus detto di un arbusto longilineo) 32 l’immagine di quella

grandiosa vegetazione primigenia di cui soltanto la paleontologia ha potuto fornire indicazioni precise33.

Più problematica è la presenza dei terebinti: a differenza delle felci, infatti, queste piante non sono annoverate tra la vegetazione preistorica, né si registrano occorrenze, antiche o moderne, in cui l’arbusto sia associato a un’antichità primigenia. Soltanto nelle

Prime Storie dell’Aleardi (componimento patriottico che indugia a lungo sulle vicende degli

uomini primitivi fino al Diluvio universale), il terebinto compare nel mitico scenario dell’umanità primeva (vv. 295-300):

iva per l’aura la prima nota di strumento umano. E sui rami venian dei terebinti i pennuti cantor, maravigliando che fosse nata al mondo un’altra voce privilegiata di canzon più belle.

32 Per altri casi, oltre a quelli citati, vd. ThLL X. 2, 1519, 75 ss.

33 Con un latino altrettanto regolare, finanche costituito da stilemi virgiliani, Pascoli ripropone

immagini preistoriche di dinosauri e piante gigantesche anche in Pec. 46-48: Ut semel in proprium dilapsis

fluctibus aequor / […] audax terra iuventa / monstra lacertarum, filicum portenta creabat [Non appena le acque

defluirono nei propri bacini, la terra, così audace per la sua giovane età, generò mostruose lucertole e felci grandiose]. Ignoti al mondo romano, questi particolari trovano una sintesi in Virgilio: per le locuzioni monstra lacertarum e filicum portenta (una specie di genitivus inversus, dove la qualità è sostantivata e il vero sostantivo è piegato a una mera funzione qualificante, come nel «nero di nubi» de L’assiuolo, MY, v. 6 o nel «bianco / di strada» di Nebbia, CC, vv. 21-22 ), PARADISI 1992, p. 125 ricorda giustamente

i monstra ferarum di Verg. Aen. 6, 285, che PASCOLI 1938, p. 233 intende con «ferae monstrosae». A Virgilio si rifanno anche i magno repentes corpore sauros [lucertole striscianti dalla grande massa corporea] di Pec. 159 (per cui vd. PARADISI 1992, p. 165), da confrontare con l’ordo verborum di Georg. 3, 205, crassa

magnum farragine corpus [il corpo (del cavallo), grosso per effetto di biade vigorose] e 3, 369, corpora magna boum; ma se nel poeta antico la magnitudo corporis è detta di animali di taglia grande, in Pascoli è riferita

al saurus, la lucertola (saura, -ae in latino, ma l’autore di Pecudes leggeva sauri in Laev. fr. 27, 5 Mor., chiosando «lucertole» in PASCOLI 1895, p. 29). L’associazione di saurus con magnum corpus,

inimmaginabile in latino, rende l’idea del dinosauro (che PARADISI 1992, p. 165, invece, riferisce non

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Il legame con l’immagine del Myrmedon è dubbio, per quanto nota sia l’influenza del poeta veronese sulla formazione e sulla poesia matura di Pascoli34. Dell’Aleardi si legga anche

questo excursus preistorico ne Il monte Circello (vv. 500-515):

al bacio dei novelli soli fresche, vivaci, rispondean le selve impetuose. Ed eran superbe tribù di felci, che […]

d’altezza vincean le nasciture querce vocali. L’equitiseto umìle che or l’egro degli stagni aere vagheggia, calamo poveretto, […]

allor sublime sparso in viali di colonne verdi popolava le ripe; ove giganti con lo squallido cespo i licopodi cresceano il mesto degl’intonsi prati nell’ampia solitudine35.

Oltre alle antichissime felci, la primigenia vegetazione aleardiana include equiseti e licopodi altrettanto grandiosi. Dei primi si conoscono esemplari fossili dalle dimensioni arborescenti36, forse noti allo stesso Aleardi che distingue l’«umìle» equiseto odierno da

quello «sublime» dell’età primigenia; dei secondi non restano fossili, né si conoscono specie che superino i due metri d’altezza37: una dimensione impropria ai «giganti / con squallido

cespo» ricordati nel testo, sicuramente immaginari e fantastici, ma conformi alle piante

34 Vd. PETROCCHI 1953, pp. 30-33; NAVA 1969, p. 186 (che ne discute nell’ambito della genesi di

Romagna, MY); ID. 1978, pp. XLVIII-XLIX e 1999, p. 650; PAZZAGLIA 2000, pp. 24, 28 e 26; CASTOLDI

2011a, p. 27.

35 Alcuni passi del lungo poemetto aleardiano sono antologizzati in PASCOLI 1910, pp. 199 e 203;

mancano, tuttavia, i versi qui richiamati.

36 Vd. G.D.E s. v. «Equisetali fossili». 37 Vd. IVI s. v. «Licopodiacee».

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preistoriche. Come l’Aleardi con i licopodi, così l’autore del Myrmedon adegua alla grandiosa vegetazione delle origini (le felci) i più piccoli terebinti, «arbusti […] alti sino a cinque metri»38, concordandovi un aggettivo, aerius («alto», «vertiginoso»), che il latino ha

riferito ad alberi come il cipresso (Cat. 64, 240) o la quercia (Verg. Aen. 3, 680 e 9, 679- 681)39. La iunctura, che varia la chiusa esametrica Oricia terebintho di Verg. Aen. 10, 136 e

Prop. 3, 7, 49 (unici casi nella poesia classica in cui il sostantivo compare in una clausola quadrisillabica40), è pertanto analoga alle procerae filices del v. 24. Immagini affini in un’altra

rappresentazione della preistoria terrestre, quella de Il poeta degli Iloti (PC), II, La notte, vv. 89-91:

e in terra e in aria rettili deformi, nottole enormi; e qualche viso irsuto di scimmia intento ad esplorar da un antro.

I «rettili deformi» («l’aggettivo vale “sproporzionati, mostruosi”, secondo l’etimo latino

deformis»41) coincidono con i magno reptantes corpore sauros di Pec. 15942, mentre le «nottole

enormi» alluderanno, come le incredibili chimere (maiores fide chimaeras) di Pec. 161, agli pterosauri del mesozoico43: l’aggettivo le trasforma in creature della fauna preistorica, così

come procerus ingigantiva i terebinti nelle forme grandiose della flora primeva.

Coerentemente con la metafora delle tacitae flammae - che dice l’occulto e lento deterioramento degli organismi vegetali nel sottosuolo -, il risultato del processo geologico che ha dato luogo ai depositi minerari è immaginato come l’oscura cenere del fuco

38 IVI s. v. «Terebinto». 39 Vd. ThLL I.1, 1063, 27-32.

40 A clausole quadri e pentasillabiche Pascoli riserva spesso grecismi, come appunto terebinthus; hyacinthos,

v. 40 e labyrinthi, v. 201; altrove cyparissos (Ecl. XI. 34); cyclaminos (Fan. Ap. 84); amphitheatrum (Post. Oc. 50), etc. «Questo è manierismo neoterico-virgiliano: delle 54 clausole quadrisillabiche di Virgilio, solo 5 sono fatte di parole latine; delle 19 pentasillabiche solo 2»; tutte le altre sono occupate da termini greci, p. es. hyacinthos (Ecl. 3, 63; 6, 53; Georg. 4, 183; Aen. 11, 69); cyparissoss (Georg. 2, 84 e Aen. 3, 680), etc; vd. NARDO 1978, p. 168..

41 NAVA 2008, p. 197. 42 Vd. supra, n. 33.

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primigenio (rogi … nigrantem … favillam, v. 25, una «perifrasi per carbo»44): l’orribile schiera

dei minatori (saeva turba) scava tra i resti di quell’incendio45. L’uso del presente (temptat),

opposto ai due perfetti del v. 23 (condidit e ussit), segna il passaggio dai lunghissimi processi geologici della preistoria al recente sfruttamento dei depositi del sottosuolo, col conseguente, disumano lavoro nelle miniere. A quest’ultimo va riferito l’aggettivo saevus che denota, più che l’aspetto fisico degli operai cavatori (certo sfigurati dal calore e dalle polveri sotterranee), l’abbrutimento morale legato a una condizione lavorativa notoriamente degradata: Franchetti e Sonnino, del resto, puntavano l’indice contro l’immoralità e le turpitudini degli zolfatari, «gente viziata, corrotta e brutale»46.

Nel documento Radiografia del Myrmedon di Giovanni Pascoli (pagine 110-115)