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In base al quadro delineato bisogna ammettere che negli ultimi anni, soprattutto in virtù delle spinte sovranazionali, l’ordinamento italiano ha cercato di dotarsi di un apparato normativo robusto per contrastare il fenomeno della violenza domestica. Una legislazione che sul piano operativo astrattamente è ben congegnata ma risulta poco efficace in concreto. Senz’altro è stato più volte chiarificatore l’intervento della giurisprudenza circa l’interpretazione di quelle disposizioni poco dettagliate e a tratti anche approssimative, frutto di una legislazione d’urgenza e stratificata negli anni. Quello di cui continua a difettare il nostro ordinamento è una tutela preventiva effettiva e immediata. Ne sono la riprova i dati Istat riferiti al 2014 nell’ambito dell’indagine sulla sicurezza delle donne, secondo cui gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner e anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex127. Un esempio che ci concede di esaminare le falle del sistema giuridico italiano nei confronti della tutela delle vittime di violenza domestica è il caso Talpis128, sottoposto al giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2017.

Il caso di specie ha come protagonista una donna, con cittadinanza moldava e rumena, che ha adito la Corte ai sensi dell’art. 34 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Il coniuge, dopo differenti episodi di aggressione e maltrattamenti, in stato di ubriachezza ma soprattutto dopo che nella stessa sera era stato sottoposto a due controlli da parte delle forze dell’ordine, il primo dei quali su richiesta della moglie, tenta l’omicidio della stessa e uccide il figlio che era intervenuto a difesa della propria madre.

127 Rapporto ISTAT “La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia”, disponibile su:

https://www.istat.it/it/archivio/161716

127 In particolare, in seguito alle violenze cui era stata sottoposta nei mesi di giugno e luglio, il 15 settembre 2012 la ricorrente sporge denuncia alle forze dell’ordine, denuncia che viene trasmessa alla Procura il 9 ottobre 2012. Si apre quindi un’inchiesta giudiziaria per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e minacce. Il 15 ottobre 2012 la procura dispone con urgenza che fossero intraprese le indagini e chiede alla polizia di verificare se vi fossero stati testimoni, compresa la figlia della donna. Nel frattempo la ricorrente riesce a trovare rifugio per tre mesi in un centro per le vittime di violenza, grazie ai finanziamenti elargiti dal comune di residenza (Udine), trascorsi i quali il comune decide di sospendere il soggiorno nell’alloggio protetto e la donna è costretta a tornare nella casa coniugale. L’audizione della parte avviene sette mesi dopo il deposito della denuncia e in questa circostanza la donna attenua le dichiarazioni fatte in precedenza, probabilmente a causa dei condizionamenti del soggetto maltrattante con il quale è tornata a coabitare per cause indipendenti dalla propria volontà.

Bisogna sottolineare che “coloro che subiscono atti di violenza domestica, a differenza delle vittime di altri atti criminali compiuti da terzi sono spesso portate ad attenuare il tenore delle accuse e a modificare la ricostruzione degli eventi, in ragione della loro peculiare condizione di vulnerabilità e soggezione psicologica. L’incoerenza indiziaria che ne risulta deve allora essere debitamente soppesata dalle autorità, sulle quali – a seconda delle circostanze del caso concreto – dovrebbe incombere un onere investigativo più intenso e un’attività d’indagine integrativa per fare luce sulla veridicità dei fatti, anche di quelli ritrattati”129. Alla luce delle dichiarazioni della ricorrente in sede di audizione viene archiviata la denuncia per la parte riguardante i maltrattamenti in famiglia e

129 BUSCEMI M., La protezione delle vittime di violenza domestica davanti alla Corte europea dei

diritti dell’uomo. Alcune osservazioni a margine del caso Talpis c. Italia, cit., in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2017, p. 14.

Consultabile su:

128 minacce, rimanendo in essere quella relativa alle lesioni personali. La notifica del rinvio a giudizio per il suddetto reato avviene pochi giorni prima del tentato omicidio della moglie e dell’omicidio del figlio, facendo presumere che sia stato proprio questo il motivo scatenante dell’aggressione e dell’omicidio130.

La Corte accoglie il ricorso della vittima, riconoscendo la violazione degli artt. 2 e 3, e dell’art. 14 in combinato disposto con i predetti articoli della CEDU.

In primo luogo la questione centrale da sciogliere riguardava l’esercizio da parte dello Stato della dovuta diligenza nell’adottare misure preventive idonee a tutelare la vita delle persone coinvolte. Naturalmente nel considerare le esigenze di protezione degli individui bisogna contemplare sia l’imprevedibilità del comportamento umano sia le risorse a disposizione delle autorità statali finalizzate a fronteggiare il fenomeno, al fine di evitare di imporgli un onere eccessivo. La Corte a tal proposito ha elaborato il c.d. test Osman, affermato nella sentenza Osman c. Regno Unito131,

secondo cui si imputa allo Stato la responsabilità per non aver tutelato la vita di un individuo qualora «le autorità sapessero o avrebbero dovuto sapere dell’esistenza di un rischio reale e immediato alla vita di un individuo determinato e non hanno fatto quello che potevano fare e quello che si può ragionevolmente aspettarsi da loro, per eliminare tale rischio»132. E’ interessante notare le due censure che la Corte muove nei confronti delle autorità italiane, perché inquadra il problema sotto un punto di vista pratico, più che normativo e evidenzia concretamente quali siano le falle del sistema italiano nella tutela delle vittime di violenza. Dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 si evince che gli ordinamenti nazionali non solo devono dotarsi di un piano di protezione da un punto di vista

130 NASCIMBENE B., Tutela dei diritti fondamentali e "violenza domestica". Gli obblighi dello Stato

secondo la Corte EDU., in La Legislazione penale, fasc. 6, 2018 , p.3.

131 Corte europea dei diritti umani, Grande Camera, Osman v. the United Kingdom, par. 115 e ss.

132

129 formale ma devono garantire la sua attuazione effettiva e in concreto. Ovviamente tra gli obblighi contemplati al fine di tutelare i diritti degli individui da parte dello Stato vi è anche quello di assicurare che le indagini si svolgano tempestivamente e in tempi ragionevoli, considerato anche che un intervento tardivo oltre a erodere le prove, genera una diffidenza del denunciante nei confronti delle autorità e prolunga la sua sofferenza.

La Corte quindi evidenzia l’indifferenza e la passività delle autorità giudiziarie e della polizia che hanno atteso sette mesi prima di ascoltare la ricorrente andando inevitabilmente a “privarla del beneficio di immediata protezione che la situazione richiedeva”.133 In secondo luogo sanziona il comportamento dell’autorità di polizia la sera dell’incidente durante la quale ha avuto ben due occasioni per prendere provvedimenti nei riguardi dell’uomo, la prima delle quali avvenuta in seguito a una sollecitazione della moglie impaurita dall’aggressività del marito.

La Corte asserisce che «sottovalutando, con la loro inerzia, la gravità della violenza in questione, le autorità italiane l’hanno sostanzialmente causata134».

E’ assolutamente privo di giustificazione e dagli effetti paradossali anche il ritardo del procedimento penale iniziato con una denuncia per lesioni personali nel 2012 e conclusosi il 1 ottobre del 2015, a distanza di tre anni dal compimento del fatto mentre nel frattempo l’uomo aveva commesso un omicidio e un tentato omicidio per i quali veniva condannato all’ergastolo il 1° gennaio del 2015 dal giudice per l’udienza preliminare di Udine.

Un’altra importante deduzione viene compiuta dalla Corte quando stabilisce la violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con gli articoli 2 e 3 della CEDU, in virtù del fatto che “le violenze subite

133 FOLLA N., Violenza domestica e di genere: la Corte EDU, per la prima volta, condanna l'Italia., in

Famiglia e diritto, fasc. 7, 2017, pp. 626 – 635.

130 dalla ricorrente, in quanto basate sulla sua identità femminile, sono da considerare una discriminazione di genere”135.

In generale la Corte registra un diffuso clima di tolleranza nei confronti della violenza di genere che si percepisce non solo dall’inerzia dei giudici nazionali e delle autorità di polizia ma anche dall’importante numero di donne uccise nel nostro paese, testimonianza di una radicata tendenza socio culturale a tollerare e addirittura sottostimare violenze di questo tipo. Da parte delle autorità si evidenzia una scarsa capacità di gestire prontamente le situazioni di violenza endofamiliare e di percepire la potenziale lesività di relazioni affettive distorte e aggressive, identificando erroneamente tali avvenimenti come “meri conflitti familiari”.

135FOLLA N., Violenza domestica e di genere: la Corte EDU, per la prima volta, condanna l'Italia., in

131

10. Le ripercussioni del disegno di legge n. 735 nei confronti delle