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Il disegno di legge n. 735, recante “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, si propone l’obiettivo di riequilibrare il ruolo e le responsabilità dei genitori nei confronti della prole in caso di separazione, in un’ottica di completa condivisione degli obblighi genitoriali. Come si legge all’interno della Relazione introduttiva del d.d.l.: “I criteri dettati dal contratto di governo sono sostanzialmente quattro: a)mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni; b)equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari; c)mantenimento in forma diretta senza automatismi; d)contrasto dell’alienazione genitoriale”.

Il disegno di legge, proprio in riferimento a questi punti, presenta lacune e incongruenze nei confronti dell’applicazione della normativa inerente al contrasto della violenza intrafamiliare e, oltre a rendere palese una mancata presa di coscienza di questo fenomeno, ribadisce la tendenza a sminuire le denunce delle donne vittime di abusi tra le mura domestiche. Innanzitutto, una prima osservazione sorge in virtù dell’art. 3, comma 3° ai sensi del quale: “L’esperimento della mediazione familiare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge” per instaurare il procedimento di separazione, sancendo di fatto l’obbligatorietà di questo istituto in tutti i casi, a prescindere che vi sia stata o meno violenza domestica. Si tratta quindi di una disposizione che contravviene all’art. 48 della Convenzione di Istanbul136, ai sensi del quale tale istituto è vietato espressamente nei casi di violenza intrafamiliare. La ragione di questo divieto si può rinvenire

136 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le

donne e della violenza domestica – Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, 11 maggio 2011, CM(2011) 49 final, CETS no. 210, nota come Convenzione di Instanbul)

132 all’interno della Convenzione stessa, secondo la quale “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”[…] “la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Inoltre, come affermato dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne137, l’utilizzo della mediazione obbligatoria, non solo comporta una dilazione dei tempi per accedere ai rimedi giurisdizionali, ma rende di fatto impossibile l’accesso diretto agli stessi anche in caso di emergenza o grave pregiudizio per i bambini; minerebbe anche il potere decisionale delle autorità giudiziarie che, ai sensi dell’art. 3, 9° comma, avrebbero solo 15 giorni di tempo per convalidare l’accordo raggiunto durante la mediazione e quindi svolgere le dovute indagini al fine di accertare una eventuale situazione di violenza domestica, un lasso di tempo abbastanza irrisorio tenendo conto di tutte le complessità che questi casi presentano.

Non si fa assolutamente menzione all’interno del disegno di legge degli eventuali strumenti a disposizione del mediatore nonché delle modalità o procedure da seguire, in caso rinvenga una situazione di violenza intrafamiliare. All’art. 2 si stabilisce che: “Nessuno degli atti o documenti del procedimento di mediazione familiare può essere prodotto dalle parti nei procedimenti giudiziali ad eccezione dell’accordo”, andando quindi a limitare la cognizione del giudice che dovrà omologare l’accordo. All’interno del testo di legge, agli articoli 5 e 13, si menziona poi la figura del coordinatore genitoriale che può essere consigliato dal giudice alle parti qualora si rifiutino

137 Dubravka Šimonović, Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences;

Ivana Radačić, Chair-Rapporteur of the Working Group on the issue of discrimination against women in law and in practice. Mandates of the Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences and the Working Group on the issue of discrimination against women in law and in practice, 22 ottobre 2018.

133 di esperire la mediazione o sia fallito un tentativo precedente di mediazione; gli oneri retributivi del coordinatore genitoriale vengono ripartiti tra i genitori nella misura del 50 percento, senza tenere conto assolutamente di eventuali disparità economiche all’interno della coppia e potendo diventare paradossalmente un mezzo tramite il quale esercitare violenza economica nei confronti della controparte economicamente svantaggiata. Senza considerare il fatto che anche in quest’occasione, in riferimento alla figura del coordinatore genitoriale, all’interno del testo del disegno di legge non si menziona assolutamente la violenza domestica e l’approccio che tale professionista dovrebbe utilizzare nel caso ne ravvisasse l’esistenza. Bisogna anche sottolineare che sono diversi gli studi che avvalorano la tesi secondo la quale la mediazione non farebbe altro che rinforzare la prevaricazione del maltrattante nei confronti della persona abusata, anzi sarebbe addirittura uno strumento ricercato e voluto dal soggetto abusante al fine di poter mantenere un filo conduttore con la vittima e continuare quindi ad esercitare una soggezione e un controllo nei suoi confronti, che altrimenti non potrebbe mantenere in sede di separazione processuale138. Un altro punto controverso riguarda l’art. 17 del presente disegno di legge e del concetto di alienazione parentale. L’art. 17 modifica l’art 342 bis del codice civile e stabilisce che “pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori” nel caso in cui il figlio minore manifesti rifiuto, alienazione o estraneazione nei confronti di uno di essi, “il giudice può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli articoli 342-ter e 342-quater” ossia: limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore e anche il «collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata».

138ROMITO P., Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori , Milano,

134 E’ imprescindibile chiarire che l’alienazione genitoriale non è una sindrome o una malattia, non ha alcuna rilevanza scientifica e pertanto non può essere iscritta nell’ambito delle patologie, così come ha sancito la Corte di cassazione nella sentenza n. 7041 del 2013139, tanto più che non è presente all’interno di nessuna delle classificazioni140 in uso. Si tratta di un’espressione meramente giuridica “per definire il processo psicoforense secondo cui un genitore utilizza il figlio per negargli il diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore”141.

Dalla lettera della norma si evince che il giudice può predisporre le misure ai sensi degli artt. 342-ter e 342-quater non solo nel caso sia evidente la condotta pregiudizievole di un genitore a danno dell’altro ma anche laddove il genitore non abbia posto in essere alcun atteggiamento ostativo nei confronti dell’altro genitore ma il figlio perseveri, per altre motivazioni, a non voler aver rapporti con il genitore. Calando questa disposizione nell’ambito della violenza domestica può emergere ad esempio la problematica riguardante la donna che manifesti timore ad incontrare il padre del figlio poiché vittima di violenza domestica, abusi cui il figlio può anche aver assistito senza esserne il diretto destinatario ma che possono aver generato in lui riluttanza ad avere contatti con il padre.

Si riprende il concetto di alienazione parentale anche all’art. 9 del d.d.l. menzionando il caso in cui il giudice rinvenga ipotesi di false accuse di abusi, violenze fisiche e psicologiche, per cui potrà valutare “prioritariamente una modifica dei provvedimenti di affidamento ovvero, nei casi più gravi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale del responsabile ed emette le necessarie misure di ripristino, restituzione o compensazione”.

139 Cass. Civ., sez. I, sentenza 20 marzo 2013 n. 7041.

140 ICD-10, ovvero International classification of diseases; DSM-IV, ovvero Diagnostic and statistical

manual of mental disorders.

141PINGITORE M., Cos’è l’alienazione parentale, cit.,2018, disponibile su:

135 Questa disposizione stigmatizza, addirittura in un provvedimento legislativo, l’idea che le donne maltrattate forniscano false denunce, andando a rafforzare una tendenza socio - culturale già fortemente radicata nel nostro paese, come sottolineato dalla Corte EDU142, volta a sottostimare i fenomeni di violenza familiare.

Le relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, in una lettera inviata al Governo, hanno espresso profonda preoccupazione circa la regressione del nostro paese nei confronti della parità di genere e delle vittime di violenza domestica cui può condurre l’applicazione di tale disegno di legge nel nostro ordinamento. Si leggono le seguenti parole: “The Decree would introduce provisions that could entail a serious retrogression fuelling gender inequality and gender based discrimination and depriving survivors of domestic violence of important protections”143.

Un’osservazione deve essere compiuta anche nei riguardi dell’art. 14 il quale sancisce che qualsiasi “trasferimento del minore non autorizzato in via preventiva da entrambi i genitori o dal giudice deve esser ritenuto contrario al suo superiore interesse e privo di ogni efficacia giuridica” e prosegue stabilendo che “è compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”. Di fatto si impedisce ad una donna e ad un bambino vittime di violenza domestica di interrompere la convivenza con il maltrattante e ad esempio trovare protezione in una casa rifugio, permettendo addirittura al soggetto abusante di ricorrere alle autorità di pubblica sicurezza al fine di ricondurre

142 V. par.9, Il caso Talpis: la condanna dell’Italia da parte della Corte dei diritti dell’uomo.

143 Mandates of the Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences and the

136 immediatamente il minore alla sua residenza, anche qualora questo comporti la sua reintroduzione in un contesto violento.

Un'altra constatazione deve essere compiuta nei confronti del disegno di legge n. 45, recante “Disposizioni in materia di tutela dei minori nell’ambito della famiglia e nei procedimenti di separazione personale dei coniugi”, il quale già nella relazione introduttiva ripropone il concetto fuorviante di alienazione genitoriale. Ai sensi dell’art. 3 si prevede una modifica dell’art 368 del c.p. in riferimento al reato di calunnia con l’introduzione della sospensione della potestà genitoriale se il reato è commesso da un genitore a danno dell’altro. Il fatto di prevedere una pena così incisiva nell’ambito familiare e non in altri contesti conduce ad interpretare questa modifica come un monito nei confronti di coloro che già adesso sono reticenti nello sporgere denuncia contro atti di violenza endofamiliare, una problematica che a quanto pare non solo si fatica a risolvere ma addirittura ad accettare come dato di fatto.

All’art. 5 si dispone la sostituzione integrale dell’art. 572 del codice penale sui “Maltrattamenti contro familiari o conviventi”. Ai sensi dell’art. 5, l’art. 572 c.p. si modifica in “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, eliminando quindi la figura del convivente, e si stabilisce che: “Chiunque us[i] sistematicamente violenza fisica o psichica nei confronti di una persona della famiglia o di un minore […] è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. La modifica è impercettibile ma dalle conseguenze disastrose, si introduce il requisito della sistematicità delle violenze, assolutamente non compatibile con le dinamiche di questa fattispecie, in cui si alternano fasi molto aggressive a fasi di riappacificazione e riavvicinamento144, come è stato descritto nelle pagine precedenti. Questo non può che condurre ad un onere della prova delle violenze più gravoso, oltre a non permettere la pronuncia di una condanna laddove manchi il requisito della sistematicità. Diminuiscono le pene edittali e si

137 introduce la possibilità di commutare la pena detentiva in lavori di pubblica utilità per quanto riguarda i casi di minore gravità.

Dal quadro delineato emerge un’ipotetica riforma legislativa che, sebbene da una parte si ponga come obiettivo primario la tutela del minore, dall’altra sembra assecondare credenze socio culturali e atteggiamenti di tolleranza nei confronti della violenza domestica, nonostante i moniti della Corte EDU.

138

Conclusioni

In definitiva quello che si evince sia dalle censure che la Corte ha rivolto all’Italia per quanto concerne il caso Talpis, sia dalla comparazione con il sistema normativo e socio assistenziale presente in un altro ordinamento, nello specifico quello inglese, è che l’Italia sul piano operativo sarebbe anche dotata di una legislazione ben congegnata. Un apparato normativo che nell’ultimo ventennio sta progredendo nella giusta direzione, ma che purtroppo manca di effettività e immediatezza. In questo panorama, l’inerzia delle forze dell’ordine e delle autorità giudiziarie e le eccessive lungaggini dei procedimenti penali si vanno a sommare ad una scarsa coesione e collaborazione delle stesse autorità con i servizi sociali. Un esempio chiarificatore è l’interruzione degli ausili economici da parte del comune nei confronti della signora Talpis, sovvenzioni che le permettevano di soggiornare in un luogo protetto e la cui mancanza la costringeva a tornare a casa del marito, in una situazione di vulnerabilità sottostimata sia dai servizi sociali che dalle autorità, probabilmente anche a causa di un’inefficiente collaborazione fra le due. Sulla scia del metodo MARAC, sono stati adottati prima il “Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” nel 2015 e poi il “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020”145. Le finalità del primo progetto sono molto ampie e riguardano interventi relativi ad una pluralità di ambiti: dall'educazione nelle scuole alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche attraverso un'adeguata informazione da parte dei media; dal potenziamento dei centri antiviolenza e del sostegno alle vittime al recupero degli autori dei reati; dalla raccolta di dati statistici alla formazione degli operatori di settore. Il secondo si articola in quattro obiettivi:

145 Camera dei Deputati, Servizio studi, XVIII Legislatura, Violenza contro le donne, 12 maggio

2018.

139 prevenzione, protezione e sostegno delle vittime e repressione dei reati.

E’ fondamentale l’incremento delle relazioni e della collaborazione fra le varie autorità presenti sul territorio, quali la polizia, i servizi sociali e sanitari e gli operatori dei centri antiviolenza e delle case rifugio, al fine di poter predisporre piani di tutela preventiva efficaci nei confronti dei soggetti a rischio e ricorrere alla giustizia penale solo come extrema ratio. In quest’ottica sarebbe opportuno ampliare la gamma dei soggetti legittimati ad adire la giustizia civile al fine di ottenere un ordine di protezione.

Si sottolinea l’importanza che riveste in questo settore la formazione di personale qualificato che sia in grado di approcciarsi nel modo più adeguato ed efficace a queste fattispecie di reati, considerando anche la volubilità delle vittime e i loro aspetti critici; promuovere programmi di sensibilizzazione nei confronti della società al fine di sradicare la tendenza a tollerare o addirittura sminuire questi accadimenti che costituiscono veri e propri reati compiuti tra le mura domestiche; incrementare il supporto statale finanziario nei confronti di quelle organizzazioni o associazioni che supportano le vittime di violenza domestica.

Lo stesso Comitato istituito dalla CEDAW, nell’ambito delle osservazioni conclusive al settimo rapporto periodico presentato dall’Italia sullo stato di attuazione della medesima Convenzione, ha sottolineato come la crisi economica e le conseguenti “politiche di austerità” che sono state applicate all’interno del nostro paese non possano andare ad interferire con le politiche sociali di sostegno delle donne in quanto soggetti vulnerabili146.

146 Il Comitato CEDAW osserva come «the financial and economic crisis and austerity

measures adopted by the State party in an effort to stabilize public finances have had a detrimental and disproportionate impact on women in all spheres of life due to cuts in public services mostly used by women for themselves or for persons under their care such as children and the elderly» e ricorda all’Italia che «even in a time of fiscal constraint and economic crisis, special efforts must be made to respect women’s rights, sustain and expand social investment and social protection and employ a gender-sensitive approach, according priority to women in vulnerable situations and avoiding retrogressive measures» (v.

140 E’ necessario scardinare la tendenza nella società a ritenere che gli episodi di violenza domestica siano meri conflitti familiari; il legislatore in primis e gli operatori del diritto sono chiamati a comprendere le particolarità che distinguono questa fattispecie dalle singole ipotesi di reato che possono integrarla. Primo fra tutti è il fatto che la violenza domestica coinvolga due o più soggetti che non sono estranei ma sono legati sentimentalmente, tra i quali intercorre un vincolo di fiducia e spesso anche di soggezione psicologica. E’ essenziale che le istituzioni prendano atto che proprio in virtù dei meccanismi che si instaurano nei contesti di violenza familiare la fine della relazione non è netta e si accompagna a una diffusa reticenza a denunciare o adire la giurisdizione civile.

Concluding observations on the seventh periodic report of Italy, UN Doc. CEDAW/C/ITA/CO/7, 21 luglio 2017, par. 9).

141

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