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Il cittadino soggetto non oggetto dei servizi non oggetto dei servizi

Un altro elemento fondamentale nella costruzione del Servizio sa-nitario nazionale dovrebbe essere – ed è fondamentale per Prezioso - quello della partecipazione. La partecipazione è, infatti, un elemento costitutivo della stessa gestione democratica dei servizi e rappresenta il momento in cui gli utenti, come singoli o organizzati nelle formazio-ni sociali, possono verificare e controllare la corrispondenza dei ser-vizi ai bisogni e il modo con il quale i serser-vizi vengono erogati, così da stimolare i responsabili - politici, amministratori, operatori - ad ade-guare continuamente le loro decisioni alle reali esigenze della gente.

Ma la partecipazione, dopo un periodo di grande popolarità, ha subi-to un grave contraccolpo: poco gradita ai responsabili dei servizi, agli stessi utenti sembra interessare poco, se ad essa non corrisponde qual che possibilità di decisione. E ciò avviene nonostante le dichiarazioni più solenni: “Gli uomini hanno il diritto e il dovere di partecipare individualmente e collettivamente alla pianificazione e all’attuazione delle misure di tutela sanitaria che sono loro destinate”; per non cita-re gli articoli. della legge n. 833 che si riferiscono in modo esplicito e impegnativo alla partecipazione. Partecipazione sia chiaro - rimarca- non significa assemblearismo: “Intendo per partecipazione – Preziosa riporta affermazioni di Achille Ardigò - le attività dei privati cittadini, singoli o associati, che intenzionalmente influenzano dall’esterno le condotte dei centri di decisione internazionali, nazionali e locali, della politica, dell’economia come dalle istituzioni socio-culturali connes-se”. Solo in tal modo il cittadino diventa soggetto e non oggetto dei servizi, protagonista della tutela della sua salute, secondo una conce-zione dell’educaconce-zione alla salute che anzitutto responsabilizza

l’uten-Un uomo prezioso

te e lo coinvolge nelle azioni a ciò necessarie.

Del resto dovrebbe essere ormai unanimemente riconosciuto che

“il ruolo dell’assistenza sanitaria di base con le regioni chiamate a svolgere la loro attività secondo il metodo della programmazione pluriennale e della più ampia partecipazione democratica, in armonia con le rispettive norme statutarie. A tal fine, nell’ambito dei program-mi regionali di sviluppo, devono predisporre piani sanitari regionali, previa consultazione degli enti locali, delle università presenti nel ter-ritorio regionale, delle organizzazioni maggiormente rappresentative delle forze sociali e degli operatori della sanità militare territorial-mente competenti” (art. 11, comma 3).

Secondo il professor Prezioso il Paese non può dare deleghe in bianco a nessuno: ha bisogno e ha il dovere di partecipare. Vuole esse-re consapevole delle proprie scelte e sta imparando a esercitaesse-re questo suo diritto, organizzandosi nel territorio: nella scuola, nelle strutture sanitarie e assistenziali, oltre che sul posto di lavoro e sul piano poli-tico. La partecipazione è, dunque, momento di consultazione, di pro-posta di controllo, di responsabilizzazione della persona e della co-munità su problemi concreti (l’handicappato, l’anziano, il “matto”...):

essa quindi suscita il volontariato nelle sue forme più varie e rafforza quel senso del dovere senza il quale nessuna società può dirsi ordina-ta e ben costituiordina-ta.

Riferendosi allo stato di attuazione della riforma, Antonio Prezioso annotava: “ Nel confrontare queste considerazioni con la realtà che ci sta dinanzi una domanda viene spontanea: a nove anni dalla legge n.

833 la politica sociosanitaria proposta dalla riforma può dirsi attua-ta? E se non è, o solo in modo insufficiente e parziale, perché? Non mette conto soffermarsi sull’ampia pubblicistica anti-riformista, che insiste sulle disfunzioni del sistema, disfunzioni che certamente non mancano, ma non sono generalizzate né sempre della stessa gravità.

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In questa pubblicistica giocano molti fattori: lo scandalismo a buon mercato, l’incapacità di valutare con mentalità aggiornata fatti e ini-ziative che rompono schemi tradizionali e scuotono vecchie pigrizie, per non parlare di vari interessi, più o meno radicati. Nei fatti, a dare scarsa funzionalità al Servizio sanitario concorrono piuttosto le ina-dempienze legislative già ricordate, la mancanza del Piano sanitario nazionale, la scarsità di risorse, la mancanza della riforma dell’assi-stenza, il mancato riordino del Ministero della Sanità, la separazione delle competenze in materia assistenziale. Se si tiene conto di questo quadro, appare chiaro. che l’attuazione del diritto alla salute non si pone in termini di “riforma della riforma” come viene sostenuto an-che da quel Ministero della Sanità an-che dovrebbe essere deputato ad attuare, non a sovvertire la riforma sanitaria; non si pone in termini di ingegneria istituzionale, come se bastasse modificare la costituzione delle Assemblee e dei Comitati di gestione per rafforzare l’efficien-za delle Ulss (la cosiddetta miniriforma -L. 15 gennaio 1986, n. 4 -ha dimostrato tutta la sua insufficienza, contribuendo anzi a esaspera-re la conflittualità tra i comitati di gestione e le Assemblee, le quali si ritrovano prive di qualsiasi potere, pur essendo ora costituite solo da consiglieri comunali); non si pone in termini di aziendalismo o di managerialità, perché il criterio dell’azienda ha già dato frutti ne-gativi al tempo degli enti ospedalieri e i manager, esperti in materia sanitaria, non risultano ancora disponibili sul “libero mercato”, nel quale, secondo le più recenti proposte, dovrebbero essere cercati; più che del manager o del “direttore generale” il governo della salute ha bisogno del coinvolgimento e della complementarità di molte e varie professionalità, di molte e varie esperienze e sensibilità, che devono incontrarsi e cooperare sia a livello tecnico (ufficio di direzione) sia a livello politico-amministrativo (comitato di gestione)”.

“Quelle dell’aziendalismo e della managerialità non sono esigenze

Un uomo prezioso

inaccettabili per principio; qualche dose di managerialità è probabil-mente necessaria per ottenere l’indispensabile efficienza dei servizi, che sono supportati anche da fattori di carattere organizzativo. Ma quello che si intende sottolineare è che nel rapporto tra costi e benefi-ci, la cui corrispondenza dovrebbe essere garantita dall’aziendalismo e dalla cosiddetta managerialità, ciò che riguarda i benefici - almeno nei servizi socio-sanitari - deve ottenere attenzione prevalente, poiché non si tratta di servizi con fini di profitto o di puro e semplice abbat-timento dei costi, ma di servizi i cui risultati devono essere valutati esclusivamente con il metro del “benessere fisico, psichico e sociale”

che si riesce a garantire alle persone. In questo quadro anche il pro-gettato “scorporo” delle Ulss degli ospedali più grandi, o multinazio-nali, non risolve il problema della gestione più efficiente del Servizio sanitario nazionale. Ridare autonomia agli ospedali, anche soltanto ai maggiori, significa potenziare il modello ospedaliero dell’intervento sanitario non solo per la rottura della concezione globale della tutela della salute (prevenzione, cura, riabilitazione) e del governo unitario di tutti i problemi che riguardano la salute (unità locale: un territorio, un governo), ma anche per il fatale assorbimento di risorse che è pro-prio di una struttura “forte” e radicata quale l’ospedale gestito come azienda o come ente autonomo”. Le esperienze passate e presenti do-vrebbero insegnare qualcosa!

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