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Il dibattito sulla Rivoluzione del 1789 in Inghilterra

La Rivoluzione si era aperta cercando di dare risposte alle domande che si era posto Sieyès nel suo opuscolo Qu’est ce que le Tiers Etat?94 (1789).

Ma questo scritto, e ciò rappresenta il punto più rilevante ai nostri fini, contiene anche un’analisi di alcuni tratti della costituzione inglese ed una critica di coloro che si rifanno a questo modello, divisi tra “i giovani (che) cercano di imitare” ed “i vecchi (che) sanno solo ripetere”95.

Scrive Seyès:

“La Costituzione britannica è, in se stessa, una buona Costituzione? E, ammesso, che lo fosse, sarebbe adatta per la Francia?

Temo che questo tanto vantato capolavoro non possa reggere ad un esame imparziale condotto secondo i princìpi del vero ordine politico.

Riconosceremmo, probabilmente, che esso è opera più del caso e delle circostanze che dei lumi”96.

L’intera architettura costituzionale inglese, pur rappresentando “un’opera straordinaria per l’epoca in cui è stata emanata” consiste solo in una serie di “precauzioni contro il disordine”97.

La data di nascita della Costituzione inglese è ben precisa ed è rappresentata dalla Gloriosa Rivoluzione.

Quanto sopra si deduce dal fatto che Sieyès pone dei dubbi su come la tradizione possa significare la miglior garanzia di libertà per un popolo.

Sieyès considera “errato essere favorevoli alla Costituzione britannica solo perché essa dura da cento anni e sembra dover durare ancora per dei secoli. Le istituzioni umane sussistono tutte a lungo, per cattive che siano”98.

Ma, per Sieyès, l’Inghilterra deve essere presa a modello, almeno sotto alcuni aspetti, poiché “ha una Costituzione, per imperfetta che sia, mentre noi non abbiamo nulla”99.

94

“Dobbiamo porci tre domande: 1. Che cosa è il terzo stato? Tutto.

2. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. 3. Che cosa chiede? Divenirvi qualche cosa.” (Sieyès, op. cit., 1)

95 Ivi, 49. 96

Ibidem. 97

Ivi, 50 per le ultime due citazioni. 98

E la forza della Costituzione inglese deve essere rintracciata in “una legge che vale più della stessa Costituzione” e in un’amministrazione della giustizia che, attraverso le giurie, protegge il cittadino dagli abusi del potere giudiziario100.

In conclusione Sieyès si dice certo che, trasposta in Francia la costituzione inglese, se ne riprodurrebbero di certo i difetti, ma non di sicuro i vantaggi101.

Con queste parole Sieyès pone l’accento su come la nascita di una nuova costituzione per la Francia debba recidere i legami con la tradizione, autoctona o inglese che sia.

Di certo può giovare l’ammirazione per alcuni aspetti della costituzione inglese, come le giurie, ma non si può, per Sieyès, guardare troppo indietro, se si vuole costruire una Francia rivoluzionaria, che veda nel 1789 l’inizio di un nuovo corso storico102.

Al contrario, non mancò un dibattito, in Inghilterra, sulla Rivoluzione francese.

Nel paese d’oltremanica la costituzione consuetudinaria aveva certo retto il passo con i tempi, ma doveva scontrarsi con i forti sconvolgimenti sociali apportati dalla Rivoluzione Industriale. Dal punto di vista politico appare significativo ricordare, in prima battuta, che negli anni della Rivoluzione francese si affermò, grazie al Governo di William Pitt il Giovane, un sistema parlamentare con limitazione del potere regio103.

Ma va anche ricordato che la stessa Inghilterra, guidata dal Governo di Pitt il Giovane, riportò con l’Austria e la Russia una gravissima sconfitta militare per opera di Napoleone, che sbaragliò la terza coalizione ad Austerlitz (2 dicembre 1805) nella c.d. Battaglia dei tre Imperatori.

Tale rovescio, nonostante la poco precedente vittoria navale di Trafalgar (21 Ottobre 1805), lasciò l’Inghilterra in preda ad una crisi interna e davanti ad un contesto continentale in cui Napoleone si presentava come l’effettivo padrone grazie alle sue truppe ed a sistemi di alleanze104.

Ma, come osservato, un’altra rivoluzione, quella industriale, agitava le piazze di Londra a partire dalla metà del Settecento.

99

Ibidem. 100

Ibidem, anche sul ruolo di garanzia esercitato dalle giurie. 101

Ivi, 52. 102

All’inizio della Rivoluzione non era mancato chi di pensiero politico moderata, come i monarchiens, rifacendosi al modello inglese, auspicava l’avvento di una riforma che introducesse un bicameralismo in un sistema costituzionale che in qualche modo prefigurava quello del 1814.

103

La stessa Inghilterra usciva dalla fase travagliata della Guerra d’Indipendenza delle tredici colonie americane, che, nel costituire l’ordinamento federale del 1787, si muoveranno sempre nell’ambito della costituzione inglese.

Del resto la stessa Rivoluzione americana nasceva dalla pretesa dei coloni di far valere anche nei loro confronti il principio per cui “nessuna tassazione senza rappresentanza”.

104

La vittoria a Trafalgar sventò di fatto ogni iniziativa futura francese volta ad invadere l’Inghilterra, ma la sconfitta ad Austerlitz assicurò, con la successiva pace stipulata con l’Austria il 26 Dicembre 1805 a Presburgo, l’influenza francese nei territori dell’ormai decaduto Sacro Romano Impero, che, per volere di Napoleone, dicerrà la Confederazione del Reno l’anno seguente.

Negli anni intorno al 1760 folle di contadini avevano riempito le piazze della capitale avanzando rivendicazioni in tema di rappresentatività che potevano sembrare eccessive anche ai democratici

levellers.

Tra i partecipanti alle manifestazioni si annoveravano le masse da poco inurbate, che nella città erano divenute la forza operaia salariata.

Né mancavano i contrasti dovuti alla diversità di credo religioso.

Nel 1780 si registrarono i Gordon Riots, moti popolari ancora animati da grida volte a negare i diritti politici, richiesti dai cattolici, ma anche dal motto rivoluzionario “no property”105.

E parallelamente comparvero anche le prime istanze di allargamento del suffragio maschile106, che dovranno però attendere la promulgazione del Reform Bill nel 1832.

La stessa Inghilterra, pur divisa tra Whig e Tories, proseguì il suo indirizzo politico liberale. Ma questo avvenne anche a scapito di una limitazione dei diritti dei singoli, in considerazione di una linea politica che non doveva dare segni di simpatia o di apertura nei confronti dell’ideologia rivoluzionaria francese e che non poteva permettere che quest’ultima si rafforzasse in

raggruppamenti di pensiero radicale sull’isola.

Nel 1794 venne addirittura sospeso l’Habeas Corpus, caposaldo della costituzione, anche per la sua importanza storica107.

Furono inoltre limitati i diritti degli stranieri e approvate pene severissime contro i partecipanti alle riunioni sediziose (1799); queste misure furono favorite dai contrasti interni ai Whigs, che portarono alla scissione di questo partito nel 1794.

Allo stesso tempo non può però dirsi che la politica di Pitt il Giovane fu prettamente conservatrice; questi poteva infatti definirsi un tory liberale, volto a preservare non i valori del suo partito, ma le basi condivise della stessa costituzione inglese.

E per questi suoi intenti non andrà certo esente da critiche.

La stampa più radicale lo definirà nel 1790 “il Robespierre inglese” per aver creato “a system of

massacre for opinion”108.

Di certo, come risposta immediata agli eventi rivoluzionari in Francia, risultano celebri le

Reflections on the Revolution (1790) di Edmund Burke (1729-1797), politico whig irlandese.

Burke non deve essere presentato come un austero bacchettone e un fiero difensore dei boni mores.

105

E. P. Thompson, The making of the English Working Class, Londra, 1963, 77.

106

Avanzate in particolare dalla Revolution Society, nata nel 1788 per celebrare i cento anni dei fatti del 1688-89.

107

Si trattava di una legge votata dal Parlamento inglese nel 1679 durante il regno di Carlo II e quindi antecedente allo stesso Bill della Gloriosa Rivoluzione; essa specificava le garanzie do libertà individuali già contenute nell’articolo 29 della Magna Charta e nella Petition del 1628.

108

Anzi, prima di staccarsi dai Whigs per le proprie vedute sulla Rivoluzione, egli portò avanti molte battaglie liberali; tra queste vanno ricordati il favore per le rivendicazioni delle tredici colonie e l’auspicata tolleranza per i cattolici irlandesi.

Ma andiamo con ordine: il 4 novembre 1789 la Revolution Society di Londra si riuniva per commemorare la Gloriosa Rivoluzione e Richard Price, contro il quale Burke scrive le sue

Reflections, elogia il popolo francese insorto poco meno di quattro mesi prima.

La ribellione del popolo parigino è per il radicale Price un fatto che non deve suscitare scalpore, poiché, -continua-

“ si mostri agli uomini che sono uomini, ed essi agiranno come tali, li si illumini e si eleveranno, si diano giuste idee sul governo dicendo che è solo strumentale ad ottenere protezione contro i soprusi e difesa per i propri diritti, e sarà impossibile per loro sottomettersi a governi che (…) usurpino tali diritti e siano poco più di espedienti tesi all’oppressione dei pochi sui molti”109.

Il radicalismo di Price, che nel passo riportato si rifà ad un vago populismo, era stato preceduto dal suo schierarsi in favore della libertà delle tredici colonie110.

Ma vi furono soprattutto molti moderati che accettarono di buon grado di ricevere critiche per un loro accostarsi alle aspirazioni politiche della rivoluzione.

Di sé scriveva infatti Thomas Hardy:

“Adotto il termine di giacobino senza esitazione perché è stato impresso su di me come uno stigma dai nostri nemici (…) perché, per quanto io aborra la ferocia sanguinaria dei recenti giacobini in Francia, tuttavia i loro principi sono più consoni alle mie idee di ragione, e di natura dell’uomo (…) io uso il termine giacobinismo semplicemente per indicare un largo ed ampio sistema di riforme (…)”111.

Giacobino assumeva dunque un significato politico spregiativo, come si può intuire dal titolo della testata settimanale Anti-Jacobin.

Ma è proprio il radicalismo ispirato alla Francia rivoluzionaria, capeggiato da Price, che Burke vorrà combattere, ricevendo consensi che potremmo definire bipartisan.

109

Come riportato da L. M. Crisafulli Jones (a cura di), La Rivoluzione francese in Inghilterra, Napoli, 1990, 16; il corsivo è dell’autore.

Per la versione originale del passo si veda R. Price, Discourse on the Love of our Country, Londra, 1789, 12-13.

110

Observation on Civil Liberty (1776). 111

Si può affermare, in un quadro più generale, che con Burke il confronto tra le due esperienze costituzionali diventa un vero e proprio scontro, anticipando le contrapposizioni politiche tra Francia e Stati assoluti continentali, capeggiati però dalla liberale Inghilterra.

Le parole di Burke non lasciano spazio ad equivoci.

“Siamo in guerra con un sistema che per sua natura è nemico di ogni altro governo (…). È con una

dottrina armata che siamo in guerra. Essa ha, per sua stessa natura, una fazione di opinione, e

d’interesse, e d’entusiasmo in ogni paese. Per noi è un Colosso che sta a cavalcioni sul nostro Canale, La Manica, ha un piede su una spiaggia straniera, e l’altro sul suolo britannico. Così avvantaggiato, se può affatto esistere, può infine prevalere”112.

E da parte francese la Rivoluzione non intende certo esaurirsi in un fatto interno.

Infatti si comprende della Rivoluzione tutta la forza espansiva allorché la Convenzione, nel Novembre 1792, chiama tutti i popoli oppressi ad unirsi ed a lottare contro i tiranni nella

Dichiarazione di fratellanza e di assistenza.

Ed è proprio questa aspirazione sovranazionale della Francia che più intimorisce Burke.

Egli, proprio negli ultimi anni di vita vedrà realizzati i suoi timori con la nascita delle repubbliche giacobine, sorelle “minori” della Francia della controrivoluzione e destinate a divenire futuri dipartimenti dell’impero napoleonico.

Ma la spinta a scrivere le sue Reflections viene da un fatto, che potrebbe sembrarci insignificante. Infatti, come accennato, Burke scrive il testo in questione in risposta alla riunione della Revolution

Society, tenutasi, come ricordato il 4 Novembre del 1789, nel corso della quale venne salutata con

favore, e in particolar modo da Price, la marcia del popolo parigino su Versailles tenutasi il 5 e il 6 del mese precedente.

Questo evento, al pari della nazionalizzazione dei beni ecclesiastici (in agosto), sarà al centro della sua analisi, mentre accadimenti fondamentali come la presa della Bastiglia e l’abolizione di diritti feudali (4 Agosto), saranno appena menzionati.

Almeno all’inizio le Reflections vanno dunque intese non come attacco diretto delle idee rivoluzionarie, ma come condanna della loro trasposizione in Inghiletrra.

Ma presentare Burke come un filosofo reazionario sarebbe un errore; crede certo nella tradizione, pur non trattandosi di una fede cieca, ed al contempo ha parole assai critiche nei confronti

dell’astratta metafisica politica rivoluzionaria.

112

“Introduzione” to Reflections on the Revolution in France (1790), ed. by C.C. O’ Brien, Penguin (a cura di), Harmondsworth, 1696, 61.

Questa astrazione tende all’universalizzazione delle conquiste della Rivoluzione e si estende a tutti i popoli oppressi113, come è chiaro anche nella Dichiarazione del 1789, che Burke attacca con fermo sarcasmo.

Burke esalta il particolare, le differenze di luogo, di tempo, di esperienze e di persone, che si ricollegano ciascuna a precipui usi e stili di vita.

Per Burke lo stato di natura rappresenta un’evoluzione dello stato civile, secondo un contrattualismo che si distacca da Rousseau114.

Lo stato di natura legittima in tal modo una naturale disuguaglianza sul piano politico, nel quale solo alcuni soggetti sono chiamati a discutere i pubblici affari, pur avendo tutti gli individui diritto a che il governo della res publica sia correttamente condotto.

Ma, punto fondante, Burke si concentra più sui doveri concreti del singolo che sui diritti astratti ed universali.

È questa la sua significativa risposta alla Dichiarazione del 1789.

E, sul punto, richiama i doveri derivanti dal matrimonio e dall’osservanza di un credo religioso. E con tale complesso di doveri bilancia una serie di libertà per contrastare quella libertà

rivoluzionaria universale e astratta.

La tradizione contiene le stesse radici delle libertà, che sono le più varie in considerazione della diversità di popoli, luoghi, costumi e corsi storici; quest’ultimi sono retti non dalla ragione, ma dalla Provvidenza115.

E, sempre per Burke, proprio questa Provvidenza può anche punire, giacché sostiene che tale nume abbia mandato la Rivoluzione come un nuovo diluvio universale dovuto alle colpe degli uomini. Altro punto di rilievo delle Reflections consiste nel ruolo della borghesia.

In Inghilterra tale ceto, e specialmente la parte dedita alle attività mercantili, stava emergendo nella Rivoluzione industriale, per consolidarsi in modo definitivo in epoca vittoriana.

Nella Francia Burke non può ancora vedere una controrivoluzione borghese, poiché i tempi non sono ancora maturi ed il radicalismo democratico di stampo giacobino si mostra presente. Burke piuttosto fa rientrare la borghesia in una più ampia “lobby finanziaria”, che favorisce la Rivoluzione solo in una direzione ad essa stessa favorevole116.

113

V. la ora cit. Dichiarazione di fratellanza e di assistenza.

114

Ma non è certo intenzione di Burke fissare una nuova tappa del costituzionalismo moderno; il suo contrattualismo è aspetto appena accennato nel pensiero politico del filosofo (e solo ai fini di spiegare una naturale disuguaglianza tra gli uomini).

115

Da intendersi però solo in senso di “ordine sovrannaturale” e non legata a un qualche particolare credo religioso.

116

La stessa Rivoluzione, per Burke, nasce dalla confisca dei beni ecclesiastici a garanzia del prestito pubblico contratto dallo Stato con creditori privati, tra i quali si annoveravano molti esponenti della suddetta “lobby finanziaria”.

E altri sovvertitori erano, per Burke, quei letterati, che formatasi nelle accademie fondate da Luigi XIV117, avevano fatto della Enciclopedia il simbolo del loro pensiero volto a minare le stessi basi della religione cristiana e, di conseguenza, il monopolio culturale del clero.

Questi pensatori, che caratterizzeranno il nascente Illuminismo e la citata lobby, avevano gettato le basi di una Rivoluzione fortemente elitaria.

Una Rivoluzione francese che, secondo Burke, si era trasformata in una dittatura degli organi di potere di Parigi, e in particolar modo dell’Assemblea (dove tutto si decideva e si pretendeva di eseguire), nei confronti del resto del paese.

Il testo di Burke, whig legato alla tradizione, non tardò a diventare il credo controrivoluzionario negli ambienti conservatori.

Lo stile di Burke non è retorico; egli dimostra di muoversi con un preciso spirito empirico.

Il suo successo fu dovuto anche all’idea che l’Inghilterra non fosse in guerra come con un qualsiasi Stato dell’Europa continentale, ma contro un movimento, una nuova fede politica, che stava

travalicando i confini nazionali in considerazione della sua aspirazione cosmopolita.

Ma non è mai un Burke reazionario; sa insorgere con uguale veemenza contro l’onnipotente, e soprattutto in seguito costituente, Assemblea Nazionale e la politica di Giorgio III, quest’ultima accentratrice nei confronti delle tredici colonie.

L’accoglimento delle idee rivoluzionarie si vede anche in un altro avversario di Burke, Thomas Paine (1737-1809), scrittore inglese quacchero che indirizzò il suo The Rights of Man (1791-92) in risposta alle Reflections118.

Sul punto appare necessario anche solo accennare alla posizione di Paine, che aveva abbracciato la causa della libertà delle tredici colonie, rifiutando il modello inglese e che,al contempo, non celerà la sua delusione per la controrivoluzione in Francia durante gli ultimi anni della sua vita.

Paine non risparmia critiche a Burke, biasimandone anche lo stile in prosa.

A ben vedere, però, nelle sue Reflections ritroviamo solo perfettamente trasposto il suo ardore di oratore, che non mancava di una certa teatralità.

A riguardo un aneddoto singolare è riportato nelle cronache parlamentari; questo episodio ci fa comprendere a fondo il suo stile, che si può conoscere meglio attraverso le parole che per mezzo della penna.

117

E di cui la Corona aveva poco a poco perso il controllo culturale.

118

Paine si rifugiò in Francia per evitare di essere arrestato a seguito della pubblicazione del suo scritto, che ebbe la tiratura di un milione e mezzo di copie.

In Francia fu eletto alla Convenzione e votò in favore dell’esilio di Luigi XVI.

Attiratosi le ire politiche dei Montagnardi, fu arrestato sotto il Terrore e riparò negli Stati Uniti nel 1802, per la cui indipendenza Paine si era in precedenza battuto.

Discutendo l’Alien Bill, le Camere dibattono sull’eventulaità di concludere un’alleanza con la Francia.

L’intervento di Burke ai Commons non potette essere più deciso.

“A questo punto Mr. Burke tirò fuori un pugnale che aveva fino allora tenuto nascosto e, con molto impeto, lo lanciò in mezzo all’aula. “Questo, egli disse poi indicando il pugnale, è quello che noi otterremo da una allenaza con la Francia”. Quindi egli discese fino là, raccolse il pugnale e lo sollevò alla pubblica vista. “È mio obbiettivo, egli disse, tenere lontana l’infezione francese da questo paese: tenere lontani i loro principi dalla nostra mente, e i loro pugnali dal nostro cuore”119.

Esaurito l’esame degli attacchi di Paine, volgiamoci, in conclusione, al contributo politico Burke; questi difende dunque la costituzione consuetudinaria inglese.

In tal senso avverte l’esigenza che il potere legislativo e quello esecutivo, pur separati, siano legati da una stessa linea politica e che la Camera bassa sia al centro della vita politica per il suo carattere rappresentativo.

In una parola ecco in Burke i punti salienti della forma di governo parlamentare, che va inteso in direzione della prevalenza dell’organo Cabinet.

Cadute le prerogative regie, il Parlamento diventa luogo di dialettica di partiti intesi in senso moderno120.

Lo stesso Parlamento, culla dell’equilibrio della costituzione mista, va in tal modo aumentando il proprio peso politico in un equilibrio che lo vede di fronte non più alla Corona, ma al Governo. In tale contesto Burke dà certo il suo contributo nel gettare i semi di un regime politico, in un tempo di crisi della forma di governo parlamentare, che si stabilizzerà sotto il lungo regno vittoriano. Ma al tempo delle Reflections l’obbiettivo primo è quello di evitare l’influenza e l’invasione di nuovi diritti proclamati dalla Rivoluzione.

Ed ancora il tono si presenta molto acceso.

119

Parliamentary History, XXX, December 1793, come riportato da Crisafulli Jones, op. cit., 74. 120

V. Thougts on the cause of the presents discontens (1770); scrive Matteucci, Organizzazione. cit., 121: “Burke è il primo a far compiere una radicale svolta al costituzionalismo inglese, e tutta la sua nuova costituzione si appoggia sulla scoperta, con David Hume, della funzione del partito politico, che consente di avere un legame con i sentimenti e le opinioni di un popolo, e alla rivalutazione della funzione esecutiva, del momento “squisitamente” politico del governo. Egli distingue il partito dalla fazione: se il primo è un gruppo di uomini unito per promuovere, attraverso tentativi,