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Illuminismo e Ilustración nel Settecento: constitución histórica,

costituzionalismo inglese e costituzionalismo francese. Anno 1808, la fine dell’antico regime; vuoti di sovranità; una Corona senza re; la crisi della sovranità medievale; le rinunce di Bayona e la costituzione del 1808

Il diffuso malessere dovuto alla politica di Godoy che, sul piano internazionale, aveva portato la Spagna ad essere una pedina francese già prima dell’invasione del 1808, doveva sommarsi allo scontento della borghesia, che aveva visto interrompere il ciclo di riforme ilustradas a favore del ceto nobiliare e del clero, che si mostravano assai legati ai loro privilegi, anche se quest’ultimi due

estamientos risultavano di fatto estromessi dagli affari di governo in ragione della politica

personalistica di Godoy.

E si può allora comprendere come i due suddetti estamientos non si mostrassero più come i più decisi e fermi alleati della monarchia borbonica; Godoy, il Primo Ministro di Carlo IV, conduceva, negli anni antecedenti il 1808, una politica di stampo personalistico in contrasto con la tradizione

pactista, che non doveva considerarsi ancora superata dai tentativi di rafforzamento dello stato

assoluto.

Carlo IV, da parte sua, ebbe dunque il demerito di legittimare ogni iniziativa di Godoy e, in tal senso, di “scoprire politicamente la corona”; in tal senso si spiega la già ricordata rivolta di Arajunez (sede della residenza di Godoy), avvenuta il 18 marzo 1808, evento che portò, il giorno dopo, all’abdicazione di Carlo IV in favore di Ferdinando VII, el deseado, che regnerà, per la prima volta, fino agli inizi del maggio seguente.

Evento scatenante per la caduta del re fu rappresentato dall’intenzione dello stesso di fuggire in Messico; tale decisione fu sostenuta da Godoy nel momento in cui apparivano chiare le mire espansionistiche napoleoniche volte a fagocitare l’alleata Spagna.

La Monarchia spagnola, come già avvenuto per Luigi XVI poco meno di vent’anni prima, tramontava in un disperato tentativo di fuga.

La crisi della Monarchia non si sarebbe risolta con un semplice cambio della persona del re; si apriva per la Spagna, in quel difficile 1808, l’epoca contemporanea213: questa nazione, allo stesso tempo, conosceva all’improvviso il mondo moderno.

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M. Friera Álvarez e I. Fernández Sarasola, Contexto histórico de la Constitución española de 1812, in http://www.cervantesvirtual.com/portal/1812/contexto2.shtml#6_3 (par.3).

E ciò avviene quando già la Francia era passata da paese guida della Rivoluzione a potenza dominatrice dell’Europa, in nome dell’autoritarismo napoleonico.

Il primo regno di Fernando VII appare a dir poco tribolato; Godoy, pur avversato dallo stesso Ferdinando VII, aveva rappresentato fino al 1808 un potere che, pur autoritario, aveva tentato di celare le falle della Monarchia borbonica.

Godoy aveva nelle proprie mani il vero centro decisionale della Monarchia ed i poteri della Corona sotto Carlo IV apparivano essenzialmente svuotati; in tal senso si spiega l’abdicazione di Carlo IV dopo la sollevazione popolare contro Godoy a Arajunez, accadimento che si potrebbe pAragonare, per la sua importanza e le circostanze, al moto del popolo parigino che portò alla presa della Bastiglia (14 luglio 1789), data in cui si dà inizio alla Rivoluzione, ma anche ad una nuova epoca. Godoy, vero “bersaglio” dell’insurrezione di Aranjuez, era riuscito, fino a quel momento, a farsi schermo della Corona per favorire la propria politica personalistica; emblematica è la “questione de

El Escorial”214 (1807), in cui il futuro Ferdinando VII, venne accusato di cospirazione contro la coppia reale, Carlo IV e Maria Luisa di Parma: in realtà il principe delle Asturie era accusato di aver tentato di rovesciare Godoy, che aveva portato la Spagna ad diventare uno stato satellite della Francia.

Ma soffermiamoci su alcuni aspetti giuridici dell’abdicazione di Aranujez.

E, a riguardo, alcuni dubbi possono sollevarsi circa la regolarità dell’abdicazione di Carlo IV a Aranujez; questa avvenne senza convocare le Cortes o informare le istituzioni più importanti del regno: la rottura con le leggi fondamentali iniziava da subito ad essere profonda.

Le Cortes venivano tradizionalmente convocate nel momento in cui avveniva la salita al trono di un nuovo re, perché quest’ultimo giurasse davanti ai delegati degli estamientos: di certo una

convocazione delle Cortes in quel contesto poteva apparire problematica, poiché necessitas non

habet legem.

Inoltre l’abdicazione da parte Carlo IV appare mossa dal desiderio di salvare la propria vita, ma, al contempo, anche di quella di Godoy, che seguirà in esilio la coppia reale, e quindi può affermarsi che tale atto era mosso da motivazioni di carattere strettamente personale: in una parola la fedeltà alla Corona era venuta a mancare da parte dello stesso re.

E l’abdicazione di Carlo IV non poteva dunque dirsi libera, ma viziata nel suo processo decisionale; in una parola ci si può domandare se l’assolutismo regio della Monarchia borbonica potesse

legittimare una tale abdicazione, in contrasto con le leggi fondamentali del regno che si ritrovavano negli “usos y pràcticas antiguos de España”.

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Il contrasto tra la costituzione medievale e quella settecentesca, incentrato sul dispotismo

illuminato, appare evidente; tali considerazioni non si mostrano fine a sé stesse, ma verranno riprese con le successive abdicazioni di Bayona.

E ci si chiede fino a che punto l’assolutismo regio potesse modificare le leggi fondamentali e, nel caso concreto, la ley fundamental sulla successione al trono potesse essere considerata “superata”; per meglio dire va ricordato che, aderendo ad una concezione pienamente patrimonialista del regno, quale res nelle mani del principe, quest’ultimo avrebbe potuto disporre liberamente del trono a prescindere quindi del consenso o dell’autorevole parere delle Cortes.

Ma andiamo con ordine: va ricordato come anche i teorici dell’assolutismo francese avessero posto dei limiti significativi allo stesso potere regio.

E se già per Bodin, come ricordato, il principe diventa sovrano, quest’ultimo non può servirsi di tale sovranità per mutare le leggi fondamentali del regno.

La concezione medievale della costituzione mista si eleva come limite per l’assolutismo di Bodin, ma ancor di più per il comune sentire nella Spagna del Settecento e dell’inizio del secolo XIX; in quest’ultimo contesto le personalità ilustradas si presentavano assai lontane dall’optare per un deciso e fermo distacco dalla costituzione storica spagnola.

Si chiede dunque Sánchez-Arcilla Bernal 215 se era necessario l’assenso delle Cortes per porre in essere un atto di tale gravità e se, di conseguenza, Carlo IV avrebbe potuto legittimamente abdicare solo una volta convocati i rappresentati degli estamientos.

L’A. dà una risposta negativa se si ipotizza una sovranità in capo a Carlo IV che avesse la sua fonte nel diritto divino, per cui Carlo IV avrebbe dovuto rendere conto del suo operato solo a Dio:

chiaramente la sacralità del potere regio, ereditata dal medioevo, aveva contribuito a rafforzare il nuovo assolutismo regio.

Diversamente, secondo un’idea più diffusa a quel tempo in Spagna, la tradizione pactista

prescriveva un potere regio solo in via mediata legittimato dal diritto divino, dal momento che la stessa autorità trovava radici in un patto.

Ad ogni buon conto, pur soprassedendo sulla mancata convocazione delle Cortes, dal momento che

necessitas non habet legem, l’abdicazione di Carlo IV, si ripete, non si mostra libera poiché fu

condizionata dal confuso contesto dovuto all’insurrezione di Aranjuez.

In considerazione di questo evento Ferdinando VII, fatto arrestare l’acerrimo nemico Godoy, appare il vincitore della rivolta di Aranujez; e, pur trovandosi non pronto di fronte all’abdicazione del padre, si appresta ad entrare a Madrid da re.

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La città viene a sapere dell’abdicazione di Carlo nel primo pomeriggio del 20 marzo, dopo che la decisione di Carlo IV venne comunicata ai Secretarios del despacho e al Consejo de Castilla, che, per l’appunto, avevano il compito di provvede, a rendere pubblica tale abdicazione.

Ferdinando VII entra a Madrid accompagnato da un corteo che si snoda per ore lungo le vie della città, tra il tripudio della folla che aveva parteggiato per el deseado, arrivando a attaccare, con violenza e parole, Carlo IV a Aranujez.

Il giorno prima dell’arrivo di Ferdinando VII a Madrid vi fa ingresso Carlo IV tra l’indifferenza; Murat mostra di considerare Carlo IV ancora come il legittimo re dal momento che nè Murat, nè l’ambasciatore Francesco Beauharnais, zio del più famoso Eugenio, si presentarono al cospetto di Ferdinando VII, presumibilmente perché aspettavano che Napoleone riconoscesse il nuovo re; da parte sua Ferdinando VII, come accennato, si presentava sicuramente impreparato per un compito, quello di re, che era gravato all’improvviso sulle sue spalle, in un contesto politico internazionale assai peraltro difficile, dovuto ai non chiari ed equivoci rapporti di Godoy con la Francia, prima repubblicana e poi imperiale.

Il nuovo re non sapeva nascondere a sé stesso che la sua successione al trono era avvenuta senza alcune formalità, che, anche a considerarle vuote di peso politico, rappresentavano pur sempre l’ossequio alla tradizione storica del proprio paese.

Da ultimo, circa l’abdicazione di Carlo IV, può sembrare sconcertante il laconico decreto con cui il sovrano abdica in favore del figlio, soprattutto perché contiene motivazioni di carattere personale (tra cui non vi è alcun riferimento alla rivolta di Aranjuez).

Tale decisione viene infatti presa, afferma Carlo IV nel Real Decreto del 19 marzo,

“como los achaques de que adolezco no me permiten soportar por más tiempo el grave peso del

gobierno de mi Reino y me sea preciso para reparar mi salud gozar en un clima mas templado de la tranquilidad de la vida privada (…)”216.

Con queste parole lascia il potere l’ultimo re dell’antico regime in Spagna; Ferdinando VII, salito al trono, si dirige, come ricordato, a Madrid, senza non prima aver mandato una ambasceria a

Napoleone per annunciare quanto avvenuto a Aranjuez.

Ferdinando VII faceva molto affidamento sull’alleanza con l’Imperatore dei Francesi, che tuttavia aveva già delineato la sorte della Spagna; da parte sua il nuovo re di Spagna considerava con grande favore la restaurazione di una monarchia che sarebbe potuta tornare in auge e non avrebbe dovuto più coesistere con la figura ingombrante di Godoy.

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Almeno così pareva; le discordie all’interno della famiglia reale giocarono senz’altro un ruolo importante in favore di Napoleone.

Questi ricevette diverse lettere nelle quali Carlo IV accusava il figlio di averlo detronizzato e di averlo obbligato, con le armi, all’abdicazione; nello stesso senso si esprimeva la regina Maria Luisa in una lettera inviata a Murat217.

Questi, da parte sua, aspirava ad una “promozione” dal campo di battaglia al trono: tanto che, raccolte le truppe di Moncey e Dupont, entrò a Madrid senza informarne Napoleone: le sue speranze furono vane data la tiepida accoglienza dei madrileni.

Allo stesso tempo Godoy sperava in un ritorno al potere grazie all’alleanza stipulata con la Francia in occasione del Trattato di Fontainebleau del 1807; vero arbitro di tale lotta sarebbe stato

Napoleone, deciso a risolvere il problema successorio.

Dapprima Napoleone diede un deciso freno alle ambizioni di Murat, al quale rimproverò la scelta di occupare Madrid con le truppe senza il suo consenso: tale decisione accrebbe infatti il favore

popolare per el deseado Ferdinando VII, che rappresentava allo stesso tempo l’uomo che aveva posto fine ai lunghi anni di politica dispotica di Godoy, avallata dai sovrani regnanti.

In seguito Napoleone inviò a Madrid il generale Savary, già aiutante in campo di Bonaparte, perché portasse la notizia a Ferdinando VII che l’Imperatore voleva incontrare il nuovo re per stabilire congiuntamente le sorti politiche del regno iberico; l’alleanza sarebbe stata rinforzata con il matrimonio di Ferdinando VII con una nipote di Napoleone, figlia del fratello Luciano. Prima di partire il 10 aprile, in compagnia di Savary, per incontrare Napoleone a Bayona, Ferdinando VII delegò i propri poteri ad una Junta Suprema de Gobierno presieduta dallo zio, l’infante Antonio: l’organo era composto da cinque ministri ovvero da Cervallos (Estado), Gil de Lemos (Marina), Azanda (Hacienda), O’Farril (Guerra) e Piñuela (Gracia y Justicia).

Alla Junta spettava di governare in nome del re e nell’assenza di questi; la competenza si estendeva ad ogni affare, anche urgente, come riportato dalla Gaceta Extraordinaria de Madrid del 9 aprile. Tutti i membri della Junta in seguito saranno ministri di Giuseppe Bonaparte, eccezion fatta per Gil de Lemos; l’età media è elevata per l’epoca (sessantasei anni), e tutti i componenti della Junta, eccezion fatta per il già citato Gil de Lemos, avevano seguito la carriera militare prima di essere chiamati a uffici civili.

Sulla Junta gravava essenzialmente l’arduo compito di preservare i diritti al trono di Ferdinando VII, di mantenere la sicurezza interna e, infine, di intrattenere con la Francia relazioni cordiali, nonostante si stesse profilando di fatto un’occupazione di Madrid da parte delle truppe di Murat.

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Il Consejo de Castilla continuava comunque a funzionare ed a interagire con la Junta, anche se più spesso il primo si limitava ad eseguire fedelmente gli ordini ricevuti della Junta.

La situazione andava complicandosi: il 16 aprile Murat comunicò a O’Farril quanto ordinatogli da Napoleone ovvero di riconoscere come unico legittimo sovrano Carlo IV.

Il giorno seguente Carlo IV comunicò alla Junta la nullità della sua abdicazione.

Subito dopo la Junta inizia a mostrare i primi segni di disorientamento politico, richiedendo istruzioni a Ferdinando VII su vari punti: una di queste riguardava la possibilità della sostituzione dei componenti della Junta e che la stessa operasse fuori da Madrid nel momento in cui rischiasse di essere sottoposta a influenze esterne; la seconda la linea da adottare circa un conflitto che appariva ormai imminente con la Francia; il terzo se dovesse essere permesso una volta di più l’ingresso delle truppe napoleoniche nella capitale; da ultimo l’opportunità che il re convocasse le

Cortes, come da tradizione, poiché gravi problematiche interessavano la vita stessa del regno218. Ferdinando VII rispose in modo generico autorizzando, ogni azione che si presentasse “al servicio

del rey e del reino”, e riconfermando il potere della Junta, il quale si mostrava amplissimo.

Di fronte all’incalzare di Murat la Junta de Gobierno si riunì nella notte del 30 aprile per affrontare il dilemma se piegarsi alle ormai chiare mire espansionistiche o organizzare una resistenza armata; la Junta, che aveva convocato per l’occasione alti rappresentanti di varie istituzioni, quali il Consejo

de Indias e gli Ordenes, sedette in sessione permanente.

Il vuoto di potere inizia dunque a farsi sentire in assenza di Ferdinando VII; l’emergenza, con le sue regole politiche, e poco giuridiche, appare ormai la normalità durante il primo regno di Ferdinando VII, che confida nell’alleanza con Napoleone.

La sua legittimazione al trono, già dubbia in seguito all’abdicazione di Aranjuez, inizia a vacillare in modo significativo; questo avviene, in particolar modo, nel momento in cui la Junta de Gobierno opta per la strada della resistenza ai Francesi e nomina un comitato di sei membri con pieni poteri nel caso di impossibiltà della Junta di esercitare le proprie funzioni.

La posizione di Ferdinando VII appare dunque fortemente indebolita con questa delega di “funzioni” sovrane: tuttavia la realtà poteva apparire già un’altra.

Non mancarono infatti accuse di collaborazionismo rivolte ad alcuni membri della Junta che agivano sotto pressione di Murat, che appariva assai evidenti e soprattutto nelle richieste di un trattamento di riabilitazione nei confronti dell’ex favorito Godoy, caduto in disgrazia dopo la rivolta del 17 marzo.

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Va però osservato come Junta de Gobierno giammai pose in dubbio la legittimità del potere di Ferdinando VII; sollevata la questione, dietro richiesta di Murat, l’organo collegiale si limitò solo a sottolineare come tale questione potesse essere sollevata solo da Carlo IV.

La situazione sarebbe stata però destinata a chiarirsi in modo netto nei primi giorni di maggio; i protagonisti di questa confusa scena politica erano ormai pronti a svelare le loro carte.

I tempi apparivano ormai maturi, dal momento che ormai più di venticinquemila soldati francesi erano presenti sul suolo spagnolo.

Data la presenza ormai massiccia delle truppe francesi appariva chiaro come la pace interna sarebbe stata mantenuta ancora per poco; la stessa Junta non risultava indenne dall’influenza di Murat sapendo che il bisogno di mantenere l’ordine richiedeva un compromesso con la Francia; e si giunge dunque al fatidico 2 di maggio, data considerata l’inizio della Guerra di Indipendenza spagnola.

L’insurrezione popolare contro l’invasore francese presente a Madrid, rompeva finalmente gli indugi istituzionali: la Junta de Gobierno ordinò che O’Farril y Azanza incontrassero Murat per trovare una soluzione di compromesso che ristabilisse l’ordine.

Dopo un primo vano tentativo di trattative e alcune opposizioni all’interno della Junta, Murat venne autorizzato a partecipare alle riunioni di quest’ultima, che era rimasta priva del suo presidente, poiché l’Infante Don Antonio aveva lasciato Madrid per Bayona nella notte del 4 maggio; Murat, ammesso a sedere con i membri della Junta, ricevette dalla stessa la carica di nuovo presidente, decisione confermata da Carlo IV con decreto del 4 maggio, con il quale lo stesso ex sovrano nominava Murat luogotenente generale del regno e comandava che le autorità civili e militari del regno lo riconoscessero come tale.

La Junta si attenne a quanto deciso da Carlo IV, che si trovava già a Bayona, pur non rendendo noto il decreto di nomina, di cui Murat ebbe notizia il 7 maggio; quest’ultimo era da considerarsi

certamente illegale, dal momento che Ferdinando VII era stato riconosciuto fino a quel momento il legittimo re da parte della Junta.

Ormai la Junta si trovava nelle mani di Murat; tuttavia sarebbe dovuto ancora arrivare un più grave vuoto di potere.

L’8 maggio infatti arrivò a Madrid la notizia della rinuncia di Ferdinando VII ai diritti di

successione al trono in favore del padre Carlo IV con la conseguente revoca dei poteri che il primo aveva concesso alla Junta de Gobierno; quest’ultima, invece di sciogliersi, continua a riunirsi, pur nella consapevolezza dell’illegalità del decreto di Carlo IV datato 4 maggio.

La Junta, ormai in mano a Murat, riceve nel pomeriggio gli ultimi ordini da Ferdinando VII il 9 (o il 10) di maggio; in questi suoi ultimi atti sovrani Ferdinando VII denuncia di privazione della

libertà in cui si era trovato a Bayona, dove si era recato per trovare un soluzione pacifica alla questione successoria con Napoleone, che seppe, in quei frangenti, giovarsi delle divisioni all’interno della Casa reale.

Nello specifico Ferdinando VII ordinava la convocazione delle Cortes per mano del Consejo de

Castilla, o, in mancanza, di qualunque Chancillería o Audiencia.

Il periodo di vuoto di potere si sarebbe presto concluso: il 30 aprile la famiglia reale era giunta a Bayona, accolta da Napoleone e da Ferdinando VII, che si erano incontrati dieci giorni prima trattando preliminarmente della spinosa questione di successione al trono.

Quest’ultima si sarebbe in un qualche modo presto decisa.

L’atteggiamento di Carlo IV verso il figlio venne sfruttato abilmente da Napoleone; infatti, come accennato, Carlo IV nominava con decreto regio, datato 4 maggio, Murat quale luogotenente generale del regno e presidente della Junta de Gobierno, ufficializzando di fatto la preminenza del generale francese nell’organo di governo creato da Ferdinando VII.

Quest’ultimo appariva poi tornare sui suoi passi comunicando al padre, di cui conosceva le ripetute accuse che lo volevano promotore della rivolta del 18 marzo, che sarebbe stato pronto a restituirgli