• Non ci sono risultati.

Il distacco dei graffiti – verso la musealizzazione

Già nel 1825, circa un secolo dopo le prime sperimentazioni della tencnica dello strappo del colore effettuate da Antonio Contri, l’allora presidente del Consiglio dell’Accademia di Belle Arti di Venezia Francesco Leopoldo Cicognara, si esprimeva polemicamente riguardo questa pratica, dicendo: “Non è questo il primo caso che ai moderni siasi attribuito ciò che apparteneva agli antichi, senza poterli aggravare d’usurpazione o di plagio,poiché le stesse circostanze, o le stesse eventualità portano per se medesime agli stessi risulta menti senza necessità di una tradizione positiva ci conservi le tracce dell’operato da’ nostri predecessori”.149 Nonostante questa pratica riscuotesse molto successo, Cicognara vedeva i fautori di questa come “degli speculatori intenzionati a venderle all’estero”. Vi fu una vera e propria “diaspora tragica” in cui vennero dispersi affreschi a mano di Paolo Veronese, Pinturicchio, Sandro Botticelli, Giambattista, Giandomenico Tiepolo e tanti altri, che abbandonarono i loro muri per essere trasferiti su tela e trasportati nelle varie collezioni europee, specialmente Inghilterra e Francia, e talvolta americane. Attualmente , dopo un lungo periodo di inattività degli stacchi, gli estrattisti hanno ripreso ad operare, sebbene trasformando il loro oggetto del desiderio, passando dall’affresco alla graffiti art.

Alcuni casi si rivelano particolarmente interessanti, come ad esempio il “paesaggio” dipinto da Monica Cuoghi e Claudio Corsello nella facciata del Link a Bologna, o il muro “frescato” poco lontano da lì da Phase 2 e Vulcan. Nei primi anni ‘80furono poi rinvenuti dei dipinti di Keith Haring sulle pareti interne del negozio milanese di

149

Cicognara L.P., Del distacco delle pitture a “fresco”, in “Antologia”, LII, maggio 1825 in Barocchi P., gli scritti d’arte dell’antologia, Firenze, S.P.E.S., 1975.

106

Fiorucci, che, una volta chiuso, a metà degli anni ’90 vennero estratti. Impossibile

inoltre non citare i numerosi lavori di Banksy in Gran Bretagna, America e Palestina rimossi , inseriti in casse lignee per finire tra le mani di chi aveva solamente forti interessi economici. Lo strappo del colore fu testato anche a Verona qualche anno fa quando furono rimossi alcuni lavori di writers locali effettuati tra il 1984 e il 2014.150 Molti oggi concordano con questa operazione e a tal proposito il curatore della mostra di Bologna Luca Ciancabilla si esprime così: “Se potremo donare al futuro il nostro presente, se non nel luogo in cui è stato concepito, se non sul supporto che era stato scelto, almeno fra le braccia accoglienti e sicure di un museo, perché, come ci ricordano alcune parole di Andrè Malraux, “a tutte le opere d’arte che celie il Museo, porta almeno un’enigmatica liberazione dal tempo”.151

Interessante anche il parere del direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze Arturo Galansino a riguardo, il quale fu intervistato dallo stesso Luca Ciancabilla. Alla domanda: “Lo stacco, fin dalla sua prima sperimentazione nel XVIII secolo, ha determinato l’approdo sul mercato collezionistico di numerosi capolavori trasportati dal muro alla tela. Ora la questione sembra reiterarsi con i dipinti della Street Art. Il museo contemporaneo come potrebbe interagire con queste nuove esigenze collezionistiche, potrebbe trasformarle in museografiche?”, ha dato come risposta la seguente: “Le regole del mercato coinvolgono il mondo dell’arte urbana come in passato hanno coinvolto altre realtà artistiche. Questo non è necessariamente negativo, nonostante le finalità speculative. Il mondo del museo e quello del collezionismo sono tradizionalmente osmotici e procedono di pari passo. Nel caso della Street Art è il collezionismo privato, come spesso accade, ad essere partito per primo. Proprio nel caso della Street Art, inoltre, sembrano condensarsi intricate problematiche legali che il mercato ha consuetudine di affrontare”.152

150

Ciancabilla L., Del distacco dei graffiti in Street Art – Banksy&Co., Bologna, Bononiae University Press, 2016.

151

A. Malraux, Il museo immaginario, Milano, Feltrinelli, 2009.

152

Conversazione con Arturo Galansino, intervistato da Ciancabilla L., 18 febbraio 2016 in

107

4 Il futuro della Street Art - preservare per il domani?

Nell’ottica del domani la domanda su cui ci si interroga è chi effettivamente stia facendo qualcosa per salvaguardare alcune testimonianze per le successive generazioni. A tal proposito appare relativamente semplice constatare come quest’espressione stilistica sia quantomeno complicata da preservare, per più ragioni.

La natura del graffito realizzato in un ambiente esterno, sottopone il prodotto artistico a numerosissimi rischi quali ad esempio: erosione, dipintura, manutenzione del supporto, rischi atmosferici e anche crew ostili al writer che lo ha realizzato.

La quasi totale mancanza di una tradizione e cultura museologica di queste realtà rende un’eventuale iniziativa inconsueta e facilmente posta in discussione dalle varie correnti di pensiero. In secondo luogo, vi è un problema di natura pratica: la rimozione e il trasporto delle opere, al fine di essere custodite all’interno di un museo, potrebbero essere non facili a realizzarsi, da sommarsi alle complicazioni relative all’esposizione al pubblico per la pubblica fruizione, per raggiungere un allestimento soddisfacente. Malgrado ciò, negli ultimi anni si è assistito sempre più ad un aumento dei casi in cui si sono materializzati i presupposti e l’interesse alla tutela e alla conservazione dei supporti. Questo è avvenuto tramite varie forme tipiche del processo di musealizzazione e di valorizzazione.

In queste situazioni si sviluppa, un’ulteriore volta, il dubbio se ciò sia eticamente e artisticamente corretto e se sia lecito trasportare il graffito al di fuori del suo contesto sociale, tralasciando le sue peculiarità e senza coinvolgere l’autore, talvolta andando contro la sua volontà e violando parte dei suoi diritti, come già discusso nel capitolo relativo al diritto d’autore.

108