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Conflitto internazionale in territorio nazionale

3.3 Il fenomeno dei foreign fighters in Europa.

Per comprendere i recenti attacchi terroristici avvenuti nel cuore dell’Europa è necessario parlare della situazione degli immigrati e della loro non tanto facile integrazione. L’Europa, insieme ai paesi sviluppati, è stata al centro del processo di migrazione che durante la Guerra Fredda avveniva da sud verso nord entro i confini dei due blocchi opposti allora esistenti. In questo periodo la migrazione è diventata uno strumento di manipolazione ideologica e influenza politica (il blocco Ovest con la retorica dei diritti e delle libertà universali e il blocco a Est con la retorica dell’uguaglianza universale che è alla base dei finanziamenti ai Paesi del terzo mondo). La caduta del muro di Berlino ha profondamente alterato l’equilibrio di potere geopolitico e ha influenzato il destino di molti Paesi soprattutto quelli in via di sviluppo. Inoltre, quello che è cambiato non è la quantità ma la qualità del processo migratorio che è andato modificandosi nella traiettoria, dove la tratta globale Sud verso Nord è stata per la maggior parte sostituita dalla tratta Sud verso Sud.

In America, ha avuto luogo l’approccio assimilazionista Melting Pot che prevedeva che i membri delle minoranze si spogliassero progressivamente del proprio bagaglio culturale per abbracciare di buon grado quello della nazione ospitante, e il quale, come hanno illustrato Nathan Glazer e Daniel Moynihan procede lungo le generazioni fino alla terza, al sopraggiungere della quale giungerebbe a compimento la naturalizzazione degli stranieri e i confini etnici tenderebbero a scomparire. Quindi l’integrazione americana può essere sintetizzata in una parola, “americanizzazione”. In Europa nel secondo dopoguerra si è iniziato a sperimentare nuovi e incessanti flussi migratori. Cominciata con l’emigrazione interna, di cui furono protagonisti soprattutto i cittadini dei paesi mediterranei come l’Italia, l’immigrazione straniera avrebbe presto coinvolto anche individui e gruppi portatori di un notevole grado di distanza culturale. A differenza dell’esperienza americana, l’ Europa aveva ben presto conosciuto la presenza di culture eterogenee e divenne subito chiaro che l’inclusione “delle diverse generazioni di immigrati non segue un unico percorso, ma può avvenire in modi diversi”239. Si fece man mano più evidente che le appartenenze e le identità degli immigrati non si sarebbero facilmente

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diluite o stinte nel tessuto europeo. Oggi, alla luce di quello che è successo negli ultimi anni in Europa possiamo dire che l’attrito di culture refrattarie alla omologazione ha operato anche nelle seconde generazioni. È quindi stato necessario studiare un nuovo modello interpretativo che tenesse conto del non scontato rapporto tra le culture in “contatto”240. Quest’esigenza è stata intercettata da un gruppo di sociologi americani guidati da Alejandro Portes, che elaborarono l’approccio della cosiddetta “assimilazione segmentata”. Secondo questi l’assimilazione non funziona in modo automatico e non necessariamente nella direzione segnalata dalla prima versione della teoria. Ve ne sono infatti tre varianti: “ascendente”, “selettiva” e “verso il basso”. L’assimilazione ascendente prevede l’abbandono da parte dello straniero dei propri riferimenti e la conseguente acculturazione, propiziata dell’acquisizione di adeguati livelli di istruzione e della realizzazione di un buon inserimento lavorativo. L’assimilazione selettiva contempla invece un parziale mantenimento delle radici, favorito dalla disponibilità di una buona dose di “capitale sociale etnico” rappresentato dalla densità della rete del gruppo dei connazionali. Tale permanenza non ostacola tuttavia l’inserimento nella società di arrivo. Le risorse costituite dalle relazioni intra–gruppo, ovvero il capitale sociale del soggetto, fungono anzi da base per un miglioramento personale e per il conseguimento di buoni risultati sul fronte scolastico e lavorativo. Invece l’assimilazione discendente è la conseguenza di un forte disagio e delle difficoltà sperimentate tanto a scuola quanto nel mondo del lavoro, dove l’insuccesso su questi fronti si accompagna ad un ripiegamento all’interno del proprio gruppo etnico cui si affianca anche un processo di assimilazione delle subculture proprie delle fasce di popolazione più deboli o escluse, quelle che si concentrano, proprio come gli immigrati, nei ghetti delle periferie e che sono protagoniste di fenomeni di devianza. Il paradigma dell’assimilazione segmentata riesce a dare una importante spiegazione delle rivolte avvenute nelle banlieues parigine, e nei riots della Gran Bretagna. In Italia è messa meglio rispetto agli altri paesi europei ma anche qui sono apparsi fenomeni negativi legati alla ghettizzazione come a Tor Sapienza241 e in Via Anelli a Padova242.

In Europa, come abbiamo già detto vi è una forte presenza di musulmani che ha portato “la nascita dell’Islam come nuova religione all’interno degli spazi

240 Barth “individui appartenenti a due o più gruppi con differenti culture si incontrano e interagiscono, innescando un mutamento culturale”

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Tor sapienza e oltre: riflessioni a freddo. Disponibile su www. Escatlier.net

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urbani europei”. si è manifestata con una serie di passaggi che vanno dall’iniziale presenza di un “islam in Europa” a quella di un “Islam d’Europa”, momenti preliminari all’attuale fase caratterizzata dallo sviluppo di un “Islam europeo” che si tratta per Allievi243 di “un prodotto autoctono europeo, e in buona misura il frutto di un progressivo e sostanziale processo di cittadinizzazione dei musulmani residenti in Europa”244

. Il trauma dell’incontro con l’Occidente ha generato nel mondo musulmano questa singolare dialettica in cui una forte attrazione nei confronti di un modello di civiltà avvertito come superiore convive con diffusi sentimenti di ripulsa e di rivalsa. Così, mentre il fascino della modernità e le spinte globalizzanti che ne accompagnano la diffusione hanno innescato profondi cambiamenti culturali in seno all’islam, si è manifestata in parallelo una “resistenza” che assume le fattezze di un diffuso movimento di “contro–globalizzazione245”.Quindi dal fondamentalismo islamico traspare l’intenzione di voler proteggere la propria identità rifiutando le contaminazioni con la cultura occidentale. Il discorso islamofobo tende “ad occultare la dimensione dell’islam come civiltà e l’esistenza stessa dei tanti musulmani che si battono contro le derive politiche e terroristiche dell’islam”246. Si evince così che siamo in presenza di più voci, e come vedremo alla fine è la mancanza di una voce comune musulmana a creare dei problemi. Quello che rappresenta uno dei principali campi di tensione all’interno del mondo musulmano d’Europa è la questione femminile con particolare riguardo alla socializzazione dei giovani. Tra i giovani delle seconde generazioni di fede islamica troviamo infatti una nutrita rappresentanza di soggetti che non solo non intendono assimilarsi, ma riproducono proprio quegli elementi delle culture musulmane maggiormente in contraddizione coi valori e i principi della civiltà europea. L’”uguaglianza fra uomo e donna è uno dei principali temi” di quella che Kepel247

definisce la “battaglia d’Europa”. Un conflitto la cui posta in gioco è proprio l’identità dei giovani musulmani, contesi tra istanze fondamentaliste e l’attrazione dei modelli culturali occidentali. Gli immigrati di prima generazione sono musulmani hanno ereditato questa appartenenza, e allora

243 sociologo dell'università di Padova, è il massimo esperto di Islam in Italia

244 Allievi, I musulmani e la società italiana. Percezioni reciproche, conflitti culturali, trasformazioni sociali (ed.), Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 632–633

245 Meulemann, 2009, p. 696.

246 Fouad Allam, Les nouvelles frontières symboliques de l'Europe. Les musulmans d'Italie entre Nord et Sud, in Religions et politique: séparations sous tension, numero monografico della rivista “Esprit”, n.2, febbraio 2011, Parigi, p. 42-43

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sono musulmani semplicemente perché sono marocchini o senegalesi, turchi o tunisini. Mentre per i figli, l’ identità islamica deriva da ragioni differenti che assomigliano più alla maturazione che all’imposizione, più alla scelta culturale che all’evidenza “naturale”. E questo per una ragione molto semplice: perché nei paesi da cui provengono i loro genitori essere musulmano è semplicemente normale, in quanto lo è la maggioranza della popolazione, e il contesto culturale. In Europa non è così. Qui succede che i gruppi scelgono di coesistere con gli europei aggrappandosi alla propria religione, ai propri costumi, alla propria lingua, alle proprie irriducibili differenze e questo porta alla “segregazione spaziale”248

nei ghetti, ovvero la concentrazione della popolazione sul territorio urbano in base alla nazionalità e la separazione dei residenti sulla base dello stesso criterio.

In Europa si è assistito al processo denominato multiculturalismo che è definito come “una serie di politiche sociali orientate all’integrazione delle minoranze”, vale a dire in “forme di intervento pubblico e istituzionale che consentano la diminuzione o il contenimento di forme di discriminazione e di esclusione”. Colombo afferma che il multiculturalismo “si traduce in domanda politica: la richiesta di riconoscimento della particolare appartenenza a un gruppo ristretto, dotato di una propria specificità culturale, in nome della quale sia possibile e legittimo rivendicare autonomia, protezione e accesso privilegiato ad alcune risorse sociali”. Inoltre, esso si traduce quindi in una “politica della differenza” che sostiene la necessità di trattamenti diversi che tengano conto delle differenze tra i gruppi249. Si è assistito ad una specie di etnopolitica volta a richiedere, tramite politiche ad hoc, la tolleranza nei confronti delle differenze e promuovere l’accettazione di stili di vita, abitudini e credenze diverse da quelle della maggioranza. Questo è avvenuto nei paesi Germania, Paesi Bassi e Regno Unito, come sappiamo però le politiche multiculturali sono andate a scapito della “coesione sociale” avendo alla fine prodotto “effetti di segregazione e di isolamento delle collettività straniere”250 e allo stesso tempo condanna gli stessi stranieri alla marginalità e a tutto ciò che ne consegue.

Una delle conseguenze più rilevanti del multiculturalismo, dopo l'accelerazione del processo di globalizzazione, è la messa in discussione dei modelli di integrazione

248 Colombo e Sciortino 2004, pp. 97–98 249 Colombo [ivi, p. 29].

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degli immigrati, con i conseguenti problemi del ruolo di questi ultimi nella società, dei loro diritti e del riconoscimento delle loro specificità e culture. I modelli di integrazione sono costrutti teorici elaborati con lo scopo di gestire le problematiche di integrazione dei migranti nella società d'accoglienza. La prima classificazione di questi modelli è quella elaborata dal sociologo Vincenzo Cesareo251 che distingue tre fondamentali modelli di integrazione socio-culturale:

 il modello dell'assimilazione, è rappresentativo dell’esperienza francese fondato sull'idea di uno stato laico che garantisca l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non riconoscendo diritti e trattamenti particolari alle minoranze etniche. Un modello in cui si da priorità all'adattamento alla cultura della società ospitante. I migranti debbono conformarsi quanto più possibile ad essa, mettendo in atto processi di desocializzazione, di cancellazione delle culture d'origine e di risocializzazione rispetto ai costumi e alle norme di quella d'arrivo. Viene così esclusa dalla vita pubblica ogni espressione della differenza. Si sono però presentati dei limiti evidenti a questo modello: le politiche d'integrazione non dovrebbero considerare l'appartenenza etnica e il retroterra culturale degli individui e dei gruppi. Ma, allo stesso tempo, l'elemento etnico e culturale prevalente in una data realtà è essenziale per permettere la concretizzazione di tali politiche. Inoltre, in molti casi l'integrazione socio-professionale dei migranti appare particolarmente difficoltosa, nonostante l'avvenuta assimilazione culturale: i giovani di discendenza extraeuropea sono frequentemente vittima di discriminazione e pregiudizio, di difficoltà di inserimento lavorativo e di condizioni abitative disagiate. L'emergere di conflitti etnici mette quindi in discussione il principio secondo cui la cittadinanza politica e l'uguaglianza di fronte alla legge siano sufficienti a garantire l'integrazione socio-culturale dei migranti nella società francese. Inoltre, abbiamo visto in questi ultimi anni come la crescente ostilità da parte dell'opinione pubblica francese nei confronti degli stranieri abbia permesso la formazione di uno dei partiti xenofobi più forti dell'intero panorama politico europeo, quello di Marine Le Pen.;

 il modello pluralista, Il modello pluralista invece rappresenta l’esperienza britannica, che si regge sui rapporti di forza e di negoziazione collettiva, tra i

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diversi attori identitari, in particolare etnici e religiosi nella società e nello spazio pubblico. Qui, i gruppi si scontrano e si accordano, stabilendo convenzioni che mutano nel tempo. Lo Stato funge da garante tra gli accordi dei diversi gruppi. A differenza del modello francese, legato all’idea di eguaglianza, il modello pluralista britannico è basato sul concetto di autonomia e di riconoscimento dei diritti collettivi252. Questo ha permesso come abbiamo visto l’elezione, a Londra, del primo sindaco musulmano di una capitale europea253;

 il modello dello scambio culturale, in questo modello l'alterità non solo è ammessa, ma è riconosciuta come positiva. Le diverse culture si incontrano arricchendosi vicendevolmente, rimanendo tra loro diverse, ma anche trasformandosi tramite processi di scambio. La differenza culturale acquista valore e attrae come possibilità di esplorazione di soluzioni alternative, variazioni di punti di vista e di interpretazione del mondo;

Gli indicatori del fallimento dei processi di integrazione in Europa, quali degrado, povertà e disoccupazione diffusa, scarsa mobilità intergenerazionale, disgregazione familiare, fenomeni di disagio scolastico, uso di stupefacenti, gravidanze precoci, criminalità diffusa, sono i tratti caratteristici delle aree in cui immigrati e appartenenti alle minoranze etniche vivono segregati.

La ghettizzazione ha creato la distorsione del discorso riguardante l’immigrazione producendo un fenomeno negativo che va spartito tra i migranti e i nativi e si tratta della mistificazione generata dalla mancanza di confidenza e fiducia da entrambi i lati. Inoltre, il processo di depersonalizzazione del migrante, che crea la categoria del “alieno”, priva, con l’uso di una parola, gli individui della loro biografia (fatta di sentimenti, emozioni, aspettative, abilità, relazioni familiari e amicali, attitudini, etc.), della loro identità e allo stesso tempo nutre la retorica xenofobica254.

Questa osservazione si riferisce ad ogni migrante, ai nuovi arrivati sia regolari (che possono diventare irregolari durante il soggiorno) che irregolari ma anche i giovani di seconda generazione. Questi ultimi, infatti, si stanno lentamente distaccando dal senso di appartenenza alla società europea e hanno iniziato ad auto-marginalizzarsi

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Guolo, R. (2009) Modelli di integrazione culturale in Europa.

253 Sadiq Khan, inglese di seconda generazione figlio di Pakistani. Chi è Sadiq Khan, il nuovo sindaco di Londra. ilpost maggio 2016

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nello status di minorità raziale o etnica che comporta un sistematico disvantaggio con l’etnia predominante. Questo processo di esclusione sociale porta alla nascita di una profonda disillusione nei confronti della vita e dei valori dell’Occidente e che può portare i giovani di seconda generazione europei in cerca di un significato nuovo della vita viaggiando verso le zone di guerra per parteciparvi come combattenti255. Quello che è avvenuto in Europa e ha portato al fenomeno dei combattenti europei è legato alla combinazione tra gli aspetti di cui abbiamo parlato fino ad ora con il fondamentalismo islamico. e il ritorno alla fede, con esiti in certi casi addirittura estremistici. Khaled Fouad Allam256 ha osservato che “la ribellione islamica esercita un fascino maggiore fra i perdenti sugli sconfitti dell’integrazione257.”

Le seconde generazioni quindi sono soggetti a tutte queste problematiche e nonostante non si tratti di un nuovo fenomeno, l’opinione pubblica se ne è resa conto con le rivolte avvenute nelle banlieues parigine. Enzo Pace ha sostenuto che il riferimento alla propria originaria identità culturale e religiosa ha portato molti giovani della seconda e terza generazione delle famiglie di immigrati musulmani a compensare le mancate o le pessime riuscite sociali invocando un ritorno alla “pura fede”258. Molti di questi giovani come sappiamo bene hanno prestato servizio all’Isis, e la maggior parte di questi provengono da paesi come Francia, Belgio proprio per la forte presenza di immigrati musulmani.

Per quanto riguarda l’Italia e la presenza di jihadisti, questa fu uno dei primi paesi europei a essere interessato da una presenza jihadista relativamente forte già nei primi anni Novanta, dato l’attivismo di vari network di origine nordafricana, però la situazione in Italia era relativamente tranquilla mentre all’inizio degli anni duemila la maggior parte dei paesi europei dovette confrontarsi con una crescente minaccia posta in essere da network jihadisti tradizionali (cioè stranieri) e autoctoni (i cosiddetti “homegrown”). Questo perché in Italia:

 il fenomeno migratorio da paesi a maggioranza islamica è iniziato su larga scala solo nei tardi anni Ottanta e nei primi anni Novanta, cioè venti, trenta o quarant’anni dopo paesi economicamente più avanzati quali Francia, Germania, Paesi Bassi o Gran Bretagna. La prima ondata di musulmani della

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Briggs, R. & Frenett,R. “Foreign Fighters, the Challenge of Counter-Narratives”, in Institute for Strategic Dialogue Policy Papers, March 2014, http://www.strategicdialogue.org/

256 Un sociologo e politico algerino naturalizzato italiano.

257 Allam, KF.(2006)La solitudine dell'occidente, Rizzoli, Milano, 2006, p. 128 258

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seconda generazione, nati o cresciuti in Italia, è perciò entrata nell’età adulta da poco. Fra le centinaia di migliaia di figli di immigrati musulmani cresciuti in Italia e le migliaia di convertiti italiani, solamente un numero statisticamente insignificante, ma rilevante dal punto di vista della sicurezza, da identificare, in poche centinaia, adotta un’ideologia fondamentalista. Secondo Renzo Guolo, i convertiti italiani scelgono l’Islam perché ha dei meccanismi assertivi più semplici da comprendere rispetto alla religione cristiana che rappresenta tratti di riflessione interna259.

 Molti network “tradizionali” non sono più presenti sul nostro territorio perché sono stati fortemente indeboliti dalle ondate di arresti ed espulsioni eseguite dalle autorità italiane nel corso degli ultimi quindici anni, anche se però sono ancora molto attivi (in particolar modo in attività logistiche);

 A causa della rigorosa legislazione italiana260

in materia è possibile che alcuni jihadisti autoctoni, nonostante siano nati in Italia, non abbiano la cittadinanza italiana e siano perciò passibili di espulsione. Il problema vero e proprio si ha di fronte ai cittadini italiani, soprattutto i convertiti, che non sono sanzionabili con l’espulsione.

Non si esclude però che trascorsi anni o decenni, la situazione di allarme jihadista nel “Bel Paese” possa degenerare alla pari dei partner europei. Le istituzioni dovrebbero comprendere come trattare i processi d’inclusione dei cittadini e dei residenti in Italia. Quello che è mancato è il dibattito su come una società multiculturale trovi un punto di coesione sociale. L’unica soluzione attuale è demandare al buon senso della politica il rafforzamento della collaborazione in campo internazionale (e non solo europeo), sia per quanto riguarda il coordinamento delle forze di polizie che nella promozione e sviluppo di idonee politiche sociali atte alla prevenzione del fenomeno dei foreign fighters, nonché la creazione di idonei sistemi per l’integrazione e la “deghettizzazione”.

Abbiamo assistito in questi ultimi anni a delle enormi differenze di ogni genere tra i Paesi europei ma soprattutto a livello di composizione della società, che può dare una

259 L’Islam radicale attrae giovani che vogliono certezze. Agensir.it

260 La legge italiana non dà la cittadinanza automaticamente ai nati sul suolo italiano se almeno uno dei due genitori non sia italiano e che le norme per la naturalizzazione sono alquanto stringenti, un numero relativamente ridotto di soggetti con origini immigrate, anche se ha trascorso tutta la loro vita in Italia, possiede la cittadinanza italiana.

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spiegazione al motivo per il quale gli attentati terroristici rivendicati dall’Isis sono avvenuti in determinati Paesi.

Per esempio le differenze tra Belgio ed Italia possono essere collocate su tre diversi livelli: storico, statistico e sociologico/urbanistico” questo è quello che afferma Allievi in un intervista261. “A livello storico l’immigrazione belga e francese si collocano nella fase di ricostruzione post bellica mentre in Italia risale ad appena 20– 30 anni fa. Statisticamente poi i numeri più alti per presenze di stranieri non riguardano l’Italia. Basti pensare che il nome più diffuso in Belgio sia Mohamed, dove infatti ci si confronta con la terza generazione di stranieri”262.

Con l’ultima categoria, quella sociologica/urbanistica, Allievi chiarisce come “le destinazioni degli stranieri in Italia siano le piccole e medie città e a livello occupazionale si collocano soprattutto in ambito rurale. S’impara prima l’italiano regionale, lo definirei un “islam dialettale”. La percezione diffusa relativa alla presenza degli stranieri in Italia è a dir poco delirante”263.

Per quanto riguarda, poi, la legislazione esistente, Cesareo distingue l'esistenza di due diversi modelli a livello di stati nazionali. L'Italia ha definitivamente adottato un

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