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Le parole dei "foreign fighters". Analisi di contenuto dell'identità transnazionale dei combattenti stranieri.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

CORSO DI LAUREA IN STUDI INTERNAZIONALI

TESI DI LAUREA

“Le parole dei “foreign fighters”. Analisi di

contenuto dell’identità transnazionale dei

combattenti stranieri.”

Il Relatore Il Candidato

Prof. Gabriele Tomei Roberta Fiorentini

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Indice

Introduzione

Capitolo 1. Cecenia, Foreign Fighters.

1.1 Breve storia del primo conflitto Russo-Ceceno;

1.2 Transizione da “guerra d’indipendenza” a “guerra Santa”; 1.3 Fenomeno foreign fighters, dal reclutamento all’azione.

Capitolo 2. “Foreign fighters” in Siria.

2.1 Breve storia della guerra civile siriana; 2.2 Lo Stato Islamico dalle origini ad oggi; 2.3 Le fasi per diventare un foreign fighter.

Capitolo 3.. Conflitti Internazionali in territorio nazionale

3.1 La comunità Internazionale risponde;

3.2 Confronto tra l’esperienza cecena e quella siriana; 3.3 Il fenomeno dei foreign fighters in Europa.

Conclusioni

Bibliografia

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Introduzione

I “foreign fighters” chi sono? Da dove vengono? Cosa li spinge a combattere in conflitti per loro territorialmente o culturalmente lontani? Questi, assieme ad altri quesiti, vengono posti in qualsiasi discussione quando si cerca di comprendere questo particolare fenomeno. Nella presente Tesi cercherò di dare una spiegazione al fenomeno e di approfondirne gli aspetti, storico-politico, geografico e sociologico.

Il primo passo da compiere per approcciarsi a questo fenomeno è definirlo. La definizione di “foreign fighters” contenuta nella risoluzione 2178/2014 ONU li identifica come “individui che si spostano in uno Stato diverso da quello in cui risiedono o hanno la nazionalità, con il proposito di perpetrare, pianificare e partecipare ad atti terroristici, o per dare o ricevere addestramento terroristico”1. George W. Bush ha descritto il fenomeno come: “La violenza che vedi in Iraq è portata avanti da killers senza pietà, che convergono in Iraq per combattere l’avanzata della pace e della libertà… dall’Arabia Saudita, dalla Siria, dall’Iran, dall’Egitto, dal Sudan, dallo Yemen, dalla Libia e da altri”2

. Malet li definisce come “non-cittadini di uno Stato in conflitto che si uniscono in insurrezioni durante conflitti civili”3

. Mentre Jahangir Arasli4 li definisce come “combattenti volontari privi di un legame con l’area del conflitto spinti verso di esso dalla percezione del dovere dettato dalla religione Musulmana”. L’Europol5 definisce i foreign fighters come “individui motivati dalla religione, che lasciano il proprio paese di origine allo scopo di ottenere una formazione, di combattere o esibirsi in azioni estremiste nelle zone di guerra. Per Hegghammer6 sono agenti:

1) che si sono uniti e operano all’interno dei confini del conflitto;

2) privi della cittadinanza dello Stato in Guerra o privi di legami con le fazioni belligeranti;

3) privi di affiliazione con eserciti regolari; 4) che non ricevono stipendio.

1

http://www.un.org 2

President George W. Bush, Remarks at Fort Bragg (June 28, 2005)

3 Malet, D. (2013) Foreign fighters transnational identity in civil conflicts,.p.9. 4 Azerbaijani intelligence analyst

5 The Hague-based European police organisation 6

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Le parole “foreign fighters” sono al giorno d’oggi comunemente abbinate ai termini: “terroristi”, “estremisti”, “Jihadisti”. Per capirne meglio il significato è opportuno andare indietro nel tempo ma non così tanto. Il termine “Foreign Fighters7”è nuovo, a differenza del fenomeno che invece esiste da centinaia di anni. É apparso per la prima volta in una trasmissione dell’agenzia irachena nel 1983 ma fu utilizzato, per la prima volta, per descrivere il fenomeno nel 1988 in un articolo del Times of London che raccontava la vittoria dei Mujahidin afghani, i quali erano stati aiutati nell’impresa da combattenti sauditi, egiziani e pakistani contro le forze a favore del governo sovietico “Khost Outpost Falls to Mujahidin Led by Foreign

Fighters”. Fu poco a poco impiegato anche in altri combattimenti fino ad essere

utilizzato dai reporter anche per la guerra civile in Cecenia (Deutsche Presse-Agentur, 1994). Il suo utilizzo crebbe nel post 11 settembre, in quattro mesi fu utilizzato ben 313 volte. Il forte utilizzo delle parole “foreign fighters” nei principali quotidiani mondiali ha portato al rafforzamento del ruolo dei combattenti stranieri che può essere assunto in qualsiasi insurrezione esistente, ed è evidente che l’esplosione dell’utilizzo del termine “foreign fighters” e il continuo parlare delle loro gesta nei programmi televisivi, sui social networks negli articoli di giornale e libri ha portato al rafforzamento della consapevolezza del ruolo di questi particolari attori nel conflitto in cui agiscono e infatti gli aneddoti mettono in evidenza come questi concettualizzano se stessi come prosecutori di attività delle principali forze ribelli transnazionali.

Per poter sconfiggere, o quantomeno arginare il fenomeno, bisogna capirne le cause, cioè comprendere cosa porta migliaia di ragazzi, tra i quali francesi, tedeschi, inglesi italiani ma anche canadesi e australiani ad approcciarsi al Califfato islamico, partire per il fronte siriano/iracheno o rimanere in patria per portare la guerra anche nei più (apparentemente) sicuri angoli delle nostre città8

Procederò con l’analisi di due teatri di guerra, la guerra civile cecena e la guerra civile siriana, nei quali tra le particolarità si registrano una serie di similitudini.

7 Malet, D. (2013) Foreign fighters transnational identity in civil conflicts. 8

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Capitolo 1

Cecenia, foreign fighters

1.1Breve storia dei conflitti russo-ceceni

Il territorio che oggi costituisce la Cecenia9 è stato conquistato dalla Russia durante le campagne espansionistiche zariste del XVI secolo. Alla conquista iniziale seguirono ripetute guerre legate all’incapacità dell’Impero di riuscire a impiantare radici profonde nelle istituzioni e nella società cecena. Durante il predominio vi furono varie ribellioni che non riuscirono ad allontanare l’influenza della Russia dal territorio, ma che di fatto rafforzarono l’identità cecena e impedirono la penetrazione della cultura russa nella tradizione locale. Il territorio ceceno è caratterizzato da una particolare conformazione geografica, costituito da ampie catene montuose e profonde valli, ove non sussisteva una omogeneità demografica distribuita, bensì la società era divisa in comunità diverse tra loro. A differenza delle regioni caucasiche abitate da Cabardi e Osseti in cui esistevano strutture sociali differenziate e gerarchizzate, in Cecenia vi era un sistema sociale patriarcale relativamente egualitario, dove la famiglia e il villaggio costituivano le principali comunità di riferimento. Un tratto comune a tutte le regioni del Nord Caucaso era la fede islamica ma, soprattutto nelle religioni di montagna abitate da ceceni, la penetrazione e la diffusione della legge islamica (sharia) non erano state tali da abolire il ricorso al diritto consuetudinario (adat). Prima della conquista russa esisteva un territorio abitato da ceceni, dove il naturale ed originario decentramento del potere ha sempre ostacolato la formazione di uno Stato ceceno10. La Russia, che nelle altre regioni si espandeva riconoscendo e incorporando le aristocrazie locali in quella imperiale, non trovò interlocutori da cooptare tra i ceceni, dunque fin dall’inizio, essa ebbe scarse capacità di coinvolgimento e perciò usò la forza militare, incontrando una tenace

9Ichkeria, è il vero nome del piccolo (più piccolo dell’Abruzzo) territorio del nord Caucaso che conosciamo con il nome “Cecenia” (datogli dalla Russia). I ceceni definiscono se stessi come Nokhchi. Cit. Vietti, Cecenia e Russia, Storia e mito del Caucaso ribelle.

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Castellani, A. (2008)Storia della Cecenia, memoria, tradizioni e cultura di un popolo del Caucaso. Rubbettino Editore. pp. 233-234.

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resistenza armata. Inoltre, non furono i Russi a creare lo Stato nel territorio ceceno inglobandolo in quello dell’impero ma fu la rivolta contro i russi a creare lo Stato come baluardo contro l’impero. Ciò fu dovuto al riferimento all’Islam che forniva il sistema di valori su cui si basava la mobilitazione popolare. I ceceni nelle guerre contro i russi hanno sempre evitato lo scontro diretto preferendo la guerriglia. Questo tipo di sistema è stato utilizzato non solo nel corso dei vari conflitti tra Impero sovietico e Cecenia ma anche nelle guerre russo-cecene degli anni novanta.

La penetrazione russa nel caucaso iniziò nel sedicesimo secolo con Ivan quarto “il terribile” che voleva espandere il proprio impero verso sud est11

. Poi subentrò Pietro il Grande (1690-1725) con il quale il Caucaso diventò un obiettivo strategico per il controllo delle vie commerciali dell’Oriente12

. I Ceceni erano un popolo pagano inizialmente cristianizzato nel decimo secolo da monaci ortodossi georgiani ma che subirono nel settecento l’influenza islamica delle confraternite sufi provenienti dall’Anatolia (ci furono molti appelli ai russi da parte delle popolazioni cristiane della regione caucasica). Alla fine del Settecento Sheikh al-Mansur13 proclamò la creazione di uno Stato islamico, abolendo il diritto consuetudinario e imponendo la sharia, inaugurando così il susseguirsi delle rivolte contro i russi. Questi non fu pienamente appoggiato dalle tribù che lo lasciarono ben presto solo permettendo all’Impero Russo di espandersi con la conquista dell’Azerbaijan (1813) e dell’Armenia settentrionale (1828) mentre cercava di spingere verso sud, nelle zone montagnose e meno fertili, i ceceni per favorire gli insediamenti dei coloni russi14. Sotto il regno di Alessandro I (1801-1825) ci fu la lunga “Guerra del Caucaso” che durò trenta anni. Una guerra di repressione nella quale furono incendiati villaggi ceceni. Imam Samil si pose a capo della rivolta e con l’idea di creare l’Emirato del Caucaso Settentrionale arrivò a trentamila uomini compresi i ceceni. Il Caucaso visse un periodo di stabilità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, durante il quale un gran numero di ceceni tornò dall’Impero Ottomano, vi fu lo sviluppo dei centri urbani e Groznyj, la capitale, divenne il centro industriale nonché nodo ferroviario15.

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Castellani, A. (2008)Storia della Cecenia, memoria, tradizioni e cultura di un popolo del Caucaso. Rubbettino Editore. cit., p.29

12 Ivi. P.30

13 “Sheikh_Mansur”. (n.d). Wikipedia

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Vietti, F. (2005) Cecenia e Russia, storia e mito del Caucaso ribelle. Massari editore.cit., p.32 15 Castellani, A. (2008)Storia della Cecenia, memoria, tradizioni e cultura di un popolo del Caucaso. Rubbettino Editore.

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Con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 il Nord del Caucaso subì spinte autonomiste e indipendentiste, incontrando nel 1921 l’opposizione di Stalin che, per impedirne l’autonomia, promise l’amnistia dei combattenti, la piena libertà di culto con l’applicazione della sharia e concesse ai ceceni le terre dei cosacchi nord caucasici. Nel 1922 la Cecenia fu separata dalla “Repubblica Sovietica dei montanari” ma le concessioni di Stalin furono abrogate. Solo nel 1938 dopo dure repressioni si poteva dire conclusa la nuova Repubblica autonoma (comprendeva anche l’Inguscezia). Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi entrarono nel Caucaso ma non riuscirono a penetrare nel difficile territorio della Cecenia-Inguscezia; nonostante ciò, nel 1943 l’intera popolazione dell’area (quattrocento mila persone) fu deportata in Kazakistan e Asia Centrale dai sovietici con l’accusa di collaborazionismo con i nazisti, ma il vero motivo consisteva nell’ allontanare dalle regioni di confine le popolazioni, definite inaffidabili, che si erano opposte alla collettivizzazione. Fu abolita così la Repubblica autonoma Ceceno-inguscia. Il territorio della ex Repubblica fu ripopolato da Russi, Ucraini, Daghestani e nord-Osseti. Con la morte di Stalin negli anni cinquanta i ceceni e gli ingusci ritornarono nei loro territori e nel 1957 fu ripristinata la Repubblica Ceceno-inguscia. A questa furono annessi i distretti a maggioranza russa mentre i distretti ceceni annessi al Daghestan non furono restituiti, portando ad un capovolgimento della situazione tra etnia russa e etnia cecena (causa dei futuri conflitti). La Cecenia, negli anni sessanta e settanta, grazie al settore petrolifero conobbe un forte sviluppo economico, ma la popolazione viveva nelle aree agricole e montane con un elevato tasso di natalità che formava una massa di disoccupati senza qualifica professionale. Alla fine degli anni

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ottanta (fine periodo gorbaceviano) vi furono spinte autonomiste esercitate dagli stessi dirigenti locali del Partito Comunista che rivendicavano il ripristino degli organi di potere tradizionali e la piena libertà religiosa; nacque anche un Partito nazionalista ceceno16.

Tra la fine del 1990 e il Maggio del 1991, in Cecenia si affermò come leader carismatico dei separatisti Dzocar Dudayev17, il quale indisse le elezioni per la fine di ottobre. Dudayev e i suoi seguaci (migliaia di giovani disoccupati) si schierarono contro Eltsin e approfittarono della delegittimazione delle istituzioni ufficiali cecene per indire le elezioni alla fine di ottobre. Dudayev vinse le elezioni con l’85% dei voti conquistando la maggioranza e ciò portò al radicamento dello scontro con Mosca. Il primo Novembre 1991 fu proclamata la Repubblica della Cecenia e si verificò la secessione consensuale dell’Inguscezia da Groznjy. L’11 marzo 1992 gli ingusci proclamarono una propria Repubblica e aderirono il 31 dello stesso mese al nuovo trattato federativo russo, mentre la Cecenia rifiutava ulteriormente l’adesione ribadendo la propria completa indipendenza18. Dudayev voleva creare una Confederazione Caucasica ad egemonia cecena, con sbocchi sul Mar Nero e sul Mar Caspio per sfruttare le riserve petrolifere, gli impianti di raffinazione e gli oleodotti. Il suo progetto avrebbe visto la coesistenza delle tradizioni cecene (Consiglio degli anziani) con alcuni caratteri dello Stato Islamico (introduzione della sharia).

Il governo della Federazione russa condannò immediatamente come incostituzionale la Dichiarazione cecena d’indipendenza e l’8 novembre Eltsin impose addirittura lo stato di emergenza, per la durata di un mese, su tutto il territorio della Repubblica secessionista. Dudayev dichiarò lo stato di guerra della sua Nazione contro la Russia e minacciò di ricorrere al terrorismo su tutto il territorio russo; nel frattempo un migliaio di militari delle truppe speciali del Ministero degli Interni furono inviate a Groznyj, scatenando manifestazioni di massa tra i locali. La situazione si complicò, vennero lanciati appelli ai musulmani del mondo chiedendo la solidarietà dell’Islam, e un editto ai popoli del Caucaso del nord affinché si riprendessero la propria libertà e si liberassero dalla secolare dominazione russa. Dudayev invitò quindi l’intera diaspora cecena, forte soprattutto a Mosca, composta

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Vietti, F. (2005) Cecenia e Russia, storia e mito del Caucaso ribelle. Massari editore. cit., p.33 17 Ivi.

18 Castellani, A. (2008)Storia della Cecenia, memoria, tradizioni e cultura di un popolo del Caucaso. Rubbettino Editore.

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da piccoli commercianti e a cui facevano capo vere e proprie organizzazioni mafiose, a serrare le fila per rivoltare contro la Russia la sua stessa potenza.

Ci fu un episodio che permise di diffondere “la causa cecena” nel mondo: il 9 novembre un aereo sovietico di linea venne dirottato da passeggeri ceceni armati che lo costrinsero ad atterrare ad Ankara. Con la complicità delle autorità turche l’aereo ripartì ed atterrò a Groznyj, dove gli ostaggi furono liberati e i dirottatori portati in trionfo da una folla osannante. Dopo due giorni fu revocato il decreto di Eltsin sullo stato di emergenza in Cecenia auspicando una soluzione politica del conflitto e allontanando così per tre anni lo scontro armato. Dudayev vinse, così, la sua prima battaglia facendosi portavoce di “un nazionalismo” forte perché si ammanta di panislamismo condito di un “pancaucanesimo” rimasto nella memoria collettiva dei montanari19.

Per tre anni, sino al 1994, con l’alternanza di aperture al dialogo e chiusure improvvise, Dudayev riuscì a tenere in scacco Mosca, garantendo alla Cecenia un’indipendenza di fatto. Un’indipendenza che però portò a risvolti negativi a causa del proliferare in Cecenia di bande criminali. Infatti, grazie all’abbondanza di armi abbandonate dell’Unione Sovietica sul suolo ceceno, e alla crisi economica che aveva portato alla disoccupazione generale nella regione, la piccola Repubblica si riempì in breve tempo di bande criminali di ogni genere. Mafia, oppositori politici, gruppi di potere indipendenti, che crearono il caos in Cecenia e, anche con l’appoggio di Mosca, tentarono più volte di eliminare lo stesso Presidente. Dudayev respinse quattro tentativi di golpe, scampò a vari attentati, sciolse il Parlamento e introdusse la sharia, cercando invano di creare una Confederazione Caucasica. Questa politica di ferro intrapresa da Dudayev non fece altro che fomentare ulteriori divisioni interne alla regione, rendendo la Cecenia un “non Stato”, uno spazio al di fuori di ogni legge e di ogni controllo, ma l’esempio ceceno non fu seguito dalle altre Repubbliche russe.

Dopo vari tentativi di mediazione i russi invasero la Cecenia nel 199420: i motivi sono da ritrovare nell’eredità di istituzioni politiche sovietiche su base etnica; il risentimento dei ceceni strumentalizzato dai politici di entrambe le fazioni; la posizione strategica della Cecenia (crocevia delle principali vie di comunicazione e di trasporto di petrolio); i mutamenti socioeconomici legati al crollo dell’URSS nel

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Salvi S. (1995). Breve storia della Cecenia. Giunti editore.cit., pp. 39-42, qui p. 41, 42. 20

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quadro della globalizzazione; la preoccupazione russa che l’indipendenza della Cecenia fosse seguita dagli altri Paesi del Caucaso e che avrebbe portato, così, al crollo della Federazione Russa. A questi fattori si aggiunsero la componente religiosa (influenza del fondamentalismo islamico) e la componente economica (interesse russo nella regione caucasica).

L’intervento repressivo è visto dalla Russia come unica soluzione per evitare l’indipendenza della Cecenia. Questa intraprese l’operazione militare “disarmo di formazioni illegali” mobilitando 30.000 uomini, con 230 carri e 450 blindati (la più grande mobilitazione bellica russa dalla guerra in Afghanistan). Secondo fonti del Ministero Russo della Difesa i Ceceni schierarono 15.000

boïevichi21 e 30.000 civili armati e inquadrati in milizie. La prima e la seconda guerra russo-cecena sono state caratterizzate da un fenomeno particolare: la venuta alle armi di combattenti stranieri, i boïevichi, al fianco degli indipendentisti contro l’Armata Russa. Questi particolari combattenti possono essere identificati come: 1. I pan-caucasici (nazionalisti turchi dei Lupi grigi o della sezione azera del partito

Boskurt);

2. Centinaia di Abkhazi;

3. Islamici radicali (provenienti da tutto il mondo musulmano, tatari russi, islamo-democratici tagiki, qualche arabo e molti Mujahidin afghani (veterani della guerra afghana) oltre ad algerini e bosniaci. La gran parte però proviene dai Ceceni della diaspora con passaporto giordano, siriano, libanese o turco.

Le ostilità hanno inizio l’11 Novembre 1994, quando il corpo di spedizione russo penetra in territorio ceceno da tre direzioni: Inguscezia, Ossezia settentrionale e Daghestan. L’obiettivo di Eltsin era quello di ristabilire l’ordine pubblico, la legalità costituzionale e disarmare le formazioni illegali presenti nella regione. Le truppe federali si scontrarono con un esercito di formazioni ribelli dotati di tank, blindati e artiglieria pesante, più una grande quantità di armi anticarro. Nonostante il governo di Washington si affrettasse a dichiarare ufficialmente che l’invasione della Cecenia era una questione interna della Federazione Russa i cui confini, al pari di quelli di tutti gli Stati costituiti, erano intangibili, vaste correnti favorevoli alla causa cecena si formarono nell’opinione pubblica internazionale e influenzarono alcuni governi

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Capisani G. R. “La Cecenia, dalla colonizzazione all’era Putin” in Giano. Pace, ambiente, problemi globali.

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europei. A favore della Cecenia si schierarono compatti i Paesi musulmani e molte delle Repubbliche interne della Russia si mostrarono preoccupate, così come i nuovi Stati indipendenti sorti dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, che temevano una futura invasione da parte di Mosca.

Il 12 gennaio 1995 venne lanciato l’attacco finale alla capitale cecena e il 19 dello stesso mese i russi, sempre incalzati e soggetti a continui attacchi di guerriglia urbana, riuscirono a prendere il palazzo presidenziale. Groznyj, ridotta ad un cumulo di macerie, cadde a metà febbraio e con lei circa venticinquemila dei suoi abitanti, costringendone altrettanti a rifugiarsi in Daghestan. Il governo russo acconsentì di buon grado alla creazione in Cecenia di una missione permanente dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), riconoscendo così implicitamente che la guerra nella Repubblica Nord-caucasica non poteva essere considerata una questione puramente interna. Ben presto i federali occuparono circa l’ 80% del territorio Ceceno; fu allora che, impotenti sul piano militare, una buona percentuale dei ribelli rimasti riuscì a ribaltare le sorti del conflitto, e da guerriglia si trasformarono in ciò che Mosca li aveva sempre definiti: terroristi. Ben presto si verificarono nelle città russe, in particolare in aree densamente abitate, una serie di azioni mirate alla presa in ostaggio e all’uccisione di civili per domandare in cambio la cessazione delle operazioni, il ritiro delle truppe dal suolo ceceno e l’amnistia per i combattenti ribelli. Una tra queste azioni in particolare, fu la presa dell’ospedale di Budënnovsk, nel giugno 1995, il cui costo in termini vite umane ha toccato la cifra di 140 unità ed ha messo alle strette il Presidente Eltsin costringendolo a trattare con il terrorista Basayev in merito alla cessazione delle ostilità in Cecenia in cambio della liberazione degli ostaggi. La decisione ha incontrato popolarità nei media Occidentali ma al tempo stesso ha aumentato la sfiducia nel presidente da parte del popolo Russo che si sentiva umiliato e sconfitto con metodi disonorevoli.

Dopo questo attacco terroristico e la conseguente indignazione della popolazione, il governo russo prese in considerazione l’idea di porre fine alla guerra. Il 22 giugno a Groznyj, sotto l’egida dell’OSCE, iniziarono le trattative di pace tra russi e ceceni che si conclusero con un ‘accordo preliminare sulle questioni militari’. I russi chiedevano che l’impresa di Budënnovsk fosse dichiarata un atto di terrorismo, e il disarmo dell’esercito nazionale, in cambio di un ritiro, anche se parziale, dell’Armata Russa. I russi si erano dichiarati disponibili a concedere l’autodeterminazione al popolo ceceno ma erano interessati solo al voler conservare

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l’integrità territoriale della Federazione russa, perciò, non fu raggiunta nessuna intesa sullo status politico della Cecenia e la sua organizzazione interna. Nel giro di poco tempo, di conseguenza, i ribelli ceceni ripresero gli attacchi nei centri sotto il controllo russo, come nella stessa Groznyj.

Nell'agosto del 1995, dei 6.000 uomini che combattevano contro i russi in Cecenia 300 provenivano dall'Afghanistan. Ad essi si unirono Mujahidin esperti della Bosnia Herzegovina, con esperienze militari nella guerra civile Jugoslava, facendo gradualmente espandere il conflitto anche nella vicina Inguscezia. A supporto della guerriglia cecena contro la Russia lavorarono anche le agenzie di intelligenze saudite e libanesi, ricevendo inoltre appoggi dalle amicizie provenienti da molti altri paesi mediorientali. Ad esempio l'Afghanistan dei Talebani fu l'unico Stato che riconobbe l'indipendenza della Cecenia, dove aprì addirittura un'ambasciata nel 2001.

I combattenti arabi trovarono un luogo ricettivo in Cecenia, all’inizio del movimento d’indipendenza, malgrado la regione fosse a prevalenza Sufi. Questi, raggruppatisi in due ordini principali (Al-Naqshabandiya22 e Al-Qadiriya), erano differenti per ideologia dai Wahhabiti stranieri, ma hanno comunque giocato un ruolo importante se non fondamentale nel preservare l’identità della nazione cecena attraverso la storia in Russia. Il loro intento principale era difatti limitato a far risorgere la propria identità religiosa e nazionale all’inizio degli anni 90, come le altre minoranze che erano state oppresse per anni dall’unione sovietica. Il movimento di protesta è stato accelerato dalla trasformazione strutturale della società cecena, molti hanno iniziato a emigrare nei territori musulmani dell’ ex Unione sovietica, per paura di perdere le proprie tradizioni e lingua a favore della cultura ufficiale russa.

Dall’analisi della Prima guerra russo-cecena è stato sancito che i tribunali della sharia avevano intenzione di applicare la legge di Allah contenuta nel Corano e stabilire lo Stato islamico con la forza in Cecenia. Perciò i combattenti stranieri si concentrarono sulla riuscita della creazione dello Stato Islamico invece di aiutare la regione a liberarsi dall’oppressione russa. Inoltre, l’importanza che detta corte

22 Naqshbandiyah che é la più segreta e militarizzata delle turuq sufi, assai sviluppata in Asia Centrale, Turchia, Bosnia e regione del Caucaso

22 Adepti della scuola islamica “purista” fondata nella metà del XVIII secolo nell'odierna Arabia Saudita Essi si consideravano gli unici depositari della fede musulmana e non vedevano di buon occhio il sufismo, versione dell'Islam che si era storicamente radicata in Cecenia. Cit. Castellani, A., p.136

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suprema aveva assunto durante i conflitti, ha impedito l’espulsione dei wahhabiti23 stranieri ordinata dal vertice decisionale ceceno, all’epoca presieduto da Aslan Maschadov. Questa espulsione fu dichiarata contraria alla legge della sharia e portò alla sospensione del Parlamento eletto24.

Eltsin, in fase preparatoria alle elezioni presidenziali di giugno, avanzava nuove proposte di pace a Dudayev, presupponendo la conclusione di un armistizio ed il ritiro delle truppe russe dalle zone già pacificate verso i confini della Cecenia, riservandosi però il diritto ad intervenire militarmente contro gli atti di terrorismo. La questione cruciale dell’indipendenza della piccola Repubblica rimaneva, invece, aperta, poiché le si autorizzava massima autonomia ma non la concessione della totale indipendenza. Le trattative tra Eltsin e Dudayev non poterono aver luogo, perchè quest’ultimo venne ucciso nella notte del 21 aprile 1996, raggiunto da un missile, grazie all’intercettazione della telefonata satellitare. Fu Yandarbiev, il vicepresidente, a sostituire Dudayev ma la personalità più autorevole era il capo di Stato maggiore delle formazioni militari cecene Aslan Maschadov25. Nato nel 1951 durante la deportazione in Kazakistan, aveva fatto carriera nell’Armata Rossa, ma quando la Cecenia indipendente chiamò i ceceni dispersi in tutte le Russie rispose e si mise a disposizione di Dudayev. La Russia vide in Maschadov l’interlocutore più affidabile per un probabile rientro della Cecenia nella Federazione, ma le trattative, riprese nel 1996, furono sottoscritte da Yandarbiev e Černomyrdin. Dopo tre settimane si ebbero le elezioni presidenziali russe dalle quali uscì vincitore Eltsin, ma la guerra russo-cecena continuò per altri due mesi. Le trattative finali si svolsero nel Daghestan settentrionale tra il 30 e il 31 agosto: l’accordo rimandava la definizione dello status della Cecenia al 2001 (anno di fine del secondo mandato di Eltsin). Fu, inoltre, garantito il rispetto del principio dell’autodeterminazione, dei diritti umani e di quelli delle minoranze etniche, e si stabilirono i termini delle ‘relazioni congiunte’, segnatamente quelle economiche e quelle specifiche del settore petrolifero. Maschadov, nel mese di ottobre venne nominato primo ministro di un governo di coalizione funzionante per il periodo di transizione fino alla soluzione definitiva sulla questione dello status della Cecenia. Il 27 gennaio 1997 si svolsero le elezioni in Cecenia e Maschadov venne eletto con il 59,3% dei voti contro Yandarbiev e

24 Vidino, L. (2006). The Arab Foreign Fighters and the Sacralization of the Chechen Conflict. 25 Notizie biografiche di Maschadov si veda Vietti, F. cit., pp. 34-40.

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Basayev. A quest’ultimo, Maschadov, offrì la carica di primo ministro. La Russia riconobbe la Cecenia e il suo Presidente. Entrambi si impegnarono a rinunciare alla minaccia e all’uso della forza. Il 12 maggio 1997 venne siglato il trattato di pace che mise fine alla Prima guerra russo-cecena, sancendo la vittoria degli indipendentisti sulle truppe di Mosca.

1.2Transizione da “guerra d’indipendenza” a “guerra Santa”.

Dopo il trattato di pace del 1997 era arrivato il tempo di ricostruire la Cecenia. Non vi erano ospedali, scuole, infrastrutture produttive, il 90% della popolazione era disoccupata e l’agricoltura in stato di abbandono e si doveva procedere alla bonifica dei campi minati. Le uniche fonti di sostentamento erano il commercio e l’estrazione di petrolio con metodi artigianali. Per quanto riguarda l’istruzione, erano presenti istituti privati tenuti dal clero musulmano, e la conseguenza fu una progressiva arabizzazione e islamizzazione dell’istruzione. Un altro problema fu l’arricchimento dell’elite separatista a discapito della maggior parte della popolazione, che portò a una forte emigrazione di massa; rimaneva solo chi non sapeva dove andare.

Maschadov avrebbe dovuto costruire lo Stato ceceno, rimetterne in piedi l’economia senza avere le risorse finanziarie e umane, ripristinare la rete dei servizi sociali essenziali, dalla sanità all’istruzione, stabilire l’ordine e il controllo sul territorio, ormai in balia di bande armate. Nelle zone di confine tra la Cecenia e le regioni della Federazione Russa vi era una forte tensione, e il dilagare della criminalità organizzata internazionale creò terreno fertile per il verificarsi di fenomeni di terrorismo, rapimenti politici e corruzione; inoltre, la Cecenia stava diventando la maggior produttrice, consumatrice ed esportatrice di droghe ed armi nel Sud della Russia. La forte influenza della dottrina dei wahhabiti sui giovani, poveri, disoccupati, analfabeti e privi di una conoscenza religiosa ma con una grande esperienza in fatto di guerra portò al superamento delle autorità tradizionali. Quindi sotto la guida di Maschadov la Cecenia visse un periodo di confusione e precaria indipendenza caratterizzato da disordine, illegalità e violenze. Un’altra questione importante consisteva nella definizione dello status della Repubblica che non era ancora stata definita: la Russia doveva decidere se riconoscere l’indipendenza della Cecenia. Il problema era di tipo politico: questa temeva che anche altri soggetti

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federati optassero per il distacco dal potere centrale. Dopo anni di trattative tra Russia e Cecenia, la situazione precipitò di nuovo nell’estate del 1999 verso una nuova guerra con la Russia.

Lo scontro vero e proprio iniziò ai primi di settembre, come reazione russa non solo alla situazione interna cecena, ma anche a due gruppi di drammatici avvenimenti intrecciati tra loro. Il primo evento era un’iniziativa presa dall’opposizione radicale cecena come rivalsa contro la sconfitta subita nello scontro politico con Maschadov nel 1997: il 7 agosto 1999 oltre un migliaio di guerriglieri guidati da Shamil Basayev e dal cosiddetto cittadino giordano Habīb ‘Abd-ar-Rahmān, detto Khattab26, penetrò nel Daghestan, s’impadronì di quattordici villaggi e proclamò la “Repubblica islamica” con lo scopo di unire il Caucaso settentrionale. L’esercito russo intervenne immediatamente contro i guerriglieri con appoggi aerei, iniziando così la Seconda guerra russo-cecena. Maschadov si trovò in una difficile posizione, doveva prendere le parti della Russia contro le iniziative di Basayev e Khattab per evitare la dura risposta militare e decise quindi di negare la responsabilità della Cecenia nell’invasione del Daghestan, non condannando però l’impresa di Basayev. In poco più di un mese l’intervento delle truppe federali aveva la meglio sui ribelli, costretti a ritirarsi dai villaggi occupati e a rifugiarsi in Cecenia. Basayev invocò più volte “la Jihad27” (ghazawat)28. La sollevazione popolare voluta

da Basayev29e i suoi complici non si realizzò, anzi, le popolazioni locali stremate dalle continue violenze, reagirono all’invasione del Daghestan non rispondendo più agli appelli dei wahhabiti30. Il secondo evento che impresse un corso nuovo e più ampio al conflitto fu una serie di attentati che colpirono abitazioni nella Federazione

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Capo della guerriglia islamista, meglio generalizzato nel paragrafo seguente. 27

Ibn Taymiyya, considerato uno dei più importanti dotti dell’islam sunnita, ha dichiarato la legittimità del jihad contro i musulmani che non seguono la sharia, in quanto non sarebbero veri musulmani malgrado la loro dichiarazione di fede.

28Nella lingua cecena significa “incursione, assalto, marcia” si intende la “jihad”, la guerra santa, anche se lo stesso termine arabo si può indicare anche una lotta spirituale per il perfezionamento della fede. Vedi nota n.96, in Bensi, G. cit., p. 125.

29L’obiettivo di Basayev, designato emir (capo militare) delle forze musulmane nel Caucaso, consiste nell’unificazione su base islamica di Cecenia e Daghestan, seguita alla decolonizzazione del Daghesta n e di tutto il Caucaso stesso. Nonostante questo appello non venga accettato dalle popolazioni civili d aghestane, l’intervento delle truppe federali russe raggiunge anche i loro territori, rivelandosi un’azion e controproduttiva, poiché tende ulteriormente ad aumentare l’odio razziale di una regione vista da se mpre come “un’isola di relativa pace nel mare dei conflitti etnici”. Infatti, seppur soggetto ad un’estre ma privazione economica e rifugio di masse di profughi provenienti dalle zone confinanti, il Daghesta n si è sempre battuto per impedire la guerra civile. Si veda Matthew Evangelista, “Dagestan and Chec hnya: Russia’s Self-defeating Wars”, in PONARS Policy Memo, n.95, ottobre 1999, www.csis.org

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russa. Putin procedette con l’espulsione dei guerriglieri dal Daghestan e l’invasione della Cecenia, attraverso l’occupazione della zona pianeggiante e delle principali città, parallelamente ad un’ ardua penetrazione nelle zone montanare eseguita da truppe specializzate, contro le quali la resistenza cecena organizzava violenti contrattacchi. Il 1 ottobre l’esercito penetrò dall’Inguscezia, dall’Ossezia del nord e dal Daghestan con l’obiettivo di impegnarsi in un’operazione antiterroristica volta alla distruzione delle organizzazioni banditesche, ed alla formazione di un ‘cordone sanitario’ attorno alla Repubblica caucasica. Nonostante la tattica russa fosse migliore della precedente guerra, i militari si ritrovarono in una logorante guerriglia. Le milizie cecene infierivano crudelmente sui prigionieri russi, mentre, le forze federali conducevano un’azione di repressione brutale con operazioni che si concludevano con il rapimento e l’uccisione di civili sospettati31

. Entrambe le parti erano favorevoli alle trattative ma non intraprendevano azioni idonee al raggiungimento di un accordo condiviso tra loro. Le autorità russe, inoltre, si rifiutarono di trattare con i comandanti militari fondamentalisti come Basayev ma anche con Maschadov o il suo rappresentante diplomatico. “Il fine di questa politica era quello di creare una leadership completamente fedele a Mosca, prescindendo dalla sua rappresentatività nei confronti della popolazione cecena”32

. La scelta ricadde sull’ex sindaco di Groznyj, Gantemirov, che formò un battaglione di volontari ceceni da affiancare alle truppe russe. I fatti che radicalizzarono il conflitto e compattarono il diviso fronte dei capi ceceni furono: il bombardamento del mercato di Groznyj del 21 ottobre 1999 che provocò la morte di un centinaio di persone, seguita da un grande esodo di profughi (centomila a metà novembre), riparati in accampamenti di fortuna, per lo più nella Repubblica inguscia e in misura minore in Georgia. Maschadov perse credibilità come possibile interlocutore di Mosca riguardo a nuove trattative di pace: lo si considerava privo di un reale potere e succube dei radicali. Nel mese di dicembre le truppe russe completarono la distruzione della capitale cecena, iniziata già alla fine del 1994, provocando un migliaio di morti tra i federali, due o tre volte tanto tra i ceceni, e una massa di circa duecentomila profughi. Groznyj venne conquistata totalmente solo alla fine del gennaio 2000, e nel mese successivo poche migliaia di boïevichi ruppero il blocco, lasciando con ingenti perdite la città e fuggendo nelle zone montuose del sud, per riorganizzarvi la

31 Politkovskaja, A. (2003) Cecenia, il disonore russo Roma, Fandango. 32

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guerriglia. I combattenti più irriducibili, infatti, asserragliati sulle montagne, rinforzati da volontari islamici di diversa provenienza, bene armati e decisi a resistere a oltranza, continuarono a combattere.

Nel mese di febbraio, però, Putin annunciò la fine delle operazioni militari in Cecenia, fornendo il contesto per il cambiamento di leadership in Russia e conseguentemente anche nella Repubblica separatista. Infatti, la determinazione politica mostrata nei primi mesi del conflitto piacque all’opinione pubblica russa e il trionfo elettorale del 26 marzo, che vide il Presidente ad interim eletto al primo turno con il 52,5% dei voti, ne era la dimostrazione. Maschadov non venne più considerato l’interlocutore di Mosca per colloqui e possibili trattative, poiché gli furono ostili sia i moderati (come l’ex combattente indipendentista ed ex mufti della Cecenia Kadyrov, che cerca un compromesso con i russi), sia i radicali, sia una parte della popolazione stremata da due micidiali conflitti e dal caos creato da governi (Dudayev e Maschadov) impari ai compiti assunti.

La fase successiva era la costruzione politica in Cecenia. La Russia aveva ottenuto il controllo di quasi tutto il territorio, ad eccezione delle montagne impenetrabili interne alla Cecenia, roccaforti dei combattenti. I tentativi di Mosca di “normalizzare” la situazione in Cecenia, però, incontrarono molte difficoltà. I soldati russi si alienarono la popolazione locale con l’adozione di metodi alquanto brutali e decisivi nella ricerca dei guerriglieri, dando origine a un’ondata di attacchi terroristici al di fuori della Cecenia come l’assedio al teatro Dubrovka, nell’ottobre 2002, l’assalto a un concerto di musica rock vicino a Mosca, nel giugno 2003, numerose autobombe, un attacco suicida nella metrò di Mosca ed infine il tristemente noto sequestro in una scuola di Beslan nel settembre 2004 che costò la vita ad oltre 300 bambini. Putin accusò Maschadov di terrorismo internazionale e si rifiutò di negoziare una qualsiasi soluzione della crisi, chiedendo a gran voce la sua resa. Nel marzo del 2005, reparti speciali russi riuscirono ad individuare ed uccidere Maskhadov, eliminando anche l’ultima speranza di negoziare la pace.

“Lo hanno tradito e ucciso per scongiurare l' accordo, sostenuto dalla comunità internazionale: ora prevarranno i radicali islamici di Basayev, i terroristi wahhabiti”33

.

33Commento di Politkoskaia nell’articolo: “il leader indipendentista che scelse il kalashnikov” in http://www.repubblica.it

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La successiva fase iniziò con la scelta, da parte del governo russo, di Kadyrov34, come successore di Maschadov, che fu eletto nel giugno 2003 Presidente della Cecenia. Le elezioni vennero condannate da organismi internazionali e dai rappresentanti locali, in quanto considerate irregolari. Kadyrov fu ucciso sette mesi dopo, suscitando la necessità di procedere a nuove elezioni. Il successore fu suo figlio Ramzan che, compiuti i trent’anni, divenne nuovo Presidente della Cecenia (tutt’oggi in carica). Allo stesso tempo al controllo russo subentrava un processo di “cecenizzazione” del potere; la popolazione della regione era spesso vittima delle repressioni della milizia armata del nuovo Presidente, composta dai cosiddetti “kadyrovtsy”. Il Cremlino per evitare di rischiare un ulteriore processo disgregativo che avrebbe potuto estendersi all’intero Caucaso settentrionale e da qui ad altre regioni con forte presenza russo-musulmana, tentò di instaurare un nuovo sistema politico nelle zone sotto controllo russo. Lo scopo era di dotare questo sistema amministrativo di alcuni attributi di autonomia, respingendo così il gruppo dirigente indipendentista ai margini e sostituendogli gradualmente nuove strutture create da Mosca che assumevano le sembianze della legittimità. Tuttavia il movimento secessionista non scomparve e divenne protagonista, nei primi anni del nuovo millennio, all’interno della Federazione russa, con i già citati attentati criminali in parte legati al radicalismo islamico. La seconda guerra cecena pertanto si concluse solo formalmente, tendendo sempre di più nella direzione della guerriglia e con forti ripercussioni a livello internazionale.

34Figura chiave della storia dell’indipendenza cecena, Ahmad Kadyrov appartiene alla Qadiriyya e, come i suoi seguaci, si fa promotore della pace con i russi pur senza rinunciare all’identità politica e culturale del suo popolo. Egli nasce in Kazachstan nel 1951. Tornato in Cecenia nel 1989 fonda qui la prima madrasah del Nord Caucaso di cui rimane rettore fino al 1994, quando sull’onda del nazionalismo indipendentista scatenato da Dudayev prende parte alla prima guerra cecena. Per fare questo accetta lo stravolgimento dell’ideologia pacifista originaria della Qadiriyya operato da Dudayev, proclamando, come leader religioso, la jihad contro i russi. Proprio per questo motivo nel 1995 Kadyrov viene nominato mufti ufficiale della Cecenia e, come capo dei musulmani ceceni, partecipa ai negoziati di Maschadov. Tuttavia dopo qualche anno critica apertamente il primo accusandolo di debolezza e condiscendenza verso i wahhabiti, a suo parere incompatibili con l’Islam sufico del Nord Caucaso. Maschadov reagisce destituendolo dalla carica di mufti e dichiarandolo ‘nemico del popolo ceceno’ e di conseguenza lo stesso Kadyrov ripensa la sua adesione alla Qadiriyya, implicando nuovamente la ricerca della pace e la collaborazione politica con i russi. Da allora Kadyrov diventa bersaglio di una serie di attentati fino all’ultimo, decisivo, del 9 maggio 2004. Si veda a tal riguardo Bensi, G., cit., pp. 190-198.

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1.3 Fenomeno foreign fighters, dal reclutamento all’azione.

In questo paragrafo cercherò di inquadrare nello specifico il fenomeno dei combattenti stranieri nel territorio ceceno. Come accennato nel precedente paragrafo, circa il 45% dei combattenti stranieri nella regione in analisi sono apparsi a cavallo tra la prima e la seconda guerra russo-cecena35.

Nella difficile situazione di guerra in cui si trovava la Cecenia negli anni Novanta l’Islam ebbe un ruolo fondamentale in quanto sembrò essere l’unico strumento capace di alleviare i problemi della popolazione. È necessario, prima di procedere, spiegare il rapporto tra Islam e Cecenia, e per farlo occorre andare indietro nei secoli. La religione musulmana si diffuse in Ichkeria nel XIII secolo, e poi nel XV secolo i rapporti commerciali e i legami con il Daghestan, Iran, Crimea e Impero Ottomano permisero una completa diffusione dell’Islam in Cecenia. Qui l’Islam incontrò la religione pagana locale, ci furono scambi e adattamenti tra le due, le norme tradizionali pagane si fusero con le cerimonie musulmane. La vera Islamizzazione del Caucaso settentrionale e il radicamento della fede musulmana si compirono tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, in corrispondenza con l’avvio della liberazione nazionale contro l’espansione dell’Impero Russo. In Cecenia, però, si affermarono le confraternite sufi, marcatamente pacifiste, come le radici più profonde della religione islamica nel Caucaso settentrionale e della resistenza alla pressione russa. Il sufismo36, durante i lunghi periodi di dominazione russa, si trasformò in una fede clandestina e questo le permise di sopravvivere; e quando il giogo russo si allentava, tornava alla piena attività pubblica (nel biennio 1920-21 e dopo il 1991 nella Cecenia indipendente di Dudayev). Furono le tariqat37a fungere da collante per il popolo ceceno disperso in Asia e non il territorio sottratto. Durante il periodo sovietico, mentre la religione ufficiale era ridotta al silenzio, la religione sufi si manteneva in vita grazie all’opera e al senso di appartenenza alle

35il 29,5% dei foreign fighters entrò in Cecenia durante la prima guerra, mentre è sconosciuto il periodo di ingresso del restante 25,5% .

36 Il sufismo, antichissimo movimento religioso, nacque in seno all’Islam e si diffuse in tutti i paesi musulmani, dal maghreb fino all'Indonesia. L'origine del termine “sufismo” deriva dal vocabolo arabo ṣūf “lana”, con riferimento agli abiti di lana grezza che indossavano gli adepti. Castellani, A., cit., p.159

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La Tariqat è legata alla singola persona e non al territorio, e raccoglie in se il senso dell’identità della comunità cecena e l’ espandersi alle popolazioni dell’Asia centrale che precedentemente non praticavano la religiosità sufi.

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confraternite sufi. Quindi la fede sufista costituisce storicamente una sorta di alleanza trasversale che nel momento di difficoltà è riuscita a riunire le persone e rafforzare il senso d’identità collettivo e la forza di resistenza agli elementi disgreganti esterni. Questo genere di fede ha fatto sì che l’Islam tradizionale venisse a patti per contaminarsi con le norme tradizionali della società e i codici di comportamento individuali. La tradizione sufi fu attaccata dall’Islam radicale. Negli anni Novanta l’Islam ha acquisito una valenza politica in Cecenia, inserendo la causa indipendentista nel contesto internazionale della sfida dell’Islam radicale al mondo Occidentale. Nonostante l’Islam fosse presente in Cecenia non era però realmente sentito né da la maggior parte dei ceceni, né da parte di Dudayev che dichiarò:

<<Dove la religione prevale sull’organizzazione secolare dello Stato, sono destinati a emergere o l’inquisizione spagnola o il fondamentalismo islamico>>.

La paura dell’invasione russa fu la causa per la quale, nel corso del 1993, Dudayev inserì l’Islam nel programma politico sostituendo il Parlamento democraticamente eletto con il “Consiglio degli anziani”, usato come minaccia per ottenere il supporto occidentale e scongiurare il pericolo dell’invasione russa. Questo particolare indica che nella Prima guerra russo-cecena non vi fu nessuna ispirazione e valenza religiosa profonda da parte dei ceceni, ma il susseguirsi delle vicende belliche provocò il rafforzamento del ruolo della fede e delle istituzioni islamiche. Inoltre, la situazione di trauma e violenza psicologica legata ad una guerra terribile portò i combattenti ceceni a cercare conforto nella religione: la sharia e le corti che giudicavano secondo la legge coranica assunsero un ruolo fondamentale in assenza di altri codici. In questo periodo la fede islamica svolse perciò un ruolo psicologico (superare la paura della morte) e sociale (mantenere la disciplina necessaria alla guerriglia). L’Islam ottenne consenso da parte di tutti i combattenti ceceni e si diffuse l’idea tra questi di essere impegnati in una gazavat contro il nemico russo che da invasore si era trasformato anche in infedele.

<<“perché non hai paura di morire? Non hai voglia di vivere?” “si, ho molta voglia di vivere. Ma questa è una guerra santa”38

>>.

In questo contesto si affermarono i gruppi di wahhabiti, combattenti islamici di fede radicale di origine mediorientale che, disponendo di ingenti quantità di

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denaro e di armi , nella fase decisiva del conflitto riuscirono a ottenere numerosi successi sul campo e la possibilità di condizionare il destino della Cecenia39.

Nel difficile periodo post Prima guerra russo-cecena, nonostante le promesse di aiuto a ricostruire da parte del governo russo, la Cecenia era stata lasciata sola. Era necessario ricostruire tutto: scuole, ospedali, dovevano essere bonificati i campi minati per permettere di far ripartire l’agricoltura. Vi era, inoltre, il bisogno di stabilire i corridoi per l’assistenza umanitaria alla popolazione che era rimasta durante la guerra e per i militari che avevano combattuto, ma ciò non fu attuato. La Russia era riuscita nel suo intento, quello di tenere la Cecenia lontana dai riflettori internazionali. La popolazione civile si trovava in condizioni di miseria, vi era un largo numero di disoccupati, giovani analfabeti, orfani e famiglie distrutte dalla guerra e la mancanza di aiuti portò ad una situazione di frustrazione collettiva, che vide una luce di speranza nell’Islam radicale. Inoltre, gli attacchi russi si concentrarono inizialmente sul contrasto del movimento per l’indipendenza nazionale lasciando i fondamentalisti islamici liberi di diffondere la loro propaganda. I primi wahhabiti giunsero dal Daghestan nel 1991 ma la loro dottrina si scontrò con le locali tradizioni sufi e non attrasse seguaci (solo 200 wahhabiti prima del 1994). Durante la guerra, però, i successi ottenuti da parte del “Battaglione islamico”, formato da volontari stranieri sotto la guida del comandante Khattab, spinse molti giovani ceceni a intraprendere il processo di radicalizzazione verso la religione islamica, che rappresentava l’unico modo per raggiungere uno status di militare ben addestrato, dotato di armi moderne. L’Islam, quindi, ottenne seguito da parte dei guerriglieri indipendentisti e, grazie ai finanziamenti provenienti dal Medio Oriente, nel 1996 i wahhabiti si trovano in una posizione di forza da sfruttare contro i russi. Inoltre, la popolazione stremata dalla guerra accolse gli appelli alla costruzione di uno Stato Islamico e il ricorso alla Sharia fu visto come unica arma per combattere il caos dominante nel Paese.

Per quanto riguarda la leadership dei “foreign fighters”, vorrei concentrarmi sulla figura di Khattab. Per anni la sua vera identità è stata avvolta dal mistero. Il governo russo lo indicava come guerrigliero di origine giordana, in realtà era di origine saudita: nato nel 1969, il vero nome è Samir Saleh Abdullah Al-Suwailem40. Questo fraintendimento può essere fatto risalire alla Diaspora cecena presente in

39 Vietti, F. cit. pag 65 40

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Giordania nella regione vicina all’Arabia Saudita. Proveniente da una famiglia di religione conservativa, partì per l’Afghanistan ancora minorenne, e qui entrò in contatto con Osama Bin Laden. Dopo il ritiro dei sovietici dall’Afghanistan, Khattab scelse di proseguire la lotta armata, prima in Tagikistan, poi in Cecenia, dove arrivò nel 1995, spacciandosi da giornalista41. Per lui la Cecenia era un’altra nazione come l’Afghanistan, sotto l’attacco degli infedeli, un Paese da liberare, islamizzare e usare come modello di conquista di tutte le terre musulmane del Caucaso e nella Russia meridionale42. Egli partecipò attivamente ai combattimenti durante la Prima guerra cecena e fu anche il primo terrorista a comprendere il peso del proselitismo “Allah ci ordina di combattere i miscredenti come loro fanno con noi. Loro lo fanno con mezzi di informazione e propaganda, e anche noi dobbiamo fare altrettanto con i nostri mezzi di informazione”. Khattab43

venne incaricato di creare un centro di addestramento per le forze armate e, grazie ai finanziamenti provenienti dall’Afghanistan, ne riuscì ad aprire ben tre. L’addestramento era previsto per una durata di due mesi e la possibilità di formare quattrocento persone, e combinava le tecniche militari con l’ indottrinamento religioso radicale. Il governo russo ha stimato che, nel periodo tra le due guerre russo cecene, siano stati formati 2500 combattenti (stranieri e ceceni). La particolarità del personaggio in questione si evidenzia dal ruolo mediatico che nel periodo della massima intensificazione degli scontri è andato a ricoprire. Divenne infatti reporter di guerra con lo scopo di catturare e diffondere in tutto il mondo le immagini delle imboscate che i combattenti tendevano alle truppe federali, in modo tale da atterrire e demoralizzare il nemico. Quei video, assieme ad altri “girati” da diversi reporter, sono ancora visualizzabili su internet, anche semplicemente su Youtube. Khattab, nonostante fosse uno dei comandanti più attivi nella guerriglia e sotto la protezione di Shamil Basayev, in quanto straniero non poteva godere di completa autonomia e legittimità.44 Il rapporto tra Khattab e Basayev era molto stretto, si consideravano fratelli, ed è stato fondamentale per superare la diffidenza degli indipendentisti ceceni verso l’influenza esterna nei propri affari interni.

La chiamata alle armi per i combattenti stranieri è avvenuta utilizzando mezzi di comunicazione “moderni”. Dopo la morte di Khattab, venivano inviate

41

Salas, A. (2011). L’infiltrato. Newton Compton Editori.

42 Vidino, L. (2006) The Arab Foreign Fighters and the Sacralization of the Chechen Conflict. 43 Ivi.

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mail per spiegarne le cause e venivano diffuse le foto dello stesso in vita, ritratto in atteggiamenti benevoli, leale alla causa ed invincibile. La guerra russo cecena fu poco conosciuta nella comunità internazionale a causa del silenzio organizzato dai

leader russi che hanno pilotato l’informazione in modo tale da essere liberi di

intraprendere qualsiasi azione senza essere accusati dai Paesi Occidentali ovvero dalla stessa opposizione russa. I leader ceceni per far conoscere nel mondo la propria causa fecero largo uso di Internet che divenne fondamentale per mettere in campo una campagna di propaganda-informazione-sensibilizzazione dove il nemico era definito “Russian Hell”. Sul sito “azzam publication”, ad esempio, venivano inserite delle Faq per dare indicazioni logistiche (come l’utilizzo della rotta ferroviaria proveniente dall’Afghanistan) a chi fosse interessato a partecipare alla guerra.

Rispetto a quello che vedremo nel secondo capitolo, in Cecenia i foreign fighters sono stati solo poche centinaia, non raggiungendo le migliaia come in altri teatri di battaglia dove hanno operato; questa è la conseguenza di una serie di strategie di entrambe le parti in conflitto. Quindi il numero di foreign fighters nel corso delle due guerre russo cecene è variato negli anni: si stima che il loro numero oscilli dalle 200 alle 700 unità45 di combattenti transnazionali. Questo numero di combattenti è ritenuto basso rispetto alle migliaia che hanno combattuto in Afghanistan, in Bosnia e, come vedremo successivamente, in Siria e non ci sono stati in questo periodo conflitti maggiori che hanno coinvolto i musulmani togliendo l’attenzione a quello ceceno. Il primo elemento che può spiegare il limitato numero di foreign fighters nel conflitto russo ceceno può essere spiegato andando ad analizzare la modalità di accesso al “campo di battaglia”: la Russia ha da subito cercato di bloccare l’accesso alla Cecenia, i controlli erano effettuati dall’esercito federale su tre lati della frontiera, svolgendo la funzione deterrente di scoraggiare coloro che volessero raggiungere i combattenti, spesso conoscenti o connazionali, già presenti sul territorio. La parte di frontiera rimasta senza controllo russo era difesa naturalmente dalle montagne caucasiche confinanti con la Georgia. Molti arabi sono stati uccisi mentre tentavano di raggiungere la Cecenia e biografie di dozzine di jihadisti rivelano quanto fosse frequente il desiderio di andare a combattere contro la Russia. L’esempio proposto da Vidino (2006) è quello di una serie di membri della

45

Hegghammer, T. “Should I Stay or Should I Go? Explaining Variation in Western Jihadists’ Choice between Domestic and Foreign Fighting”, American Political Science Review, vol. 107, no. 1 (2013), pp.1-15.

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cellula di Amburgo, coinvolti nel 11 settembre, che avevano considerato seriamente di andare a combattere in Cecenia al fianco del saudita Khattab che, però, data la difficoltà a varcare la frontiera russa hanno preferito indirizzare il loro viaggio verso l’Afghanistan. Il secondo elemento che ha impedito al fenomeno dei combattenti stranieri di raggiungere un picco elevato come negli altri conflitti è stata l’azione compiuta dall’intelligence russa, che ha avuto come obiettivo fin dall’inizio quello di eliminare i leader a capo delle “squadre” di foreign fighters, coloro che giocavano il ruolo chiave nel combattimento, nell’addestramento di combattenti contro l’infedele/invasore russo e abili nell’ottenere finanziamenti da persone benestanti e dalle organizzazioni del Medio Oriente. Il terzo elemento è l’ordine impartito dai ribelli ceceni a Khattab di non aumentare il numero di partecipanti ai campi di addestramento presenti nella parte Est della Repubblica; ciò era necessario, sia per evitare che le preziose risorse fossero impiegate per combattenti non addestrati e che non avrebbero contribuito con massimi risultati al conflitto46, sia per non provocare disaccordi con i combattenti locali per questioni linguistiche e di idee estremiste sull’essenza della lotta e su come si doveva combattere. Il quarto elemento è stata la propaganda, attraverso siti internet, che oltre a far conoscere il conflitto ha svolto la funzione di informare in tempo reale sugli avvenimenti della guerra, svolgendo, inoltre, la funzione di deterrente perché gli aspiranti combattenti alla notizia delle esperienze negative dei combattenti già nell’area dello scontro e dell’alto numero di foreign fighters morti (più del 90%) sono stati scoraggiati e sono stati spinti dagli eventi ad andare a combattere altrove oppure hanno scelto di andare in Afghanistan per addestrarsi con lo scopo di partire per la Cecenia con la giusta esperienza. Si conclude che i mezzi di comunicazione e informazione moderni, aventi la caratteristica di mettere in contatto e informare immediatamente, hanno svolto un ruolo importante nel reclutare nuovi combattenti, ma allo stesso tempo ne hanno limitato l’afflusso. Questi fattori hanno influenzato l’affluenza di nuovi possibili combattenti dissuadendoli dal partire, comportando così una conseguente diminuzione del numero di foreign fighters presenti a poche centinaia di unità.

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Moore, C. & Tumelty, P., “Foreign Fighters and the case of Chechnya: a critical assessment””, (2008) cit. p. 422.

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Capitolo

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I foreign fighters nella guerra civile siriana.

2.1 Breve storia della guerra civile siriana

La Siria è stata uno dei paesi più importanti del Medio Oriente. Situata tra Iraq, Turchia, Libano, Israele e Giordania, ha sempre giocato un ruolo di fondamentale importanza nella definizione degli equilibri regionali, in quanto possiede una serie di peculiarità che la rendono unica nella regione, sia dal punto di vista storico sia rispetto alle dinamiche geopolitiche contemporanee. È governata dal 1963 dal partito Baʿth; il capo di Stato dal 1970 è un membro della famiglia Asad. L'attuale Presidente della Siria è Baššār al-Asad, figlio di Ḥāfiẓ al-Asad, che ha mantenuto il potere dal 1970 sino alla sua morte nel 2000.47

Il 2010 fu l’anno della cosiddetta “Primavera araba”48

: in molti Paesi del Maghreb (Tunisia, Algeria) e del Medio Oriente i giovani scesero in piazza per manifestare contro regimi dittatoriali decennali, che erano riusciti a tenere sotto il giogo del potere intere popolazioni prive delle libertà fondamentali, riuscendo destituirli (Mubarak in Egitto e Ben Ali in Tunisia).

<<I tunisini sono già stati liberati. Gli egiziani erano sulla strada per esserlo. Credevamo fosse arrivato il nostro momento>>49.

Con il 2011 iniziarono le proteste in Siria. Tutto iniziò il 6 marzo del 2011 a Dar’a, una città a maggioranza sunnita nel sud della Siria: un gruppo di ragazzi dai 13 ai 16 anni scrisse alcuni graffiti sul muro di una scuola. Uno diceva: “Il popolo vuole rovesciare il regime”; un altro “È il tuo turno, dottore”, che era un messaggio rivolto al presidente Assad, laureato in oftalmologia. Il giorno dopo la scuola era

47 Bashar al-Assad (n.d) Wikipedia 48

Primavera araba è un termine di origine giornalistica utilizzato perlopiù dai media occidentali per indicare una serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. dopo le sommosse avvenute in Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Tunisia, Yemen, Iraq, Bahrein, Giordania e Gibutche hanno portato alla fine di decennali regimi

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piena di poliziotti e agenti dei servizi di sicurezza. Decine di ragazzi furono prelevati a casa con la promessa che sarebbero stati trattenuti per poche ore ma non fu così50.

Grazie al proliferarsi delle notizie dei successi delle “primavere arabe” migliaia di persone furono spinte a scendere in piazza ad Aleppo e a Damasco contro il regime del presidente siriano alawita Bashar al-Assad e dopo il 15 marzo le proteste si estesero in tutta la Siria con l’obiettivo di spingere il presidente ad attuare le riforme necessarie e a dare un’impronta democratica allo Stato. A seguito della morte del tredicenne Hamza ali al-Khateeb durante la manifestazione a Dara’a nel mese di aprile dove l’esercito siriano aprì il fuoco per disperdere i manifestanti, le manifestazioni sfociarono inevitabilmente in episodi di violenza. Due settimane dopo il corpo del bambino fu restituito alla famiglia torturato e mutilato. Queste scene di violenza indignarono la comunità internazionale e la ferocia di questo evento fu attribuita alle forze speciali di al-Assad, il quale escluse ogni coinvolgimento affermando che l’opposizione al suo governo era portata avanti da jihadisti di al-Qaeda, cercando così di trovare simpatie dell’occidente. Per distogliere l’attenzione dalla situazione critica di ordine pubblico che si era generata all’interno del paese al-Assad revocò lo stato d’emergenza in vigore dal 1963, senza ottenere alcun risultato nella pacificazione sociale.

Nel 2011 centinaia e poi migliaia di siriani furono uccisi dai militari e tutto questo cominciò a invadere i media locali e internazionali. Al-Assad portò avanti una campagna di pubbliche relazioni allo scopo di manipolare l’opinione pubblica internazionale rilasciando interviste solo a media ben selezionati. Il governo cercò, quindi, di reprimere le proteste con arresti, uccisioni, sparizioni e torture ma non riuscì a fermare l’opposizione e nel Maggio mandò nelle strade l’esercito portando la repressione ad un livello di ferocità inaudita, facendo prendere un’altra direzione alla rivolta siriana. In poche settimane le proteste si allargarono a tutta la Siria, nel nord del paese, i manifestanti cominciarono ad assaltare le caserme delle forze di sicurezza e ad impossessarsi delle loro armi. Alcuni soldati siriani con l’ordine di sparare sulla folla cominciarono a disertare e a unirsi ai manifestanti. Nel luglio, a quattro mesi dalle prime proteste, un gruppo di ufficiali disertori proclamò la nascita dell’Esercito Libero Siriano (Free Syrian Army, FSA).

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<<Khaled pensava che ci sarebbe stato un dialogo con la popolazione che manifestava nelle strade di Homs; e quando ha visto che i generali davano l'ordine di sparare sulla folla, alla cieca, 'senza distinguere fra uomini, donne e bambini', non ce l'ha fatta piu' e ha disertato, passando dalla parte dei rivoltosi>>51.

Il regime di al-Assad si è sempre posto come ‘protettore’ delle minoranze religiose del paese (alauita, cristiana, sciita), ma durante la guerra civile queste istanze laiche e democratiche hanno via via perso terreno a favore di una ribellione avente carattere religioso; questo è dovuto all’ intervento di numerosi gruppi jihadisti giunti in Siria, tra il 2011 e il 2012, da molte parti del mondo per combattere a fianco del FSA e finiti in gran parte per fondare brigate e bande autonome. Tra questi foreign fighters vi erano combattenti provenienti dall’Iraq, che avevano combattuto a fianco di Al-Zarqawi (capo di Al-Qaeda in Iraq) i quali costituirono il 23 gennaio 2012 il Fronte di Al-Nusra52. Inizialmente la frangia più laica del FSA accettò di

combattere a fianco di Al-Nusra ma la capacità di quest’ultima ad attrarre finanziamenti dall’estero e attrarre combattenti volontari fece peggiorare i rapporti tra i due gruppi.

La caratteristica di attrarre finanziamenti dai Paesi Arabi ha portato molti esperti a pensare alla guerra civile siriana come ad una “guerra per procura”53 nella quale paesi arabi sunniti54 (i finanziatori dei gruppi ribelli) e i paesi come l’Iran e i gruppi sciiti della regione (Hezbollah) che appoggiano al-Assad. Questo conflitto si è trasformato ben presto in una diatriba tra le potenze venute dall'esterno, prendendo pieghe tragiche e pericolose per la popolazione e difficilmente definibile per il mondo intero. Questo nuovo aspetto, in Siria, ha fatto sì che la guerra civile diventasse più lunga, (dopo quattro anni se fosse stato un conflitto convenzionale si sarebbe già spento) impedendo quindi alla popolazione la possibilità di ricostruire le loro vite e il loro Paese.

Dal 2011 ad oggi si sono fronteggiati tre diverse fazioni nel conflitto siriano: il primo è il fronte di al-Assad che ha potuto contare sul sostegno logistico e militare di Hezbollah, l’Iran e l’Iraq rendendo il conflitto ancora più specifico configurandolo come rivalità tra sciiti e sunniti. Assad gode inoltre dell’appoggio

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Ricucci, A. Sulla-via-di-damasco Disponibile su http://www.lastoriasiamonoi.rai.it 52 Mapping militants Project Disponibile su https://web.stanford.edu

53 Una guerra in cui due potenze utilizzano terze parti come supplemento, o un sostituto per la lotta contro l'altro direttamente. Definizione disponibile http://dizionario-internazionale.com

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Riferimenti

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