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L'ultimo modulo differenziato da prendere in considerazione consiste nel rito immediato richiesto dall'imputato.

L'art. 419, comma 5, c.p.p., predispone le regole da seguire per attivare questo rito, nell'ambito degli atti introduttivi dell'udienza preliminare.

Come nel giudizio immediato “tipico” e “custodiale”, con tale soluzione procedimentale si “salta” la fase dell'udienza preliminare, giungendo direttamente a dibattimento.

Il primissimo inquadramento sistematico, sulla scorta del suo richiamo previsto dagli artt. 453, comma 3 e 458, comma 3, c.p.p., lo

226 E. VALENTINI, La poliedrica identità, cit., p. 332 s. e nota 118. 227 G. VARRASO, Il “doppio binario”, cit., p. 186.

228 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 648; G. VARRASO, Il “doppio binario”, cit., 186 s.

considerava una tipologia atipica del giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero.229

Successivamente è stato notato come prevalga la sua connotazione consensuale, insita nella possibilità da parte dell'imputato di rinunciare alle difese spendibili nell'udienza preliminare; caratteristica presente nei procedimenti (giudizio abbreviato e “patteggiamento”) che, però al contrario, si risolvono nel segmento intermedio del processo penale di primo grado.230

Inoltre, a differenza di quest'ultimi, la manifestata rinuncia ai diritti difensivi, pur facendo risparmiare tempo al sistema giudiziario, non è premiata con sconti di pena od altri vantaggi sostanziali, come produce unicamente l'effetto processuale di anticipare il dibattimento. Infatti si dubita delle potenzialità applicative di tale modulo alternativo, tanto più che la legge n. 479 del 1999, come in precedenza esposto ha, fra le altre cose, ampliato la disciplina dell'udienza preliminare in favore dell'imputato.231

L'istanza deve essere inoltrata almeno tre giorni prima del giorno stabilito per l'udienza preliminare.

Il legislatore non ha stabilito altre indicazioni procedurali, lasciando l'interprete nel dubbio circa la reale ratio di questo istituto; sembra comunque che la situazione tipica sia costituita dall'imputato che, detenendo di prove inconfutabili circa la propria estraneità ai fatti, scelga di rinunciare alla sentenza di non luogo a procedere adottata nell'udienza preliminare ottenendo subito il proscioglimento dibattimentale.232

229 G. RICCIO, Procedimenti speciali, in G. CONSO-V. GREVI, Profili del nuovo codice di

procedura penale, Cedam, 1990, p. 328.

230 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 638; E. ZANETTI, Il giudizio immediato, in I

procedimenti speciali in materia penale, a cura di m. Pisani, cit., p. 407.

231 R. ORLANDI, loc. ult. cit.

Infatti, anche se sono stati potenziati i poteri d'integrazione probatoria del giudice dell'udienza preliminare dall'art. 422, comma 1, c.p.p., il pubblico ministero, alle condizioni stabilite dalla legge, può comunque chiedere la revoca del provvedimento liberatorio emesso nella fase intermedia del processo, che in tal modo si presenta come provvisorio.233

Nel caso in cui il richiedente sia leggitimato e il termine di tre giorni sopra richiamato sia ottemperato, il giudice può, senza ulteriori controlli, emettere il decreto di giudizio immediato.234

Secondo la giurisprudenza, in un'ottica di prevalenza dell'efficienza sistematica sulla volontà dell'imputato, ove la possibile riunione di procedimenti sia impossibilitata dalla domanda di quest'ultimo, il giudice può respingere la richiesta e disporre la continuazione del processo con annessa la fase intermedia.235

Infine, un altro svantaggio che presenta questo giudizio speciale, è costituito dall'impraticabilità dei riti deflativi del dibattimento attivabili nel corso dell'udienza preliminare. L'art. 458, comma 3, c.p.p., lo stabilisce espressamente in tema di richiesta di giudizio abbreviato, alla stessa conclusione si arriva però anche con riguardo al “patteggiamento”, che in base all'art. 444, c.p.p., novellato dalla l. 479 del 1999, ha lo stesso sbarramento temporale del rito abbreviato e l'art. 446, c.p.p., rinviando all'art. 458, comma 1, c.p.p., richiama solamente il rito immediato richiesto dal pubblico ministero.

Il fondamento di quest'ultima preclusione sta nell'evitare che l'imputato possa compiere una scelta opposta alla precedente di eliminare l'udienza preliminare, attivando, per l'appunto, soluzioni che

412 s.

233 M. BARGIS, La scelta del rito, cit., p. 1065. 234 E. ZANETTI, Il giudizio immediato, cit., p. 409 s.

235 L. CARACENI, sub art. 419 c.p.p.,in Commentario breve al codice di procedura penale,

complemento giurisprudenziale, a cura di V. Grevi, cit., p. 1517; E. ZANETTI, Il giudizio immediato, cit., p. 418 s.

presuppongono una decisione allo stato degli atti.236

236 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 640; E. ZANETTI, Il giudizio immediato, cit., p. 422 s.

INTRODUZIONE

Questo lavoro è incentrato sulla figura del pubblico ministero, il quale nel processo penale, ha un ruolo certamente primario, vista la sua funzione di accusatore pubblico.

Saranno tralasciati i profili “statici”, attinenti all'organizzazione degli uffici, per andare a sondare quelli dinamici tipici della strategia di azione del pubblico ministero, nell'ambito delle varie fasi del processo penale di primo grado.

In particolare, l'ordinamento predispone tutta una serie di poteri ed obblighi, che vanno a costituire lo “statuto” del rappresentante dell'accusa e che cercano di indirizzarne la condotta in ordine all'an ed al quomodo dell'azione penale.

In questo vastissimo quadro di prescrizioni comportamentali, non saranno esaminati i rapporti con la polizia giudiziaria, tra i quali spicca la disciplina dell'iscrizione della notizia di reato nel registro a ciò deputato, né si guarderanno gli strumenti a disposizione del titolare dell'accusa nel corso delle indagini preliminari (campo da sempre contrassegnato dalla preminenza di quest'ultimo nei confronti dell'imputato) per andare alla ricerca di elementi probatori da adoperare nel proseguo del procedimento, ma ci concentreremo sul “cuore” della funzione accusatoria, costituito dalla scelta da parte del pubblico ministero, alla luce degli accertamenti compiuti, di far progredire o meno l'iter procedimentale nei confronti di un determinato soggetto.

Nell'ambito di questa tematica, si sono spese migliaia di pagine da parte della dottrina processual-penalistica per individuare, soprattutto nel vigore del codice di procedura penale del 1930 che non lo precisava, il momento esatto nel quale poteva dirsi adempiuto il

canone costituzionale dell'art. 112, Cost., cioè l'obbligatorietà dell'azione penale e il suo contrappunto negativo formato dalla doverosa inazione ove se ne ravvisino i presupposti.

Tuttavia, in questa sede si sorvolerà anche su questa delicatissima questione, in quanto, da una parte il codice di rito del 1988 ha ridimensionato tale nodo problematico fornendo una nozione normativa di azione penale nel combinato disposto degli artt. 405, c.p.p. e 125, disp. att. c.p.p., e dall'altra lo sviluppo del discorso porta su di un piano più teorico coinvolgente la teoria generale del processo penale, mentre si è qui preferito restare sulla pratica operatività dei criteri che il legislatore ha inteso offrire al pubblico accusatore per “fare il suo mestiere”.

Il pubblico ministero, pur essendo un magistrato, è posto sullo stesso piano rispetto all'accusato ed al suo difensore, in sostanza occupa quello strano posto di “parte imparziale” nel processo.

Bisogna tenere presente questa peculiarità, per sondare lo spazio di manovra di un soggetto che, assieme al giudice ed all'imputato, va a costituire il rito inteso come sommatoria di atti legati logicamente (actus trium personarum), in un difficile bilanciamento dei rispettivi ruoli, avendo sullo sfondo il meccanismo principe del contraddittorio in senso oggettivo, inteso cioè come metodo per accertare la verità fattuale.

Ebbene, se il background concettuale risiede (fin dall'antichità) in questo delicato equilibrio, nell'agone degli uffici delle procure, impegnate quotidianamente nel contrasto alla criminalità, ci sono altre esigenze da cercare di soddisfare, tra le quali l'efficienza dell'intervento dello Stato; troppo spesso infatti nel nostro paese il tempo necessario per giungere ad una decisione di merito è stato giudicato dalla comunità europea irragionevole, quindi fonte di

diverse condanne per inadempimento degli obblighi comunitari concernenti il funzionamento della giustizia. Senza contare le sperequazioni sostanziali ricadenti sui cittadini italiani, che magari per problemi burocratici vedono negata la loro domanda di giustizia in quanto la loro pratica caduta nel frattempo in prescrizione.

Per evitare questo, ma, lo ribadiamo, tenendo ferma l'impostazione accusatoria del nostro sistema penale, la giurisprudenza costituzionale ed il legislatore hanno cercato, da un lato di ampliare le regole che informano il pubblico ministero nella conduzione delle indagini, soprattutto in un'ottica di valorizzazione dell'indagato.

E' stato in questo modo introdotto expressis verbis il dovere di corroborare le investigazioni con elementi anche a favore di quest'ultimo, inoltre è stata ampliata la casistica dell'incidente probatorio, è stato dotato il difensore di poteri investigativi simili alla parte pubblica ed ai sensi dell'art. 415-bis, c.p.p., è stato reso obbligatorio un momento informativo antecedente all'udienza preliminare che potrebbe essere dirimente circa l'eliminazione delle cd. imputazioni azzardate.

Questa rapida carrellata già ci fa notare in quale direzione si stia evolvendo il nostro sistema penale, ma a completare il quadro, e questo lavoro ha cercato di farlo, si collegano le norme circa l'instaurazione dei riti alternativi all'azione penale ordinaria.

Si tratta di percorsi procedurali che, eliminando il dibattimento (cuore del processo penale di primo grado) o al contrario elidendo l'udienza preliminare (deputata ad un controllo “non approfondito” circa la corretta scelta di rinviare a giudizio), mirano sostanzialmente a decongestionare il carico giudiziario con una definizione più rapida delle regiudicande, ora basandosi su di una scelta mirata da parte dell'imputato ad ottenere determinati benefici di diritto sostanziale, ora

imposti dall'organo requirente il quale, seguendo i parametri previsti dal codice di rito, detiene tanti e tali elementi a carico da rendere non necessaria la verifica intermedia che filtra le imputazioni in realtà infondate.

Si aggiungono infine il decreto penale di condanna e la sospensione del processo penale con messa alla prova.

Nel rito direttissimo ed in quello immediato si concentreranno le attenzioni maggiori, visto il preminente ruolo del rappresentante dell'accusa.

CONCLUSIONI

Dobbiamo a questo punto tirare le fila del discorso che ci ha impegnato in questo excursus anzitutto sul compito del pubblico ministero di indagare in ogni direzione (non solo cercando indizi a carico dell'indagato), peraltro questo canone di completezza, emerso dalla sentenza della Corte cost. n. 88 del 1991 (emessa in materia di archiviazione) innerverà tutto il resto della trattazione, fungendo da

cornice , da trait d'union per i capitoli successivi.

La legge cd. Carotti del 1999 successivamente arricchirà il suo contesto soprattutto con la soppressione del consenso del pubblico ministero per attivare il giudizio abbreviato.

Infine la sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2001 ha definitivamente suggellato tale principio.

Accennando prima alla riforma del 1999, si può notare come abbia mutato lo stesso criterio di giudizio che il pubblico ministero doveva utilizzare per decidere se agire e come agire. Oggi il giudizio abbreviato sembra la via principale per i processi penali e questo jus

postulandi in capo all'imputato ha ridotto molto la strategia adottabile

dal titolare dell'accusa nel corso delle indagini.

L'ultimo tassello, che chiude il cerchio riguardo al principio di completezza è rappresentato dall'art. 415-bis, c.p.p., dove si crea un microcosmo difensivo generalizzato a disposizione dell'indagato per convincere il pubblico accusatore a non agire; simile strumento è stato da certa dottrina visto però come superfluo, in quanto contenente tutele già codificate ed anzi qualcuno vi ha visto un onere per l'indagato di sfruttarlo, pena il tacito avallo degli accertamenti fino a quel punto compiuti dagli investigatori: soluzione che francamente pare eccessiva.

Nel caso in cui il pubblico ministero decida di agire ecco che allora con molte modifiche codicistiche sono state approntate numerose soluzioni che da un lato eliminano il dibattimento (giudizio abbreviato e cd. patteggiamento), dall'altro elidono l'udienza preliminare (giudizio direttissimo e giudizio immediato).

Per quanto riguarda le prime, l'imputato può avanzare una richiesta “semplice” e/o una richiesta “complessa” di giudizio abbreviato, nel primo caso non è necessario alcun consenso da parte degli altri

soggetti del processo, nel secondo invece, essendo chiesto il rito meno garantito a condizione però di integrare la piattaforma cognitiva con una o più prove, ci vuole il benestare da parte del giudice.

Inoltre un'integrazione probatoria, come accade in udienza preliminare ed in dibattimento può anche essere disposta d'ufficio dal giudice stesso.

Prima della riforma era definito anche “patteggiamento sul rito”, poi però l'abuso che gli inquirenti ne facevano, cioè il vero e proprio veto che costoro opponevano dopo aver compiuto indagini lacunose, ne ha provocato una rivisitazione in senso favorevole all'imputato; oggi però sembra che la normativa sia andata nell'eccesso opposto, creando un sistema sbilanciato ovverosia troppo lesivo per l'accusa, che ha sollevato dubbi di costituzionalità. Una sorta di inquisitorietà invertita che va a ledere il principio del contraddittorio come metodo, fulcro di ogni processo, non solo penale.

Considerando la dinamica processuale e ritornando al principio di completezza, si può notare come a fronte di indagini lacunose, l'imputato, presentando richiesta “secca” di giudizio abbreviato e contestualmente atti di investigazione difensiva (ai sensi della legge n. 397 del 2000) potrebbe facilmente “fregare” il pubblico ministero, tagliandolo fuori da qualsivoglia possibilità di controbattere sui temi difensivi introdotti in quel modo.

La sentenza della Corte cost. n. 184 del 2009, a seguito di una denuncia di lesione del principio della parità delle armi, ha legittimato questo modus operandi, ma la dottrina continua a mostrarsi ostile nei suoi confronti ed anche a livello normativo de jure condendo si sta cercando di rimediarvi, da un lato concedendo al pubblico ministero un congruo differimento dell'udienza per dargli il tempo di studiare le contromosse, dall'altro assimilando l'istituto in parola con la richiesta

di integrazione probatoria stabilito dall'art. 438, comma 5, c.p.p., dove il titolare dell'accusa ha il diritto di fornire la controprova.

Nel caso di indagini incomplete, molto probabilmente ci sarebbe un intervento d'ufficio da parte del giudice, come prevede l'art. 441, comma 5, c.p.p.

Questa norma ha causato discussioni circa il margine di ingerenza da parte del giudice sulle scelte investigative, dovendo essere limitato ai casi di impossibilità di decidere allo stato degli atti; essendo inoltre per l'imputato un'incognita, torna in primo piano il canone di completezza per favorire quest'ultimo.

Circa la richiesta condizionata di giudizio abbreviato, ci si è chiesti se, nel caso di rigetto, il giudice “successivo” potesse controllarne la legittimità e, se del caso, ammettere l'instaurazione in un secondo momento. Anche se non c'è stata economia processuale, è giusto che l'imputato goda dei benefici premiali in quanto aveva richiesto una prova necessaria? Alla fine della disamina dei dati giuridici, sembrerebbe che la risposta sia positiva.

Ultimo argomento relativo al rito abbreviato possibilità per l'imputato di essere rimesso in termini in caso di contestazioni patologicamente tardive da parte del pubblico ministero, mentre discorso opposto circa la modificazione dell'imputazione fisiologica nel corso del dibattimento.

Nel patteggiamento si pone subito il problema della possibile ingerenza nel patto stipulato tra pubblico ministero e imputato da parte del giudice , il quale deve garantire il finalismo rieducativo della pena quindi la sua congruità.

Il principio di completezza, in questo rito, va a colmare le lacune lasciate dalla legge circa i limiti all'uso di questo strumento; in particolare, se emerge un quadro non esaustivo, il titolare dell'accusa

non può richiedere o acconsentire al patteggiamento.

Per rendere più appetibile questo istituto è stato introdotto il patteggiamento “allargato”, per reati punibili fino a cinque anni, mentre quello “ordinario” concerne i reati punibili fino a due anni; i benefici però sono solo in parte li stessi (sconto di pena fino ad un terzo, assenza di pubblicità e accertamento non spendibile in altri processi civili o amministrativi), mentre l'assenza della rifusione delle spese processuali e la non irrogabilità delle pene accessorie riguardano il solo patteggiamento “minor”.

Dibattuta è la questione se, a seguito della sentenza di patteggiamento, si verifichi la revoca automatica della sospensione condizionale della pena. Collegata a questa tematica c'è la natura accertativa o meno di tale provvedimento, cioè se è identica ad una sentenza di condanna o se è solo equiparata.

Alla fine di uno stretto dialogo fra le Sezioni Unite della Corte di cassazione, sembra che, in ragione di un tipo di accertamento meramente “implicito”, la sentenza di patteggiamento non possa apparire con lo stesso valore di quella “ordinaria”.

Ove il pubblico ministero patteggi nel corso delle indagini, l'atto che ne esce dovrà per forza contenere l'imputazione, costituisce cioè una forma di esercizio dell'azione penale; discorso opposto invece per il patteggiamento raggiunto successivamente, che concerne solo profili di economia processuale.

Altro nodo problematico riguarda la possibilità per l'imputato di costituirsi parte civile nel patteggiamento formatosi nella fase investigativa.

Circa il decreto penale di condanna, sotto il profilo della completezza delle indagini, non sembrano emergere grosse peculiarità.

processo con messa alla prova, in relazione al quale bisognerà attendere gli sviluppi giurisprudenziali per saggiarne l'efficacia deflativa, soprattutto sul fronte carcerario.

Infine ho analizzato le recenti modifiche legislative circa i riti che vedono il pubblico ministero protagonista (giudizio direttissimo e giudizio immediato).

In entrambi i casi le normative sono andate in una direzione di limitazione del raggio di azione del titolare dell'accusa, cercando di rendere più rigidi i presupposti che ne legittimano l'adozione.

Se da un lato l'intento è riuscito, dall'altro è stata inserita la clausola di salvezza consistente nel “grave pregiudizio per le indagini”, che amplia nuovamente la discrezionalità del pubblico ministero.

Il giudizio immediato può essere richiesto oltre che dal pubblico ministero anche dall'imputato, ma i maggiori problemi interpretativi sono stati dati dal rito immediato tradizionale (soprattutto il concetto di “prova evidente”) e dal nuovo rito immediato “custodiale”, con le ricadute sul connesso procedimento cautelare.

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