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Gli spazi di manovra del pubblico ministero nel giudizio direttissimo

Nel giudizio direttissimo, il presupposto principale si basa su di un'evidenza qualificata dal punto di vista probatorio, consentendo di risparmiare tempo ed energie preziose agli uffici giudiziari, non solo evitando la celebrazione dell'udienza preliminare, ma addirittura gli tutta quell'attività di ricerca di elementi utili nell'ambito delle indagini preliminari per giungere ad elevare l'imputazione.

In pratica si evita tutta la fase preliminare e si accorcia molto anche quella predibattimentale. Il pubblico ministero unilateralmente dispone il rito sulla base di prove che rendono i fatti ancor più evidenti rispetto al presupposto del giudizio immediato. E' per questo motivo che poc'anzi abbiamo parlato di evidenza “qualificata”, per distinguerla da quella generica del rito immediato.146

Le due situazioni tipiche sono l'arresto in flagranza e la confessione resa a breve distanza dall'iscrizione della notizia di reato nel registro. Con il d.l. n. 92 del 2008, convertito con l. n. 125 del 2008, il legislatore ha cercato di estendere l'applicazione del rito in questione. Il comma 1 dell'art. 449, c.p.p, è rimasto invariato in quanto già vi era previsto un meccanismo di attivazione del rito; in caso di arresto in flagranza, il pubblico ministero può presentare direttamente l'imputato davanti al giudice del dibattimento, per la convalida e il contestuale

giudizio, entro quarantotto ore dall'arresto; se il pubblico ministero non procede in tal maniera, qualora il giudice per le indagini preliminari convalidi l'arresto, il rappresentante dell'accusa è obbligato a instaurare il giudizio direttissimo entro trenta giorni dall'arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (ex art. 449, comma 4, c.p.p.).147

Anche il successivo comma dell'art. 449, c.p.p., non è stato modificato; si tratta della norma che impedisce di procedere con il rito direttissimo e impone la restituzione degli atti al pubblico ministero, in caso di mancata convalida, tranne “quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono” in un'ottica di economia processuale.148

Il legislatore ha così introdotto un caso speciale di giudizio direttissimo, disciplinato per il procedimento davanti al giudice monocratico dall'art. 558, comma 5,c.p.p., dove vi è inserito il presupposto soggettivo del consenso delle parti.

Per capire la ratio bisogna partire dal fatto che fra giudizio di convalida e giudizio direttissimo c'è un rapporto di pregiudizialità. Qualora vi è stata la convalida si deve procedere con il rito direttissimo, se l'imputato è stato presentato in dibattimento; non è possibile attivarlo se non c'è stata la convalida.

Il punto è che il rito direttissimo non presuppone una “legittima” detenzione, l'arresto può essere convalidato, ma al tempo stesso il presunto colpevole può essere rimesso in libertà, in quanto difettano le esigenze cautelari di cui all'art. 274, c.p.p.

Nel precedente codice, in caso di convalida dell'arresto, in ogni caso si prevedeva venti giorni di detenzione in più, per approfittare della presenza del presunto autore in sede dibattimentale, inoltre, chi si

147 M. BARGIS, La scelta del rito, cit., p. 1050. 148 Ancora, M. BARGIS, ibidem.

trova in uno stato di custodia cautelare ha interesse ad essere giudicato il prima possibile, cioè con un rito che si svolge in tempi brevissimi, come il giudizio de quo.

Nell'odierno art. 449, comma 2, c.p.p., invece è stato posto l'accento sull'accertamento che produce il giudizio di convalida, lasciando in secondo piano la distinzione tra arrestato detenuto ed arrestato liberato; la convalida, in altre parole, mette in luce la fondatezza dell'accusa, dove invece la detenzione del presunto reo, coinvolge anche altri aspetti di natura cautelare.

Specularmente la mancata convalida osta al rito direttissimo. Bisogna però specificare che l'esito negativo di questo giudizio non sempre si fonda sull'assenza dei “gravi indizi di colpevolezza” addebitabili all'indagato, ad esempio in quanto l'arresto era stato effettuato legittimamente, ma per in reato estraneo a quelli indicati dagli artt. 380 e 381, c.p.p.

Comunque, il legislatore vede astrattamente, nella mancata convalida un segno della scarsità degli elementi addebitabili all'indagato, per cui sarebbe inopportuno procedere con il rito direttissimo.

E' però una presunzione di accusa non evidente, che può essere vinta da un accordo tra le parti principali del processo.

Il consenso non deve seguire forme particolari, il pubblico ministero che ritiene di non dover archiviare e non necessita di accertamenti preliminari, cita l'imputato a comparire. L'imputato o il suo difensore, sia oralmente, sia con uno scritto, sia anche per comportamenti concludenti, accettano la scelta operata dal rappresentante dell'accusa di andare subito a dibattimento.149

La novella ha invece investito l'art. 449, comma 4 e comma 5, c.p.p.

Si tratta delle ipotesi di giudizio direttissimo legato all'arresto in flagranza già convalidato dal giudice per le indagini preliminari e del giudizio direttissimo conseguente alla confessione resa dalla persona sottoposta alle indagini nel corso dell'interrogatorio.150

E' stato portato da quindici a trenta, il tempo a disposizione del pubblico ministero per adottare questo modulo processuale e per compiere indagini prima della celebrazione del dibattimento.

In passato, di fronte ai presupposti (agevolmente accertabili) legittimanti il rito in discorso, il pubblico ministero, vuoi per motivi attinenti alla completezza delle indagini, vuoi per esigenze riguardanti l'ufficio giudiziario, si asteneva dall'attivarlo.

Già in quell'assetto normativo però si riteneva che in realtà il pubblico ministero non godesse di una discrezionalità piena, ma “vincolata”, cioè, a meno che dovesse compiere indagini ulteriori, non effettuabili nei tempi brevi propri del rito direttissimo, avrebbe avuto l'onere di innescare subito il dibattimento.

Il magistrato dell'accusa si riteneva portatore di una facoltà di attivazione del rito speciale, ma i poteri dei soggetti pubblici della giurisdizione, sono anche e soprattutto doveri da seguire; per eliminare questo equivoco il decreto legge n. 92 del 2008 ha sostituito l'espressione “può procedere” con il perentorio “procede”, però, allo stesso tempo ha introdotto un'altra dizione sibillina che costituisce l'eccezione alla regola di seguire il rito direttissimo. In altre parole il pubblico ministero deve agire con le forme del giudizio in questione, “salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini”.151

Circa quest'ultima espressione, si è posto il problema se essa si riferisse ad indagini riguardanti il procedimento integrante i

150 M. BARGIS, La scelta del rito, loc. ult. cit.. 151 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 652.

presupposti del rito direttissimo oppure investigazioni concernenti altri procedimenti connessi o collegati.

Visto che il comma 6 dell'art. 449, c.p.p., disciplina espressamente tale ultima situazione, in dottrina si tende a confinare il significato della clausola di salvezza dei commi 4 e 5 solo al procedimento definibile con le forme del rito direttissimo. Tra l'altro una problematica simile si rinviene anche in tema di giudizio immediato (art. 453, comma 1 e 1- bis, c.p.p., in relazione al comma 2 della stesso articolato), laddove per esigenze sistematiche si arriva alla stessa soluzione interpretativa. Inoltre una locuzione simile si trova anche in leggi speciali per arginare il ricorso ai riti direttissimi atipici.152

Semmai, potrebbe operare, la clausola finale dell'art. 449, commi 4 e 5, c.p.p., per le indagini in procedimenti collegati, non menzionati dal comma 6 dello stesso articolo. Infatti, utilizzando argomenti vicini al funzionamento del giudizio immediato, con l'introduzione dell'obbligatorietà anche nei giudizi ex auctoritate, c'è il rischio di danneggiare situazioni di collegamento investigativo, imponendo al pubblico ministero di agire con il rito direttissimo.

Prima di questa innovazione, le indagini collegate (quindi la

disclosure di elementi investigativi non ancora assodati) erano

difendibili dall'esperibilità della via ordinaria.153

In sostanza, la clausola in discussione funziona da “valvola di sicurezza, opera per l'accertamento dei reati che sono “passibili” di rito direttissimo (dove c'è stato un arresto in flagranza o una confessione), impedendo che il pubblico ministero debba automaticamente instaurare il dibattimento, pur in presenza di indagini incomplete. Inoltre spesso è proprio nel rito direttissimo che si innesta

152 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, loc. ult. cit.

153 E. VALENTINI, La poliedrica identità del nuovo giudizio immediato, in Misure urgenti in

il giudizio abbreviato, in quanto sapendo della pesantezza degli elementi a carico, l'imputato cerca di lucrare uno sconto di pena, in questa evenienza sarebbe paradossale costringere il titolare dell'accusa a presentare velocemente un'imputazione zoppicante.154

Anche in questo caso, torna a dirigere il lavoro del pubblico ministero ed a reggere gli equilibri generali dei soggetti giurisdizionali il principio di completezza.155

In sostanza la clausola di salvezza de quo tempera l'obbligatorietà introdotta nel 2008, circa l'attivazione del rito direttissimo. Infatti, per esigenze tattico-strategiche, il pubblico ministero ha bisogno di margini di operatività quando si tratta di scegliere il modo di esercizio dell'azione penale, contrariamente a quanto avviene in ordine alla scelta precedente riguardante l'alternativa azione-inazione, dove, se emergono i presupposti il titolare dell'accusa è obbligato dall'art. 112, Cost., ad agire.

Dunque, se la riforma da un lato voleva portare ad un ampliamento del ricorso al rito direttissimo, dall'altro ha dovuto fare i conti con la reltà sostanziale, introducendo una obbligatorietà però “relativa”.156

Discende, dalla regola desumibile dalla clausola di salvezza, la non controllabilità da parte del giudice del dibattimento, circa la scelta del pubblico accusatore. Affermare il contrario vorrebbe dire scardinare il sistema del doppio fascicolo, perno del sistema accusatorio proprio del codice del 1988, poiché il giudice dovrebbe accedere al fascicolo delle indagini per appurare la bontà della scelta del pubblico ministero.

E' vero che ci sono dei casi nei quali il giudice, per risolvere questioni preliminari deve necessariamente entrare in contatto con il fascicolo

154 S. ALLEGREZZA, La nuova fisionomia del giudizio direttissimo, in Misure urgenti in

materia di sicurezza pubblica, a cura di O. Mazza e F. Viganò, cit., p. 332 s.

155 Ancora, F. SIRACUSANO, La completezza, cit., p. 152 s.

delle indagini preliminari (per decidere sulla competenza per territorio, sulla trasmissione del fascicolo cautelare ed anche per verificare i presupposti dello stesso rito direttissimo). Circa l'ultima problematica esposta sul vaglio dell'esistenza della confessione, si è pronunciata la Corte costituzionale, la quale, rifacendosi a due correnti dottrinarie distinte ma aventi la medesima direzione, ha dichiarato la possibilità di effettuare tale controllo, o facendo rientrare la documentazione relativa alla confessione “negli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale”, individuati dalla lett. a dell'art. 431, c.p.p., quindi con un ingresso diretto nel fascicolo del dibattimento157, oppure ritenendola suscettibile di prova con gli ordinari mezzi dibattimentali.158

Il controllo circa il danno arrecato alle indagini dalla scelta del pubblico ministero di arrivare subito a dibattimento tuttavia, comporta una lettura praticamente totale del fascicolo preliminare, inoltre ci sarebbe una sostituzione del giudice rispetto alle funzioni dell'accusa. Ci sarebbe anche un'anticipazione del giudizio finale, poiché controllare la sostenibilità dell'accusa ed accertare la colpevolezza sono valutazioni molto vicine.159

Ci sono però autori che dissentono da questa ricostruzione, legittimando un controllo giudiziale sul punto. Non sempre infatti, secondo questi interpreti è agevole accertare i presupposti legali del rito de quo, ad esempio nelle ipotesi di quasi flagranza o di confessione ritrattata o parziale. Il legislatore avrebbe preferito la

157 A. GAITO, Il giudizio direttissimo dal codice vigente al nuovo codice, in Giust. pen., 1989, III, c. 512 s.; G. DEAN, Sul controllo dei presupposti nel nuovo giudizio direttissimo, in Giur.

it., 1990, II, c. 24; A. CHILIBERTI-F. ROBERTI, Il giudizio direttissimo, in A. CHILIBERTI-

F. ROBERTI-G. TUCILLO, Manuale pratico dei procedimenti speciali, Giuffrè, Milano, 1994, p. 528.

158 G. ILLUMINATI, I procedimenti a conclusione anticipata nel nuovo codice di procedura

penale, in Pol. dir., 1990, p. 286; E. LUPO, Procedimenti speciali, in Quaderni CSM, 1988, 20,

p. 183.

celerità all'accertamento reale dei fatti, trasparendo profili autoritari. In conclusione il legislatore avrebbe introdotto un'obbligatorietà incompatibile con i canoni del giusto processo e la valvola di respiro del pregiudizio alle indagini essendo “davvero eccezionale” non riesce a correggere questo squilibrio sistematico.160

In base all'art. 449, comma 4, c.p.p., il pubblico ministero può attivare il rito direttissimo quando il giudice per le indagini preliminari ha convalidato l'arresto. A meno che ci sia un danno per le indagini, il titolare dell'accusa presenta l'imputato in udienza entro trenta giorni dalla cattura. Nel caso di rito direttissimo fondato sull'arresto in flagranza si è posto il problema della rilevanza implicita dello stato di detenzione dell'imputato.

La dottrina maggioritaria e le Sezioni unite hanno mostrato un'opinione affermativa al riguardo, constatando come sia la stessa lettera della norma a riferirsi ad una conduzione coattiva dell'imputato in udienza possibile solo in caso di misura custodiale, inoltre il comma 5 dell'art. 449, c.p.p., ammette solo per il rito direttissimo a seguito di confessione la figura dell'imputato in stato di libertà.161

Il pubblico ministero può quindi innescare tale schema rituale quando si colleghi senza interruzioni temporali alla convalida dell'arresto, oppure quando il giudice per le indagini preliminari disponga una misura custodiale a seguito della verificata regolarità dell'arresto.

Gli altri provvedimenti cautelari non rientrano in questa ipotesi, neppure la detenzione domestica e la carcerazione per fatti diversi da quello oggetto del processo suscettibile di rito direttissimo. L'imputato, in quanto considerato non detenuto, dovrà essere “citato”

160 A. DE CARO, La riforma del giudizio direttissimo, in Il decreto sicurezza, a cura di A. Scalfati, con la collaborazione di E. Aprile e R. Bricchetti, Giappichelli, 2008, p. 164 s. 161 Cass., Sez. un., 23 novembre 1990, Colombo Speroni, in Cass. pen., 1991, II, p. 137; S.

e non “condotto” in udienza.162

Riguardo al latitante, in dottrina vi è chi semplicemente ritiene che non si possa giudicarlo con il rito direttissimo163 e chi, invece, pensa che sia utilizzabile la citazione del decreto al difensore, come stabilisce l'art. 165, c.p.p.164

L'evidenza probatoria qualificata, rappresentata dalla legittimazione dell'arresto mediante la convalida, non esclude peraltro il compimento di ulteriori indagini. Ai sensi dell'art. 390, comma 2, c.p.p., il pubblico ministero ha quarantotto ore di tempo per richiedere la convalida dall'arresto ed il giudice deve decidere entro le quarantotto ore successive; dunque il titolare dell'accusa ha un buon margine temporale per accertare ancora più a fondo la vicenda criminosa.

A norma dell'art. 132-bis, lett. f, disp. att., c.p.p., impone, nella formazione dei ruoli delle udienze, la precedenza, nella trattazione dibattimentale, ai giudizi direttissimi, ciò implica che anche il lavoro interno degli uffici delle procure, dia priorità investigativa a quei procedimenti.

Alla fine di queste indagini, non è detto che si arrivi effettivamente all'esercizio dell'azione penale con il dibattimento ex abrupto, il pubblico ministero potrebbe infatti optare per una richiesta di archiviazione o a ritenere il dibattimento non percorribile in quanto metterebbe a rischio l'esito finale della vicenda processuale (in virtù di quella clausola di salvezza sopra menzionata).165

La riforma, avendo portato il limite temporale da quindici a trenta giorni, ha fatto sì che le indagini espletabili siano sicuramente più ricche, però, in questo modo è stato anche sconfessato uno dei

162 G. FUMU, sub art. 450 c.p.p., in M. CHIAVARIO, Commento al codice di procedura penale, vol. IV, Utet, 1990, p. 828; A. CHILIBERTI-F. ROBERTI, Il giudizio direttissimo, cit., p. 518. 163 A. CHILIBERTI-F. ROBERTI, Il giudizio direttissimo, cit., p. 519.

164 S. RAMAJOLI, I procedimenti speciali nel codice di procedura penale, Cedam, 1996, p. 118. 165 S. ALLEGREZZA, La nuova fisionomia, cit., p. 256.

requisiti precedentemente fondamentali per il rito in discussione, cioè la flagranza dell'arresto riveste che oggi, riveste un ruolo minore. Sono in tal modo sussumibili nella fattispecie dell'art. 449, c.p.p., situazioni che pur essendo riconducibili a arresto in flagranza o a confessione, non sono caratterizzate da evidenza probatoria, bisognando di accertamenti più complessi, anche se terminabili in trenta giorni. In dottrina è stata evidenziata l'avvicinamento tra questo modulo processuale e il rito immediato, che si basa su di una generica evidenza della prova.166

Per l'ipotesi di giudizio direttissimo innescato a seguito di confessione resa nell'interrogatorio, l'art. 449, comma 5, c.p.p., se l'imputato non è ristretto, dispone che sia citato a comparire a un'udienza non successiva al trentesimo giorno dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato, qualora invece sia sottoposto a custodia cautelare per il fatto per cui si procede, deve essere presentato in udienza entro il medesimo termine.167

Teoricamente si è posto il problema se il termine iniziale scatti dall'iscrizione nel registro della notizia o del nominativo dell'imputato. L'ultima alternativa sembra da preferirsi, ma diversi autori suggeriscono un dies a quo diverso, ad esempio la data della confessione.

Si tratta di un meccanismo che non si fonda sull'evidenza probatoria; infatti la confessione, essendo un fatto imprevedibile, potrebbe materializzarsi anche in un momento vicino al termine dei trenta giorni e se necessita di verifiche circa l'attendibilità, la completezza e la coerenza con altri elementi istruttori, si potrebbero generare

166 DE CARO, La riforma, cit., p. 162; S. ALLEGREZZA, La nuova fisionomia, cit., p. 257. 167 M. BARGIS, La scelta del rito, cit., p. 1053.

pregiudizi per le investigazioni.

L'habitat ideale per la confessione è costituito dall'interrogatorio (di qualunque specie) sorretto dalle tutele degli artt. 64 e 65, c.p.p., gestito dal pubblico ministero o dal giudice per le indagini preliminari; resta quindi escluso il congegno disciplinato dall'art. 350, c.p.p., essendo sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria. E' vero che è assicurata la presenza del difensore, ma non si applica l'art. 65, c.p.p., cioè non si verifica la contestazione del fatto attribuito.168

L'art. 449, comma 6, c.p.p., stabilisce un altro caso che impedisce lo svolgimento del giudizio direttissimo: se non c'è il rischio di vanificare le indagini, in caso di connessione del reato oggetto del rito in discussione con altri reati o lo stesso legame si verifica tra gli imputati, si deve procedere separatamente; se la separazione non è possibile il rito ordinario prevale su quello speciale.

Il legislatore ha voluto evitare la sovrautilizzazione di questo modulo processuale del precedente codice dando l'alternativa secca: separazione o cumulo ma con il rito ordinario. La norma però, pur parlando di connessione, in realtà si riferisce alla riunione o separazione dei processi. Mentre l'istituto della connessione incide automaticamente sulla competenza del giudice, gli altri due articoli si occupano della convenienza o meno del cumulo processuale.

A sua volta l'art. 449, comma 6, c.p.p., si riferisce a situazioni riconducibili alle indagini, dove si facilitano investigazioni separate, a meno di danni per le stesse; al contrario, le regole sul cumulo sopra ricordate agiscono dopo l'esercizio dell'azione penale e fanno retrocedere la separazione solo a fronte di assoluta necessità della riunione “per l'accertamento dei fatti”.

Sarà quindi il pubblico ministero a valutare attentamente i possibili danni per le indagini, complessivamente intese, che potrebbero derivare dal compimento separato delle investigazioni per procedimenti oggettivamente o soggettivamente connesse.169

Ho detto in precedenza che il pubblico accusatore instaura il rito direttissimo in due modi: presenta l'imputato direttamente in udienza o lo cita a comparire. Essendo due modalità di esercizio dell'azione penale, sono sottoposte al controllo del giudice.

La contrazione dei diritti difensivi si giustifica sulla base di un quadro accusatorio particolarmente schiacciante, che tuttavia deve essere autorizzato anche dall'organo giudicante.

In assenza dei presupposti necessari per questo rito speciale dall'art. 449, c.p.p., l'art. 452, comma 1, c.p.p., impone la sua non prosecuzione.

Se, ad esempio, il giudice pensa che l'imputato sia stato presentato in udienza per il dibattimento, in uno stato di fermo o di arresto fuori dai casi di flagranza, non potrà aver luogo il rito in discorso.

Siccome non c'è una formale richiesta del pubblico ministero in tal senso, il giudice non potrà però adottare un provvedimento di inammissibilità, ma dovrà disporre con ordinanza la restituzione degli atti al rappresentante dell'accusa. Il codice non specifica in quale momento debba verificarsi tale controllo, ma per tutelare l'imputato sembra preferibile effettuarla in limine litis.170

Successivamente il pubblico ministero dovrà esercitare l'azione penale in altra maniera, verosimilmente con i crismi del giudizio immediato “ordinario”, stante la sua utilizzabilità sulla base di una generica

169 S. ALLEGREZZA, La nuova fisionomia, cit., p. 269 s.