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Lo strumento del patteggiamento all'interno delle dinamiche processual

Ai sensi degli articoli 447 e 446, comma 1, c.p.p., l'accordo sulla pena può essere raggiunto sia durante le indagini preliminari, sia nel corso dell'udienza preliminare.

Il principio di completezza influisce diversamente rispetto ai diversi segmenti temporali nei quali si arriva a “patteggiare”: nel corso delle indagini il grado di completezza è più determinante, in quanto il pubblico ministero eserciterebbe tramite questo particolare modulo differenziato l'azione penale e conseguentemente anche la persona sottoposta alle indagini opererebbe le sue valutazioni circa la premialità della rinuncia alle garanzie dibattimentali, proprio in base al livello di approfondimento delle ricerche dell'accusatore pubblico. Una volta invece instaurata l'udienza preliminare, con l'esercizio dell'azione penale, il ricorso a questo istituto si collega solo ad aspetti di economia processuale.77

76 Cfr, Corte costituzionale, sentenza n. 333 del 2009, in Guida al diritto, 2010, n. 5, p. 74, commentata da R. BRICCHETTI, Il divieto cade se la nuova contestazione riguarda un

episodio inserito negli atti d'indagine, ivi, p. 82 ss.

La legge n. 479 del 1999 ha inserito nell'art. 444, c.p.p., la necessità del controllo giurisdizionale sulla congruità della pena concordata dalle parti, sulla spinta di varie pronunce costituzionali.78 Già subito dopo l'entrata in vigore sel codice “Vassalli”, la dottrina processual- penalistica aveva avanzato dubbi di costituzionalità circa la disciplina del patteggiamento, con riguardo all'art. 27, comma 3, Cost., pietra miliare del principio rieducativo. Si lamentava uno scarso controllo da parte del giudice circa la congruità della pena patteggiata; anzi, i contrasti coinvolgevano gli aspetti più generali della posizione di terzietà dello stesso organo giudicante. Il motivo di questa sfasatura andava ricercato nello sforzo del legislatore dell'epoca di incidere sui riti alternativi per ottenere risultati concernenti l'efficienza del sistema, tralasciando però le ricadute “sostanziali” di tali espedienti processuali, altrettanto importanti. Sarebbe stato meglio progettare quei cambiamenti con modifiche anche al codice penale, con nuovi strumenti sanzionatori, d'altro canto il sistema penale si compone del sottosistema sostanziale e di quello processuale; andava posta più attenzione al finalismo della pena, invece ci fu una miope concentrazione solo su aspetti di semplificazione processuale. Valorizzando i riti alternativi si è cercato di togliere un po' di spazio alla concezione del dibattimento quale soluzione naturale del processo, tra l'altro, come sopra detto circa il giudizio abbreviato, rischiando anche di tornare all'inquisitorietà tipica del codice “Rocco”, tutto questo per cercare di decongestionare gli uffici giudiziari. Per fare questo è stata estesa la funzionalità delle indagini, si è cercato di tutelare l'interesse al corretto esercizio della giustizia penale attraverso l'ampliamento dell'operatività del principio di completezza delle indagini, con riferimento all'accessibilità dei riti alternativi; in

quest'ottica il pubblico ministero è onerato, non solo di indagare fino al punto di raccogliere elementi sufficienti a dimostrare la non superfluità del dibattimento, ma deve produrre elementi talmente chiari e univoci da indurre l'imputato a desistere dall'idea di intraprendere l'accertamento dibattimentale, incentivato anche dai benefici connessi a tali riti semplificati.

Anche il giudice dell'udienza preliminare cerca di convincere l'imputato a percorrere le vie alternative, utilizzando il meccanismo dell'integrazione, contenuto nell'art. 421-bis, c.p.p.

Per quanto concerne il controllo del giudice sulla congruità della pena concordata fra le parti, inserito dalla legge “Carotti” nel corpo dell'art. 444, comma 2, c.p.p., secondo la dottrina maggioritaria, questo provvedimento avrebbe esteso tale vaglio, in assenza di esplicite specificazioni, alla cognizione piena sulla pena stabilita dall'art. 133, c.p., mentre la sentenza n. 313/1990 della Corte costituzionale si sarebbe riferita solo all'art. 27, comma 2, Cost.; da un'attenta lettura della motivazione di tale sentenza, il confronto fra pena concordata e giusta pena si basa solo su un criterio generico di finalismo rieducativo della sanzione, va a colpire le situazioni più eclatanti di divario tra l'accordo delle parti e il trattamento rieducativo connesso alla pena. Con la legge “Carotti” invece il sindacato del giudice si amplia, quasi a creare un negozio trilaterale (imputato, pubblico ministero, giudice).79

Questa distonia tra pronuncia costituzionale e intervento legislativo è stata evidenziata anche da altri Autori, sottolineando i diversi rischi che tale ampliamento porta: principalmente si intacca il senso stesso del patteggiamento, in quanto il giudice sovrappone totalmente la sua

79 Vedi, D. POTETTI, Il principio di completezza delle indagini preliminari e i poteri istruttori

valutazione circa la congruità della pena a quella delle parti. Il “bene” sicuramente che ne esce tutelato completamente è quello della determinazione della pena.

Nella commisurazione della pena fondamentale è la proporzione: una sanzione eccessiva porterebbe risultati opposti alla risocializzazione dell'autore, mortificandolo ed anzi motivandolo a violare nuovamente la legge penale.

Quindi il limite nella determinazione della sanzione è dato dalla rieducazione, nel patteggiamento la valutazione del giudice, per la natura particolare dell'istituto, dovrebbe essere limitata, come si evince da certi passaggi della sentenza n. 313/1993, alle sproporzioni macroscopiche. In questo modo si otterrebbe un buon compromesso fra rispetto della funzione general-preventiva della pena, nonché della necessaria unitarietà concettuale della punizione da un lato e autonomia dispositiva delle parti tipica del patteggiamento dall'altro. Patteggiamento che, se è vero che genera uno squilibrio nell'architettura penale, è anche vero che permette di decongestionare gli ingolfati uffici giudiziari; strumento talmente utile che nel sistema giudiziario americano è empiricamente usato per definire la maggioranza delle pendenze processuali.80

Il legislatore del 1999, invece, ha optato per un controllo del giudice sulla congruità della pena (cioè parametrandola con la gravità del reato e con la capacità a delinquere del reo) dettagliato, coinvolgente tutti gli aspetti previsti dall'art. 133, c.p. In questo modo, ancora una volta, sono necessarie indagini complete affinché il pubblico ministero possa avanzare la richiesta di applicazione della pena o acconsenta alla domanda di tale soluzione da parte dell'imputato, dovendo, in mancanza di un quadro completo (riguardante non solo il fatto e

l'autore, ma anche la specie e la misura della pena) richiedere l'archiviazione. Nonostante questa sua posizione pubblicistica, in realtà, il rappresentante dell'accusa è libero, non ha dei vincoli legali da rispettare.

Questa eccessiva libertà da parte della dottrina è stata giustificata dal carattere di “processo di parti” del patteggiamento, ma altri hanno fatto notare come il pubblico ministero sia comunque una “parte imparziale”.81

Potrebbe sembrare arbitrario lasciare al pubblico ministero la libertà di ottenere risultati di efficienza del suo ufficio svolgendo indagini superflue, invece alla fine è proprio il dialogo instaurato con l'imputato che permette di colmare lacune che durante le indagini preliminari spesso si possono verificare soprattutto circa gli aspetti inerenti alla commisurazione della pena.82

In dottrina, sotto vari profili, è stata stigmatizzata questa discrezionalità del pubblico ministero nell'accesso al patteggiamento ed, in generale, ai riti differenziati.

Le procure della Repubblica così diventerebbero “titolari di orientamenti di politica criminale in modo del tutto insindacabile”83. Ponendo l'accento sulle esigenze di prevenzione generale sottese a qalsivoglia giudizio penale, sia esso ordinario o speciale, si osserva come presupponendo che i riti alternativi rappresentino la regola e non l'eccezione, l'azione del pubblico ministero debba essere a criteri rigidi considerando che la posta in gioco per l'imputato è costituita da uno sconto di pena. In questo ambito, potendo spaziare da dati astratti a concreti, da profili processuali a statico-burocratici, ci vorrebbe per lo

81 A. CAVALIERE, L'obbligatorietà dell'azione penale, in MOCCIA, Diritti dell'uomo e sistema

penale, p. 361 s.

82 F. SIRACUSANO, La completezza, cit., p. 166.

meno una direttiva o una circolare per guidarne l'applicazione. In assenza di detti provvedimenti, ci potrebbero essere scelte casuali e conseguentemente sperequazioni sostanziali.84

Rischio addirittura di trasformare il principio di obbligatorietà dell'azione penale in criterio di opportunità politica sotto il controllo dell'esecutivo, che, in Italia porterebbero verosimilmente ad ampliare i margini di impunità.85

Ricapitolando sul punto, possiamo affermare che il pubblico ministero gode, in merito alla scelta di patteggiare la pena con l'imputato (decisione quasi sempre dettata da contingenze strategiche legate al caso concreto), di molta discrezionalità, che non si trasforma in arbitrarietà, proprio grazie all'argine costituito dal principio di completezza delle indagini preliminari. Ne consegue il dovere di non patteggiare in caso di quadri probatori incompleti.86 L'art. 112 Cost. infatti obbliga il pubblico accusatore in ordine all'an, ma non al

quomodo dell'azione penale.87

Le insidie per il rispetto del principio di completezza delle indagini preliminari si presentano anche nella fase della verifica giurisdizionale circa la legittimità della richiesta e i termini dell'accordo. Il giudice controllando la corretta qualificazione giuridica del fatto, l'equa applicazione e comparazione delle circostanze e la congruità della pena, sembra poter mettere in secondo piano la completezza del quadro accusatorio.

A livello di applicazione concreta il patteggiamento ha subito un'evidente forzatura per riuscire ad ottenere un maggior effetto

84 T. PADOVANI, Il nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 935 s. 85 P. FERRUA, Il nuovo processo penale e la riforma del diritto penale sostanziale, in. ID., Studi

sul processo penale, vol. II, Anamorfosi del processo accusatorio, Giappichelli, Torino, 1992, p.

22 s.; analogamente, G. TRANCHINA, “Patteggiamento” e principi costituzionali: una

convivenza piuttosto difficile, in Foro it., 1990, c. 2394 s.

86 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 567.

87 F. CORBI, Obbligatorietà dell'azione penale ed esigenze di razionalizzazione del processo, in

deflativo che ha portato a violare il principio di legalità. Così, per restare nei limiti di pena consentiti, che dopo l'introduzione del patteggiamento “allargato” sono comunque elevati, si è cercato di irrogare sanzioni più lievi (non seguendo i criteri dell'art. 133, c.p.) o di concedere attenuanti insussistenti. D'altro canto, questo sistema è stato legittimato dalle stesse Sezioni unite della Corte di cassazione, che ha ricompreso la qualificazione e la comparazione delle attenuanti nell'accordo tra le parti circa la pena, sottraendo quindi l'operazione dall'ambito dell'accertamento giudiziale.88 in sostanza il giudice, una volta vista la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e della congruità della pena, potrebbe ufficializzare l'accordo tra pubblico ministero ed imputato, pur in presenza di lacune investigative. Il giudice del patteggiamento, a differenza del giudice della cognizione ordinaria, il quale ex art. 530, c.p.p., deve assolvere quando il quadro probatorio è insufficiente o contraddittorio, può prosciogliere nei limiti previsti dall'art. 129, c.p.p. L'art. 444, c.p.p., secondo la corte di Cassazione, rinvia espressamente all'art. 129, c.p.p., proprio per indicare che si tratta di un accertamento in negativo delle ipotesi di proscioglimento, che si caratterizza quindi per la sua sommarietà ed incompletezza.89

Il tentativo del legislatore, soprattutto con la legge n. 479 del 1999, nell'ambito più generale del rapporto fra indagini preliminari e dibattimento, consiste pertanto nel combinare l'economia processuale con la completezza della piattaforma probatoria. Con l'entrata in vigore del codice di rito del 1989 le parti potevano avanzare la richiesta di applicazione della pena sino alla dichiarazione di apertura

88 G. LOZZI, Patteggiamento allargato: nessun beneficio dall'applicazione di una giustizia

negoziale, in Guida al diritto, 2003, n. 30, p. 9.; Sez. Un., 28 maggio 1997, Lisuzzo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p. 1377.

89 I. RUSSO, sub art. 444, in P.M. CORSO (a cura di), Commento al codice di procedura penale, La Tribuna, Piacenza, 2004, p. 1678.; Cass. Sez. Un., 26 febbraio 1997, Bahroumi, in Cass.

del dibattimento di primo grado, oggi la suddetta domanda può essere proposta subito prima la presentazione delle conclusioni nell'udienza preliminare, quindi dopo la possibile integrazione del giudice dell'udienza preliminare che ravvisi vuoti nella ricostruzione accusatoria.90

In dottrina la tesi maggioritaria vede la necessità comunque di un orizzonte cognitivo completo proprio per raggiungere quell'economia processuale che voleva prescindere totalmente dall'accertamento della responsabilità, dall'accertamento sul fatto storico, quasi a qualificare il patteggiamento come un'assunzione di responsabilità piena da parte dell'imputato. Questo modus operandi giurisprudenziale ha sollevato critiche soprattutto in quanto troppo riduttivo del ruolo del giudice, che comunque dovrà valutare la sussistenza degli elementi idonei per non archiviare la vicenda seguendo i criteri stabiliti dall'art. 125, disp. att. c.p.p., essendo a tutti gli effetti, come detto sopra, la proposta o l'accettazione al patteggiamento da parte del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, una speciale forma di esercizio dell'azione penale. Infine, e più in generale, è l'intero sistema riti differenziati a soffrire di una giustizia negoziata che fornisce tutela in tempi certi e brevi, ma ci rimetterebbe sicuramente in severità, se si tralasciasse il profilo dell'esaustività della piattaforma probatoria, come condizione imprescindibile per emettere una sentenza di applicazione della pena concordata dalle parti.91

Per incentivare il ricorso a questa definizione anticipata dei processi, sono stati previsti molti vantaggi per l'imputato. Nel 2003 è stata estesa l'operatività del rito de quo mediante l'introduzione del cd.

90 F. SIRACUSANO, La completezza, cit., p. 168.

91 G. SPANGHER, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, in R. NORMANDO (a cura di), Le recenti modifiche al codice di procedura penale, vol. III, Le innovazioni in tema di riti

alternativi, Giuffrè, Milano, 2000,p. 112 s.; E. MARZADURI, sub artt. 1,2 e 3, in Leg. pen.,

patteggiamento allargato, utilizzabile anche per i reati più gravi, punibili fino a 5 anni. I vantaggi sopra menzionati sono stati allora distinti a seconda del tipo di patteggiamento. Per entrambi si applica lo sconto di pena, cioè la sanzione concretamente irrogabile a seguito della trattativa viene diminuita fino ad un terzo. La sentenza, normalmente, non produce effetti nei processi civili ed amministrativi, nei quali sia parte l'imputato che ha patteggiato nel processo penale; dispiega invece effetti, secondo l'interpretazione prevalente in giurisprudenza, la sentenza di patteggiamento nei procedimenti disciplinari per quanto riguarda l'accertamento del fatto e la responsabilità dell'autore, esonerando parzialmente il giudice disciplinare dall'onere della prova. Secondo gli Ermellini, la “sentenza che applica la pena patteggiata, pur non potendosi configurare come una sentenza di condanna, presuppone pur sempre un'ammissione di colpevolezza”.92 Restano autonomamente valutabili in sede disciplinare la valutazione del fatto e la personalità dell'autore.

L'ultimo vantaggio comune ai due tipi di patteggiamento, non inserito esplicitamente, ma ricavabile dalla disciplina codicistica, consiste nell'assenza di pubblicità. Di questo beneficio ne usufruiranno soprattutto gli imputati che, per la propria notorietà ed avendo un'immagine da difendere, potranno evitare che le luci, anche mediatiche, del dibattimento causi loro danni; tenendo presente che gli effetti negativi potranno verificarsi persino in caso di assoluzione finale; il solo svolgimento del dibattimento può incidere sulla reputazione pubblica.

Vi sono poi vantaggi che conseguono solo al cd. patteggiamento ordinario (percorribile per i reati punibili fino a 2 anni). Anzitutto la non sostenibilità delle spese processuali e la non applicazione delle

pene accessorie e delle misure di sicurezza, ad eccezione della confisca, sia obbligatoria che facoltativa (art. 445, comma 1, c.p.p.).93 Restano, però, analizzando la giurisprudenza di merito e di legittimità, applicabili le sanzioni amministrative accessorie, che conseguono di diritto alla sentenza di condanna, in virtù dell'equiparazione attuata in giurisprudenza fra la sentenza “normale” e quella che applica la pena richiesta.

Fra queste rientra la sospensione della patente di guida, in relazione alla quale le parti non hanno potere dispositivo e il giudice la determinerà basandosi su codice della strada, sostituendosi eccezionalmente al giudice amministrativo, quando il reato è strettamente connesso all'illecito amministrativo, inoltre se non la applica, la sentenza è annullabile con rinvio al giudice di merito. Diversamente, se siamo in presenza di guida in stato di ebbrezza, siccome il codice della strada prevede un accertamento completo circa la dinamica del fatto e la colpevolezza dell'autore, la sospensione della patente non è irrogabile a seguito della sentenza ex art. 444, c.p.p., infatti in questo rito speciale non si ha una plena cognitio, ma una decisione, come nel giudizio abbreviato, “allo stato degli atti”.94

Stesso discorso per la demolizione delle opere abusive essendo stata classificata come sanzione amministrativa e non come pena accessoria. In tema di reati edilizi comunque il giudice penale non è obbligato a prendere tale provvedimento, potendo invece fornire le prescrizioni attraverso le quali il reo può riportare il manufatto dentro la normativa paesaggistica; è obbligato invece ad ordinare la distruzione nel caso di violazione di norme antisismiche. Non è disponibile dalle parti, rende invalido l'accordo a base del

93 Vedi, M. BARGIS, La scelta del rito, cit., p. 1044.

94 A. SANNA, sub art. 445 c.p.p., in Commentario breve al codice di procedura penale,

patteggiamento se è stato posto come condizione del consenso, analogamente alla nullità del contratto.

E' al contrario ascritto alle misure di sicurezza, quindi come già detto inapplicabile in sede di patteggiamento dal giudice penale, l'ordine di espulsione dallo Stato italiano dello straniero condannato per determinanti tipi di reato; dovrà pertanto, il giudice penale, trasmettere gli atti al prefetto in quanto provveda lui all'espulsione, sempre che ci sia flagranza di reato e la senrenza sia passata in giudicato.

A seguito della sentenza di patteggiamento un altro effetto importante riguarda anche la revoca di benefici fino a quel momento goduti: indulto, amnistia e sospensione condizionale della pena. Fra questi l'ultimo ha fatto parlare maggiormente in quanto c'è stato un mutamento di indirizzo interpretativo da parte delle Sezioni unite della corte di Cassazione.

I difensori del reo avevano proposto ricorso contro la sentenza di patteggiamento con la quale era stata revocata la sospensione condizionale della pena. La Sezione della Suprema Corte investita della questione e preso atto dell'introduzione del cd. patteggiamento allargato con la l. 12 giugno 2003, n. 134, rimetteva la soluzione alle Sezioni unite, anche perché erano coinvolti vari profili sistematici, tra i quali la natura della sentenza di cui all'art. 444, c.p.p., il potere giudiziale sui termini dell'accordo e sulla congruità della pena (i quali, come sopra accennato hanno impegnato la giurisprudenza di legittimità e costituzionale).

Nelle due ordinanze di rimessione, emesse dalla IV Sez. e dalla VII Sez. corte di Cassazione, si avverte la necessità di adeguare l'ultradecennale indirizzo interpretativo giurisprudenziale alle modifiche legislative riguardanti il contenuto accertativo della sentenza di condanna. I principali cambiamenti sono il controllo del

giudice sul negozio stipulato da difesa ed accusa, emersi con la sentenza della Corte costituzionale n. 313/1990 e la novella dell'art. 625, c.p.p., che ha esteso l'istituto della revisione anche alle sentenze di patteggiamento. Come in precedenza è stato detto, a proposito della pronuncia costituzionale n. 313/1990, anche se il giudice non compie un accertamento positivo sul fatto e sulla responsabilità dell'autore, in quanto con il patteggiamento ci sarebbe da parte dell'indagato/imputato, un'ammissione di colpevolezza che rende superflue le indagini, comunque, controllando la mancanza delle cause di proscioglimento di cui all'art. 129, c.p.p., compie, se non altro un esame in negativo della fattispecie. Affrontando il nodo della idoneità della sentenza di patteggiamento a provocare la revoca di diritto della sospensione condizionale della pena, le Sezioni unite scelgono il metodo di non basare il loro ragionamento principalmente sulla natura accertativa o meno della sentenza di patteggiamento, ma pur riconoscendo la non identità con la sentenza di condanna “tradizionale”, ne statuiscono l'equiparazione.

Era, e rimane, una sentenza che si limita ad applicare la pena proposta dalle parti, non accerta pienamente la responsabilità, nonostante questo però in virtù dell'equiparazione si può sostenere l'estensione di ogni effetto ricollegabile alla sentenza condannatoria anche alla sentenza di cui all'art. 444, c.p.p., a meno che ci sia un'esclusione espressa.

Questa conclusione era già stata avanzata in giurisprudenza diversi anni prima95 a proposito della motivazione della sentenza di patteggiamento, che affermava la mancanza di uno specifico obbligo di motivazione della pronuncia in questione, stante il contenuto

95 Cass., Sez. un., sentenza 27 marzo 1992, n. 7, Di Benedetto, in Giur. it., 1993, II, p. 203 ss., con nota di, DE ROBERTO, La motivazione della sentenza penale di “patteggiamento”