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La posizione del pubblico ministero nei riti alternativi alla luce del principio di completezza delle indagini

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Questo lavoro è incentrato sulla figura del pubblico ministero, il quale nel processo penale, ha un ruolo certamente primario, vista la sua funzione di accusatore pubblico.

Saranno tralasciati i profili “statici”, attinenti all'organizzazione degli uffici, per andare a sondare quelli dinamici tipici della strategia di azione del pubblico ministero, nell'ambito delle varie fasi del processo penale di primo grado.

In particolare, l'ordinamento predispone tutta una serie di poteri ed obblighi, che vanno a costituire lo “statuto” del rappresentante dell'accusa e che cercano di indirizzarne la condotta in ordine all'an ed al quomodo dell'azione penale.

In questo vastissimo quadro di prescrizioni comportamentali, non saranno esaminati i rapporti con la polizia giudiziaria, tra i quali spicca la disciplina dell'iscrizione della notizia di reato nel registro a ciò deputato, né si guarderanno gli strumenti a disposizione del titolare dell'accusa nel corso delle indagini preliminari (campo da sempre contrassegnato dalla preminenza di quest'ultimo nei confronti dell'imputato) per andare alla ricerca di elementi probatori da adoperare nel proseguo del procedimento, ma ci concentreremo sul “cuore” della funzione accusatoria, costituito dalla scelta da parte del pubblico ministero, alla luce degli accertamenti compiuti, di far progredire o meno l'iter procedimentale nei confronti di un determinato soggetto.

Nell'ambito di questa tematica, si sono spese migliaia di pagine da parte della dottrina processual-penalistica per individuare, soprattutto nel vigore del codice di procedura penale del 1930 che non lo precisava, il momento esatto nel quale poteva dirsi adempiuto il

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canone costituzionale dell'art. 112, Cost., cioè l'obbligatorietà dell'azione penale e il suo contrappunto negativo formato dalla doverosa inazione ove se ne ravvisino i presupposti.

Tuttavia, in questa sede si sorvolerà anche su questa delicatissima questione, in quanto, da una parte il codice di rito del 1988 ha ridimensionato tale nodo problematico fornendo una nozione normativa di azione penale nel combinato disposto degli artt. 405, c.p.p. e 125, disp. att. c.p.p., e dall'altra lo sviluppo del discorso porta su di un piano più teorico coinvolgente la teoria generale del processo penale, mentre si è qui preferito restare sulla pratica operatività dei criteri che il legislatore ha inteso offrire al pubblico accusatore per “fare il suo mestiere”.

Il pubblico ministero, pur essendo un magistrato, è posto sullo stesso piano rispetto all'accusato ed al suo difensore, in sostanza occupa quello strano posto di “parte imparziale” nel processo.

Bisogna tenere presente questa peculiarità, per sondare lo spazio di manovra di un soggetto che, assieme al giudice ed all'imputato, va a costituire il rito inteso come sommatoria di atti legati logicamente (actus trium personarum), in un difficile bilanciamento dei rispettivi ruoli, avendo sullo sfondo il meccanismo principe del contraddittorio in senso oggettivo, inteso cioè come metodo per accertare la verità fattuale.

Ebbene, se il background concettuale risiede (fin dall'antichità) in questo delicato equilibrio, nell'agone degli uffici delle procure, impegnate quotidianamente nel contrasto alla criminalità, ci sono altre esigenze da cercare di soddisfare, tra le quali l'efficienza dell'intervento dello Stato; troppo spesso infatti nel nostro paese il tempo necessario per giungere ad una decisione di merito è stato giudicato dalla comunità europea irragionevole, quindi fonte di

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diverse condanne per inadempimento degli obblighi comunitari concernenti il funzionamento della giustizia. Senza contare le sperequazioni sostanziali ricadenti sui cittadini italiani, che magari per problemi burocratici vedono negata la loro domanda di giustizia in quanto la loro pratica caduta nel frattempo in prescrizione.

Per evitare questo, ma, lo ribadiamo, tenendo ferma l'impostazione accusatoria del nostro sistema penale, la giurisprudenza costituzionale ed il legislatore hanno cercato, da un lato di ampliare le regole che informano il pubblico ministero nella conduzione delle indagini, soprattutto in un'ottica di valorizzazione dell'indagato.

E' stato in questo modo introdotto expressis verbis il dovere di corroborare le investigazioni con elementi anche a favore di quest'ultimo, inoltre è stata ampliata la casistica dell'incidente probatorio, è stato dotato il difensore di poteri investigativi simili alla parte pubblica ed ai sensi dell'art. 415-bis, c.p.p., è stato reso obbligatorio un momento informativo antecedente all'udienza preliminare che potrebbe essere dirimente circa l'eliminazione delle cd. imputazioni azzardate.

Questa rapida carrellata già ci fa notare in quale direzione si stia evolvendo il nostro sistema penale, ma a completare il quadro, e questo lavoro ha cercato di farlo, si collegano le norme circa l'instaurazione dei riti alternativi all'azione penale ordinaria.

Si tratta di percorsi procedurali che, eliminando il dibattimento (cuore del processo penale di primo grado) o al contrario elidendo l'udienza preliminare (deputata ad un controllo “non approfondito” circa la corretta scelta di rinviare a giudizio), mirano sostanzialmente a decongestionare il carico giudiziario con una definizione più rapida delle regiudicande, ora basandosi su di una scelta mirata da parte dell'imputato ad ottenere determinati benefici di diritto sostanziale, ora

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imposti dall'organo requirente il quale, seguendo i parametri previsti dal codice di rito, detiene tanti e tali elementi a carico da rendere non necessaria la verifica intermedia che filtra le imputazioni in realtà infondate.

Si aggiungono infine il decreto penale di condanna e la sospensione del processo penale con messa alla prova.

Nel rito direttissimo ed in quello immediato si concentreranno le attenzioni maggiori, visto il preminente ruolo del rappresentante dell'accusa.

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CAPITOLO 1. LA POSIZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO A FRONTE DEL PRINCIPIO DI COMPLETEZZA DELLE

INDAGINI

Paragrafo 1. La consacrazione del principio di completezza.1

Grazie alla fondamentale sentenza n.88/1991, riguardante la tematica della archiviazione, è stato formalmente affermato che le indagini preliminari devono essere “tendenzialmente” complete; “tendenzialmente” perché' in ogni caso, soccorrono ad eventuali mancanze di accertamento, le indagini “suppletive” previste dagli artt. 409,410 e 413, c.p.p.

La decisione di procedere da parte del pubblico ministero presuppone non una semplice delibazione sulla non manifesta infondatezza della notizia di reato, ma l'espletamento di un'attività di indagine preliminare che, dovendo fornire elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio, deve essere compiuta in maniera completa.

La Corte ha precisato che il “limite implicito” all'obbligatorietà dell'azione penale “razionalmente intesa”, consiste nel dovere di non instaurazione del processo che si configuri come oggettivamente superfluo. La rigorosa alternativa fra esercizio dell'azione penale e richiesta di archiviazione si pone solamente all'esito della prima fase del procedimento penale dando vita a quella concretezza dell'agire, che sotto il vigore del codice Rocco del 1930 aveva tanto impegnato

1 Vedi su tale argomento la monografia di, F. SIRACUSANO , La completezza delle indagini

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dottrina e giurisprudenza; è solo in quel momento che si può valutare la superfluità o, viceversa, l'opportunità di progredire nell'iter procedurale.

La parte pubblica, in base agli artt. 326 e 358 c.p.p., deve compiere “le indagini necessarie per le determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale” ed “attuare gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Il compimento di indagini “pro reo” risulta così il fulcro circa la valutazione se il processo sarebbe attività inutilmente dispendiosa per l'apparato statale. Le regole sopra richiamate si fondano proprio sul principio di completezza che, secondo i giudici delle leggi, assolve ad una duplice funzione: da un lato avere il quadro probatorio completo significa per il pubblico ministero avere più strade da poter percorrere, come poter “saltare” l'udienza preliminare richiedendo il giudizio immediato oppure convincere l'imputato a optare per i riti premiali; dall'altro consente di arginare il cd. “esercizio apparente" dell'azione penale attraverso il quale si appesantisce ingiustificatamente il carico di lavoro dei giudici (peraltro in uffici spesso sotto organico) chiedendo la verifica giurisdizionale dell'ipotesi accusatoria sulla base di indagini superficiali o lacunose.

Paragrafo 2. La metamorfosi del principio di completezza

La cd. legge Carotti (l. 16 dicembre1999, n.479) ha modificato profondamente l'impianto codicistico arricchendo anche le implicazioni del principio in discorso. La ristrutturazione del giudizio abbreviato e la soppressione del consenso del pubblico ministero, prima indispensabile per l'instaurazione del rito, sono le novità più

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impattanti. La sentenza della corte costituzionale n.115/20012, confermando il principio di completezza delle indagini preliminari, si ricollega al succitato “riconoscimento del diritto dell'imputato, ove ne faccia richiesta, ad essere giudicato con il rito abbreviato”. In altre parole il pubblico ministero dovrà tener conto , nello svolgere le indagini preliminari, che, sulla base degli elementi raccolti, l'imputato potrà chiedere ed ottenere di essere giudicato con tale procedura e non potrà quindi “esimersi dal predisporre un esaustivo quadro probatorio in vista dell'esercizio dell'azione penale”. Il pubblico ministero allora adempie al suo dovere valutando la sostenibilità della sua ricostruzione non più avendo come “traguardo” la sede dibattimentale, ma anticipando tale obiettivo all'eventuale incardinarsi del rito abbreviato. In sostanza non ha più quel margine di operatività che le leggi processuali precedenti gli lasciavano potendo rifiutare la richiesta di giudizio abbreviato; spazio di discrezionalità che permetteva all'organo dell'accusa di gestire con più “tranquillità” gli atti di indagine da approfondire, senza avere il timore che, una volta svelate le proprie carte l'imputato possa “fregarlo” domandando di essere processato “allo stato degli atti”.

Tale maggior rigore nella valutazione del pubblico ministero è stato visto anche da altri autori3. Il legislatore del 1999 ha operato una rivisitazione complessiva di tutti i meccanismi procedurali del settore penale andando anche ad incidere sul tipo di cognizione e valutazione che deve compiere il giudice dell'udienza preliminare.

Secondo la maggior parte della dottrina tuttavia questo cambiamento ha portato a sovrapporre la funzione del giudice dell'udienza

2 Cfr. per le implicazioni della sentenza costituzionale n. 115 del 2001 F. SIRACUSANO, La

completezza, cit., p. 47 ss.

3 Così C. CAREDDA, Decreto di rinvio a giudizio e “riesame” della misura cautelare

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preliminare con quella del giudice del dibattimento, con il duplice rischio di un pre-giudizio per l'imputato non prosciolto ex art. 425, c.p.p., e di un condizionamento della imparzialità per il giudice del merito; sarebbe in pratica una involuzione inquisitoria del sistema contrastante con i principi del giusto processo.

L'imputato non troverebbe più un giudice imparziale cioè scevro da condizionamenti derivanti dal provvedimento negativo del giudice dell'udienza preliminare. Udienza preliminare “vicaria” del dibattimento senza però le garanzie di quest'ultimo, tanto dannosa per l'imputato da incoraggiare la rinuncia alla sua celebrazione chiedendo, al fine di evitarla, i riti alternativi.

Com'è noto il pubblico ministero decide di attivarsi (con la richiesta di rinvio a giudizio o con l'adozione di riti alternativi) quando è convinto di detenere elementi probatori “idonei a sostenere l'accusa in giudizio” (art. 125, disp. att. c.p.p.).

Fino al 1999 l'interpretazione di gran lunga più seguita della norma, era quella che vedeva il pubblico ministero agire in giudizio anche nelle ipotesi di insufficienza o contraddittorietà della prova, in situazioni nelle quali, per effetto delle tecniche di tras-formazione della fonte di prova in dato utilizzabile, potesse emergere la responsabilità dell'indagato.

Oggi, il nuovo dettato legislativo, abolendo il consenso del pubblico ministero dai presupposti per richiedere il rito abbreviato, ha ribaltato lo schema precedente.

Prima, il metodo del contraddittorio era la chiave di risoluzione dei casi dubbi; gli elementi investigativi non univoci potevano essere coltivati nell'ottica di una loro successiva evoluzione basata sulla dialettica dibattimentale in un senso utile all'accusa; oggi che il titolare delle indagini ha perso il potere di veto all'abbreviato, gli elementi

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investigativi ambigui potrebbero cristallizzarsi in favore dell'imputato con l'instaurazione del giudizio speciale in discussione, né potrebbe il giudice, usufruendo dei poteri ufficiosi previsti dall'art. 441, comma 5, colmare tali lacune per una sentenza di condanna.

Ecco che, nonostante l'assenza di dialettica, vista l'accettazione da parte dell'accusato ad essere giudicato allo stato degli atti (in cambio di una cospicua riduzione di pena), proprio a causa di indagini sommarie, non complete, l'imputato si trova in una posizione di vantaggio. Conseguentemente c'è una mutazione strutturale della funzione del pubblico ministero nelle fasi pre-processuali, nel senso di una estensione del concetto di “indagini necessarie per l'esercizio dell'azione penale” scolpito dall'art. 326, codice di rito.

Il pubblico accusatore è “onerato” di completare il quadro probatorio, di colmare i margini di ambiguità e contraddittorietà; l'accusa dovrà reggere prima ancora che in dibattimento, in un possibile giudizio abbreviato.

E' un nuovo criterio di giudizio che concerne l'esercizio dell'azione penale in cui il pubblico ministero vede aumentare le ipotesi nelle quali deve non agire. Infatti, dovrà trovare elementi investigativi sufficienti a sostenere l'accusa in dibattimento, ma più in generale ci si riferisce al giudizio, sostantivo con il quale il legislatore vuole farvi rientrare le vie alternative a quella ordinaria.4

La sentenza della corte costituzionale n. 88/1991 pone come principio basilare per valutare la correttezza della scelta del pubblico ministero se proseguire il procedimento od arrestarlo, la completezza (nel senso di non tralasciare alcuna attività utile per corroborare l'addebito) e la pluridirezionalità (nel senso di ricomprendervi anche gli “elementi a

4 Distinzione altre volte ricorrente nel c.p.p.: negli artt.. 360 e 350 per consentire l'utilizzazione degli atti d'indagine anche nei riti alternativi.

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discarico” dell'accusato) delle indagini preliminari. Per arrivare a questo risultato oltre agli strumenti ed ai tempi “ordinari” della fase investigativa, ci sono altri istituti a ciò deputati: indagini integrative, investigazione suppletiva richiesta dalla persona offesa e ulteriori indagini svolte dal procuratore generale in caso di avocazione. Impianto codicistico che è rivolto alla formulazione dell'imputazione, nelle varie modalità indicate dall'art. 405, c.p.p., ma che non si spinge oltre, non si occupa in particolare degli aspetti deflativi di economia processuale.

La sentenza n. 115/2001 della corte costituzionale interviene dopo la cd. legge Carotti facendo un passo in avanti spinta dalle nuove regole in tema di giudizio abbreviato: bisogna condurre indagini complete “in vista e non al fine dell'esercizio dell'azione penale”. Del resto, anche sulla base della teoria generale del diritto e dell'ermeneutica giuridica i principi sono destinati ad evolversi modificando le regole codificate come nel caso appunto dell'art. 405, c.p.p. “I principi sono concetti elastici, sottoponibili a bilanciamenti con altri principi, possono quindi essere modificati ma non tollerano eccezioni; in senso opposto si comportano le regole”5

La giurisprudenza ha sviluppato il principio di completezza, non lo ha semplicemente applicato, vi ha permeato altre regole “in vista dell'esercizio dell'azione penale”6. La scienza giuridica progredisce in questo modo ed la giustizia penale (ma anche quella civile ed amministrativa) deve elaborare soluzioni che siano oltre che garantite anche rapide. Lo “jus postulandi” dell'imputato ad “accorciare” il percorso risparmiando molte energie utili, costringe la sua controparte,

5 In tali termini, P. FERRUA, Garanzia del contraddittorio e ragionevole durata del processo

penale, in Quest. Giust, 2003, p.454.

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il pubblico ministero, a non trascurare qualunque possibilità fattuale. E' un rischio incombente sull'accusa che deve, svolgendo accertamenti completi cercare di ribaltare per fare bene il suo lavoro. Altri studiosi tuttavia dissentono da questa ricostruzione di un pubblico ministero “onerato”, in quanto limiterebbe troppo l'analisi a “situazioni dispositive, connesse solo a possibili iniziative dell'avversario”7.

Paragrafo 3. L'articolo 415-bis del codice di rito

Il legislatore del 1999 ha anche inserito un ulteriore passaggio procedimentale nell'art. 415-bis c.p.p., dove si regola l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari. E' una disposizione che, in quanto collocata prima dell'effettivo esercizio dell'azione penale “ordinaria”, rappresenterebbe secondo alcuni l'apice, la definitiva “coronazione” del principio di completezza, configurando, in un certo senso, la grundnorm di riferimento per quanto riguarda il momento finale del segmento investigativo, in una logica di validità delle norme basata sulla concatenazione gerarchica, andando a ritroso fino alla norma fondamentale che giustifica tutto il sistema.8

Abbiamo sin qui detto che in un sistema a tendenza accusatoria, la delibazione circa la fondatezza della notizia di reato, deve incanalarsi in un accertamento preliminare il più possibile approfondito, ebbene mirando a recuperare i possibili apporti del protagonista di diritto sostanziale 9. E' un sub-procedimento garantito in limine actionis

7 Espressione riconducibile a, F.CORDERO, Le situazioni soggettive nel processo penale, Giappichelli, Torino, 1957, p. 268.

8 Secondo la ben nota ricostruzione di, H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino, 1968, p. 241 e s. richiamata da, F. MODUGNO, voce Ordinamento giuridico (dottrine

generali), in Enc. Dir., vol. XXX, Giuffrè, Milano, 1980, p. 682 e s.

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prima della “fatidica determinazione” cui è preposto il pubblico ministero, nella quale l'insieme delle facoltà attribuite all'indagato coagula un intero gruppo di norme in nome della legalità dell'azione. In questa prospettiva il pubblico ministero sarà indotto a soddisfare le indicazioni provenienti dall'indagato onde scongiurare la celebrazione di processi superflui. Il pubblico accusatore, percorrendo nuovi itinerari, diversi da quelli che si era immaginato, sulla base della nuova documentazione difensiva, potrebbe cambiare idea, modificando l'imputazione “in melius” oppure addirittura archiviandola se non emergessero profili di responsabilità penale. D'altro canto, l'innesto di elementi difensivi, va nella direzione di un alleggerimento del carico probatorio dell'accusato tanto da persuaderlo, in caso di richiesta di rinvio a giudizio, ad optare per il rito abbreviato in sede di udienza preliminare.

L'articolo 415-bis10 è stato introdotto sotto la spinta della dottrina, che ne avvertiva la necessità addirittura qualificando come “utopia l'obiettivo di un indagine completa senza l'intervento dell'indagato stesso”.11 Già in precedenza, l'eventuale apporto della persona sottoposta alle indagini era stato oggetto di rafforzamenti, così nella legge n. 234 del 199712 si stabilì l'obbligatorietà dell'invito a rendere l'interrogatorio prima del promovimento del processo stricto sensu, pena la nullità della domanda penale ex art. 375, comma 3, c.p.p. Prima della modifica in questione l'imputato restava pressoché al buio; doveva inoltrare apposita richiesta di prendere visione delle pendenze penali e sempre che non si procedesse per uno dei delitti di cui

10 Inserito nel codice dall'art. 17 comma 2 della legge 16 dicembre 1999, n. 479.

11 Sec., G. VARRASO, Le indagini “suppletive” ed “integrative” delle parti. Metamorfosi di un

istituto, Cedam, Padova, 2004, p. 20.

12 Per un'analisi a tale provvedimento, E. MARZADURI, Commento all'art. 2 della legge

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all'art.407, comma 2, lett. a, c.p.p., oppure che il pubblico ministero, per ragioni attinenti all'indagine non abbia disposto il segreto sull'iscrizione.

Dall'altro lato il pubblico ministero era obbligato ad avvisare l'indagato dell'addebito soltanto quando doveva compiere un atto al quale il difensore aveva il diritto di assistere (i cc.dd. atti garantiti). Era una disciplina che non rispettava sufficientemente il diritto di difesa dell'imputato nel corso delle indagini preliminari, sia perché non dava il tempo di prepararsi sul costrutto accusatorio, cercando controprove da spendere in dibattimento, sia perché non concedeva neanche l'opportunità all'accusato di evitare il processo vero e proprio, che, benché si chiudesse con l'assoluzione piena era comunque fonte di effetti negativi giuridici e sociali. Il pubblico ministero contestava l'addebito provvisorio mediante l'interrogatorio solo nel caso in cui fosse stata disposta l'emissione di una misura cautelare personale ad eccezione del giudizio immediato nel quale (come vedremo) la valutazione dell'accusatore pubblico circa l'evidente responsabilità dell'indagato deve essere corroborata dall'audizione del diretto interessato sui fatti oggetto d'indagine; in altri termini, il giudizio inaudita altera parte del pubblico ministero è stato ritenuto, in questa delicatissima ipotesi non affidabile al totalmente; non abbastanza garante dei diritti difensivi.

Tale ratio è oggi estesa anche al giudizio ordinario, in un’ottica di completezza delle investigazioni, utile non solo a preservare maggiormente la difesa, ma anche ad avere più chiavi di lettura per la scelta circa la superfluità della prosecuzione processuale.

Nell'esposizione dell'indagato di quanto ritiene utile per la propria posizione difensiva (art. 65, comma 2, c.p.p.) il pubblico ministero

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può trovare elementi utili per decidere se convenga insistere sul tema accusatorio intrapreso; è vero che si tratta di un interrogatorio condotto dal rappresentante dell'accusa e non dal giudice, quindi meno garantistico, ma è vero anche che egli è comunque tenuto a considerare anche le circostanze più favorevoli all'interrogato.

Concludendo: l'avviso de quo, se è indubitabile che serve primariamente alla difesa per convincere il pubblico ministero della propria estraneità ai fatti, quindi a considerare la verifica giudiziale superflua archiviando la vicenda, altrettanto evidente è la sua funzione in un ottica di completezza delle indagini da parte dell'accusa.13

Bisogna però registrare (appunto per dovere di completezza anche di questo, seppur limitato lavoro, di tesi universitaria) la contraria opinione di un autore secondo il quale, a dispetto di dottrina e giurisprudenza concordi sul punto, il principio di completezza sarebbe già sorretto dal combinato disposto degli artt. 326 e 358, c.p.p., dai poteri istruttori del giudice dell'udienza preliminare e dall'abolizione del consenso del pubblico ministero per il giudizio abbreviato.14 La

discovery anticipata realizzata mediante il deposito degli atti

d'indagine affinché l'indagato possa esercitare le facoltà contenute nell'articolo 415- bis sarebbe una duplicazione di garanzie già previste dall'estensione della disciplina delle indagini difensive (soprattutto sotto il profilo della loro utilizzabilità diretta in udienza preliminare e in giudizio abbreviato), facendo invece perdere tempo e risorse alla macchina processuale. Inoltre anche prima del 1999, fin dall'entrata in

13 Questo intento lo troviamo nella stessa Relazione di accompagnamento al provvedimento n. 479 del 1999 (v. Assemblea Senato 23 settembre 1999), nella quale il sen. Pinto evidenziava tale ulteriore finalità. In dottrina tra i molti, P. TONINI, Manuale di procedura penale, IV ed., Giuffrè, Milano, 2005,p. 430; M.L. DI BITONTO, Il pubblico ministero nelle indagini

preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cass. pen. , 2000, p. 2863; F. CAPRIOLI, Nuovi epiloghi della fase investigativa: procedimento contro ignoti e avviso di conclusione delle indagini preliminari, in F. PERONI (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Cedam, Padova, 2000, p.270

14 Vedi, G. SALVI, Dieci spunti di riflessione sulle garanzie nella fase delle indagini (e non

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vigore del codice Zanardelli, le indagini dovevano essere complete . In sostanza, secondo questa tesi, il problema è dell'interpretazione che si da' dell'art. 125, disp. att. c.p.p.; si pretende cioè che il pubblico ministero segua ogni pista astrattamente battibile, in tal modo azzerandone la capacità di strategia investigativa (margine ancor più ridotto dai poteri integrativi della controparte e del giudice), obbligandolo inoltre a compiere una valutazione non più solo prognostica di una possibilità ragionevole di condanna dibattimentale, confidando nel contraddittorio per formare il quantum di prova sufficiente, ma pretendendo quasi che possieda l'arte divinatoria. La nuova udienza preliminare e il novellato giudizio abbreviato incidono anche sulla durata delle indagini; limiti temporali decisamente allungati tanto che la stessa procedura per la proroga dei termini sembra oggi inutile. Sulla problematica dei termini di indagini si inserisce poi il dibattuto rapporto fra pubblico ministero e polizia giudiziaria che riguarda soprattutto la postergazione del momento in cui si instaura. La polizia giudiziaria deve informare “senza ritardo” il pubblico ministero di una notitia criminis per due motivi: il primo di garanzia in quanto dal momento di conoscenza del nominativo scattano i limiti temporali controllati dal giudice; il secondo riguarda le scelte strategiche del pubblico ministero ad esempio per il compimento degli atti potenzialmente irripetibili che poi si riverberano sul quadrante probatorio approntato per esercitare un'azione penale che resista agli “urti” dibattimentali. In questa prospettiva, secondo l'autore15, non è necessario che il pubblico ministero abbia il controllo totale sulle investigazioni, dovendo coordinare dall'alto i lavori degli organi di polizia in vista dell'azione penale; questo modello però se da un lato sarebbe forse più efficiente,

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dall'altro toglierebbe troppo al pubblico ministero dominus delle indagini ex art. 112, Cost.

Un atto poi specifico ci dimostra la tendenza ad accentrare verso il pubblico ministero le investigazioni: si tratta del divieto di delega alla polizia giudiziaria dell'interrogatorio dell'indagato detenuto. Se la

ratio di una garanzia maggiore in capo al magistrato penale rispetto

alle forze di polizia è condivisibile meno è la soluzione del divieto; meglio sarebbe ad esempio, per scaricare un po' di peso dall'ufficio del procuratore, migliorare le competenze professionali e la sensibilità personale dei già preparati e coscienti organi di polizia giudiziaria. Il legislatore, prendendo atto della dimensione non più semplicemente “preliminare”, ma in pratica istruttoria anche in vista delle semplificazioni ai meccanismi dibattimentali (accedendo ai riti alternativi), ha inserito questo nuovo strumento autodifensivo. E' una sorta di bilanciamento alla “inquisitorietà” che continua ad aleggiare sulla fase preparatoria al processo, attraverso l'effettuazione di un “embrione” di contraddittorio16. Si consente all'indagato di incidere sul fascicolo del pubblico ministero “ai fini dell'effettiva attuazione del diritto di difesa”17 nella fase investigativa, mediante il diritto al deposito integrale degli atti in relazione al quale in precedenza la sua omissione da parte del pubblico ministero la giurisprudenza aveva difficoltà a sanzionare, anche successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio.

Sempre sul versante dei rilievi mossi al nuovo istituto, si dubita che l'indagato possa beneficiare dal meccanismo introdotto dall'art.

415-bis dal momento che l'archiviazione disposta a seguito del

sub-16 Riferimenti in, L. MARAFIOTI, Scelte autodifensive dell'indagato e alternative al silenzio, Giappichelli, Torino, 2000, p. 263 e ss.

17 Disamina in materia di, V. BONINI, sub art. 17, Commento alla l. 16/12/1999 n. 479, in Leg.

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procedimento di nuovo conio in realtà produce una situazione meno stabile di quella che si creerebbe a seguito della celebrazione dell'udienza preliminare culminante con la sentenza di non luogo a procedere.18 Infatti le indagini preliminari possono essere riaperte anche in assenza di nuove fonti di prova senza che ciò sia impedito dal decreto o dall'ordinanza di archiviazione, mentre per la revoca della sentenza di cui all'art. 425, c.p.p. ci vogliono nuovi elementi investigativi. Per concludere sul punto, l'archiviazione non ha quell'efficacia preclusiva (posto che può essere riproposta la stessa accusa per lo stesso fatto e nei confronti della medesima persona) tipica invece dei provvedimenti giurisdizionali (tant'è che certi autori appunto ne contestano tale natura).19

Ancora, se in astratto nulla quaestio, in concreto, l'articolo in discorso fin dall'inizio ha presentato criticità, alcune corrette con una miniriforma, come nel caso della possibile scadenza del termine di custodia cautelare a seguito delle indagini richieste dall'indagato, a fronte delle quali il pubblico ministero non poteva prorogare la misura personale stante il presupposto di “accertamenti particolarmente complessi” allora presente; altri punti dolenti sono rappresentati dall'assenza di un espresso obbligo di anche il difensore d'ufficio (da nominare) e la persona offesa, nonché dalla insufficienza del termine di venti giorni per escogitare contromosse e del termine di trenta giorni (prorogabile una sola volta) che il pubblico ministero ha per compiere gli atti richiesti dalla difesa a pena di inutilizzabilità. In sostanza ci si chiede se rispetto al “costo” in termini di tempo ci sia un

18 Cfr. F. CASSIBBA, voce Investigazioni ed indagini preliminari, in Dig. disc. Pen., Agg. II, Utet, Torino, 2004, p. 523.

19 R. ORLANDI, Effetti preclusivi dell'archiviazione e procedimento cautelare, in Cass. pen., 1998, p. 3294, afferma la non conclusività del provvedimento archiviativo; F. CAPRIOLI,

L'archiviazione, Jovene, Napoli, 1994, p. 441, considera quest'aspetto primario per gli atti

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effettivo guadagno in chiave difensiva.

L'art. 415-bis rappresenta comunque un “microsistema difensivo”20, posto allo scadere della fase pre-processuale in modo da contemperare la conoscenza dell'accusa da parte dell'indagato con la garanzia e l'efficacia degli accertamenti. Per rafforzarne la precettività vi è comminata anche una sanzione di nullità per parte delle sue disposizioni. Sanzione processuale che nella giurisprudenza maggioritaria è ricompresa tra le nullità intermedie non riguardando la

vocatio in iudicium dell'imputato, con la conseguenza che tale vizio va

eccepito o rilevato d'ufficio fino alla deliberazione della sentenza di primo grado.

L'articolo in questione permette una discovery del materiale in possesso del pubblico ministero realizzando una “difesa informata” in una fase anteriore al promovimento del processo nella prospettiva del principio di parità delle armi, essenza del diritto di difesa sancito dalla Costituzione; ciò che in ambito processuale mira ad evitare che le parti in causa con comportamenti deontologicamente scorretti introducano arbitrariamente prove a sorpresa.21

Qualche Autore in dottrina aveva ipotizzato che, per garantire pienamente il diritto di difesa fosse necessario l'invio della informativa anche nel caso “imputazione coatta”. Tale istituto serve a coordinare il controllo giurisdizionale sulla scelta di non agire compiuta dal pubblico ministero con il principio ne procedat iudex ex

officio; tale che se il giudice per le indagini preliminari ritiene che ci

siano elementi sufficienti per proseguire, dispone che il pubblico ministero formuli l'imputazione (art. 409, comma 5, c.p.p.),

20 Locuzione di, P. DE PASCALIS, La disciplina dell'art. 415-bis c.p.p.tra diritto di difesa,

completezza delle indagini ragionevole durata del procedimento, in Riv. it. Dir. Proc. Pen.,

2004, p. 909.

21 V., MARGARITELLI, sub art. 415-bis, in Codice di procedura penale ipertestuale, Utet, 2001, p. 1458.

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argomentando con la possibilità per l'indagato di far cambiare idea al giudice indicando elementi aggiuntivi, facendosi interrogare e svolgendo direttamente investigazioni ai sensi della legge 7 dicembre 2000, n. 397.

Il nuovo congegno non attiva però un vero e proprio contraddittorio in quanto non si compie un confronto dialettico dinanzi ad un soggetto terzo e imparziale, ma si garantisce alla difesa (e si impone al pubblico ministero) un momento collaborativo non triadico (come invece si pretende in dibattimento)22. Concretizza il diritto ad interloquire sull'addebito provvisorio prima che si cristallizzi nell'imputazione, per evitare che l'indagato abbia “contezza dell'esistenza di un procedimento a suo carico solo al momento del rinvio a giudizio”23.

Se l'articolo di cui si discute è una chance a disposizione dell'indagato e dei suoi difensori (io direi ovviamente) non può essere visto come un “onere” (sebbene in una accezione atecnica) per la difesa stessa; l'indagato cioè può usufruire di questi poteri autonomi o d'impulso, sollecitando la parte pubblica a compiere determinati atti o attività, senza che la sua inerzia comporti una “tacita ratifica della completezza circa la completezza delle indagini espletate”24. In pratica il giudice non può ritenerlo un argomento di prova dal quale desumere implicitamente la fondatezza dell'addebito. Il silenzio dell'indagato non va interpretato come “avallo del progetto accusatorio”25 ma è preferibile ricondurlo nell'alveo di una strategia difensiva, che mira a non scoprire le proprie carte sino alla fase processuale in senso stretto

22 Cfr., D'ORAZI, Commento alla legge 16 luglio1997, n. 234, in AA. VV., Le nuove leggi

penali: abuso d'ufficio, dichiarazioni del coimputato e videoconferenze giudiziari, Cedam,

1998, p. 76.

23 Testualmente, P. DE PASCALIS, op. cit., p. 908.

24 Così, M. SCAPARONE, Il diritto di difesa dell'imputato nella Costituzione e nelle

Convenzioni internazionali, in AA. VV., Il diritto di difesa dalle indagini preliminari ai riti alternativi, Giuffrè, Milano, 1997, p. 25.

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(id est nell'udienza preliminare) onde evitare efficaci contromosse da parte dell'accusa.

CAPITOLO 2. PUBBLICO MINISTERO COME PARTE CHE “SUBISCE” LE DETERMINAZIONI DELL'IMPUTATO

Paragrafo 1. La decisione del pubblico ministero di agire ordinariamente ed il nuovo “rito a prova contratta”

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Come anticipato, al termine delle indagini preliminari, in virtù dell'evoluzione del principio di completezza della fase investigativa non solo deve decidere se agire o meno, ma deve fare i “conti” anche con una risoluzione anticipata del processo. Fra queste vie deflative del dibattimento il rito abbreviato instaurato, a richiesta dell'imputato, nel corso dell'udienza preliminare rappresenta il principale strumento processuale. La richiesta in questione, anzitutto, secondo la giurisprudenza, deve riguardare tutti gli addebiti (non può essere parziale), poi è qualificata come atto personalissimo dell'imputato, quindi, secondo l' art. 438, comma 3, c.p.p., può essere presentata dal difensore solo in presenza di una procura speciale; al riguardo bisogna però segnalare che le Sezioni unite hanno equiparato tale condizione all'assenso implicito dell'imputato presente al momento della suddetta richiesta.

Attivazione automatica del giudizio abbreviato senza il consenso del pubblico ministero in caso di richiesta semplice; con possibili integrazioni probatorie in caso di accoglimento della richiesta condizionata (art. 438, comma 5, c.p.p.) o provenienti dal giudice ex

officio (art. 441, comma 5, c.p.p.): sono tutte modifiche che hanno

ampliato la fruibilità del giudizio abbreviato, fino a concepirne l'attivazione come un vero e proprio diritto dell'imputato che avanza richiesta “secca”, stante la non necessità né del consenso del pubblico ministero, né della valutazione della non decidibilità allo stato degli atti da parte del giudice. Questo assetto ha comportato un cambiamento della funzione delle indagini e dell'udienza preliminare; non più solo precostituire gli elementi necessari per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, ma provare la responsabilità dell'accusato, nell'eventualità che questi opti imperativamente per il rito abbreviato. Lo stesso discorso vale per l'udienza preliminare, la

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quale già di per sé si è venuta configurando quasi come un dibattimento e non più come un semplice filtro processuale per bloccare le imputazioni azzardate, poi quando vi si incardina il giudizio abbreviato, diventa una vera e propria species dibattimentale.26

La novella del 1999 è il frutto di diverse criticità evidenziate dalla Corte costituzionale in merito alla previgente disciplina del giudizio abbreviato: il pubblico ministero poteva dissentire all'instaurazione del rito e il giudice dell'udienza preliminare rigettare la richiesta senza motivazione, rendendo quindi inagibile il successivo controllo da parte del giudice del dibattimento e, in definitiva, beneficiare della riduzione di pena prevista, in caso di “errori” da parte di pubblico ministero o giudice dell'udienza preliminare (sentenze n. 66 e 183 del 1990; sentenza n. 81 del 1991; sentenza n. 23 del 1992). Siccome il pubblico ministero avrebbe dovuto attenersi, nel motivare il proprio dissenso, allo stato degli atti, in un'altra sentenza (n. 92 del 1992) la Consulta aveva anche posto in luce l'incongruenza di un possibile rifiuto alla celebrazione del giudizio abbreviato, a causa proprio di lacune probatorie addebitabili allo stesso pubblico ministero; sotto quel profilo urgeva intervenire con un meccanismo di integrazione probatoria. Il giudizio de quo, riconfigurato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, nasce solo da una domanda unilaterale dell'imputato, “secca” o “condizionata ad un'integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione”. In caso di condanna ci sono consistenti benefici: non solo diminuzione di un terzo della pena inflitta, ma, nell'ipotesi di condanna all'ergastolo, automatica conversione in trent'anni di reclusione.27

26 Così, G. ILLUMINATI, Il giudizio senza oralità, in Verso la riscoperta di un modello

processuale, Giuffrè, 2003, p. 76.

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Oggi, il giudizio in discorso, è una sorta di “seconda forma di giurisdizione penale, parallela a quella ordinaria”,28 utilizzabile per qualunque regiudicanda (indipendentemente dal tipo di reato per cui si procede), connotata da asimmetrie probatorie tra le parti processuali. Prima era disciplinato come “patteggiamento sul rito”; l'apparente svantaggio per l'accusa in realtà va a correggere quelle situazioni di dubbia costituzionalità delle quali poc'anzi accennavo circa dissensi manifestati a fronte di incompletezze probatorie per colpa dello stesso organo requirente; oggi, a fronte di lacune probatorie allegate dallo stesso titolare dell'accusa, può rimediare il giudice, disponendo d'ufficio l'acquisizione di prove ex art. 441, comma 5, c.p.p. Il pubblico ministero ha il diritto di ottenere prove a carico solo nel caso in cui sia stata presentata una richiesta complessa, ai sensi dell'art. 438, comma 5, c.p.p. Su questo profilo era stato respinto un dubbio di costituzionalità (segnatamente circa il principio della parità delle armi), affermando che il pubblico accusatore, in presenza di un quadro probatorio che non lascia intravedere possibilità di responsabilità penali, non dovrebbe chiedere il rinvio a giudizio, ma domandare al giudice per le indagini preliminari l'epilogo archiviativo; se c'è scarsa tenuta del quadro indiziario, elementi inidonei, prove insufficienti, il pubblico ministero, ci dice l'art. 125, disp. att. c.p.p., deve fermare il procedimento. Per il pubblico ministero, la possibilità di poter giudicare l'imputato in udienza preliminare, sulla scorta di indagini “tendenzialmente complete”, senza dover passare per il contraddittorio pieno del dibattimento, è sicuramente un vantaggio, a fronte del quale non si pongono problemi di parità delle armi. In dottrina la possibile

riforma, in Nuovi scenari del processo penale alla luce del giudice unico, a cura di S. Nosengo,

Giuffrè, 2002, p. 47.

28 Espressione di, M. L. DI BITONTO, Profili dispositivi dell'accertamento penale, Giappichelli, 2004, p. 124.

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integrazione probatoria ufficiosa è stata vista come un ritorno al giudice istruttore, ma secondo altri in realtà il giudice del giudizio abbreviato non ha poteri d'indagine, bensì si muove in una ipotesi ricostruttiva elaborata dal pubblico ministero. Analogie si hanno, invece, con il dibattimento del codice abrogato, con uno svolgimento basato sugli atti raccolti durante la fase investigativa, senza separare i fascicoli, quindi con una totale trasmigrazione del dossier istruttorio sul tavolo del giudice dibattimentale; il dibattimento verificava soltanto, ricapitolava il contenuto degli atti di tale lavoro compiuto dal pubblico ministero; una sorta di impugnazione del segmento preliminare.29 Una pronuncia basata solo sugli atti formati unilateralmente e solo eccezionalmente su prove acquisite in udienza con il metodo del contraddittorio, sia pure attenuato.30 Prima era l'unico modello di giudizio di primo grado, oggi rappresenta una “alternativa inquisitoria”31 rientrante nella categoria dei riti differenziati deflativi del dibattimento. Il dibattimento del modello misto aveva dei caratteri accusatori, quali l'oralità e il contraddittorio, ma i profili inquisitori, cioè lo strapotere dell'organo istruttore nella fase preliminare nel confezionare gli atti probatori, erano più forti rispetto ai primi. Nel nuovo giudizio abbreviato invece è l'inverso, in quanto la scrittura e la formazione unilaterale del materiale utile per la decisione si inserisce in un contesto tendenzialmente accusatorio. Centrali sono sempre le allegazioni di parte nell'ambito comunque di un'opzione libera data all'imputato e anche quando è il giudice ad integrare le risultanze investigative con riguardo ad elementi non ancora acquisiti, questo deve avvenire in base ad atti già disponibili.32

29 Sempre, G. ILLUMINATI, op. cit., p. 79 s., nonché p. 85 s. 30 Ancora, M.L. DI BITONTO, op. cit., p. 125.

31 ibidem. 32 Ivi, p. 126.

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A fronte dell'integrazione ex officio entrambe le parti, anche se non espressamente previsto dall'art. 441, comma 5, c.p.p., hanno il diritto alla prova contraria, similarmente all'art. 507, c.p.p., in ambito dibattimentale discutendo sul merito dell'accusa.33 Inoltre, in caso di richiesta condizionata di giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 438, comma 5, c.p.p., il pubblico ministero, in ossequio al principio della parità delle armi, conserva il diritto alla prova contraria, analogamente in dibattimento secondo l'art. 495, comma 2, c.p.p. si stabilisce la “reciprocità” delle posizioni probatorie come espressione del diritto alla prova in generale, ma curiosamente, solo quest'ultimo costituisce motivo di annullamento della sentenza di merito (art. 606, comma 1, lett. d), mentre l'omessa assunzione di una prova contraria richiesta dal pubblico ministero, sembra essere destinata a rimanere senza sanzione processuale.34

Utilizzando come parametro il livello di approfondimento profuso dal titolare della pubblica accusa nel segmento prodromico al processo, si possono ipotizzare due scenari che si aprono dinanzi all'imputato.35 Secondo un primo schema si può ragionevolmente pensare che accertamenti non esaustivi incentivino l'accusato ad avanzare richiesta semplice di giudizio abbreviato con il corredo di atti di investigazione difensiva. Infatti con tale iniziativa la difesa cristallizza un quadro istruttorio precario, indebolito ancora di più da attività di ricerca diretta di elementi assolutori, sfruttando la chance di ottenere una pronuncia di merito nel corso dell'udienza preliminare.36

Il potere di implementare la richiesta con l'acquisizione di notizie

33 F. SIRACUSANO, La completezza, cit., p. 183.

34 R. ORLANDI, Procedimenti speciali, in G. CONSO-V. GREVI, Compendio di procedura

penale, 4ª ed., Cedam, 2008, p. 626 s.

35 M. BARGIS, La scelta del rito nel processo penale, in Rivista italiana di diritto e procedura

penale, 2010, p. 1038.

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spendibili nel processo in chiave difensiva si deve alla legge n. 397 del 2000, la quale ha riverberato i suoi effetti anche sulla disciplina dei procedimenti speciali. La configurazione del pubblico ministero come “parte imparziale, monopolista del potere investigativo”,37 tenuto a compiere rilievi in tutte le direzioni, quindi, come abbiamo visto nel capitolo precedente, anche nell'ottica di risultanze a discarico dell'indagato, voleva essere una garanzia per la difesa che, tuttavia, si fondava pur sempre su un'ipotesi di lavoro creata e modellata da un'attività unilaterale, non scaturita da un dialogo effettivo con la persona sottoposta alle indagini. Per realizzare un modello processuale accusatorio bisognava allora da un lato andare verso il pluralismo probatorio, e dall'altro riformare un importante modulo differenziato di accertamento quale è il giudizio de quo. Un rito in cui manca una istruttoria interna e che basa gli accertamenti solo sul lavoro unilaterale del pubblico ministero difficilmente potrà far emergere l'innocenza dell'accusato, con la conseguenza di rendere poco appetibile il ricorso a questo rito vanificandone la funzione pratica di economia processuale, di cui sopra abbiamo parlato. Accanto a notevoli premi per colui che avesse rinunciato a tutti quei benefici della piena istruzione dibattimentale, occorreva allora consentire anche alle altre parti del processo di poter confezionare dati conoscitivi suscettibili di trasformarsi in “prove” utilizzabili processualmente. Ecco allora che l'art. 391 octies, c.p.p. nell'alveo del c.d. contraddittorio sulla prova introduce il diritto alla “presentazione diretta di elementi di prova” avendo come fine ultimo quello di un sistema investigativo binario non più unilaterale.38 Il concetto di contraddittorio subisce nel rito abbreviato una forte modifica, infatti

37 Massima della sentenza 18 agosto 1992 della Suprema Corte.

38 Leggi, L. SURACI, Investigazioni difensive, giudizio abbreviato e motivazione della sentenza

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da una parte l'accusa presenta i suoi elementi in maniera intangibile, dall'altra la difesa compie la stessa opera e il bilanciamento tra le due parti si realizza in questo modo “non dialettico”, come invece accade in dibattimento. Il giudice valuta direttamente tali risultanze in questo particolare “contraddittorio per le ipotesi” con un dovere motivazionale in più, visto che nella sentenza finale dovrà dare conto, non solo delle ragioni per le quali ha utilizzato certi elementi per arrivare a determinate conclusioni, ma anche i motivi per i quali ha ritenuto non accettabili le risultanze scartate39 In dottrina si è avanzata l'ipotesi secondo la quale, partendo da un'analisi letterale del codice, le risultanze difensive non sono direttamente spendibili nel giudizio abbreviato, in quanto il fascicolo del difensore va inserito nel dossier, che in base all'art. 433, c.p.p., si forma dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, quindi il materiale probatorio raccolto dalla difesa può servire unicamente per sollecitare il giudice ad usare i suoi poteri istruttori ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p.40

A questa tesi si oppone quella che vede una interpretazione sistematica, cioè a prescindere dal dato temporale, specificare che il fascicolo della difesa refluisce nel “dossier ufficiale delle indagini preliminari, altrimenti detto, sia pure impropriamente, del pubblico ministero.”41

Questo meccanismo di prove difensive scollegate dal contraddittorio, unito alla richiesta semplice (per cui cogente) di giudizio abbreviato, ha sollevato dubbi in dottrina circa la sua costituzionalità. Non mettere il pubblico ministero in condizioni di dissentire su certi atti probatori, potrebbe violare l'art. 111, comma 2, Cost. In sostanza si produrrebbe

39 Ivi, p.124.

40 M. MANNUCCI, Le indagini difensive e la loro utilizzabilità nel giudizio abbreviato, in Cass.

pen., 2002, p. 2951 s.

41 O. MAZZA, Fascicolo del difensore e utilizzabilità delle indagini difensive, in Giur. it., 2002, p. 1763.

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un effetto a sorpresa nel corso dell'udienza preliminare a danno della parte pubblica. Il comma 5 della disposizione costituzionale in parola cita solamente l'imputato quale destinatario della facoltà di acconsentire a derogare al contraddittorio; l'ottica del legislatore evidentemente era posta sugli atti di indagine pubblica, una volta però introdotta la disciplina delle investigazioni difensive, bisogna allargare lo spettro applicativo della norma anche al titolare dell'accusa. Inoltre per evitare usi “privatistici” di tale facoltà si dovrebbe permettere (come accade in dibattimento, secondo l'art. 507, comma 1-bis, c.p.p.) al giudice secondo una prospettiva generale della gestione del processo, di consentire implicitamente o escludere la metodologia del contraddittorio per quello specifico atto d'indagine.42

Altri autori cercano invece di superare tali nodi distinguendo fra produzione degli atti difensivi e contestuale richiesta di giudizio abbreviato e domanda di rito speciale che invece segue la presentazione delle risultanze difensive.43 La prima fattispecie è analoga a quella della domanda di integrazione probatoria disciplinata dall'art. 438, comma 5, c.p.p., per cui il pubblico ministero avrebbe diritto alla prova contraria. Nella seconda ipotesi si ricorre alle argomentazioni addotte dalla Corte Costituzionale in materia di tutela del diritto di difesa in caso di indagini integrative dell'accusa.44 Se le ulteriori verifiche non consentono una congrua difesa il giudice può adottare differimenti dell'udienza preliminare; di tal guisa che anche il pubblico ministero potrebbe beneficiare di tali provvedimenti, onde assicurare un effettivo e paritetico contraddittorio.45

Il consenso all'uso probatorio dell'atto d'indagine è un metodo vicario,

42 G. GIOSTRA, Analisi e prospettive di un modello probatorio incompiuto, in Quest. giust., 2001, p. 1136.

43 F. ZACCHE', Il giudizio abbreviato, Giuffrè, Milano, 2004, p. 91 s. 44 Vedi, Corte cost., 3 febbraio 1994, n. 16, in Giur. cost., 1994, p. 121 s.

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succedaneo al contraddittorio; si deve basare su una valutazione della parte che ritiene superflua il confronto dialettico su quel dato, ritiene cioè non migliorabile il risultato che ne sortirebbe dal suo apporto cognitivo. Il consenso deve allora essere consapevole, nel senso che non può essere preventivo (rinuncia astratta a ricercare la verità) e reciproco inteso come nesso sinallagmatico tra le parti principali della vicenda giudiziaria, pena la realizzazione di un “inquisitorio rovesciato” avulso dal nostro ordinamento; tanto più che in altre giurisdizioni, diverse da quella penale, il contraddittorio è presente in ogni aspetto processuale e il settore penale allo stesso tempo è quello che maggiormente cerca di salvaguardare la “pariteticità dialettica degli antagonisti”.46

L'interpretazione di Glauco Giostra, che subordina l'ingresso nel compendio conoscitivo del giudice, al vaglio dell'accusatore pubblico, pur essendo stata definita suggestiva non parrebbe però, almeno de

iure condito, sorretta dal diritto positivo; infatti fra il materiale

utilizzabile come prova ai fini della decisione ex art. 442, comma

1-bis, c.p.p., vi rientrano gli atti di indagine suppletiva compiuti dal

difensore. Pur essendoci infatti due disposizioni confliggenti (l'art. 391-octies, comma 1 e comma 3, c.p.p.), probabilmente a causa del diverso momento in cui sono state scritte, prevale la possibilità di inserire, come sopra abbiamo accennato, la documentazione del difensore nel fascicolo di cui all'art. 433, codice di rito.47

Circa il concetto di prova, nonostante che si tenda in dottrina a separare nettamente il materiale d'indagine da quello emerso nel dibattimento , si assiste ad un “relativismo probatorio” nel accanto ad un contraddittorio “forte”, ce n'è uno in cui la controparte accetta la

46 G.GIOSTRA, Indagine e prova: dalla non dispersione a nuovi scenari cognitivi, in Verso la

riscoperta di un modello processuale, cit., 59 s.

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ricostruzione del fatto altrui, non ritenendo di poterne modificare gli elementi costitutivi. Se l'art. 111, Cost., garantisce la presenza nel sistema processualpenalistico del confronto dialettico davanti ad un giudice terzo e imparziale, non impedisce però che, se non è indispensabile si possa ricorrere al contraddittorio “implicito”, non solo per elevare l'imputazione o archiviare, ma anche per decisioni di merito, quali l'emanazione della sentenza. Si ribadisce quindi che il consenso necessario per la rinuncia al metodo “forte” sia informato, successivo all'avvenuta cognizione dell'atto d'indagine.48

La sentenza della Corte costituzionale, n. 184 del 2009, ha considerato utilizzabili gli atti di investigazione assunti dal difensore dell'imputato in quanto non ci sarebbe un ingiustificato vantaggio di quest'ultimo, ma un meccanismo che rientra nella generale importanza delle attività compiute durante le indagini preliminari, tipica del “rito a prova contratta”. Nel caso concreto era stato sollevato la questione di costituzionalità riguardo alla presentazione “a sorpresa” degli atti di indagine privata, infatti il deposito del fascicolo delle indagini difensive con contemporanea richiesta di giudizio abbreviato semplice, era avvenuto dopo la citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica.49 In dottrina si perviene alle stesse conclusioni, l'art. 111, comma 5, Cost., autorizza il legislatore ordinario a derogare al contraddittorio sulla base del consenso dell'imputato, convertendolo in accordo delle parti. Viene quindi evidenziata la disponibilità del contraddittorio come metodo di accertamento della verità, a patto però che il consenso abbia certe caratteristiche e che non pregiudichi la ricostruzione dei fatti

48 G. UBERTIS, Prova e contraddittorio, in Verso la riscoperta di un modello processuale, cit., p. 199 s.

49 Leggibile in, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2009, p. 2060, con nota di G. UBERTIS, Eterogenesi dei fini e dialettica probatoria nel rito abbreviato, ivi, p. 2072 ss.

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generando una decisione ingiusta, in tal caso tornerà a prevalere l'oggettiva garanzia pubblicistica del confronto dialettico.50

Altri Autori51 invece criticano duramente la sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 2009, n. 184, sostenendo la inutilizzabilità delle investigazioni difensive unilateralmente assunte in sede di giudizio abbreviato. Soprattutto il passaggio motivazionale in cui si afferma che la garanzia contenuta nell'art. 111 Cost. comma 5 sia posta “precipuamente per gli interessi dell'imputato”, degradando così il portato metodologico-generale di quella disposizione. L'imputato potrebbe così disporre del canone del contraddittorio nella formazione della prova, superando troppo velocemente le osservazioni del giudice rimettente nonché gli sviluppi decennali elaborati dalla dottrina. Si confonderebbero l'aspetto oggettivo del contraddittorio come metodo per conoscere i fatti all'interno del processo penale e quello soggettivo riguardante il diritto di difesa dell'imputato, dando come giustificazione l'universalità di tale norma rientrante nei diritti umani sanciti dalle convenzioni internazionali. L' imputato quindi, se lo ritiene, potrebbe rinunciare liberamente al suddetto criterio gnoseologico, semplicemente manifestando la volontà di essere giudicato sulla base di “prove” non formate in contraddittorio. La Corte avrebbe discutibilmente mutato opinione circa la struttura dell'art. 111 Cost. comma 5, discostandosi da un consolidato orientamento precedente. Se riconoscessimo la valenza derogatoria al “consenso dell'imputato” anche per gli atti assunti unilateralmente dal difensore, ci potrebbe essere uno sbilanciamento del meccanismo generale di funzionamento del processo penale. Un accertamento penale soggetto a scelte discrezionali dell'imputato produrrebbe

50 P. FERRUA, Il 'giusto processo', 2ª ed., Zanichelli, 2007, p. 143 s.

51 V. GREVI, Basta il solo “consenso dell'imputato” per utilizzare come prova le investigazioni

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risultati scorretti e irregolari. La rinuncia al contraddittorio di un imputato sarebbe legittima fin quando non coinvolga anche gli interessi contrapposti di pubblico ministero, parti civili ed altri imputati nel medesimo procedimento. Alla fine si arriverebbe ad una lesione del generalissimo principio di parità delle parti, disarmonia vista invece dalla decisione della Corte in questione, come un riequilibrio rispetto alla preminenza del titolare dell'accusa nelle indagini prodromiche all'elevazione dell'imputazione. Invero, già la legge sulle investigazioni difensive sembra rimediare a tale situazione, ad esempio riconoscendo al difensore il potere di ricercare elementi a favore del proprio assistito senza obblighi di obiettività e di discovery, potendo quindi selezionare il materiale da presentare al giudice. Nel giudizio abbreviato l'imputato unilateralmente trasforma le risultanze investigative in prove pienamente utilizzabili, cosa che non è (ovviamente) consentita al pubblico ministero, con alterazione sostanziale delle parti processuali. Si tradurrebbe in un vantaggio troppo grande per la difesa, assimilabile a quello che aveva il pubblico ministero (consistente nel potere di veto circa l'ammissibilità del rito abbreviato lamentando lacune prodotte dallo stesso organo dell'accusa) prima che la Corte costituzionale lo eliminasse dall'ordinamento. L'imputato autovaluta la sua attività probatoria, semplicemente depositando gli atti di investigazione privata e presentando richiesta “non condizionata” di giudizio abbreviato. Una soluzione prospettata in dottrina è quella di ammettere il pubblico ministero a introdurre una o più controprove contrarie rispetto a quelle difensive, ma questa tesi sembrerebbe confondere due piani distinti: ammissione-introduzione di materiali probatori e acquisizione-utilizzazione degli stessi. Il diritto alla prova contraria, anche se non espressamente codificato, è ritenuto comunque sussistente nel caso di

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risultanze probatorie prodotte a sorpresa dall'imputato; consente al pubblico ministero di conoscere temi di prova avversari in un momento nel quale egli aveva già concluso le sue indagini, non ostante la possibilità di controbattere a tali elementi però, questi comunque resteranno acquisiti al processo e annessi alla piattaforma probatoria utilizzabile dal giudice per decidere sul merito dell'imputazione. Il contraddittorio del pubblico ministero si esplicherà comunque su atti formati unilateralmente, non sarà propriamente “sulla” prova, deposito posticipato di materiale difensivo che produrrà solo una replica non piena, posticipata anch'essa. Diverso è il carattere del contraddittorio “per” la prova, nel quale entrambe le parti possono intervenire attivamente fin dal momento genetico dell'accertamento, dando il proprio contributo ricostruttivo al fatto da provare o, se nulla ha da aggiungere, appunto acconsentendo al suo ingresso nel processo così come è stato confezionato dalla controparte. In conclusione, nel giudizio abbreviato, la domanda secca di essere giudicato “allo stato degli atti” si traduce in una utilizzabilità non solo degli atti formati dal pubblico accusatore, ma anche di quelli provenienti dal difensore dell'imputato stesso, con vulnus della par condicio riguardo alla garanzia oggettiva rappresentata dal metodo epistemologico del contraddittorio. Un diritto potestativo irragionevole, in quanto, e questo è il corollario più preoccupante dalla prospettiva dell'accusa, la semplice richiesta di giudizio abbreviato vale all'imputato la possibilità di creare una piattaforma probatoria con elementi nei quali la controparte non ha potuto contribuire nella formazione, inoltre può scegliere le parti più favorevoli per la sua situazione ed infine anche se subirà una condanna, questa sarà temperata da uno sconto di pena premiale. Alla base di questo meccanismo avallato dalla sentenza della Corte

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costituzionale 26 giugno 2009, n. 184, sembra esserci un aprioristico atteggiamento di salvaguardia all'interno del principio del contraddittorio del profilo soggettivo concernente il diritto di difesa dell'imputato, a discapito, più volte ribadito del valore gnoseologico dello stesso nel cuore del processo penale.52

Di fronte alla critica secondo la quale nel giudizio ordinario, per introdurre elementi formati unilateralmente dall'imputato ci vuole il consenso delle altre parti, il giudice delle leggi risponde che il giudizio abbreviato è un modello alternativo rispetto a quello ordinario, per cui non assimilabile sotto il punto di vista della disparità di trattamento sancita dall'art. 3 Cost.

Ultimo rilievo che la Corte appiana, concerne la presunta incoerenza sistematica consistente nel togliere, con il suddetto meccanismo di libera utilizzabilità di atti difensivi, senso all'altra tipologia di giudizio abbreviato, dipendente dall'accoglimento di una o più prove, comunque (anche se ammesse) sottoposte alla prova contraria da parte del pubblico ministero. Secondo il Supremo consesso la richiesta condizionata di giudizio abbreviato conserva la sua utilità per due ragioni: da un lato ed in via generale il rito abbreviato condizionato sarebbe una specie di ulteriore strumento di difesa operante nelle ipotesi nelle quali l'imputato non abbia potuto o voluto adoperare l'istituto delle investigazioni difensive; in secondo luogo, la capacità dimostrativa della prova formata davanti al giudice nel caso nel caso di richiesta subordinata di giudizio alternativo è diversa e maggiore rispetto alla dichiarazione assunta unilateralmente dal difensore allegata alla domanda semplice di rito abbreviato. Così argomentando però la Corte sembra convalidare a contrario la tesi che vorrebbe smontare e cioè che il semplice consenso dell'imputato non è

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sufficiente a trasformare un suo atto di indagine difensiva in prova utilizzabile direttamente dal giudice per la decisione finale.53 La discussa sentenza però non non specifica in cosa consista questa minore valenza gnoseologica; l'interpretazione preferibile sembra essere quella di valutazione di attendibilità delle fonti, con esclusione quindi di un uso diretto di tali elementi per la ricostruzione del fatto e l'accertamento della colpevolezza. Bisognerebbe allora provare ad armonizzare i due diversi filoni giurisprudenziali circa le inchieste difensive e il rito abbreviato; questa operazione potrebbe basarsi proprio sulla suddetta distinzione: gli atti difensivi resi noti anteriormente al l'esercizio dell'azione penale sarebbero pienamente utilizzabili, quelli conoscibili posteriormente, in analogia con l'art. 500, comma 2, c.p.p., in sede di contestazioni dibattimentali, valutabili per la decisione solo indirettamente. Questa lettura sembra essere in sintonia con i valori costituzionali, salva la dialetticità del processo penale e si fonda su una graduazione probatoria già conosciuta dal codice di rito, la prova piena dimostra un fatto mentre le “dichiarazioni lette per le contestazioni” ex art. 500, comma 2, c.p.p., hanno un'altra funzione, restando pur sempre “legittimamente acquisite al dibattimento”. Per concludere sul punto, dovrebbe potersi disporre un differimento dell'udienza per consentire al pubblico ministero di svolgere indagini suppletive, similmente al meccanismo previsto dall'art. 438, comma 5, c.p.p., in tema di giudizio abbreviato condizionato, una sorta di diritto alla prova contraria “affievolita”.54 Diversamente, le indagini difensive “a sorpresa” avrebbero bisogno del consenso del pubblico ministero per essere spendibili direttamente nella decisione. Questa tesi è presente in altre opere dello stesso

53 Vedi in tono critico, G. UBERTIS, Eterogenesi dei fini, cit., p. 2078 ss.

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Autore,55 nelle quali viene precisato che il cd. contraddittorio “implicito” (derogante alla normale dialettica a sguito del consenso della controparte) deve essere generale; non bisogna interpretare letteralmente la disposizione contenuta nell'art. 111, comma 5, Cost., se non a costo di ledere il principio della parità delle armi sancito dal comma 2, della medesima norma fondamentale. Se ci fosse la possibilità per il legislatore ordinario di scrivere norme nelle quali né il pubblico ministero, né le altre parti del processo, potessero dissentire dall'acquisizione di atti formati unilateralmente dall'imputato, senza il loro contributo, si violerebbe il valore epistemologico generale riconosciuto al metodo del contraddittorio. La Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 245 del 2005, seguita dalla giurisprudenza ordinaria, per salvaguardare il diritto al contraddittorio in capo al rappresentante a fronte di atti di inchieste difensive presentati “a sorpresa” contemporaneamente alla richiesta di dell'accusa ha ipotizzato, oltre al già menzionato diritto ad un congruo differimento dell'udienza onde consentire lo svolgimento di eventuali accertamenti suppletivi, anche il congegno stabilito dall'art. 441, comma 5, c.p.p., nel quale il pubblico ministero può sollecitare i poteri ufficiosi integrativi spettanti al giudice. Si tratta di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 438, comma 5, c.p.p.: la difesa che presenta materiale probatorio a discarico, successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio, è un'ipotesi non prevista espressamente dalla legge, tale lacuna è tuttavia colmabile assimilando la ratio della “presentazione dei risultati delle investigazioni difensive subito prima la richiesta di giudizio abbreviato alla ratio della domanda

55 Ci si riferisce sempre a, G. UBERTIS, Sistema di procedura penale,I, Principi generali, 2ª ed., Utet, 2007, p. 171; nonché a, ID., Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass.

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