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Il “monitorare” e alcune premesse metodologiche

Intorno alla fine del 2006 mi è stato affidato il compito di “monitorare” il progetto sperimentale Partecipa.net. In qualità di esperto dei processi for- mativi e impegnato nell’ambito della ricerca educativa, in particolare dei processi partecipativi che riguardano i giovani, non ho potuto evitare fin dal- l’inizio di pormi diverse domande.

In primo luogo: che cosa significa monitorare? E soprattutto monitorare un progetto che connette diverse realtà (diversi Enti locali) con un interfaccia on-line? Lo spazio esistente tra monitorare e ricercare si è immediatamen- te e positivamente confuso. Soprattutto a ragione del fatto che il compito non era quello – o non era unicamente quello – di mappare e valutare l’an- damento del progetto, con l’obiettivo di censire con occhio critico le attivi- tà che si stavano sviluppando al suo interno; piuttosto il compito affidato- mi era quello di evidenziare quale tipo di interrelazioni professionali, perso- nali e motivazionali si stessero svolgendo all’interno di un progetto che già come suo obiettivo finale si proponeva di incrementare un tipo di relazione (quello tra amministrazioni e cittadini). Obiettivo questo che pone ad un ricercatore ampie questioni, la prima delle quali è: come accedere al campo da studiare? Quale relazione tra il ricercatore e l’oggetto di studio – o meglio tra i soggetti coinvolti nello studio?

La risposta a queste domande è emersa dall’obiettivo stesso del monitorag- gio: se di interrelazioni si trattava, senza dubbio i dati da raccogliere non potevano solamente concentrarsi sulle caratteristiche quantitative come fre- quenza e direzione, ma soprattutto sulla qualità o sulle qualità che le carat- terizza. A questo punto la posizione del ricercatore non può di certo essere esterna, come quella dello studioso indagatore che come ente astratto e imperscrutabile osserva e traccia le proprie considerazioni asettiche. Al con- trario, la scelta che ho fatto è stata quella di uno stile partecipativo del ricer- catore, dove partecipativo sta per coinvolto nelle pratiche e nell’emersione dei dati (Burns, 2007; Reason, Bradbury, 2001). Si tratta in altre parole di un azione di co-costruzione dei dati, co-costruzione che vede protagonisti allo stesso livello sia i partecipanti (i soggetti della ricerca che sono ben lontani dall’essere definiti meramente oggetti) sia il ricercatore, che si inserisce nel contesto e cerca di comprendere la trama delle relazioni, le motivazioni in atto, il climax nel quale si svolge una certa azione o nel quale si svolge un processo. Il ricercatore influenza il contesto? Sì, decisamente, e lo fa con la consapevolezza che per raccogliere il fulcro qualitativo di un contesto non

può evitare il rischio di contaminare i dati con i propri pensieri, la propria storia, i propri preconcetti. Solo in questo modo però, sia il ricercatore che i soggetti della ricerca sono consapevoli che è in atto un gioco di (auto)rappresentazione e osservazione in grado di cogliere la trama essen- ziale e dinamica di un processo (Silverman, 2002).

Da questa prospettiva, un termine asettico come “monitorare” si trasforma in un tentativo di profonda comprensione di una rete di relazioni. Ma a que- sto punto ecco scaturire un’altra domanda. Che tipo di relazione è quella che si instaura tra i soggetti, provenienti da diversi contesti, che lavorano su Partecipa.net? Certo va tenuta presente l’eterogeneità della provenienza dei soggetti, data dal fatto che il progetto coinvolge Enti locali di diverso tipo, di diverso livello (regione, province, comuni) e di diversa grandezza, certa- mente con storie differenti e ognuna con le proprie peculiarità e i propri obiettivi. Non si tratta di un gruppo, un insieme di soggetti che si trova per perseguire una certa finalità: essi lavorano in contesti differenti e non credo sia definibile un’identità di gruppo che accomuni tutti i soggetti coinvolti. Ma certamente non è un insieme di singoli soggetti, in quanto tra di essi si svolgono relazioni e si intrecciano obiettivi comuni. Ho quindi cominciato il monitoraggio con in mente un concetto, quello di “comunità di pratica”, intendendo con esso ciò che Etienne Wenger (2000) intende per un insie- me di persone coinvolte in un processo di apprendimento collettivo in uno spazio condiviso, come per esempio può essere un gruppo di ingegneri che lavorano ad un problema simile, un team di chirurgi che esplora tecniche alternative, ma anche un gruppo di adolescenti che definisce la propria identità all’interno della scuola.

Va però puntualizzato che questo concetto non è stato utilizzato come ipo- tesi di lavoro, ma solo come suggerimento per definire il setting all’interno del quale studiare un processo. Ossia, ho cercato di evitare di accedere al campo con l’obiettivo di verificare se l’insieme di relazioni corrispondesse o meno ad un modello di comunità di pratiche, ma ho piuttosto utilizzato questo termine come “idea limite”, in quanto mi sembrava l’idea più vicina alla rete di relazioni che stavo cominciando ad analizzare. Ben lungi da me, infatti, era l’obiettivo di vestire addosso agli scambi relazionali interni di Partecipa.net un modello preso dall’esterno, seppur teoreticamente fonda- to; ben lungi anche da quello che è un pensare in ambito di ricerca quali- tativa. A sostegno di questo, il fatto che questo concetto è stato poi succes- sivamente sconfessato dai dati stessi, come spiegherò più avanti.

Un ultima considerazione, che scaturisce da un’altra domanda iniziale. Pur sostenendo un approccio qualitativo per analizzare il funzionamento di questo progetto, mi sono chiesto se alcuni dati maggiormente quantitativi mi potessero essere utili. La risposta è senz’altro affermativa, in quanto per accedere al campo in modo consapevole e informato ho avuto bisogno di

consultare un’ampia quantità di dati qualitativi riguardanti il contesto; spes- so chiedendo direttamente alle persone coinvolte nel progetto. Nella parte successiva, dove spiegherò lo svolgimento del monitoraggio, sarà più chia- ro il “mix” tra i due tipi di dati.