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4. LA RICEZIONE SOCIOLOGICA DEL PENSIERO POLANYIANO

4.2 Il movimento anti utilitarista nelle scienze social

Le riflessioni sopracitate di Caillé, Laville e altri autori francesi si inseriscono nell’ambito di una corrente di pensiero sviluppatasi in Francia, quella degli anti utilitaristi. Durante gli anni ’80, infatti, nasce e si sviluppa un altro movimento interno alle scienze umane che, al pari della nuova sociologia economica si interessa del rapporto tra economia e società e che è particolarmente permeabile al pensiero polanyiano. Si tratta del Movimento anti utilitarista nelle scienze sociali (Mouvement anti utilitariste dans les sciences sociales), conosciuto anche con l’acronimo di M.A.U.S.S, nome che vuole chiaramente rendere omaggio all’antropologo francese Marcel Mauss. Questo movimento riunisce antropologi, sociologi, economisti e storici che, ponendosi in una esplicita continuità con l’autore del celebre Saggio sul dono, si oppongono all’approccio utilitarista ed economicistico che in quegli anni sembra pervadere le scienze sociali.

Nel 1981, viene fondata la rivista del movimento, la Revue du MAUSS, tutt’ora attiva, diretta dal sociologo Alain Caillé. Quest’ultimo è tra i principali studiosi e divulgatori del pensiero polanyiano in Francia, soprattutto a partire dagli anni ’80. Come accennato precedentemente a proposito della nuova sociologia economica, quella degli anni ’80 non è una data casuale, poiché rappresenta il periodo di riaffermazione delle politiche e delle idee neoliberali. Ed è proprio in contrapposizione a queste teorie e pratiche che si pone il MAUSS.

73 Prima di analizzare il modo in cui gli anti utilitaristi hanno assimilato e interpretato il pensiero polanyiano, è utile comprendere in che cosa consistesse il neoliberismo degli anni ’80 e ’90.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, si assiste a un’inversione di tendenza rispetto all’interventismo economico e sociale, che aveva caratterizzato le politiche economiche di gran parte del mondo occidentale in favore di politiche di stampo neoliberale. In questo periodo, torna a farsi strada l’idea secondo cui la società e l’economia non devono essere modificate da un intervento statale. Le esperienze economiche del dopo guerra che hanno connotazioni molto diverse tra loro49, ma che sono comunque accomunate da un certo grado di intervento e di controllo dello stato sulla sfera economica, sono accantonate. Al loro posto, negli anni ’80 e ’90 hanno una larga diffusione misure economiche di privatizzazione, deregolamentazione e liberalizzazione dei capitali50 nei paesi occidentali. Tali politiche trovano applicazione concreta soprattutto durante i mandati presidenziali del repubblicano Reagan51 negli Stati Uniti (1981-1989) e dei governi conservatori Thatcher in Gran Bretagna (1979- 1990). Legittimazione a sostegno a queste politiche giungono a livello internazionale da istituzioni quali la Banca Mondiale (BM) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), che attraverso piani di adeguamento strutturale esportarono tale modello economico anche nei paesi in via di sviluppo e successivamente nelle economie in transizione ovvero nei paesi appartenenti all’ex blocco sovietico, impegnati negli anni ’90 in un passaggio da economie pianificate a economie di mercato. È opportuno ricordare, infatti, che gli anni ’90 segnarono anche la fine dell’URSS alla quale seguirà una completa svalutazione della storia del socialismo e del pensiero marxista.

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Buğra inserisce in un unico gruppo esperienze politico economiche assai diverse tra loro, da quelle keynesiane, a quelle dello stato previdenziale passando per le esperienze dei paesi di socialismo reale. Secondo Buğra tali modelli si avvicinano all’idea polanyiana del necessario reinserimento della sfera economica nella società. Cfr. Buğra, 2005

50 Le leggi di liberalizzazione del movimento dei capitali sono considerate da studiosi come Gallino tra le

cause dell’attuale crisi economico finanziaria. Tra gli anni ’80 ne ’90 non solo i governi Reagan e Thatcher hanno liberalizzato i mercati dei capitali, leggi simili si trovano nella Francia di Mitterand e nei governi italiani dei primi anni ’90. Cfr. Gallino, 2011, p. 23

51 Il presidente Reagan mette in atto una politica economica di deregulation, consistente nel graduale

smantellamento dell’apparato di welfare state americano, attraverso la semplificazione o abolizione di norme legislative e regolamenti imposti precedentemente a imprese e settori nel campo dei servizi e in quello energetico. La deregulation fu un pilastro della cosiddetta reaganomics, che prevedeva la liberalizzazione del mercato finanziario e dei movimenti di capitale, politiche di austerità finalizzate alla riduzione della spesa pubblica e politiche monetarie antinflazionistiche.

74 È importante sottolineare che l’affermazione di politiche economiche neoliberali non sarebbe stata possibile senza il sostegno ideologico e teorico della dottrina neoliberale. Accantonate in seguito alla crisi del ’29, le idee neoliberali avevano ricominciato a circolare già dalla fine degli anni ’30, in contrapposizione agli interventi economici di tipo keynesiano. Animatori di questa corrente di pensiero economico furono dapprima gli economisti della scuola austriaca, tra cui Friedrich von Hayek52 (1899- 1992). In seguito furono gli esponenti della scuola di Chicago a portare avanti le idee neoliberali, in particolare Milton Friedman (1912- 2006), le cui teorie influenzarono direttamente le politiche economiche dei governi Reagan e Thatcher.

A partire dagli anni ’80, dunque, «il neoliberalismo ha attuato con successo, ma a favore del capitalismo, il concetto di egemonia culturale» (Gallino, 2008, p. 26) elaborato da Gramsci. È proprio contro la natura pervasiva di questa ideologia che si pone il MAUSS. Ed è in questo contesto politico culturale che bisogna collocare un primo recupero delle opere polanyiane, dopo l’oscuramento degli anni ’70. Tale rilettura del pensiero di Polanyi a partire dalla prima metà degli anni ’80 rappresenta a prima vista un fenomeno contraddittorio e paradossale. È evidente, infatti, come in un tale contesto politico economico, il pensiero di Polanyi risulti totalmente “inattuale53”. Il Polanyi che

aveva creduto di assistere all’epilogo definitivo del mercato autoregolantesi in seguito alla crisi del ’29 viene negli anni ’80 smentito. Ma paradossalmente, la sconfitta di Polanyi rappresenta anche la sua vittoria. Il riaffermarsi con forza del mercato autoregolantesi costituisce senz’altro una confutazione delle previsioni polanyiane, ma comporta contemporaneamente la valorizzazione dell’analisi dell’economia di mercato compiuta da Polanyi e l’attualizzazione di alcune sue riflessioni, come quella sul doppio movimento o sui concetti di embedded e disembedded. Ecco perché Polanyi viene recuperato negli anni ’80, come baluardo del pensiero critico anti economicistico. Inoltre, bisogna ricordare che negli anni ’80 e soprattutto nel decennio successivo,

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Hayek è autore del celebre The Road of Serfdom, opera centrale nella divulgazione del pensiero liberale che sosteneva la tesi per cui la pianificazione economica portasse inevitabilmente alla creazione di regimi totalitari. Il destino di Hayek appare specularmente legato a quello di Polanyi non solo perché

The Road of Serfdom e The Great Transformation sono pubblicati nello stesso anno, nel 1944, ma anche

perché queste due opere e loro rispettivi autori stanno riscuotendo nel periodo contemporaneo una riscoperta e una rivalutazione, anche se naturalmente in opposti schieramenti di pensiero.

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75 Polanyi può vantare una sorta di esclusiva tra i critici del pensiero di mercato, condivisa in parte con Mauss, poiché il pensiero marxiano è in quegli anni quasi completamente rigettato e svalutato. Il rifiuto di Marx è una delle caratteristiche di gran parte degli anti utilitaristi francesi, che leggono Polanyi come teorico alternativo al marxismo e talvolta addirittura in chiave anti marxista. Il legame tra Marx e Polanyi ha rappresentato e rappresenta tutt’ora uno degli elementi di maggiore disaccordo tra i sostenitori e gli studiosi del pensiero polanyiano, divisi tra coloro i quali, come gli anti utilitaristi francesi, sottolineano la distanza tra il filosofo tedesco e il pensatore ungherese e tra chi, come Cangiani, Burawoy e altri, ritengono impossibile dissociare il lavoro intellettuale di Polanyi dal pensiero marxista. In questa seconda direzione sembra andare il nuovo filone degli studi polanyiani, l’attuale riscoperta di Polanyi, avvenuta negli ultimi quattro cinque anni. Si parla a questo proposito di un “ritorno di Polanyi54”- fenomeno

che sarà analizzato nella parte conclusiva di questo lavoro e che in questo momento viene solo presentato- ovvero di una attualizzazione e valorizzazione del pensiero dello studioso ungherese nel periodo a noi contemporaneo, dall’emergere della crisi del 2007 ai giorni nostri.

Appare del tutto coerente e lineare che in un periodo di crisi economica, in cui i principi regolatori del mercato sembrano vacillare, vengano riscoperti pensatori che come Polanyi hanno saputo, in tempi più o meno remoti, intravedere i limiti e le contraddizioni del sistema economico capitalistico. Ciò che è importante sottolineare è che la rinnovata attualità del pensiero polanyiano, la riscoperta dei concetti centrali dell’autore de La grande trasformazione, avvenute recentemente- negli ultimi quattro, cinque anni- non si inseriscono in uno spazio vuoto e in un ambiente teorico, accademico e scientifico completamente estraneo al pensiero polanyiano. Il recupero di Polanyi avvenuto a partire dagli anni ’80 è caratterizzato da alcuni limiti e non ha certo le dimensioni e la rilevanza dell’attuale “ritorno di Polanyi”. Tuttavia, quello che sembra importante sottolineare è che gli studi degli anti utilitaristi francesi abbiano contribuito a mantenere viva l’attenzione sul pensiero dello studioso ungherese e abbiano impedito che essa cadesse nell’oblio, nel periodo della società “tout- marchand", della società a mercificazione totale. Al fine di comprendere le specificità

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76 della lettura delle opere di Polanyi negli anni ’80 nonché le continuità e le discontinuità con l’attuale ritorno di Polanyi, è necessario affrontare e analizzare alcuni lavori che mostrano quale sia stata la ricezione polanyiana da parte del movimento anti utilitarista francese.

La Revue du MAUSS contiene riferimenti a Polanyi quasi da subito, a partire dal 1982, prima ancora che in Francia fosse pubblicata La grande trasformazione55. Due intere monografie sono state dedicate dal MAUSS a Polanyi; la prima nel 1986, dal titolo Théories de la modernité économique, autour de Karl Polanyi, contenente contributi di Caillé, Salsano e Berthoud. La seconda è del 2007, anno liminare alle soglie della crisi economica; si tratta di Avec Karl Polanyi, contre la societé du tout- marchand, costituito da una raccolta di articoli e saggi, scritti da esponenti del MAUSS e da autori esterni al movimento. Nella Présentation a questo numero, Caillé spiega con grande chiarezza i motivi per cui il movimento abbia deciso di dedicare particolare attenzione allo studio di Polanyi. Si tratta di un articolo estremamente interessante per comprendere le caratteristiche, i punti di forza e i limiti della ricezione polanyiana da parte degli anti utilitaristi francesi.

«Perché è più urgente che mai fare luce sull’opera di Karl Polanyi? (…) Perché non disponiamo di risorse più preziose rispetto a quelle che egli ci offre per tentare di allentare la presa che la logica di mercato ormai sistematicamente globalizzata, finanziarizzata e deregolamentata, esercita sulle nostre vite e sulle nostre menti» (Caillé, 2007, p. 7)56. Come accennato precedentemente, la riscoperta di Polanyi da parte degli anti utilitaristi francesi, si colloca nel periodo storico della riaffermazione e dell’apologia del libero mercato, simboleggiato dallo slogan There is not alternative57

55 Nel secondo numero del Bulletin du Mauss (poi Revue du Mauss), nel 1982 furono pubblicati due

articoli su Polanyi, Finalité de l’activité productive et problématique de l’”enchâssement” de

l’économique (Karl Polanyi), di Denis Duclos e Karl Polanyi, le marché et la singularité historique de l’Occident di Alain Caillé.

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«Pourquoi est-il plus urgent que jamais de braquer le projecteur sur l’oeuvre de Karl Polanyi (1886- 1964), historien, économiste, anthropologue et politiste ? Parce que nous ne disposons pas de ressources théoriques plus précieuses que celles qu’elle nous offre pour tenter de desserrer l’emprise que la logique du marché, désormais systématiquement mondialisée, financiarisée et dérégulée, exerce sur nos vies et sur nos têtes».

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A questo proposito, la studiosa Ayşe Buğra nel suo articolo Karl Polanyi et la séparation

institutionnelle entre politique et économie, riflette sulla contraddizione tra un’ideologia basata

teoricamente sulla libertà di scelta individuale e che contemporaneamente nega la possibilità dell’esistenza di altri modelli economici possibili. È proprio sulla base di questa contraddizione e in nome

77 (TINA), usato da Margaret Thatcher, Primo ministro inglese dal 1979 al 1990. L’idea che non vi sia un’alternativa possibile al modello di mercato, alle privatizzazioni, alla riduzione dello stato sociale e così via, ben rappresenta il pensiero unico che gli anti utilitaristi vogliono contrastare sia scientificamente sia come modello politico. In questa prospettiva, la riflessione polanyiana non fornisce solo gli strumenti necessari a tale impresa, ma rappresenta anche la «dimensione di coerenza sistematica» (ibid.) che secondo Caillé manca e rende dispersi e isolati i critici e gli scettici nei confronti dell’economia di mercato. Un isolamento reso ancora maggiore, nell’opinione del sociologo francese, dal fallimento del marxismo. Il pensiero di Marx e dei suoi successori ha costituito «la più ampia e meglio organizzata analisi della dinamica della società capitalista, delle sue tensioni e contraddizioni» (ibid. p. 8), ha avuto la forza di indicare delle alternative possibili «all’apparente fatalità» (ibid.) del capitalismo. Eppure, secondo Caillé, il marxismo ha fallito non solo a causa dell’ applicazione concreta di questa alternativa al capitalismo, sfociata negli «orrori totalitari» (ibid.), ma anche a causa di «un errore teorico centrale (…). Il peccato originario del marxismo risiede nel suo economicismo, nella tendenza a pensare che tutti i problemi sociali o politici sono “in ultima istanza” problemi economici58

» (ibid.). Secondo Caillé, la validità e la forza del marxismo sarebbero state minate da una contraddizione irrisolvibile, dalla «miscela paradossale ed esplosiva tra un anti economicismo esacerbato e messianico alleato a un economicismo generalizzato59» (ibid.). Secondo questa lettura, Marx avrebbe da una parte “de- feticizzato” la mercificazione capitalista e denunciato l’alienazione dell’uomo nella divisione del lavoro nell’economia di mercato, dall’altra avrebbe feticizzato l’economia stessa, ponendola come elemento determinante della società.

Secondo Caillé tra le cause del « trionfo mondiale del capitalismo finanziario e della rendita» (ibid.) bisogna, dunque, inserire anche il fallimento del marxismo e l’assenza di altre critiche coerenti, organiche ed efficaci. Ed è proprio questa lacuna che rende tanto

di questa libertà che secondo la studiosa turca nei primi anni del 2000 sono nati movimenti che hanno rivendicato “un altro mondo possibile”.

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«Il y a une erreur théorique centrale du marxisme (…). Le péché originel du marxisme réside dans son économisme : dans la tendance à penser que tous les problèmes sociaux ou politiques sont « en

dernière instance » des problèmes économiques».

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«mélange paradoxal et esplosif d’un anti-économicisme exacerbé et messianique allié à un économisme généralisé».

78 più preziosa l’opera di Polanyi. Opera che consente di recuperare «l’eredità critica del marxismo» (ibid.) depurata dal suo economicismo. Secondo Caillé, «il pensiero di Polanyi si presenta come unica alternativa valida e di spessore al marxismo» (ibid.), offrendo una forma di «marxismo umanista60» (ibid.).

Nell’interpretazione di Caillé e Laville, Polanyi è «l’erede più originale» (Caillé e Laville, 2007, p. 81) di Marx e di Weber. Egli si rifà al pensiero dei maestri ma fornisce una propria lettura dell’origine dell’homo oeconomicus e dell’essenza del capitalismo. Una lettura che- nell’opinione dei due sociologi francesi- consente di proporre una alternativa a questo tipo di organizzazione economica, che costituisce una «sorta di via di mezzo tra il pessimismo rassegnato di Weber e il volontarismo messianico di Marx» (ibid. p. 84).

In questa riproposizione e attualizzazione del pensiero polanyiano, Caillé e Laville si concentrano soprattutto sulla filosofia politica e sull’etica di Polanyi, poiché essi sono d’accordo con studiosi come Cangiani, Maucourant e Salsano, nel ritenere che Polanyi sia stato tra gli storici dell’economia quello che ha in misura maggiormente «minimizzato il peso dei determinismi economici per accordare un ruolo decisamente determinante alla politica e all’etica» (ibid. p. 86). Alla luce di questa affermazione, sono possibili ulteriori riflessioni a proposito del concetto di embeddedness e soprattutto di economia disembedded. Come sottolineato da Le Velly e Caillé, quando Polanyi sostiene che nella società di mercato sia avvenuto uno svincolamento dell’economia dalla società, non intende affermare che le azioni economiche non siano inserite nelle relazioni sociali. Questo significa che, per usare la terminologia proposta da Caillé e Le Velly, l’encastrement- insetion polanyiano non è in contraddizione con l’encastrement- étayage di Granovetter. L’economia disembedded polanyiana non è un’economia impersonale che agisce al di fuori delle reti sociali, essa è un tipo di organizzazione economica che si è gradualmente disinserita dalle «regole sociali, culturali e politiche che determinano alcune forme di produzione e di circolazione dei beni e dei servizi61» (ibid. p. 97). Ed è proprio a proposito di questa forma di svincolamento che emerge la peculiarità polanyiana e la sua distanza dal determinismo economico, poiché,

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«La pensée de Polanyi se présente comme la seule véritable alternative d’envergure au marxisme. Elle nous offre en somme une forme de marxisme à visage humain ou, plus précisément, humaniste».

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«L’inscription de l’économie ainsi définie dans des règles sociales, culturelles et politiques qui régissent certaines formes de production et de circulation des biens et des services».

79 concependo l’economia come un processo istituzionalizzato, Polanyi mostra «quanto l’autonomizzazione dell’attività economica nella società contemporanea sia un progetto politico (…) sia il risultato di una preferenza dei poteri pubblici per l’economia formale e dunque di mercato62» (ibid. 98-99). Dunque per Polanyi è la sfera politica, intesa in senso lato come insieme di istituzioni che si occupano dell’organizzazione del governo della società, a fornire gli elementi e gli impulsi essenziali alla nascita dell’economia di mercato. L’analisi del rapporto tra sfera politica e sfera economica in Polanyi non si limita a questa constatazione. A proposito della “filosofia politica” polanyiana, Caillé e Laville si concentrano sulla teorizzazione dell’incompatibilità tra democrazia e società di mercato e sulla tesi polanyiana secondo la quale economia di mercato e democrazia abbiano avuto un’origine del tutto distinta e separata. Rispetto a quest’ultima affermazione, sono stati numerosi gli studi storici che hanno messo in discussione e talvolta smentito alcune periodizzazioni polanyiane. Queste ricerche mostrano che il periodo della nascita dei mercati liberi è anteriore a quello individuato da Polanyi e che questa istituzione fosse più diffusa nell’antichità rispetto a quanto pensasse lo studioso ungherese63. A Polanyi viene dunque rimproverato di basare alcune delle sue proposte teoriche su una ricerca storica inadeguata e superficiale e di sovra socializzare l’economia delle società primitive. Tuttavia, le critiche al “Polanyi storico” e la confutazione di alcune sue datazioni non inficiano le sue tesi sul rapporto tra la democrazia e l’economia di mercato, che, in estrema sintesi, sostengono non solo un’incompatibilità tra la democrazia e l’economia di mercato, ma anche un rapporto causale e diretto tra economia di mercato e regimi politici illiberali e autoritari, quali il fascismo e il nazismo, come viene esplicato ne La grande trasformazione. La filosofia politica di Polanyi propone, quindi, una tesi opposta a quella dell’alleanza e del legame tra democrazia parlamentare e mercato autoregolantesi. Tali conclusioni, lungi dal perdere importanza col passare del tempo, assumono una rinnovata forza esplicativa- scrivono Caillé e Laville- proprio nel periodo contemporaneo durante il quale forme di

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«(…) combien l’autonomisation de l’activité économique dans la société contemporaine est un projet politique. Il en ressort une approche du « désencastrement » envisagé comme résultant d’une

préférence des pouvoirs publics pour l’économie formelle et donc marchande».

63 Una smentita piuttosto significativa riguarda gli imperi babilonesi. Polanyi riteneva che il commercio

babilonese fosse un classico esempio di scambio amministrato, mentre studiosi come Renger J. E Silver M. hanno dimostrato come la libera fluttuazione dei prezzi fosse già presente.

80 democrazia parlamentare ed economia di mercato coesistono ma in maniera sempre più critica. Alle soglie della crisi economica tutt’ora in corso64

, Caillé e Laville appaiono lungimiranti nell’affermare che oggi a minacciare la società « non è più il mercato autoregolato dei beni, ma il mercato autoregolato o deregolato della finanza. (…) Se si crede a Polanyi, e tutto porta a credere che egli abbia ragione, un tale “disincastramento” della finanza non sarà sopportabile per molto tempo. In questo inizio di XXI secolo, bisogna imparare la lezione del XX secolo65» (ibid. p. 100-101). Il doppio movimento, secondo Polanyi, aveva posto negli anni ’20- ’30 del Novecento, la società di fronte a un’alternativa, da una parte l’eliminazione della democrazia attraverso soluzioni autoritarie come il fascismo, dall’altra la soluzione socialista dell’estensione della democrazia alla sfera economica. La grande trasformazione degli anni ’30 è il risultato dell’affermarsi della prima delle due alternative. Secondo Caillé e Laville, una nuova grande trasformazione è alle porte, per questo l’analisi polanyiana è

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