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4. LA RICEZIONE SOCIOLOGICA DEL PENSIERO POLANYIANO

4.1. La nuova sociologia economica

È corretto affermare che, superato il culmine degli anni ’60, l’attenzione sul pensiero polanyiano va gradualmente scemando per lasciare il posto ad altri contributi, in particolar modo a quelli del pensiero marxista.

A partire dalla metà degli anni ’80, in seguito alla crisi economico istituzionale dei paesi del socialismo reale e al contemporaneo riaffermarsi dell’ideologia neoliberale, il pensiero di Polanyi viene riscoperto40, fino a raggiungere un inaspettato successo nel periodo contemporaneo, come strumento utile alla comprensione della crisi economica iniziata nel 2006 e tutt’ora in corso. Si è parlato a questo proposito di un “ritorno di Polanyi” che sarà oggetto di studio nell’ultima parte del presente lavoro.

Negli anni ’80 e ’90 l’interesse nei confronti dell’opera del maestro ungherese è di dimensioni senz’altro inferiori ed è soprattutto circoscritta ai confini disciplinari della sociologia economica che in quegli anni gode di una particolare vivacità.

È il caso della cosiddetta nuova sociologia economica, sviluppatasi negli Stati Uniti tra gli anni ’80 e gli anni ’90, periodo di grandi cambiamenti socio economici. In particolar modo, la crisi economica di fine anni ’70 mostra l’inadeguatezza di alcuni degli strumenti tradizionali dell’analisi teorica e spinge i sociologi da una parte a un rinnovamento di questi ultimi e dall’altra «all’apertura di nuovi approcci teorici» (Magatti, 1993, p. 21), tra i quali, appunto, la nuova sociologia economica. Tra i principi generali che stanno alla base di questo nuovo orientamento, vi è l’assunzione dell’azione economica come azione sociale. Tale principio è mutuato da Weber, che è uno degli autori, insieme a Polanyi e Durkheim, che maggiormente influenza la nuova sociologia economica.

In generale, la nuova sociologia economica, a differenza della sociologia tradizionale, si pone in maniera molto più critica nei confronti della concezione economica classica. Agli occhi dei sociologi, la concezione utilitarista, classica e neoclassica, compie il grave errore di considerare irrilevante l’influenza delle relazioni sociali sul

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È nel 1987, ad esempio, che viene fondato il Karl Polanyi Institute of Political Economy in seguito al crescente interesse nei confronti dell’opera polanyiana riscontrabile in quegli anni.

64 comportamento economico. È proprio del rapporto tra azione economica e sfera sociale che si occupa il saggio che comunemente viene considerato il “manifesto” della nuova sociologia economica. Si tratta di Azione economica e struttura sociale: il problema

dell’embeddedness41

del sociologo statunitense Mark Granovetter, pubblicato nel 1985 nell’American Journal of Sociology.

In questo saggio Granovetter cita solo di sfuggita Polanyi, ma le tematiche affrontate e il riferimento al concetto di embedded mostrano chiaramente il debito intellettuale nei confronti dello studioso ungherese. È proprio a Granovetter che si deve la divulgazione del concetto di embeddedness, teorizzato precedentemente da Polanyi seppure con un altro tipo di accezione, come verrà chiarito più avanti.

In Azione economica e struttura sociale, Granovetter utilizza il concetto di embeddedness per spiegare come i comportamenti e le istituzioni umane siano «talmente vincolati alle relazioni sociali che concepirle come indipendenti è un grave errore» (Granovetter in Magatti, 1993, p. 49). In questo saggio Granovetter dichiara di occuparsi dell’«embeddedness del comportamento economico» (ibid.). Il tema richiama, senza grande sforzo di memoria, il concetto di economia embedded/disembedded proposto da Polanyi in La grande trasformazione. Tuttavia, Granovetter confrontandosi proprio con Polanyi e con la scuola sostantivista, dimostra una forte discontinuità interpretativa. Infatti, mentre Polanyi «ha introdotto il concetto di embeddedness per enfatizzare come l’economia fosse una parte organica della società durante il periodo storico pre- capitalista, Granovetter ha sottolineato quasi l’opposto, cioè come l’azione economica sia sempre un’azione sociale, anche all’interno delle società capitalistiche» (Swedberg, in Laville e Mingione, 1999, p. 53).

Rifacendosi al dibattito tra sostantivisti e formalisti, Granovetter propone una “terza via”, sostenendo che il comportamento economico nelle società di mercato sia meno “inserito” (embedded) di quanto ritenessero i sostanzialisti «e che tale livello si è modificato con la modernizzazione meno di quanto essi credono» (Granovetter in Magatti, 1993, p. 50). Al contempo, il livello di embeddedness «è sempre stato e continua a essere più rilevante di quanto venga ammesso da formalisti ed economisti» (ibid. p. 51).

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65 Al contrario di Polanyi e di altri critici dell’economia di mercato, quindi, il bersaglio polemico di Granovetter non riguarda tanto la tesi economicistica della razionalità umana o la nozione dell’homo oeconomicus, quanto l’assunto «della decisione “atomizzata”» ( Swedberg in Laville e Mingione, 1999, p. 50), secondo cui gli attori economici prenderebbero decisioni in maniera autonoma e separata, senza tener conto degli altri individui. Per questo, al concetto di embeddedness Granovetter affianca quello di “costruzione sociale dell’economia” ovvero l’idea secondo la quale i legami tra gli attori economici, anche nelle economie capitalistiche, sono fondamentali ai fini del risultato. Egli si fa portavoce, insieme ad autori come White e Stinchcombe, della “structural theory”, secondo cui «i fenomeni economici non possono essere studiati al di fuori del micro contesto nel quale sono inseriti» (Magatti, 1993, p. 41). Da questa teoria si sviluppa una feconda area di ricerca che si occupa del ruolo delle reti nel favorire la nascita delle istituzioni e che indaga fenomeni economici vari, dai distretti industriali italiani, alla grande impresa statunitense, passando per l’economia giapponese. Per quanto eterogenei questi fenomeni economici hanno un tratto in comune, essi non sono spiegabili attraverso la teoria economica classica e risultano comprensibili ed interpretabili solo se considerati “fatti sociali”.

Come in tutte le correnti disciplinari, anche all’interno della nuova sociologia economica non mancano le diverse sfumature e interpretazioni. Accanto al filone empirico della teoria delle reti e in parte in contrapposizione ad esso si collocano altri approcci più attenti al ruolo svolto dai fatti culturali nella determinazione del funzionamento del mercato. È in particolare la sociologa Viviana Zelizer a contestare il “socio- strutturalismo” di Granovetter, il quale nell’opinione di Zelizer interpreta la cultura «come un pericoloso avanzo del passato parsoniano che non giova ai tentativi in corso di avviare un dialogo tra economisti e sociologi» (Zelizer, 2009, p. 105- 106). Secondo la sociologa, gli economisti rifiutano e ritengono errata la visione «di un mondo sociologico composto da attori così vincolati dai loro valori e dalle loro idee su cosa è giusto, che si muovono nella vita come automi» (ibid.). Così facendo però Granovetter ridimensiona la portata del concetto di embeddedness, limitandolo ai soli «vincoli provenienti dalla reti di rapporti sociali» (ibid. p. 107).

Tuttavia, Zelizer si oppone anche all’approccio opposto a quello degli strutturalisti, da lei definito “riduzionismo culturale”. Si tratta di un filone di ricerche molto vivace che

66 travalica il campo della sociologia economica e riguarda anche alcuni antropologi, come Sahlins, Douglas e Appadurai. Benché le loro posizioni siano molto articolate e differenziate è possibile proporne una sintesi. Gli studi della cultura di mercato dichiarano che il mercato è un “territorio culturale” ponendosi così in alternativa alla «visione puramente strumentale del mercato moderno» (ibid. p. 104). In estrema sintesi è possibile affermare che «questi studi dimostrano che il mercato è una struttura culturale e non solo economica, la mercificazione non distrugge la soggettività, il consumo è un comportamento culturale» (ibid.). Ciò detto, secondo Zelizer, questa prospettiva «cade in una trappola teorica. Il mercato in effetti è una costruzione culturale ma non è solo questo. Ridurre il mercato a un insieme astratto di significati esclude la realtà materiale, istituzionale e sociale della vita economica» (ibid.). L’alternativa proposta da Zelizer a questi due riduzionismi è quella dei “mercati molteplici”, un «terreno teorico (…) capace di cogliere l’interazione complessa tra fattori economici, culturali e socio strutturali» (ibid.). In questo senso vanno alcuni studi empirici di Zelizer dall’assicurazione sulla vita, al mercato dei bambini, in cui l’interesse monetari e i valori ritenuti sacri e non mercificabili si intersecano e si influenzano vicendevolmente.

È necessario chiedersi quale sia il rapporto di Zelizer con l’opera polanyiana. Sebbene l’autrice citi raramente il pensatore ungherese, è evidente come si confronti con alcuni dei suoi concetti principali, opponendovisi. I due temi polanyiani maggiormente studiati da Zelizer sono quello del funzionamento della moneta moderna e quello molto più vasto del rapporto tra società e mercato.

Zelizer nei suoi scritti non espone mai le proprie idee contrapponendole a quelle di Polanyi, quasi a voler minimizzare ancora di più la portata del pensiero dello studioso ungherese, ma è difficile non intravedere molte delle posizioni polanyiane in alcuni degli approcci alternativi al mercato contestati da Zelizer. Come è impossibile non notare come l’impianto concettuale proposto dalla sociologa sia di natura anti polanyiana. Zelizer, infatti, mette in discussione la tesi dell’embeddedness e si oppone alla “critica morale del mercato senza limiti”, secondo la quale l’intrusione delle relazioni mercantili in quelle sociali rappresenta un pericolo. È soprattutto la tesi polanyiana dell’inversione del rapporto tra mezzi e fini nella società attuale a essere completamente ribaltata da Zelizer.

67 L’approccio anti polanyiano della sociologa è evidente anche per quanto riguarda un tema di portata meno generale rispetto a quello del rapporto tra società e mercato, ovvero il tema del denaro. In The Social Meaning of Money, Zelizer attraverso lo studio dell’utilizzo del denaro in situazione particolari, quali l’elemosina, i contesti familiari, i doni, mostra come l’uso del denaro non sia un fenomeno da considerare solo dal punto di vista economico. In particolare Zelizer mostra che il denaro circola anche fuori dal mercato e che gli individui non ne sono succubi, ma lo utilizzano assegnandogli un determinato significato sociale, contrassegnandolo. Questo fa sì che il denaro non sia considerato tutto uguale da chi lo possiede, ma abbia un diverso significato e sia utilizzato per diversi scopi a seconda della sua origine. Zelizer dunque si oppone implicitamente all’idea polanyiana della contrapposizione tra monete primitive e moderne ovvero tra special purpose money e all purpose money e intende dimostrare che anche nella società contemporanea esistono “monete speciali”, utilizzabili solo in determinati contesti e per specifici usi. La moneta considerata sempre identica a se stessa è invece fatta oggetto di un’appropriazione da parte delle persone. Apparentemente, potrebbe sembrare che le considerazioni di Zelizer siano compatibili con l’idea polanyiana della difesa della società contro l’aggressività del mercato. In realtà, le intenzioni di Zelizer vanno nella direzione opposta. «Il suo obiettivo è dimostrare che la moneta e la mercificazione di ambiti relazionali non hanno il potere corrosivo che normalmente è loro associato, perché moneta e mercificazione non vengono recepiti passivamente da persone private di risorse morali, relazionali ed affettive» (ibid. p. 269). Dunque per Zelizer, «la moneta e la mercificazione non generano il rischio di un’inversione letale nella relazione mercati società» (ibid.). Da questa esposizione dei principali concetti che stanno alla base della nuova sociologia economica, risulta evidente come il tema fondamentale, intorno al quale si sviluppa il maggiore dibattito sia proprio quello dell’embeddedness. Concetto che, inoltre, costituisce il principale legame, seppure talvolta polemico, con il pensiero polanyiano. La tesi proposta nel 1985 da Granovetter per cui l’economia risulta sempre vincolata alle relazioni sociali viene riproposta con maggiore forza nel 1994 dal sociologo statunitense Bernard Barber, attraverso un articolo dal titolo molto significativo, All

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Economies are “embedded”: The Career of Concept and Beyond42

. Barber si misura in maniera maggiore rispetto a quanto aveva fatto Granovetter col concetto di embedded polanyiano e nel suo articolo scrive: « Polanyi descrive il mercato come disembedded e gli altri due tipi di scambio economico come maggiormente embedded negli elementi culturali e socio strutturali della società. (…) La nostra posizione è che, contrariamente a quella di Polanyi, tutte le economie sono inevitabilmente embedded» (Barber, 1995, p. 400)43.

In Barber come in Granovetter è evidente come la ricezione del pensiero polanyiano presenti alcune difficoltà. I due sociologi, così come la nuova sociologia economica nel suo complesso, si confrontano con Polanyi e assumono lo studioso ungherese come punto di riferimento, ma al contempo rigettano alcune delle sue più importanti applicazioni. Per comprendere meglio questo atteggiamento, è necessario affrontare l’idea portata avanti da alcuni sociologi, tra cui lo stesso Granovetter, a proposito della contraddittorietà insita nel pensiero polanyiano. Contraddittorietà tale da portare alcuni autori a sostenere l’esistenza di “due Polanyi”. Una tale opinione è ad esempio presente in Enzo Mingione che parla di una «tensione teorica rimasta irrisolta» (Mingione, in Laville e Mingione, 1999, p. 26) tra il Polanyi della critica al mercato autoregolato e quello delle istituzioni del mercato. Il primo sarebbe più affine agli sviluppi della nuova sociologia economica, insistendo sul fatto che il «comportamento utilitaristico prevalente nell’era industriale non possa essere inteso come un indirizzo autonomo, ma piuttosto come una complessa costruzione sociale» (ibid.). Il secondo invece accetterebbe «il fatto che la competizione atomizzata di mercato costituisca un principio autonomo di regolazione» (ibid. p. 27).

«In Polanyi questa incoerenza teorica è evidente» (ibid. p. 27, nota); tuttavia, secondo Mingione, poiché i contributi del “primo Polanyi” costituiscono una parte rilevante e consistente del suo pensiero, la nuova sociologia economica ha ripreso ampiamente l’impostazione polanyiana.

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Questo articolo è stato presentato al convegno annuale dell’American Sociological Association a Los Angeles nel 1994, alla sessione dedicata al tema dell’embeddedness. Cfr. Swedberg in Laville e Mingione 1999, p. 63

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Traduzione mia, testo originale «Polanyi describes the market as “disembedded”, the other two types of economic exchange as more “embedded” in the other social- structural and cultural structural elements of society. (…) Our strong proposition, contrary to Polanyi’s, is that all economies are inescapably embedded».

69 Anche Granovetter, riferendosi all’applicazione del concetto di embeddedness parla di “due Polanyi”, « il Polanyi “analitico” che evidenzia la pluralità dei modi di allocazione delle risorse» (Le Velly in Laville e La Rosa, 2008, p. 76) e il «Polanyi polemico che sovrastima l’autonomia del mercato» (ib.).

È chiaro che, per gli esponenti della nuova sociologia economica, la tesi maggiormente critica della teoria polanyiana sia costituita dal passaggio da un’economia embedded a una disembedded con l’avvento della società di mercato. Questo tema, insieme a quello del “doppio Polanyi” viene affrontato da Ronan Le Velly nell’articolo Le problème du désencastrement, pubblicato sulla Revue du Mauss nel 2007. Riferendosi alle posizioni di Granovetter e Barber, Le Velly si chiede se «ragionare in termini di désencastrement (disembedded) sia davvero inadeguato44» (Le Velly, 2007, p. 242). Secondo Le Velly, per uscire dall’impasse e comprendere i veri termini della questione è necessario fare riferimento non alla duplicità del pensiero polanyiano, bensì ai due distinti significati del termine encastrement (embeddedness), l’encastrement- étayage (iscrizione) e l’encastrement- insertion (inserzione)45

. Il primo significato è quello a cui fanno riferimento, implicitamente, Barber e in generale gli esponenti della nuova sociologia economica. Si tratta di un approccio metodologico, affine a quello proposto dalla corrente istituzionalista statunitense di Veblen e Commons. In questa prospettiva « l’azione economica è pensata come intimamente legata alle condizioni istituzionali, che la rendono possibile e contemporaneamente la limitano46» (ibid. p. 244). Da questo punto di vista, se il termine disembedded significasse l’esistenza di un’economia senza istituzioni, esso non avrebbe alcun senso. Fatta questa specificazione, Le Velly si trova d’accordo con Barber, quando questi sostiene che tutte le economie sono encastrées-

étayées47» (ibid. p. 244). Tuttavia, secondo Le Velly, la critica che Barber rivolge a

Polanyi è sbagliata e denota un fraintendimento del pensiero polanyiano. È evidente- sostiene Le Velly- che lo studioso ungherese non abbia in nessuna delle sue opere

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«Raisonner en termes de désencastrement est-il inadéquat ?»

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In questa interpretazione, Le Velly segue la riflessione sul concetto di embeddedness fatta da Caillé e Laville, Cfr. Caillé e Laville, 2007.

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« L’action économique est pensée comme étant intimement liée aux conditions institutionnelles qui la permettent autant qu’elles la contraignent».

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Cfr. «Je suis donc d’accord avec Barber [1995] lorsqu’il affirme que toutes les économies sont encastrées-étayées».

70 portato avanti l’idea che l’economia possa esistere in maniera del tutto svincolata dalle istituzioni sociali. Una tale posizione contraddirebbe l’intero impianto teorico polanyiano e il suo legame diretto con gli istituzionalisti statunitensi. Nel celebre articolo L’economia come processo istituzionale, Polanyi mostra chiaramente come «il mercato si appoggi sempre, come la reciprocità o la redistribuzione, su “supporti istituzionali determinati”» (Le Velly in Laville e La Rosa, 2008, p. 75).

Una posizione simile è sostenuta anche da Roberto Rizza, che afferma che Polanyi, in linea col pensiero istituzionalista statunitense di Veblen e Commons, ha sempre fondato le proprie ricerche non sulle « motivazioni e gli interessi individuali, quanto su una collocazione nell’alveo di regole socialmente condivise e di istituzioni appropriate» (Rizza in Laville e Mingione, 1999, p. 130).

Quando Polanyi parla dello “svincolamento” dell’economia dalle altre sfere sociali non si riferisce dunque a un désétayage. Al contrario, nelle pagine de La grande trasformazione, egli sottolinea come il “disincastramento” avvenga non come risultato di un fenomeno naturale e inevitabile, ma come frutto di specifici e precisi mutamenti storico istituzionali. Lo stesso “disincastramento” è dunque un processo embedded. Il riferimento polanyiano «all’autoregolazione del mercato- dunque- non vuole prospettare un’economia in grado di funzionare in un vuoto sociale» (ibid. p. 76) e il doppio movimento polanyiano è « da cima a fondo un processo istituzionalizzato» (ibid.). Ma cosa intende allora Polanyi quando parla di economia disembedded? Secondo Le Velly, lo studioso ungherese fa riferimento a un altro tipo di embeddedness, che egli definisce encastrement- insertion. Per comprendere a fondo questa seconda accezione proposta dal sociologo francese è necessario fare riferimento da una parte alla descrizione polanyiana delle caratteristiche dell’economia di mercato e dall’altra alla distinzione tra contesto e ordini, proposta da un altro sociologo francese, Alain Caillé.

L’economia di mercato, secondo Polanyi, «è un’economia dove si generalizza la ricerca del profitto individuale e che è governata dai prezzi del mercato e da essi solamente» (ibid. p. 78). Si tratta cioè di una forma di organizzazione in cui la sfera economica è fortemente “differenziata” dalle altre sfere sociali. Riprendendo la distinzione di Caillé, «non si tratta più di partire dai contesti nei quali si iscrivono le attività, ma di valutare

71 fino a che punto i differenti ordini del sociale sono autonomi e disinseriti48» (Le Velly, 2007, p. 249).

L’encastrement- étayage e l’encastrement- insertion sono dunque due concetti complementari. Dal punto di vista polanyiano, è corretto dire che l’economia di mercato, al pari di tutte le altre economie, è istituzionalizzata (encastrée- étayée), ma è differenziata in misura maggiore rispetto a tutte le altre, ovvero ha un livello di encastrement- insertion debole.

In maniera molto più diretta e semplice, Sobrero liquida l’intera riflessione sul doppio Polanyi e sul doppio significato di encastrement, sostenendo che non vi sono due Polanyi, che «ciò che rende embedded il mercato capitalistico è proprio la sua illusoria pretesa di essere not embedded» (Sobrero, 2012, p. 280). La contraddizione dunque non è da ricercarsi nel pensiero di Polanyi, quanto piuttosto «nello stesso sistema capitalistico, nella continua, esasperata tensione tra fatti e valori, tra quel che il mercato fa e quel che dice di fare» (ibid. p. 281).

Contro “certe interpretazioni standard della Grande trasformazione” si pone anche l’economista Plociniczak che ha una posizione simile a quella di Sobrero. In un saggio del 2007 che analizza in modo dettagliato l’utilizzo che Polanyi fa del termine embedded nelle sue opere e non solo in La grande trasformazione, Plociniczak rimarca come l’intellettuale ungherese non abbia espresso in nessuna circostanza l’idea di una reale affermazione di un mercato autoregolantesi. Tale istituzione è descritta da Polanyi sempre come un tentativo incompiuto. Quello che invece nell’opinione del maestro ungherese si è affermato sono le rappresentazioni sociali e le credenze legate al mercato autoregolantesi, «che orientano i comportamenti degli individui (…) influenzando i rapporti sociali reali» (Plociniczak, 2007, p. 209). Tale lettura è ribadita anche da Sobrero che afferma che per Polanyi «determinante più dei fatti fu l’utopia del libero mercato, su cui la politica liberista si fondava e si fonda e in base alla quale si gustifica» (Sobrero, 2012, p. 275).

Un’altra riflessione sul rapporto tra la nuova sociologia economica e il pensiero polanyiano è quella di Keith Hart che, richiamandosi alla riflessione di Beckert, ha

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«Il ne s’agit plus de partir des contextes sur lesquels s’étayent les activités, mais d’évaluer jusqu’à quel point les différents ordres du social sont autonomes-désinsérés».

72 notato che «praticamente tutti gli articoli associati alla nuova sociologia economica menzionano l’encastrement come concetto centrale che denota un approccio sociologico in economia» (Hart, 2008, p. 5, paragrafo 18). Tuttavia, nella ricezione polanyiana da parte della nuova sociologia economica « l’intenzione radicale della formulazione

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