• Non ci sono risultati.

"La mia vita e stata quella del mondo". Attualita e ricezione del pensiero di Karl Polanyi nell'antropologia economica.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi ""La mia vita e stata quella del mondo". Attualita e ricezione del pensiero di Karl Polanyi nell'antropologia economica."

Copied!
108
0
0

Testo completo

(1)

1

Indice:

Introduzione 2

1. Il percorso intellettuale di Karl Polanyi 3

1.1 Note biografiche 4

1.2 Le tesi de La grande trasformazione 10

1.3 La libertà in una società complessa 23

1.4 Il posto dell’economia nella società 25

2. Il dibattito tra formalisti e sostantivisti 37

2.1 I sostantivisti 41

2.1.1 Marshall Sahlins 44

2.2 I formalisti 48

3. I marxisti, Marx e Polanyi 51

3.1 Polanyi incontra Marx 51

3.2 I marxisti incontrano Polanyi 56

3.2.1 Maurice Godelier 57

4. La ricezione sociologica del pensiero polanyiano 63

4.1 La nuova sociologia economica 63

4.2 Il movimento anti utilitarista nelle scienze sociali 72

5. Il ritorno di Polanyi 88

5.1 Una nuova prospettiva antropologica 94

Conclusioni 101

(2)

2

INTRODUZIONE

Questo lavoro si propone, in primo luogo, di seguire il percorso intellettuale di Karl Polanyi; una figura che, come ha scritto Alfredo Salsano, sfugge alle tradizionali classificazioni accademiche, sia per quanto riguarda il metodo di ricerca sia dal punto di vista dell’oggetto dei suoi studi. Non è errato, infatti, dire che Polanyi è stato un antropologo studioso delle economie primitive, un economista attento alla storia dello sviluppo della società di mercato o, ancora, un teorico della “libertà in una società complessa”; ma ognuna di queste definizioni presa singolarmente rischierebbe di essere riduttiva, perché una delle prime cifre di Polanyi è proprio l’interdisciplinarietà.

La stessa Grande trasformazione (1944), l’opera polanyiana maggiormente nota, è un libro difficilmente inquadrabile dal punto di vista disciplinare.

Per tali motivi è necessario un primo chiarimento: questo lavoro non ha la pretesa di essere esaustivo per quanto riguarda la totalità del pensiero polanyiano, ma pone il suo focus su uno dei nuclei centrali delle opere di Polanyi, ovvero lo studio e la critica del significato di “economia” e della sua forma istituzionale di mercato. Se così facendo la filosofia politica di Polanyi passerà in secondo piano, questo avverrà non per la minore importanza degli studi polanyiani su mercato, democrazia e fascismo, ma per la difficoltà di affrontare in un unico lavoro ogni spunto e stimolo che proviene dalla lettura di questo autore.

L’obiettivo di questa ricerca non è solo riprendere le principali e originali tesi di Polanyi a proposito del significato del termine “economico” e sull’essenza dell’economia di mercato, ma anche capire quali siano stati i frutti e le conseguenze del pensiero polanyiano; qual è, insomma, l’eredità dell’opera di Polanyi. Per questo nella seconda parte, viene affrontato il modo in cui alcuni dei principali concetti polanyiani sono stati interpretati, dibattuti, rigettati o assimilati. Si tratta di una ricerca che si sviluppa nell’arco di tempo che va dagli ultimi anni di lavoro e di vita del maestro ungherese fino ai giorni nostri e si muove principalmente tra l’Europa, con particolare attenzione agli studi francesi, e gli Stati Uniti.

Tra gli anni ‘50 e gli anni ’60 alcune posizioni teoriche dello studioso ungherese sono state al centro di un intenso dibattito antropologico, quello tra formalisti e sostanzialisti.

(3)

3 Durante gli anni ‘80, dopo un periodo di eclissi, il pensiero polanyiano viene riscoperto soprattutto all’interno dell’area sociologica, in parte anche in funzione anti- marxista o quanto meno come variante non marxista della critica del mercato.

Negli ultimi anni, in seguito all’avvento di una crisi economica, che spesso viene accomunata e messa in relazione con quella degli anni’30, il pensiero dell’intellettuale ungherese è tornato ad essere tanto discusso da far parlare di un “ritorno di Polanyi”. La riscoperta del pensiero polanyiano offre la possibilità di compiere una lettura antropologica e politica delle cause e delle conseguenze dell’attuale crisi economica. Questa è, in effetti, la prospettiva adottata da alcune recenti etnografie dei mercati finanziari e della crisi, che hanno il merito di non analizzare i recenti mutamenti e sconvolgimenti socio economici con una lente interpretativa economicistica.

1. IL PERCORSO INTELLETTUALE DI KARL POLANYI

«Niente è più facile, naturalmente, che invocare a squarciagola cose nuove» scrive Polanyi nel 1934 in Fascismo e marxismo (Polanyi, 1987, p. 118), riferendosi alla necessità di adeguare e aggiornare il linguaggio politico1 e i canoni interpretativi, compresi quelli marxisti, alla luce della grande trasformazione istituzionale che sta sconvolgendo l’Europa negli anni ‘30.

In questa affermazione sembra farsi strada una sorta di atto di autoaccusa: di fronte alla portata del pensiero di Marx, di cui Polanyi è un attento studioso fin dal 1922, colui che sarà l’autore di La grande trasformazione pare chiedersi se siano davvero necessari nuovi strumenti per interpretare la realtà e quale rapporto essi debbano avere con la critica radicale al capitalismo propria del marxismo e in generale del pensiero socialista.

1

Sulla strategia discorsiva e sul linguaggio di Polanyi riflette anche Sobrero che ricorda come «più volte nei suoi scritti Polanyi osserva come molte controversie siano risultato di ambiguità verbali, “mere verbalizzazioni di questioni non definite”» (Sobrero, 2012, p. 265). Uno dei contributi importanti di Polanyi sarebbe dunque il tentativo di «”decostruire” il linguaggio delle scienze sociali» (ib. p. 266), poiché il maestro ungherese «avverte che nel linguaggio si riflette una civiltà, si nasconde una

concezione del mondo, e un impedimento a capirlo altrimenti» (ib.). Da questa riflessione deriverebbe la scelta stilistica di Polanyi di procedere per estremi, di usare un linguaggio molto forte, che diventa quasi violento soprattutto nella descrizione delle caratteristiche delle economie di mercato.

(4)

4 La risposta è positiva, sono necessari nuovi strumenti; la crisi del sistema liberale europeo degli anni ‘30 è talmente inedita e dirompente da necessitare e giustificare non solo la rimessa in discussione di alcuni termini, concetti e pensieri ma un vero e proprio mutamento di prospettiva.

È per rispondere a questi e altri interrogativi che Polanyi intraprende un percorso che lo spingerà molto lontano. Muovendo le prime mosse dalla crisi degli anni ‘30 arriverà a sovvertire completamente la definizione di “economia”, a dare una lettura totalmente rovesciata, rispetto a quella comunemente conosciuta, della nascita dei mercati e della società di mercato e più in generale della storia economica dell’antichità, fino a minare profondamente il modello dell’homo oeconomicus.

1.1 Note biografiche

Prima di entrare nel vivo delle tesi e delle argomentazioni di Polanyi, è necessario analizzare brevemente il suo percorso biografico. Questo passaggio non deve essere letto come la rituale e obbligatoria contestualizzazione storico- fattuale dell’autore che si vuole studiare, ma come un insieme di informazioni utili e complementari alla comprensione del lavoro di Polanyi. Infatti la sua vita e, conseguentemente, il suo percorso intellettuale sono stati condizionati dagli eventi del suo tempo più di quanto sia avvenuto per altri autori2.

Polanyi nasce nel 1886 a Vienna, allora capitale dell’Impero Austro- ungarico ma cresce e si forma a Budapest. Gli anni della sua giovinezza corrispondono a quelli degli scontri tra conservatori e liberali, che chiedono e lottano per un’emancipazione economico- politica dell’Ungheria.

Polanyi si inserisce in questo scontro, attraverso la creazione nel 1908 del Circolo Galilei, di cui sarà una delle figure principali, insieme all’amico Ozskar Jàszi3

. Il circolo

2

Molti sono i contributi a proposito del percorso biografico di Polanyi, in particolare cfr. Duczynska Polanyi Ilona, Note sulla vita di Karl Polanyi, in Polanyi K., La sussistenza dell’uomo, Torino, 1983; K. Polany- Levitt, M. Mendell, Introduzione, in Polanyi K., La libertà in una società complessa, Torino 1987; Cangiani M. e Maucourant J., Karl Polanyi: breve biografia intellettuale, in Ritornare a Polanyi, Franco Angeli, Milano

3 Oszkar Jàszi, figura importante nella vita di Polanyi, è stato direttore dal 1900 al 1919 della rivista di scienze sociali Huszadik Század (Ventesimo secolo), leader del Partito radicale, ministro della prima Repubblica ungherese nel 1918, esule anch’egli a Vienna nel 1919 e in seguito negli Stati Uniti.

(5)

5 è animato principalmente da studenti ebrei poveri (lo stesso Polanyi apparteneva a una famiglia ebrea naturalizzata ungherese) ed è propulsore di attività culturali finalizzate all’accrescimento economico- sociale dell’Ungheria.

Il Circolo Galilei organizza corsi per adulti e numerosi dibattiti a cui parteciparono importanti intellettuali dell’epoca tra i quali Lukács, Mannheim, Sombart ed esponenti dell’austromarxismo- corrente di pensiero a cui Polanyi si avvicinerà successivamente- come Adler e Bernstein.

Sebbene in età più avanzata, Polanyi si dirà pentito di non aver spinto il circolo su posizioni maggiormente politicizzate, è giusto affermare che nelle attività del Circolo Galilei possiamo già intravedere quello che sarà l’approccio politico- teorico di Polanyi. Come è stato notato da Alfredo Salsano4 , è quasi impossibile separare l’analisi teorico scientifica di Polanyi dalla sua prospettiva politica. Se questo è vero, è altrettanto vero che il Polanyi che si schiera a favore di un’evoluzione liberale per la sua Ungheria, il Polanyi antifascista e in seguito critico della società di mercato non sarà mai un militante attivo di partito, sindacato o qualsiasi altra organizzazione. Polanyi sceglierà un’altra strada; egli non sarà mai un agitatore politico, ma potrebbe essere definito in un certo senso un agitatore culturale. Fortemente convinto della necessità della realizzazione di una democrazia socialista per salvare l’umanità dai guasti della società di mercato, Polanyi crede che questo possa avvenire solo attraverso una costante opera di educazione e autoeducazione. In questo senso vanno le attività del Circolo Galilei e successivamente dell’esperienza dell’insegnamento agli operai in Inghilterra.

Nel 1918 con il crollo dell’Impero austro ungarico, l’Ungheria è attraversata da moti che porteranno prima alla nascita della Repubblica Democratica ungherese, guidata da Mihály Károlyi e successivamente nel 1919 alla Repubblica sovietica ungherese guidata da Béla Kun. Polanyi sostiene entrambe le esperienze, pur manifestando delle perplessità nei confronti della politica centralizzatrice sovietica.

Nel 1919 Polanyi si trasferisce a Vienna per motivi di salute e vi rimane fino al 1933, decidendo di non tornare in Ungheria, in seguito alla repressione della Repubblica di Béla Kun e all’avvento al governo del reazionario Miklós Horthy.

4 Introduzione di Alfredo Salsano a La libertà in una società complessa, una raccolta di saggi e articoli di Polanyi (1987). Alfredo Salsano è stato un sociologo italiano, ha contribuito alla diffusione delle opere di Polanyi in Italia. È stato tra i fondatori del M.A.U.S.S (Movimento anti- utilitarista nelle scienze sociali).

(6)

6 Importanti stimoli giungono a Polanyi dall’esperienza viennese. La capitale austriaca, infatti, è guidata dal primo dopo guerra da un’amministrazione socialista che sperimenta un regime economico aspramente criticato dagli economisti liberali. La “Vienna rossa” del dopoguerra garantisce ingenti sussidi contro la disoccupazione e attua una politica di sostegno abitativo.

L’esperienza della “Vienna rossa”, seppure di breve durata, rappresenta un evento significativo secondo Polanyi, in quanto non è solo un caso in cui la società cerca di resistere all’avvento del mercato, ma è «il tentativo di superare completamente un’economia di questo tipo». (Polanyi, 2010; 1944, p. 359). A Vienna nel dopo guerra Polanyi sembra intravedere la realizzazione di un’alternativa alla società di mercato. «Il 1918 iniziava un’ascesa morale e intellettuale senza precedenti nelle condizioni di una classe lavoratrice molto sviluppata che, protetta dal sistema di Vienna, resisteva agli effetti degradanti del grave sconvolgimento economico e raggiungeva un livello mai superato dalle masse popolari in nessun paese industriale». (ibid.)

Vienna in quegli anni è anche un centro culturalmente vivo e dinamico, è qui che Polanyi ha modo di affinare le proprie posizioni in materia economica grazie al contatto e al confronto con gli austro marxisti. Tra questi in particolar modo Adler e Bauer influenzano l’adesione di Polanyi a un socialismo non statalista, basato sulla consapevole e libera partecipazione degli individui. Polanyi è fautore di un socialismo che egli definisce funzionale o gildista e che egli difende dagli attacchi degli economisti liberali della scuola austriaca, in particolare di Ludwig von Mises.

Dal 1924 Polanyi è uno dei redattori di Der Osterreichische Volkswirt una rivista economica austriaca, alla quale collabora fino a quando, nel 1938, le attività della redazione si interrompono a causa dell’occupazione nazista dell’Austria. È nel periodo austriaco che Polanyi si esprime a favore della realizzabilità di un’economia socialista, in particolar modo con due articoli del ’22 e del ’24 sulla contabilità socialista5, in risposta alle posizioni di Mises che in quel periodo era professore di economia all’Università di Vienna.

5

Gli articoli, pubblicati originariamente in Sozialistische Rechnungslegung, sono La contabilità socialista (1922) e La teoria funzionale della società e il problema della contabilità socialista (1924), in Polanyi, 1987

(7)

7 In questa rivista, inoltre, Polanyi tratta argomenti di politica economica e internazionale a lui contemporanei, come le lotte operaie e sindacali inglesi degli anni ’20, la crisi degli anni ‘30, il New Deal e l’avvento del fascismo in Europa. «Negli articoli presentati, soprattutto in quelli degli anni ’30, è già presente il concetto, che sarà fondamentale nella Grande trasformazione, di una crisi complessiva delle istituzioni del capitalismo liberale». (Cangiani in Polanyi 1993).

Nel 1933, in seguito alle sospensioni democratiche in Austria, Polanyi si rifugia in Inghilterra, grazie al sostegno di circoli socialisti e di gruppi della sinistra cristiana inglese.

Per guadagnarsi da vivere, Polanyi tiene corsi serali per adulti nel quadro della Workers’ Educational Association (WEA), per la quale si occupa principalmente di storia economica e delle relazioni internazionali. È anche dagli studi svolti per la preparazione di questi corsi che nasce la sua opera più conosciuta, La grande

trasformazione, largamente concepita in Inghilterra6 e realizzata negli Stati Uniti.

Bisogna ricordare, infatti, che Polanyi prima del 1947, anno in cui lascerà definitivamente l’Inghilterra, compie numerosi viaggi negli Stati Uniti per tenere alcune conferenze e dal 1941 al 1943 vive negli Stati Uniti; è proprio in questi anni che, grazie a una borsa della fondazione Rockfeller, scrive La grande trasformazione.

Più in generale è possibile affermare che l’esperienza inglese offre all’autore importanti spunti e sollecitazioni che sono fondamentali per una maturazione definitiva delle sue posizioni etico- politiche.

È in questo paese che Polanyi entra fisicamente e realmente in contatto con la degradazione e la disumanizzazione della classi operaie causata dal capitalismo, di cui fino a quel momento egli aveva solo letto i resoconti dei socialisti utopisti.

Dal punto di vista degli studi, in Inghilterra Polanyi ha modo di approfondire la conoscenza delle posizioni di G. D. H. Cole sul Guild Socialism.

Inoltre partecipa anche alle attività di un gruppo vicino al movimento britannico della Christian Left, con il quale organizza dibattiti e seminari sulla situazione a lui contemporanea, in particolar modo sulla crisi economica e sul fascismo. Attraverso

6

Lo stesso Polanyi nell’introduzione della Grande trasformazione afferma che «le tesi principali del libro furono formulate e sviluppate nel corso dell’anno accademico 1939- 40 in coincidenza con i corsi organizzati dalla WEA» (Polanyi, 2010; 1944).

(8)

8 questa attività Polanyi contribuisce a far conoscere in Inghilterra gli scritti giovanili di Marx, in particolar modo il gruppo si dedica allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844.

Nel 1947 riceve un incarico come visiting professor e si trasferisce negli Stati Uniti, dove però non può soggiornare a lungo a causa delle posizioni politiche della moglie. Infatti, la passata appartenenza di Ilona Duczynska al partito comunista ungherese fa sì che la donna sia una persona indesiderata negli Stati Uniti del maccartismo; per questo motivo i due coniugi si stabiliscono in Canada, a Toronto.

Nel periodo statunitense, e in particolar modo dal 1950 fino al 1964, anno della sua morte, Polanyi continua la sua ricerca sull’economia dal punto di vista istituzionale e si dedica, grazie ad alcune borse di studio, soprattutto alle economie cosiddette primitive, insieme a studiosi come Arensberg, Dalton e Pearson, che fanno parte della sua équipe di ricerca. Il frutto più importante di questo lavoro è Traffici e mercati negli antichi imperi pubblicato nel 1957. In questo libro è contenuto tra gli altri il saggio L’economia come processo istituzionale destinato ad avviare il dibattito tra sostanzialisti e formalisti, a proposito della corretta interpretazione del termine “economico” e di quale sia il posto dell’economia nella società. Questo dibattito prosegue anche dopo la morte di Polanyi7 e sarà a posteriori riconosciuto come l’età dell’oro dell’antropologia economica8.

A queste note biografiche, è necessario affiancare qualche prima considerazione sul lavoro intellettuale di Polanyi. Il primo aspetto che è possibile rilevare è che all’interdisciplinarietà e all’eclettismo metodologico si accompagna una forte continuità tematica. Polanyi è infatti principalmente uno studioso e un critico dell’economia di mercato. Ogni sua ricerca ruota intorno a questo fulcro, anche quelle che a prima vista possono sembrare più lontane da questo tema, come gli studi sulle economie primitive. Come accennato precedentemente, lo spartiacque nell’elaborazione teorica polanyiana è segnato dall’impatto con la classe operaia inglese negli anni ‘30. Le condizioni di vita degli operai, che Polanyi ha modo di incontrare durante i suoi corsi per la WEA,

7

Dopo la morte di Polanyi i suoi collaboratori curano e pubblicano alcune opere postume:Il Dahomey e la tratta degli schiavi (1966), Economie primitive arcaiche e moderne (1968) e La sussistenza dell’uomo

(1977).

8

(9)

9 contribuiscono forse più di ogni altra cosa a renderlo uno dei più “severi e radicali9

nemici del liberalismo.

Come scrive la moglie, Ilona Duczynska, è da questa esperienza che Polanyi matura un vero e proprio odio per la società di mercato e per i suoi effetti che «privavano l’uomo della sua condizione umana» (Duczynska in Polanyi 1983; 1977, p XV). Gli anni precedenti al periodo inglese, gli anni ‘20, possono essere visti come un preludio, una preparazione scientifico- politica a questa esperienza. Al pari di altri autori a lui contemporanei, Polanyi è diffidente di fronte all’utopia del mercato che si autoregola e crede che sia indispensabile pensare e costruire forme alternative di organizzazione economica per la società. In questa sua ricerca Polanyi unisce elementi che potremmo definire classici della critica alla società capitalistica, ad esempio l’attento studio di Marx a partire dal 1922, a stimoli meno ortodossi, come il socialismo utopico di Owen, quello gildista di Cole, il pensiero degli austro marxisti e della sinistra cattolica inglese cercando una possibile sintesi tra socialismo e cattolicesimo.

Polanyi arriva, dunque, in Inghilterra avendo studiato Marx e conoscendo già, almeno formalmente, le condizioni di vita della classe operaia nel paese della rivoluzione industriale, ma queste conoscenze non attenuano l’impatto con un sistema che priva le persone della propria sostanza umana e distrugge il loro ambiente di vita.

Gli anni dopo l’Inghilterra sono tutti tesi a verificare la propria idea sulla non naturalità dell’economia di mercato. È nella dimostrazione di questa tesi che Polanyi intraprende un percorso originale, complesso e a tratti tortuoso che partendo dallo studio dall’essenza del liberismo, mostra il legame inscindibile tra questo sistema economico e il fascismo. Un percorso che lo porta a interrogarsi sul vero significato del termine “economico” e a recuperare la distinzione aristotelica tra un’economia sostanziale, quella cioè che indica i mezzi di sussistenza dell’uomo e un’economia formale, intesa come scelta razionale di fronte a risorse scarse. Partendo da questa rivoluzione nella definizione del termine “economico”, Polanyi invita gli economisti e gli storici occidentali a liberarsi di quell’approccio etnocentrico che fa loro pensare che “economia” e “mercato” siano termini equivalenti e che ogni economia sia destinata a

9

(10)

10 divenire “di mercato”. Li invita altresì a non studiare i processi economici sviluppatisi in altri luoghi ed epoche con gli strumenti propri del sistema di mercato.

Lo studio polanyiano delle società primitive, delle società non occidentali e della storia dell’Occidente pre-industriale è volto a limitare la portata del sistema di mercato, a mostrarne l’eccezionalità.

Possiamo considerare La grande trasformazione come un condensato delle posizioni polanyiane sopracitate, come l’opera in cui sono espresse le principali ipotesi dell’autore, alcune delle quali saranno approfondite nelle opere successive.

1.2 Le tesi di La grande trasformazione

La grande trasformazione è considerata la più importante tra le opere di Polanyi, sia perché, come detto precedentemente, essa rappresenta una summa del pensiero polanyiano; sia perché essa costituisce uno spartiacque nella storia dell’antropologia economica, sebbene la sua influenza non si limiti a questa disciplina.

Questa opera funge da punto di raccordo dei due filoni di studio polanyiano, quello delle crisi delle istituzioni liberali degli anni ‘30 e quello più generale del posto dell’economia nella società e dell’economia come processo istituzionale, che porterà l’autore a uno studio di economia comparata e che sarà approfondito da Polanyi e dai suoi collaboratori negli anni ‘50. Come si legge nell’introduzione di Alfredo Salsano all’edizione italiana, La grande trasformazione è «un libro sulla crisi delle istituzioni liberali e la “grande trasformazione” da esse subita negli anni ‘30, che ne ricerca le origini nell’Inghilterra ricardiana, anzi in quelle che sono le caratteristiche proprie della società di mercato confrontata alle società primitive». (Salsano, Introduzione, in Polanyi 2010; 1944; p VII).

La grande trasformazione nasce, quindi, dalla volontà di Polanyi di comprendere e interpretare gli eventi politico economici che nell’arco di un decennio portano al crollo delle istituzioni liberali. Polanyi vuole capirlo non solo come studioso, ma anche come uomo e cittadino profondamente calato nella realtà storica in cui vive e determinato a cambiarla.

Questo libro, come ha scritto Dalton nell’introduzione a Economie primitive, arcaiche e moderne, chiede un grande impegno al lettore discutendo contemporaneamente

(11)

11 l'Inghilterra di Ricardo, le isole Tobriand e la Germania di Hitler e rischia talvolta di essere di difficile comprensione. Per questo è opportuno non perdere mai di vista l’obiettivo e l’origine di questa opera polanyiana, al fine di non rimanere disorientati dai balzi temporali di Polanyi e dall’analisi storica, contemporaneamente diacronica e sincronica.

A proposito della genesi della crisi economico politica degli anni ’30, l’autore ungherese sostiene una tesi la cui dimostrazione è l’oggetto di La grande trasformazione: Polanyi ritiene che la crisi degli anni ’30 rappresenti e sia causata dalla fine, inevitabile e prevedibile, di quella che egli definisce l’utopia di mercato.

«Al centro della Grande trasformazione è il capovolgimento dell’idea liberale che la società di mercato costituisca un punto di approdo “naturale” nelle vicende della società umana. La società di mercato è come un caso patologico destinato a chiudersi con una crisi violenta». (Salsano, Introduzione, in Polanyi 2010; 1944, p. XV).

La società occidentale del XIX secolo secondo Polanyi poggiava su quattro pilastri, due politici: l’equilibrio di potere e lo stato liberale, due economici: la parità aurea e il mercato autoregolantesi.

La causa scatenante del crollo del sistema liberale è la fine della base aurea ma la causa più profonda secondo Polanyi va cercata nel mercato che si autoregola, in quanto nelle sue leggi si trova «la chiave del sistema istituzionale del XIX secolo». (Polanyi, 2010; 1944, p. 5). È sull’istituzione del mercato, quindi, che Polanyi pone maggiormente la sua attenzione. Che cosa intende l’autore per mercato autoregolantesi? Polanyi parte da un giudizio normativo: «la nostra tesi è che l’idea di un mercato autoregolato implicasse una grossa utopia. Un’istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza umana e naturale della società; essa avrebbe distrutto l’uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto. Era inevitabile che la società prendesse delle misure per difendersi, ma qualunque misura avesse preso, essa ostacolava l’autoregolazione del mercato, disorganizzava la vita industriale e metteva così in pericolo la società in un altro modo». (ibid. p. 6).

Polanyi è consapevole del fatto che questa sua posizione possa apparire troppo netta e pregiudiziale e che necessiti un’ampia argomentazione. Le pagine successive de La grande trasformazione sono dedicate proprio alla definizione e allo studio della nascita,

(12)

12 dello sviluppo e del crollo della società di mercato e alla dimostrazione della tesi dell’eccezionalità del mercato autoregolantesi.

Uno dei primi aggettivi che Polanyi usa per descrivere la società di mercato è “eccezionale” nel significato di non usuale. La civiltà del XIX secolo è eccezionale perché in maniera del tutto insolita si fonda su un unico e non su molteplici meccanismi istituzionali. Inoltre, il meccanismo istituzionale rappresentato dal mercato che si autoregola è completamente nuovo ed è a sua volta guidato da un fine, quello del guadagno individuale, che mai nella storia precedente dell’umanità ha avuto un ruolo così centrale nell’organizzazione sociale.

L’economia di mercato è un tipo di organizzazione economica in cui tutte le transazioni riguardanti beni, servizi e fattori di produzione avvengono attraverso la compravendita e attraverso l’uso della moneta. Nell’economia di mercato tutto deve essere venduto e acquistato e tutto ha un prezzo e «l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è assicurato solo dai prezzi. (…)

Un’economia di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da raggiungere un massimo guadagno monetario. (…) L’autoregolazione implica che tutta la produzione sia in vendita sul mercato e che tutti i redditi derivino da queste vendite. Di conseguenza vi sono mercati per tutti gli elementi dell’industria, non solo per le merci, ma anche per il lavoro, la terra e la moneta». (ibid. pp. 88-89).

È proprio l’immissione sul mercato di questi ultimi tre elementi a costituire il passaggio fondamentale e costituente dell’economia di mercato. Questo passaggio è a sua volta causato dall’avvento di macchine complesse e specifiche, durante la rivoluzione industriale. Questi macchinari perché siano redditizi, richiedono una massimizzazione della produzione delle merci. Essi non possono essere messi in funzione per piccole quantità o per produzioni discontinue. Per ottenere questo obiettivo, è necessario che tutti i fattori inerenti alla produzione siano messi in vendita in modo che siano sempre disponibili nelle quantità necessarie. Il lavoro, la terra e la moneta non possono essere vincolati da usi consuetudinari o regole non di mercato che ne comprometterebbero la disponibilità. Anche essi devono essere acquistabili sul mercato a un prezzo di mercato che acquisirà rispettivamente il nome di salario, rendita e interesse. Secondo Polanyi siamo di fronte a delle “merci fittizie”, infatti le merci sono quei beni prodotti e destinati alla vendita e lavoro, terra e moneta non corrispondono a queste caratteristiche.

(13)

13 La mercificazione di questi tre elementi ha conseguenze disastrose per la società, perché con essi si commercializza, secondo Polanyi, la vita stessa degli esseri umani (il lavoro), la natura (la terra), il potere d’acquisto (la moneta).

È importante sottolineare che Polanyi ne La grande trasformazione attribuisce una notevole importanza alla storia del pensiero, delle teorie e delle ideologie che stanno alla base del successo del modello istituzionale del mercato autoregolantesi. Un tipo di organizzazione economica la cui applicazione concreta rimane sempre incompiuta, che non si afferma mai totalmente. In questo senso bisogna interpretare l’affermazione polanyiana secondo cui il mercato autoregolantesi è un’utopia. Esso è un tipo di organizzazione economica, basato su un sistema di idee e di valori che non sono realizzabili concretamente nella loro totalità perché comporterebbero la distruzione della società. Tuttavia, nella storia tale insieme di conoscenze e di credenze è stato in molti momenti dominante e ha condizionato i modi di pensare e di vivere degli individui.

Uno degli elementi più suggestivi del metodo polanyiano è il continuo dubitare e il rimettere in discussione i dogmi e le convinzioni che fondano le discipline storico economiche di cui egli si occupa. In un periodo storico in cui l’avvento della società di mercato sembra un evento naturale, indiscutibile e visto come l’unica organizzazione economica possibile, Polanyi cerca un’altra strada. Attraverso lo studio della nascita dell’economia di mercato e un’analisi comparata di altre epoche storiche e altre società, vuole fornire una versione diversa della storia economica. Vuole mostrare che è vero che forme di scambio mercantile erano molto diffuse anche nell’antichità, ma che questo non ha comportato fino al nostro tempo che il Mercato divenisse un’istituzione a sé stante e fondante di una società.

È indubbio, scrive Polanyi nella Grande trasformazione, che «nessuna società potrebbe sopravvivere senza avere un’economia, però prima del nostro tempo non è mai esistita un’economia che fosse controllata dai mercati. Il guadagno e il profitto non hanno mai svolto una parte importante nell’economia e per quanto l’istituzione del mercato fosse abbastanza comune a partire dalla tarda età della pietra, il suo ruolo era soltanto incidentale nei confronti della vita economica». (Polanyi, 2010; 1944, p. 57). Per avvalorare questa sua tesi, Polanyi si basa sugli studi antropologici e in particolare sui

(14)

14 lavori di Thurnwald10 e Malinowski. È dal confronto con questi autori e dalla rielaborazione delle loro scoperte che Polanyi introduce uno dei concetti più significativi del suo pensiero, la nozione di embedded, ovvero di “incastramento”. Quello che si evince dallo studio delle economie primitive è che di norma, l’economia umana è “inserita”, incastrata nei rapporti sociali. Questo comporta che non esista una sfera economica autonoma. Essa non esiste nell’organizzazione sociale né tanto meno è percepita nella coscienza comune.

Come già detto è all’antropologia funzionalista britannica a cui si deve lo studio delle economie incorporate nella società. Bisogna dire tuttavia che Malinowski riformula, generalizza e traghettata nel campo dell’antropologia economica alcune scoperte empiriche fatte precedentemente da Maine e inserite nel contesto giuridico e poi riprese da Tönnies in quello sociologico.

Nel 1860, il giurista britannico Maine, a proposito della categorie del diritto romano parla della differenza tra status e contractus. Il primo era determinato dalla nascita e dalla parentela e faceva sì che l’uomo fosse vincolato dall’ordine sociale in cui viveva; era il principio sul quale si basavano le società antiche fino al feudalesimo. Questo principio era stato gradualmente soppiantato da quello del contractus, ossia di un «sistema di diritti e doveri derivanti dalle transazioni bilaterali». (Polanyi, 1978; 1957, p. 81). Queste categorie sono riprese dal sociologo tedesco Tönnies nella sua opera del 1888, Comunità e società, in cui la comunità è rappresentata dallo status e la società dal contractus. Con Malinowski questa distinzione viene applicata all’economia. Secondo Polanyi, alla luce di questi studi, è corretto sostenere che lo status e la comunità «dominano dove l’economia è incorporata in istituzioni non economiche; mentre il contractus e la società sono caratteristici dell’esistenza di una sfera economica distinta. (…) Il contractus rappresenta l’aspetto legale dello scambio». (ibid. p. 82).

Sono numerose le prove dell’assenza di una sfera economica autonoma nelle comunità basate sullo status, a partire dall’assenza di un termine che designasse l’economia. Questo, è bene ribadirlo ancora una volta, non implica che non esistesse l’economia in quanto tale, ma che non ve ne fosse percezione nella coscienza comune.

10 Thurnwald è stato un antropologo ed etnologo austriaco vissuto tra il 1869 e il 1954. Polanyi è stato

molto influenzato dalle teorie antropologiche, non solo di Thurnwald e Malinowski ma anche di Bücher e Mauss. Cfr Hann, Hardt, 2011 p. 71

(15)

15 Ora, il fatto che l’economia dell’uomo sia embedded, ovvero immersa nei rapporti sociali, fa sì che l’uomo non agisca «in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, ma che agisca in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali». (Polanyi, 2010; 1944, p. 61).

In questa affermazione non è difficile leggere la critica all’economia classica. Questa, fedele all’insegnamento del suo fondatore Adam Smith11

, si basa sul modello dell’homo oeconomicus. Ovvero su un individuo naturalmente portato allo scambio e al baratto, guidato nelle proprie azioni dall’egoismo che lo porta a occuparsi prioritariamente della massimizzazione della propria utilità e del proprio benessere.

Polanyi invece mette al centro il dato “sociale”. Le attività economiche, secondo questa interpretazione, sarebbero inserite e condizionate da una serie di elementi socio culturali, come la religione, il diritto, il costume. In questa presa di posizione polanyiana si può scorgere l’influenza dell’istituzionalismo americano di cui Veblen12

era il maggiore esponente. L’istituzionalismo nasce proprio in contrapposizione all’economia classica e neoclassica di cui critica l’approccio astratto basato sul modello dell’homo oeconomicus. A questo approccio l’istituzionalismo cerca di sostituire lo studio del cosiddetto ambiente istituzionale, formato da tradizioni, costumi e abitudini. Secondo Veblen inoltre, «gli attori economici non vanno considerati come gli individui astratti della teoria economica dominante, ma come membri di una comunità economica: l’organizzazione sociale istituisce i loro fini determinandoli o almeno vincolandoli»

11 In La ricchezza delle nazioni (1776), la principale opera di Smith leggiamo a dimostrazione di questo

approccio: “ Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, che noi ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro rispetto nei confronti del loro stesso interesse”.

12

Thorstein Veblen (1857- 1929), economista e sociologo statunitense. A proposito dell’influenza del funzionalismo statunitense sull’opera polanyiana cfr Maucourant J., (2001), Polanyi on institution and

money. An interpretation suggested by a reading of Commons, Mitchell and Veblen, in Adaman F.,

Devine P., (2001), Economy and society: money, capitalism and transition, Black Rose Books, Montreal. Riferimenti alla convergenza tra il pensiero polanyiano e l’istituzionalismo statunitense si trovano anche nel saggio di Cangiani, Il “posto dell’economia”: la prospettiva istituzionale di Karl Polanyi (in Laville e La Rosa, 2008). In particolare in questo saggio Cangiani sostiene che Polanyi sia portatore di una propria prospettiva istituzionale influenzata non solo da Commons e Veblen ma anche da Marx e Weber, ritenuti in un certo senso i precursori del metodo istituzionale.

(16)

16 (Cangiani, in Laville e La Rosa, 2008, p. 130). Da queste poche righe è evidente l’affinità tra le tematiche e l’ottica polanyiana e quella degli istituzionalisti statunitensi. Tornando al concetto di embedded, il punto fondamentale che emerge dalle ricerche antropologiche su cui si basa Polanyi, è che nelle comunità arcaiche non esistono istituzioni basate esclusivamente su motivi economici e che siano separate dalle altre. Questo non significa che la produzione e la distribuzione dei beni siano affidate al caso, ma che sono altri principi non prettamente economici a prevalere.

I sistemi economici precedenti alla fine del feudalesimo erano organizzati su principi che Polanyi definisce di reciprocità, redistribuzione o economia domestica. L’attività economica era cioè integrata nella società attraverso questi principi che a loro volta erano istituzionalizzati da un’organizzazione sociale di tipo simmetrico, centrico o autarchico. Per rendere più chiaro questo passaggio, è utile fare degli esempi basati sugli studi sugli abitanti delle Isole Tobriand e della Melanesia compiuti da Thurnwald e da Malinowski.

Nelle società in cui è prevalente il principio di reciprocità, vige un’organizzazione sociale simmetrica. Ne è un esempio lo scambio Kula studiato da Malinowski, in cui ciascun villaggio costiero ha un corrispondente nell’entroterra. In questo contesto, sotto forma di dono, viene organizzato uno scambio reciproco di cereali in cambio di pesce. In questo caso non è corretto parlare di commercio nell’accezione odierna, perché il principio che domina nello scambio Kula non è l’inclinazione al baratto, ma un comportamento sociale di reciprocità.

Nella redistribuzione, di cui è un esempio il regno babilonese di Hammurabi, il prodotto di un’attività viene diviso tra le persone che fanno parte del determinato gruppo. Questo tipo di organizzazione è facilitato da una società centrica, in cui c’è un’autorità che si occupa della raccolta e della redistribuzione dei beni alla collettività.

Il terzo principio, quello dell’economia domestica, ovvero della produzione per uso proprio è mutuato da Aristotele di cui Polanyi è un attento studioso. Si tratta dell’oikonomia, etimo della parola “economia”. La sua struttura è un gruppo chiuso e autosufficiente, ovvero autarchico.

Molto spesso questi tre principi erano coesistenti anche se nella maggior parte dei casi ve ne era uno che prevaleva sugli altri.

(17)

17 Quello che interessa a Polanyi non è descrivere nel dettaglio il funzionamento di questi principi di integrazione economica, come era pratica degli studi antropologici tradizionali. A Polanyi preme sottolineare la presenza costante di un meccanismo istituzionale che integra l’economia nella società.

Il punto centrale di questo studio è il riconoscere l’esistenza di tipi di organizzazione sociale in cui l’economia è completamente integrata nella società e in cui non è rilevabile una sfera economica distinta e separata dalle altre; società in cui, peraltro, non sembra apparire mai il movente del guadagno personale. In un simile contesto è evidente che non vi sono le condizioni per la nascita e l’affermazione di un sistema di mercato. Da queste ricerche Polanyi ricava, infatti, la «regola per cui fino alla fine del Medioevo i mercati non svolgevano una parte importante nel sistema economico; altre strutture istituzionali prevalevano» (ibid. p. 72).

L’assenza di un sistema di mercato autoregolantesi non implicava che accanto ai principi di reciprocità, redistribuzione ed economia domestica, non potesse esistere anche il principio di scambio o baratto. Al contrario, lo scambio era presente, coesisteva insieme alle altre forme di integrazione economica e al pari di esse funzionava grazie alla presenza di un modello istituzionale, rappresentato dal mercato. A differenza del modello di centricità o simmetria che rappresentano un espediente sociologico volto a descrivere un tipo di organizzazione sociale, il mercato è una vera e propria istituzione. Il principio dello scambio è l’unico, infatti, a dar vita a un’istituzione specifica, il mercato. È questa differenza che fa sì che il modello di mercato possa organizzare la società su un’istituzione economica autonoma. Tuttavia la mera presenza dello scambio, del baratto e di mercati isolati non basta a originare un’economia di mercato.

Al fine di dimostrare questa affermazione e la portata limitata dei mercati nelle organizzazioni delle attività economiche prima del XIX secolo, Polanyi propone una storia della genesi del mercato, completamente opposta a quella della storia economica classica. Secondo quest’ultima, i mercati sarebbero il risultato consequenziale della propensione naturale dell’uomo a trafficare e a barattare di cui parla Smith in La ricchezza delle nazioni (1776) e che sta alla base del modello dell’homo oeconomicus. Gradualmente al baratto si sarebbe sostituita la moneta e questa avrebbe a sua volta favorito una trasformazione della società, stimolando maggiormente la divisione del lavoro. I piccoli mercati locali così creati, sarebbero poi cresciuti assumendo

(18)

18 dimensione regionale, nazionale e internazionale, arrivando infine ai mercati autoregolantesi odierni. Polanyi rigetta completamente questa ricostruzione storica e avanza l’ipotesi che per larga parte della storia umana l’organizzazione economica della società non sia stata condizionata dalla presenza o dall’assenza dei mercati. Una dimostrazione di questa affermazione si può avere, secondo Polanyi, conoscendo la vera genesi dei mercati. Nell’ipotesi polanyiana, i mercati nascono esternamente, come punti di incontro del commercio di lunga distanza. Questi luoghi di incontro, attraverso il baratto prima e l’utilizzo della moneta dopo, diventano vere e proprie istituzioni mercantili che però, come già detto, funzionano esternamente all’economia.

Il punto centrale di questa posizione è che i mercati esterni siano completamente diversi, nell’organizzazione, nelle finalità e nell’origine da altri mercati che funzionano internamente, i mercati locali e quelli interni.

I mercati esterni e quelli locali hanno in comune il fatto di non essere concorrenziali, differiscono per tutto il resto. I mercati esterni nascono dall’assenza di una determinata merce in un luogo e si organizzano in luoghi specifici come porti o fiere13, mentre i mercati locali nascono per il motivo opposto, per la presenza in loco di merci deperibili e non trasportabili. Questi coesistono ma non entrano in contatto. Nella città medioevale vige addirittura una regolamentazione che li separa, i mercanti stranieri ad esempio sono esclusi dai mercati locali. Secondo Polanyi questo avvenne come misura di autotutela da parte della civiltà urbana di fronte alle possibili conseguenze dell’avvento del capitale mobile.

Il nodo cruciale che si evince da questa analisi delle varie forme mercantili arcaiche è che fenomeni individuali di baratto o di scambio non sono alla base della nascita dei mercati; questo vale soprattutto per le società in cui a prevalere sono altri principi di integrazione economica.

Un altro tipo di mercato è quello nazionale o interno ed è questo ad avere le caratteristiche per diventare un mercato concorrenziale. Tuttavia, anche il mercato interno non si sviluppa “naturalmente” da atti individuali di baratto ma è il risultato dell’azione diretta dello stato. La nascita dei mercati interni può essere fatta risalire al XVI secolo, momento in cui si formano e si affermano gli Stati nazionali. In questo

13

Uno studio maggiormente approfondito sui vari tipi di mercato dell’antichità si ha in Traffici e mercati

(19)

19 periodo gli stati conducono una politica economica che verrà definita appunto mercantilista, volta ad aumentare le riserve statali in monete e metalli preziosi e a mantenere attivo il saldo della bilancia commerciale. Col mercantilismo vengono superate le posizioni particolariste e protezioniste di città e principati, che fino a quel momento avevano, attraverso legislazioni restrittive, limitato l’ampliamento dei mercati. Col mercantilismo quindi i mercati trascendono la dimensione locale e particolare che avevano avuto fino a quel momento, superano le molteplici restrizioni come quella di non estendersi alla campagna e assumono così per la prima volta una dimensione nazionale. Questo importante cambiamento non comporta però la nascita del mercato autoregolantesi. Il mercato nazionale, al pari di quello locale, non è regolato dai prezzi. È ugualmente soggetto a una regolamentazione esterna, non più svolta da città e principati ma dall’autorità statale.

Col mercantilismo, i mercati hanno senz’altro un ruolo centrale nell’attività economica della società, più di quanto fosse mai avvenuto, ma sono ancora immersi nei rapporti sociali.

Il passaggio costituente verso il mercato che si autoregola, il momento in cui l’economia si svincola dalla società e diventa disembedded si ha, come detto precedentemente, con l’avvento della macchina e la conseguente commercializzazione dei fattori produttivi: lavoro, terra e moneta. Prima di questo momento raramente i mercati sono stati centrali nell’organizzazione economica delle società e anche nei casi in cui hanno avuto un ruolo maggiormente rilevante essi sono sempre stati inseriti nella società, regolati e condizionati da fattori non economici.

L’avvento e lo sviluppo del mercato autoregolantesi comportano un vero e proprio sconvolgimento istituzionale al quale la società “reagisce”, nel tentativo di tutelarsi. Questo fenomeno è definito da Polanyi “contro movimento” della società e consiste in tutte le azioni messe in atto dalle autorità locali, dai legislatori, da sindacati, partiti e semplici gruppi di individui al fine di limitare i guasti del liberismo economico. Esempi di contro movimento si hanno già nel periodo immediatamente precedente al mercantilismo, quando le città cercavano di limitare l’estensione del commercio alle aree cittadine escludendo le campagne minando così la formazione di un mercato nazionale.

(20)

20 Nel XIX secolo il contro movimento non è più un fenomeno episodico, ma diventa una pratica costante e continua della società, tanto da indurre Polanyi a descrivere la storia occidentale successiva all’avvento dell’economia di mercato come la storia di un “doppio movimento”.

Il duplice movimento «può essere rappresentato come l’azione di due principi organizzativi nella società, ciascuno di essi ponendosi fini istituzionali specifici. L’uno era il principio del liberalismo economico , che mirava all’istituzione di un sistema autoregolato, basato sull’appoggio delle classi commerciali; l’altro era il principio della protezione sociale, che mirava alla conservazione dell’uomo e della natura oltre che dell’organizzazione produttiva». (ibid. p. 170).

Nell’analizzare il fenomeno del doppio movimento, Polanyi si concentra soprattutto sulla storia dell’Inghilterra. Come è noto, questo paese ha un peso particolare nella storia dell’economia di mercato, poiché è proprio nell’Inghilterra ricardiana che tale modello economico nasce, si afferma e si estende al resto dei paesi occidentali. Le conseguenze sulla società inglese dell’avvento della macchina e della produzioni industriale sono quindi paradigmatiche.

Storicamente i casi più significativi di contro movimento in Inghilterra riguardano il fenomeno delle enclosures durante la dinastia dei Tudor e, circa 150 anni dopo, le leggi contro la povertà nella fase iniziale della rivoluzione industriale. Polanyi mette a confronto questi due fenomeni per mostrare come provvedimenti simili in contesti istituzionali completamente mutati, sortiscano effetti molto diversi.

Il fenomeno delle enclosures consiste nella recinzione e l’appropriamento da parte di signori e aristocratici, di terreni che fino a quel momento erano stati comuni. Le famiglie contadine che avevano vissuto grazie alla presenza dei terreni comuni si trovano così senza mezzi di sostentamento. Se il fenomeno delle enclosures ha un impatto sociale meno disastroso di quanto avverrà successivamente con la rivoluzione industriale, è perché la dinastia Tudor vi si oppone da subito, promulgando una legislazione anti recinzioni. Queste leggi in realtà non riusciranno a impedire l’affermarsi delle enclosures ma ne rallenteranno gli effetti, favorendo una transizione più lenta e attenuando le conseguenze negative.

Nel 1795 con la Speenhamland Law le cose andarono diversamente. Questa legge introduceva una sorta di reddito minimo garantito ai poveri, da erogare

(21)

21 indipendentemente dai loro guadagni. Era la formalizzazione del “diritto di vivere”, un’importante innovazione sociale che però ostacolava la nascita di un libero mercato del lavoro. Il sistema dei salari e quello dei sussidi non potevano coesistere. La società si trova stretta tra le misure paternaliste di protezione dei lavoratori e un nascente sistema di mercato che necessitava la totale liberalizzazione del mercato del lavoro. Speenhamland, inserendosi nel periodo più dinamico della rivoluzione industriale, non solo non riuscì a rallentarne e mitigarne gli effetti sociali, ma creò addirittura effetti distorsivi. Le persone rinunciarono a lavorare, si impoverirono e vissero del solo sussidio.

Nel 1834 la Speenhamland Law venne abolita e nacque così in Inghilterra un mercato concorrenziale del lavoro. Il passaggio all’economia di mercato era così pienamente compiuto.

È bene ricordare però che l’affermarsi di questo modello economico, lungi dal comportare l’annientamento della reazione da parte della società, la amplifica. La dimostrazione di questa tesi si ha nella storia delle lotte operaie e sindacali o nelle legislazioni che vogliono tutelare la salubrità dei luoghi di lavoro e impedire il lavoro minorile, per fare solo qualche esempio.

Con l’estensione del modello di mercato dall’Inghilterra al resto dell’Europa e agli Stati Uniti, il doppio movimento diventa un fattore caratterizzante della storia sociale occidentale. Esso rappresenta anche parte della spiegazione del crollo delle istituzioni liberali degli anni ’30.

Polanyi, coerentemente a quanto dichiarato nelle prime pagine di La grande trasformazione, è giunto alla spiegazione della crisi degli anni ’30 ricercandone le origini nell’Inghilterra ricardiana.

Nel periodo precedente al crollo delle istituzioni liberali, alla tensione causata dal doppio movimento, si somma quella causata dal conflitto tra le classi. A proposito di questo ultimo tema, è necessario fare una digressione. Polanyi, infatti, «sviluppa una teoria articolata della classi sociali e pur non parlando mai in termini di classe in senso marxiano, non parlando di proletari e capitalisti (…), ritiene il ruolo delle “classi” essenziale per comprendere la storia moderna» (Sobrero, 2012, p. 276). Polanyi sostiene che i cambiamenti sociali di lungo periodo possono essere spiegati solo in parte dalla contrapposizione tra gli interessi di classe. È la società nel suo complesso, seppure

(22)

22 influenzata dagli aspetti specifici delle classi che la compongono, a reagire ai pericoli portati dal mercato. Una seconda critica che Polanyi muove ai marxisti è quella del “pregiudizio economico”, egli infatti ritiene che gli interessi di classe abbiano una natura non prevalentemente economica, ma sociale, ovvero di tutela di valori come lo status e la sicurezza, si vedano a questo proposito le rivendicazioni concernenti la salute e l’istruzione da parte dei lavoratori.

Fatti questi distinguo è necessario sottolineare che Polanyi ritiene che soprattutto nella prima fase del capitalismo, «furono conflittuali e determinati principalmente da motivi economici» (ibid.). Tuttavia, sebbene l’elemento economico rappresenti la prima causa dell’antagonismo tra classi, Polanyi mette un guardia dal ricondurre il conflitto alla sola dimensione materiale. «Si rischia di cadere nella trappola del pregiudizio materialista ed economicista e dunque nelle teorie che giustificano le sofferenze sociali come momento di passaggio necessario per la realizzazione di una ricchezza diffusa» (ibid.). Per questo Polanyi, sposta l’accento dalla catastrofe materiale a quella esistenziale e in questo senso bisogna leggere l’affermazione polanyiana secondo cui la realtà ultima a cui bisogna riferirsi non è la lotta di classe, ma la società nel suo complesso.

Secondo Polanyi, negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, anche a causa dell’ottenimento del suffragio universale maschile, il conflitto tra le classi si esercita attraverso gli apparati dell’industria e dello stato. In seguito all’ottenimento del suffragio universale maschile «il movimento operaio si trincerava nel parlamento dove il suo numero gli dava peso, i capitalisti facevano dell’industria una fortezza dalla quale dominare il paese». (ibid. p. 296). L’impasse alla quale si giunge prepara il terreno per la soluzione fascista.

Il fascismo consiste per Polanyi nel salvataggio dell’economia di mercato a scapito delle istituzioni democratiche sia economiche che politiche, che vengono eliminate. Ad aprire la strada alla soluzione fascista è la richiesta, che negli anni ’20 si fa sempre più pressante, di una “libera economia in un governo forte”. Richiesta che viene realizzata tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30 dall’estromissione dei partiti operai dai governi di Austria, Belgio, Francia e Germania, in nome della stabilità economica e della solidità della moneta.

L’utopia del mercato autoregolato si mostra infine in tutta la sua pericolosità. Perché possa funzionare ha bisogno che nessun’altra istituzione intralci il suo cammino, ma la

(23)

23 società e con essa le classi che la compongono, è costretta a intervenire, pena la sua distruzione. La crisi degli anni ’30 non è che l’esplosione di queste tensioni, è la fine di un modello economico e di società basato sul grande fraintendimento dell’interesse individuale come fine ultimo di ogni azione umana.

La civiltà del XIX secolo- conclude Polanyi - non è stata abbattuta da attacchi interni esterni, dalle conseguenze della prima guerra mondiale, dal bolscevismo o dal fascismo, dalla sovrapproduzione o dal sottoconsumo. Essa si disgregò «a causa delle misure adottate dalla società per non essere a sua volta annullata dall’azione del mercato autoregolato». (ibid. p. 311).

1.3 La libertà in una società complessa14

La descrizione del fascismo, della sua origine e della sua funzione, delineata nell’ultima parte di La grande trasformazione, deve molto agli studi che Polanyi compie in Inghilterra negli anni ’30 e al suo lavoro di giornalista presso la redazione dell’ Ost. Volkswirt.

In particolare Polanyi aveva già affrontato il tema della crisi degli anni ’30 e del sorgere dei regimi illiberali di stampo fascista in due articoli, Il meccanismo della crisi economica mondiale del 1933 e L’essenza del fascismo del 1935.

Nel primo, Polanyi aveva sostenuto l’idea che la crisi del ’29 fosse la manifestazione più evidente e spettacolare di una crisi che era iniziata nel primo dopoguerra e che era stata mascherata dalla crescita economica degli Stati Uniti di quegli anni. Il sostegno al credito che il governo americano concede ai paesi europei distrutti dalla guerra consente di celare le avvisaglie della crisi imminente e di posticiparla di qualche anno. Oltre al problema delle forti spese sostenute dagli stati durante la guerra e dall’indebitamento nei confronti negli Usa del dopoguerra, gli stati erano attraversati da forti tensioni interne dovute alle rivendicazioni opposte e contrastanti delle varie classi sociali. In particolare secondo Polanyi, dopo la guerra tre classi sociali dovevano essere

14

Freedom in a Complex Society è uno scritto inedito di Polanyi, risalente al 1957. Tra i progetti di Polanyi negli ultimi anni della sua vita, vi era proprio un libro che approfondisse la sua “filosofia politica” e le sue riflessioni sulla libertà. Uno dei possibili titoli pensato per questo libro era proprio, Freedom in a Complex Society. (Cfr. Polanyi- Levitt K. e Mendell M. in introduzione, Polanyi, 1987, p. XXI). La libertà in

(24)

24 accontentate nelle loro richieste, i rentier, i contadini e gli operai. Tuttavia, gli interessi di queste tre classi erano conflittuali tra loro e pertanto non potevano essere soddisfatti contemporaneamente. In questa argomentazione polanyiana bisogna non confondere gli effetti con le cause, la vera causa della crisi degli anni ’30 non va ricercata negli effetti della Prima guerra mondiale, ma nell’impossibile coesistenza tra gli interessi della società e quelli dell’economia. Il conflitto mondiale e quello tra le classi che ne consegue possono essere definiti il casus belli, sono gli eventi storici che concretamente conducono alla crisi. Essi tuttavia non costituiscono i motivi profondi della crisi, da ricercare, insiste Polanyi, nel modello economico di mercato.

L’impasse alla quale si giunge negli anni precedenti al deflagrare della crisi, pone l’umanità di fronte a un bivio, da una parte la soluzione fascista, in cui la sfera democratica viene abolita e viene completamente assorbito da quella economica. «Il capitalismo così com’è organizzato nei diversi rami dell’industria diventa l’intera società» (Polanyi, 1987). Dall’altra parte c’è la soluzione socialista, attraverso l’estensione dei principi democratici anche alla sfera economica che perde la propria autonomia e torna a essere subordinata agli interessi della società. Polanyi parla di soluzione socialista perché in questa alternativa è prevista l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. È necessario ricordare, tuttavia, che le posizioni socialiste polanyiane non sono completamente sovrapponibili né alle posizioni marxiste né a quelle di altri filoni socialisti, seppure ne sono fortemente influenzate.

Negli anni ’30 Polanyi riscopre gli scritti di Marx, soprattutto quelli giovanili e bolla come pseudo marxiste le volgarizzazioni comuni del pensiero del filosofo tedesco. In particolare Polanyi non condivide la lettura- che egli definisce appunto pseudo marxista- della democrazia come sovrastruttura politica del capitalismo. Lungi dal sostenere che democrazia e liberismo economico vadano di pari passo, Polanyi pensa piuttosto che essi siano incompatibili. Ed è questa inconciliabilità che porta alla crisi degli anni ’30.

È necessaria un’ulteriore specificazione a proposito della posizione polanyiana su socialismo e democrazia. Polanyi è fautore di un socialismo funzionale e di un tipo di democrazia non assimilabile a quella liberale. Nella società teorizzata da Polanyi, il primato va al ruolo di autorganizzazione e mediazione sociale svolto da corpi intermedi come associazioni, sindacati e gilde. All’individualismo di tipo liberale è sostituita la

(25)

25 libera e consapevole partecipazione di ogni individuo all’organizzazione della società in cui vive.

1.4 Il posto dell’economia nella società

La grande trasformazione consente quindi la sistematizzazione e l’ampliamento di posizioni già espresse da Polanyi negli anni ’20 e ’30. Da questo punto di vista possiamo considerare quest’opera un punto di arrivo. Ma La grande trasformazione segna anche l’inizio di un nuovo indirizzo degli studi polanyiani, ovvero dell’analisi istituzionalista e comparativista che sarà al centro dell’altra importante opera curata da Polanyi, Traffici e mercati negli antichi imperi. Quest’opera è stata pubblicata negli Stati Uniti del 1957 e raccoglie i contributi di una serie di studiosi che hanno collaborato con Polanyi allo studio delle economie primitive.

Il punto da cui muove l’analisi polanyiana è ancora quello della critica all’economia di mercato, ma il focus viene spostato.

In Traffici e mercati negli antichi imperi, l’obiettivo di Polanyi e dei suoi collaboratori non è tanto quello di denunciare l’innaturalità del sistema di mercato, bensì di confutare la pretesa universalità delle teorie economiche classiche. Polanyi vuole dimostrare che gli strumenti utilizzati per l’analisi dell’economia di mercato sono inadeguati a interpretare le forme di organizzazione economica, sviluppatesi nel periodo precedente al capitalismo. Secondo Polanyi è necessario un approccio alternativo allo studio delle economie arcaiche. Finalità dichiarata di quest’opera è infatti la costituzione «di una teoria generale dell’economia e una storia comparata delle istituzioni economiche dell’umanità». (Godelier, Introduzione, in Polanyi 1978; 1957, p. XIII).

In ogni società, il processo economico funziona in quanto istituzionalizzato, ovvero attraverso l’operato di istituzioni che sono «rapporti generali degli uomini tra loro in una determinata società» (ibid. p. XVII). Per dare vita a una teoria generale dell’economia, è fondamentale studiare come il processo economico è stato istituzionalizzato nelle diverse epoche e società. In altri termini, è necessario capire qual è stato nella storia, il posto e il peso dell’economia nella società.

Per rispondere a questi interrogativi è necessario aver prima avviato una riflessione sul vero significato del termine “economia”.

(26)

26 Nel saggio L’economia come processo istituzionale, scritto da Polanyi e contenuto in Traffici e mercati negli antichi imperi, viene introdotto il tema del duplice significato del termine “economia”.

Una teoria generale dell’economia, come quella alla quale Polanyi vuole dar vita, «deve partire dal semplice riconoscimento del fatto che, riferito ad attività umane, il termine economico combina due significati che hanno origini diverse: li designeremo come il significato sostanziale e quello formale». (Polanyi 1978; 1957, p. 297)

Il significato sostanziale deriva dalla semplice constatazione che l’essere umano per sopravvivere dipende dall’ambiente circostante e dallo scambio con i suoi simili. Esso si riferisce, quindi, alle attività che l’uomo compie per garantire la sua sopravvivenza e il soddisfacimento dei suoi bisogni, non solo materiali.

Il significato formale di economia deriva dal «carattere logico del rapporto mezzi- fini» (ibid.). L’accezione che viene data in questo caso al termine “economico”, si evince anche dall’utilizzo di espressioni quali “economizzare”. Questo significato di economia è strettamente legato al concetto di mezzi scarsi e di scelta. Secondo questa interpretazione, l’uomo è posto di fronte a mezzi insufficienti alla propria sopravvivenza ed è pertanto costretto a compiere scelte razionali, che massimizzino la propria utilità.

Tra i due significati, è a quello sostanziale che Polanyi si rifà al fine di attuare il suo progetto di creazione di una teoria generale dell’economia che possa comprendere anche le economia pre- capitaliste. Un progetto che nelle intenzioni di Polanyi sarebbe dovuto andare oltre e comprendere anche uno studio comparato sull’economia della sussistenza umana. Quest’ultima parte delle ricerche polanyiane rimarrà incompiuta a causa della scomparsa di Polanyi. Il materiale che ne avrebbe dovuto far parte sarà raccolto dai suoi più stretti collaboratori in La sussistenza dell’uomo, pubblicato negli Stati Uniti nel 1977. Questo volume offre ulteriori e preziosi spunti all’approccio sostanzialista in economia.

Questo approccio, tuttavia, è ostacolato dal fatto che nell’uso comune, il termine economico racchiude in sé i due significati. Una nozione di economia che mette insieme il concetto di sussistenza e quello di scarsità è fuorviante e deriva, ancora una volta, dal voler interpretare gli eventi del passato con gli strumenti analitici odierni. Essa è infatti fortemente influenzata dalla particolare organizzazione economica che si è sviluppata

(27)

27 nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti tra il XIX e il XX secolo, ovvero il sistema di mercati regolatori dei prezzi. Questo sistema è effettivamente basato sul concetto della scarsità dei mezzi ed è pertanto vero che in una simile forma di organizzazione economica, il significato formale e quello sostanziale vengono a coincidere. In un sistema di mercato il concetto di scarsità è facilmente dimostrabile. «Una volta ridotti gli esseri umani a “individui sul mercato”, era facile, come abbiamo accennato, dimostrare quella proposizione. Fra tutti i bisogni e le esigenze contavano solo quelli che si potevano soddisfare con il denaro acquistando gli oggetti offerti sui mercati». (Polanyi 1983; 1977, p. 53)

Eppure la fallacia economicistica è palese, l’economia nel suo significato sostanziale è connaturata all’essere umano. Quale che sia l’epoca e la realtà sociale in cui vive, infatti, l’uomo deve organizzare la propria sussistenza. Al contrario il meccanismo di mercato è relativamente moderno e “restringere la sfera del genus economico agli specifici fenomeni di mercato vuol dire eliminare dalla scena la maggior parte della storia umana”. (ibid. p. 28).

È necessario specificare che la tesi del duplice significato di “economia” non nasce con Polanyi, essa è riscontrabile infatti anche nella riflessione scientifica di un autore apparentemente lontano da questo approccio, l’economista austriaco Karl Menger15

. Inoltre la messa in discussione del principio di scarsità e quindi del significato formale di economia, sembra avere origini ancora più remote, risalendo addirittura ad Aristotele. Può apparire strano che Menger abbia fornito un apporto significativo alla tesi della duplicità del significato di economia. Infatti, Menger è considerato il fondatore della scuola economica austriaca, basata proprio sul postulato di scarsità e di massimizzazione dell’utile. La nascita della teoria economica neoclassica è fatta coincidere proprio con la pubblicazione nel 1871 di una delle principali opere di Menger, i Grundsätze der Volkswirtschafts lehre. È in questo lavoro che si trova l’enunciato base dell’approccio neoclassico, per cui il compito dell’economia è quello di occuparsi dell’allocazione dei mezzi scarsi. Da questa affermazione, Menger sembra basarsi solo sul significato formale di economia e ignorare quello sostanziale. Tuttavia negli anni successivi, anche alla luce delle scoperte dell’antropologia culturale rispetto

15

Riferimenti

Documenti correlati

Intermezzo: svalutazione della moneta bronzea 46.. Stoccaggio

L’economia politica, inoltre, viene svelata quale manifestazione ideologica: in una società ‘economica’, in cui l’economia si autonomizza e in generale i diversi aspetti

Avec une différence importante, toutefois, c’est que chez lui la problématique politique tourne autour de la communauté (Gemeinschaft), beaucoup plus que de la

Si tratta di riflettere sulle prese di posizione ufficiali espresse dalla Presidenza e dalla Segreteria della Conferenza Episcopale Italiana e, in questa occasione, dalla

Ciò accade, di solito, quando i fatti vengono visti dal punto di vista del personaggio e la narrazione è in prima persona (narratore e personaggio coincidono), ma può

•  Distinguiamo, però, la fine dell’umanità dalla fine della terra, ed a sua volta la fine del nostro pianeta dalla fine dell’universo….. Tuttavia, dal punto di

Non soltanto nella crescita economica, ma anche nello sviluppo territoriale, nella diffusione delle innovazioni tecnologiche e organizzative, nella promozione

Il percorso sociologico della scienza è stato de- scritto mediante tappe che costruiscono un sistema le cui componenti sono tra loro in relazione organica. I passi