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MUSICI E CANTORI IN LUCIANO

4.4 Immagini musicali ultraterrene

4.4.1 Il paese dei beat

Dopo essere approdati in molteplici luoghi, sia in mare, che in cielo, Luciano nelle Verae Historiae riferisce di essere giunto in un’isola che appare immediatamente eccezionale: i naviganti, giunti nei suoi pressi, percepiscono intorno a loro una brezza profumata simile all’essenza che sprigionano rose, narcisi, giacinti, gigli e viole. Luciano narra che sull’isola sono visibili numerosi porti, limpidi fiumi che sfociano nel mare e prati boschi e uccelli canori (o[rnea mousikav), che cantano sulle rive (ta; me; ejpi; tw'n hji>ovnwn a[/donta) e leggere brezze soffiano dolcemente nel bosco (kai; au\rai dev tine" hJdei'ai pnevousai hjrevma th;n u{lhn diesavleuon) in modo che i rami smossi sussurrano dilettevoli melodie (terpna; kai; sunech' mevlh ajpesurivzeto) simili a musiche di flauti obliqui (aujlhvmasi tw'n plagivwn aujlw'n) in luoghi solitari (toi'" ejp jejrhmiva")269.

Tutte queste specificità sonore del paese dei beati non sembrano tuttavia appartenere alla tradizione classica dell’Elisio, quanto a descrizioni del locus amoenus presenti nel romanzo erotico pastorale: come nel paesaggio agreste descritto all’inizio delle vicende di Dafni e Cloe da Longo Sofista, ove è riscontrabile una corrispondenza con gli uccelli canori (h\con ornivqwn mousikw`n)

e i venti che soffiando tra i rami producono un suono simile a quello di flauti (tou;~ ajnevmou~ surivttein tai`~ pivtusin ejmpnevonta~)270.

Nel seguito del racconto Luciano riporta che dall’isola si sente ininterrottamente un brusio (boh; suvmmikto" hjkouveto a[qrou"), non frastornante (ouj qorubwvdh"), ma come quello che si genera durante un banchetto (ajll j oi{a gevnoit a]n ejn sumposivw), dove alcuni suonano l’aulos (tw'n me;n aujlouvntwn), altri cantano lodi (tw'n de; ejpainouvntwn), altri ancora battono il tempo al suono dell’aulos o della kitharis (ejnivwn de; krotouvntwn pro;" aujlo;n h] kiqavran). Dopo essere scesi a terra ed essere stati giudicati idonei a rimanere nell’isola, anche se ancora vivi, e accolti dagli incorporei abitanti del luogo, Luciano e i suoi compagni hanno l’onore di poter partecipare al simposio di cui hanno finora potuto udire solo i suoni e le voci. Il luogo destinato al banchetto è fuori della città nel luogo più amoenus di tutta l’isola: la pianura chiamata Elisio, un prato meraviglioso contornato da un fitto bosco con alberi di ogni specie. Anche qui non mancano profumi ed essenze meravigliose che si cospargono da sole per l’aria e tutti i convitati al posto delle corone hanno in capo fiori raccolti da usignoli e altri uccelli canori (aiJ ajhdovne" kai; ta; a[lla ta; mousika; o[rnea). L’accompagnamento sonoro a questo spettacolo eccezionale non è da meno: durante il pranzo i partecipanti vengono intrattenuti con musiche e canti (epi; de; tw'/ deivpnw/ mousikh'/ te kai; wj/dai'" scolavzousin), e vengono declamati soprattutto i versi di Omero (a[/detai de; aujtoi'" ta; JOmhvrou e[ph mavlista), il quale è presente al banchetto come molti altri personaggi ormai defunti. I cori sono formati da giovani e fanciulle (oiJ me;n ou\n coroi; ejk paivdwn eijsi;n kai; parqevnwn) e cantano assieme a loro i famosi cantori e poeti Eunomo di Locri271, Arione di Lesbo272,

270 Long. 1.9.1-2. Vd Camerotto 2005, p. 105-111. Un’ ulteriore corrispondenza del locus amoenus con presenza di uccelli canori è riscontrabile in Diodoro Siculo 5.43.2 e nella descrizione dell’India da parte di Dione Crisostomo, Orat. 35.18-21.

271 La figura di Eunomo è interessante per approfondire una connessione tra musica e mondo della natura. Clemente Alessandrino racconta che ad Eunomo di Locri, durante un'esecuzione dell’agone delfico, si ruppe all'improvviso una corda della cetra e, affinchè la musica non venisse interrotta, una cicala si sostituì alla corda spezzata. Clem. Alex. Protr. 1.2-3 Agw;n de; h\n kai; ejkiqavrizen w{ra/ kauvmato" Eu[nomo", oJphnivka oiJ tevttige" uJpo; toi'" petavloi" h\/don ajna; ta; o[rh qerovmenoi hJlivw/. \Hidon de; a[ra ouj tw'/ dravkonti tw'/ nekrw'/, tw'/ Puqikw'/, ajlla; tw'/ qew'/ tw'/ pansovfw/ aujtovnomon wj/dhvn, tw'n Eujnovmou beltivona novmwn. JRhvgnutai cordh; tw'/ Lokrw'/: ejfivptatai oJ tevttix tw'/ zugw'/: ejterevtizen wJ" ejpi; klavdw/ tw'/ ojrgavnw/:kai; tou' tevttigo" tw'/ a[/smati aJrmosavmeno" oJ wj/do;" th;n leivpousan ajneplhvrwse cordhvn.

Anacreonte e Stesicoro273 (ejxavrcousi de; kai; sunav/dousin Eu[nomov" te oJ Lokro;" kai; Δ∆Arivwn oJ Levsbio" kai; jAnakrevwn kai; Sthsivcoro"). Quando i cori terminano di cantare sono sostituiti da un coro (deuvtero" coro;" parevrcetai) di cigni (ejk kuvknwn), di rondini (celidovnwn) e di usignoli (ajhdovnwn) e non appena hanno cominciato ad intonare la melodia vengono accompagnati da tutta la selva con i suoi flauti (pa'sa hJ u{lh ejpaulei`), e sono gli stessi venti che danno inizio a tutta la musica (tw'n ajnevmwn katarcovntwn)274.

Queste peculiarità sonore legate ai simposi nel mondo dell’aldilà sono state riconosciute in molti altri autori greci e latini275; per la nostra breve analisi risulta interessante rimarcare alcune connessioni tra questa descrizione e il mito della città degli Iperborei. Questo popolo è in perenne contatto con la musica e con Apollo, tanto che gli Iperborei possono essere definiti tutti musicisti. L’apice della loro felicità legata alla musica è sicuramente nell’associazione delle musiche con il banchetto, come è sottolineato da Pindaro, il quale racconta che «la Musa è nei loro modi di vita, ovunque cori di fanciulle, suoni di lire e strepiti di flauti riecheggiano, con le chiome incoronate di lauro d'oro banchettano nella serenità»276.

273 Per la figura di Stesicoro vd. Barker 2001.

274 VH 2.14-16. Altre immagini musicali inserite durante un simposio, presieduto questa volta da mortali, sono presenti in Lex. (8) dove viene fatta menzione di una danzatrice e suonatrice di trigono (trigwnivstrian) su una piattaforma roteante, e (14) quando Eudemo disturbato dal freddo preferirebbe, ben riscaldato, udire l’auleta e la danzatrice che si accompagna con il barbitos (tou' te aujlhtou' kai; th'" barbitw/dou`); in Nigr. (25) il filosofo disprezza i simposi a Roma dove i più mondani dei partecipanti si sono indotti spesso anche a cantare (oiJ de; ajsteiovteroi pollavki" aujtw'n kai; a\/sai prohvcqhsan). Il disprezzo di Nigrino per la Roma contemporanea sfocia spesso nell’indicare come riprovevoli atteggiamenti di compiacimento nell’ascolto di forme musicali ‘retoriche’ e ‘baroccheggianti’ (Nigr. 15), di suoni accompagnati da gorgheggi e canti smidollati (o{sti" ajkouvwn tevrpetai kroumavtwn te kai; teretismavtwn kai; diefqorovtwn aj/smavtwn). Non esiste, per il filosofo, miglior palestra per la virtù che Roma (Nigr. 19): non è da poco resistere in una città che è un crogiuolo di tentazioni e desideri, pullulante di spettacoli e musica che attraggono e afferrano (qeavmasi te kai; ajkouvsmasi pavntoqen e{lkousi kai; ajntilambanomevnoi"). Significativo è infine sottolineare come in tutto il testo del Symposium, testo ambientato interamente durante un banchetto, vi sia un solo accenno (46) alla musica nella figura di un’auletris che viene denudata da uno dei partecipanti al convivio durante l’azzuffata finale. 275 Vd. Camerotto 2005, p. 115-127.

276 Pind. Pyth. 10.37-40 Moi'sa d j oujk ajpodamei' / trovpoi" ejpi; sfetevroisi: panta'/ de; coroi; parqevnwn / lura'n te boai; kanacaiv t jaujlw'n donevontai: / davfna/ te cruseva/ kovma" ajnadhvsante" eijlapinavzoisin eujfrovnw"