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TIPICA LUNGHEZZA D'ONDA λ (µm)

2.6. SITUAZIONI SUPERFICIALI ETEROGENEE

2.6.1 Il PBL Marino

3

cu*

h= [2.112c]

Per quanto riguarda i valori delle costanti presenti nelle relazioni precedenti si ha che alla costante a è stato attribuito il valore 0.74 da Arya (1981), 0.6 da Mahrt (1982) e 0.4 da Nieuwstadt (1984); alla costante b è stato attribuito il valore 0.142 da Arya (1981); alla costante c è stato attribuito il valore 2400 da Venkatram (1980). E’ interessante notare come le (2.112a) e (2.112b) non siano applicabili all’equatore, in cui darebbero un’altezza del SBL infinita.

Per quanto riguarda i modelli proposti in letteratura per l’altezza dell’inversione termica hi, si rimanda a Tomasi (1983) e Surridge (1990).

2.6. SITUAZIONI SUPERFICIALI ETEROGENEE

Fin qui sono state considerate solo situazioni semplici e regolari, con un suolo caratterizzato da un elevato grado di omogeneità. Spesso, però, la realtà è ben diversa e le considerazioni fatte devono essere in qualche modo riviste o integrate. In particolare, è importante conoscere le peculiarità micrometeorologiche di alcuni ambienti interessanti e fortemente presenti sulla superficie del globo, come, per esempio le distese marine ed oceaniche, le grandi foreste e le zone cittadine, fortemente urbanizzate. Oltre a queste situazioni particolarmente importanti, si incontrano altre due casi che richiedono un’indagine approfondita. Il primo caso deriva dal fatto che spesso sulla superficie terrestre si affiancano suoli con caratteristiche superficiali molto differenti (per esempio con differenze di rugosità e di flusso di calore sensibile) e ciò fa sì che le masse d’aria che vi scorrono sopra incontrino discontinuità che determinano perturbazioni più o meno profonde nella struttura del PBL. Il secondo caso è costituito dalla presenza dell’orografia che inevitabilmente altera il regime fluidodinamico delle masse d’aria ed anche la struttura stessa del PBL. Qui di seguito viene presentata una sintetica introduzione ad alcune di queste problematiche, tralasciando per il momento il problema della presenza dell’orografia che verrà trattato nelle sue linee essenziali a proposito dei modelli di dispersione stazionario.

2.6.1 Il PBL Marino

Circa due terzi del pianeta è costituito da laghi, mari ed oceani ed è quindi importante capire quale sia l’interazione tra queste superfici liquide e l’aria sovrastante. In effetti, dato che ci si è resi conto che è proprio il suolo l’elemento essenziale nel determinare l’ammontare e le modalità di trasferimento all’aria dell’energia ricevuta dal sole, ci si può aspettare che le differenze siano profonde a causa della differenza tra le proprietà dell’acqua e quelle dei materiali che costituiscono i substrati solidi. E’ ormai chiaro che il comportamento differente delle superfici marine è la causa principale delle condizioni climatiche che si riscontrano nelle varie parti del globo. In questa breve sintesi si farà riferimento prevalentemente ad Arya (1981), Garratt (1992) ed Oke (1987).

L’elemento motore dell’evoluzione spazio-temporale del PBL marino è ancora una volta la radiazione solare ad onda corta, cioè la radiazione solare globale Rg. La vera differenza tra quanto succede sulla terraferma e quanto sul mare sta nel fatto che l’acqua è trasparente alla luce, la cui attenuazione con la profondità è espressa da una legge esponenziale decrescente con la profondità e dipendente dalla natura dell’acqua, in particolare dalla presenza di plankton e di materiale sospeso. Se nella maggior parte degli specchi marini la profondità raggiunta dalla radiazione solare è dell’ordine della decina di metri, in certi mari tropicali essa raggiunge anche alcune centinaia di metri.

Il coefficiente d’albedo α non è costante, ma varia con l’angolo di elevazione solare e la sua variazione è molto bizzarra. All’alba ed al tramonto, quando l’elevazione solare è bassa, il comportamento ottico della superficie marina è simile a quella di uno specchio, mentre quando il sole è alto sull’orizzonte la superficie marina si comporta come un assorbitore molto efficiente con α tra 0.03 e 0.1. Quando poi il cielo è nuvoloso e Rg è prevalentemente costituita da radiazione diffusa, allora α vale circa a 0.1 indipendentemente dall'angolo di elevazione solare.

Fig.2.35: bilancio radiativo superficiale in ambiente marino (Oke, 1987).

La radiazione solare ad onda corta innesca il consueto bilancio radiativo superficiale: un esempio è riportato in Fig.2.35, dove con Kex si è indicata la radiazione solare all’esterno dell’atmosfera e con D la frazione diffusa di Rg (indicata col simbolo K↓. In essa si può notare la radiazione ad onda corta riflessa K↑, sempre di piccola entità visto l’elevato coefficiente di albedo quando K è bassa e basso quando K↓ è elevata In pratica è facile verificare che il valore medio giornaliero caratteristico dell’albedo è di circa 0.07. Analizzando ora la radiazione ad onda lunga di origine atmosferica L, non si notano particolari differenze rispetto al solito, mentre la radiazione L↑ generata dalla superficie marina non presenta le variazioni temporali notate sulla terraferma. In pratica, entrambe le componenti ad onda lunga restano circa costanti nell’arco dell’intera giornata e la loro somma algebrica è negativa. Comunque, il bilancio della radiazione complessiva all’interfaccia mare-aria, cioè la Radiazione Netta (indicata in Figura col simbolo Q*), presenta ancora il tipico ciclo giornaliero con elevatissimi valori diurni.

Se si considera l’interfaccia mare-aria, si nota come l’energia disponibile Q* (la Radiazione Netta) venga ancora una volta ripartita nel flusso turbolento di calore sensibile (QH) e nel flusso turbolento di calore latente (QE), tuttavia lo storage termico prodotto dell’ambiente marino (∆QS) è rilevante e non può essere trascurato. In pratica il bilancio energetico risulta essere:

A S E

H Q Q Q

Q

Q*= + +∆ +∆ [2.113]

dove ∆QA rappresenta il trasporto termico orizzontale dovuto alle correnti marine, anch’esso non trascurabile. L’elemento peculiare dell’ambiente marino e soprattutto oceanico è il fatto che all’interfaccia mare-aria la maggior parte di energia disponibile viene dedicata all’evaporazione dell’acqua e ciò comporta che il rapporto di Bowen (QH/QE) sia dell’ordine di 0.1.

Nel caso di una situazione oceanica (Fig.2.36) la maggior parte di energia disponibile viene modulata dallo storage QS. Questa prevalenza del termine ∆QS potrebbe far pensare a grandi

variazione della temperatura superficiale del mare, cosa ben lontana dalla realtà nelle acque oceaniche. Si pensi che la massima escursione annuale della temperatura della superficie marina è di circa 8°C a latitudini di 40° e solo di circa 2°C all’equatore e ciò dà l’idea di come la temperatura del mare sia quasi costante. La ragione di tutto ciò sta nella trasparenza dell’acqua marina che diffonde la radiazione ad onda corta su un grande volume di acqua, nelle correnti e nel movimento superficiale che determinano un rapido e vasto rimescolamento complessivo, nella forte evaporazione superficiale che richiede un’enorme quantità di energia e nella capacità termica dell’acqua che è eccezionalmente elevata.

Fig.2.36: bilancio energetico per l’oceano (Oke, 1987).

Non è facile dire quale sia la rugosità superficiale del mare, visto il suo continuo moto ondoso, a sua volta influenzato dal trasferimento di quantità di moto. Questa constatazione fa supporre che z0 non possa essere una caratteristica assoluta del mare, ma sia in qualche modo il risultato di un’interazione dinamica con lo stato dell’atmosfera. Ciò è stato confermato sperimentalmente, avvalorando la celebre relazione di Charnock (1955):

g u

z0 =α⋅ *2 [2.114]

dove α risulta pari a circa 0.018. La relazione di Charnock sottolinea il fatto che la rugosità superficiale esercitata dalla superficie marina è dipendente dal flusso di quantità di moto (che a sua volta è dipendente dalla rugosità, originando la controreazione che avevamo ipotizzato).

Il profilo verticale della velocità del vento nelle situazioni adiabatiche (le più comuni in ambiente marino) dipende da z0, dalla quota z a cui si misura il vento e dal movimento di deriva us (velocità di drift) caratteristico della superficie marina, secondo la legge logaritmica seguente:

(

0

)

* k ln z z u

u

uzs = ⋅ [2.115a]

In pratica us può essere spesso trascurata visto che us≈0.55u*. Dalle relazioni precedenti, trascurando la velocità di deriva, si giunge facilmente alla relazione seguente:

( ) ( ) (

*2

)

* kln gz u

u

u= α [2.115b]

dove si vede come tra u ed u* non ci sia un evidente intermediario, cosa che invece era evidente per la terraferma dove z0 era un elemento esterno condizionante. Questa circostanza può essere sfruttata per determinare sperimentalmente u* da una sola misura di velocità media del vento ad una quota z. In effetti è immediato constatare che u* è l’unica incognita presente nella (2.115b) e quindi può essere ottenuta risolvendo (numericamente) questa equazione. Spesso nella pratica

viene impiegato il coefficiente di drag (in condizioni adiabatiche) CDN = (u*/u)2, che può essere stimato mediante la relazione semiempirica seguente (Garratt, 1992):

(

0.75+0.067 10

)

103

= u

CDN [2.115c]

in cui u10 è la velocità del vento misura 10 metri sopra la superficie marina. In pratica per le superfici oceaniche il coefficiente di drag assume valori prossimi a 1.2⋅10-3. Si considerino ora situazioni non necessariamente adiabatiche. L’ interesse è rivolto alla determinazione di u*, del flusso turbolento di calore sensibile H0, del flusso turbolento di calore latente HE e dell’evaporazione di acqua dalla superficie marina, quantità parametrizzabili in termini di opportuni coefficienti di drag. In particolare si ha che:

U C

u* = D12 [2.116a]

(

θ θ

)

ρ ⋅ −

= 0

0 C C U

H p H [2.116b]

E L

HE = e [2.116c]

(

Q Q

)

U C

Ew0 − [2.116d]

dove CH e CW sono i coefficienti di drag (non adiabatici) per il trasferimento di calore sensibile e per l’evaporazione, Q, θ e U sono rispettivamente l’umidità, la temperatura potenziale e la velocità del vento ad una quota z nel SL e Q0 e θ0 sono l’umidità e la temperatura potenziale alla superficie del mare. Dai dati disponibili si ha che CDN = CHN = CWN ≈ 1.2⋅10-3. Anche se il loro valore in condizioni non adiabatiche dovrebbe dipendere dal grado di convettività o stabilità, dato che l’ambiente marino presenta situazioni molto prossime all’adiabaticità, l’uso di CDN, CHN e CWN al posto di CD, CH e CW non costituisce un errore rilevante.

La misura dei profili delle principale variabili meteorologiche è molto difficoltosa nell’ambiente marino e ad oggi le misure disponibili sono veramente poco numerose, tuttavia da esse è possibile affermare che è comunque individuabile nel PBL marino uno strato di ridotte dimensioni vicino alla superficie in cui sono applicabili le relazioni di Similarità di Monin-Obukhov. L’unica avvertenza è ricordare che il flusso latente di calore è essenziale ed onnipresente e quindi nella definizione della lunghezza di Monin-Obukhov è indispensabile impiegare sempre la covarianza tra la componente verticale del vento e la temperatura potenziale virtuale. I profili che comunque si instaurano entro il SL sono, nella maggior parte dei casi, relativi a situazioni prossime all’adiabaticità, visto che nell’ambiente marino in generale il flusso turbolento di calore sensibile è estremamente basso. Per quanto riguarda i profili delle altre variabili di interesse micrometeorologico (come le deviazioni standard delle componenti del vento e della temperatura) si dispone di un ancor più esiguo di evidenze sperimentali, che però di fatto confermano le Relazioni di Similarità ottenute sulla terraferma.